
Anche se siamo nel 2024 e il dibattito intorno al calcio si è notevolmente arricchito, mi sembra che nell’archetipica discussione su cosa pesi di più in una squadra tra allenatori e giocatori siamo ancora fermi a strutture rigide e sostanzialmente superate. Le posizioni, in questo dibattito, sono piuttosto manichee tra chi pensa che l’allenatore sia sostanzialmente ininfluente nelle sorti di una squadra e chi crede invece che la totalità del gioco e dei risultati siano diretta emanazione del suo tecnico, come se le squadre di calcio fossero solo delle estensioni di un’entità superiore, l’allenatore per l’appunto.
È una visione abbastanza radicata. Ce ne possiamo accorgere, per esempio, dalle frequenti analogie con il gioco degli scacchi, utilizzate spesso dai commentatori, ma anche tranquillamente da chi opera nel calcio, persino ad alti livelli. Il problema è che la similitudine è fuorviante: i calciatori non sono pedine e le dinamiche del gioco del calcio sono molto più complesse (non complicate) rispetto a quelle presenti nel gioco degli scacchi, in cui ci sono 2 giocatori, 16 pezzi (ciascuno con la sua possibilità di movimento prestabilita) e 64 caselle. Un set relativamente finito, numerabile, di possibilità d’azione e movimento all’interno di vincoli ben precisi. Praticamente il contrario del calcio, che invece coinvolge molte individualità, all’interno di un ambiente di gioco più libero e dunque imprevedibile, nel quale la sequenzialità lineare applicabile negli scacchi, il “pensare n mosse avanti”, non si può applicare.
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