Primo turno di playoff NBA: 5 delle 8 serie sono finite a gara-7 (la bella); 23 partite decise da 5 punti o meno (14 da 3 o meno); 8 gare terminate al supplementare (il record per un’intera postseason è di 10); 2 canestri decisivi sulla sirena.
Meglio di così, solo il paradiso. Forse.
1. IN MEMORIAM
Via il dente, via il dolore. Prima di affrontare tutte le meraviglie di questo primo turno di playoff, lasciatemi spendere una lacrima per i giocatori che – d’ora in poi – non avremo più il piacere di vedere in campo da qui a giugno. Steph Curry (primo della lista, e non è un caso) & Klay Thompson. James Harden & Dwight Howard. Dirk Nowitzki. Joakim Noah. Zach Randolph & Marc Gasol. Ci mancherete.
[ora via col divertimento]
2. LAMARCUS “CHAMBERLAIN” ALDRIDGE
Houston Rockets-Portland Trail Blazers
[gara-1 & 2]
Sono trascorse solo due settimane e – con tutto quello che è successo – si rischia quasi di dimenticare cos’è stato in grado di fare il lungo di Portland nelle prime due gare della serie (il 20 e il 23 aprile scorso). Ovvero: reincarnarsi in Wilt Chamberlain. Gara-1: 46 punti & 18 rimbalzi. Gara-2: 43 & 8 (totale: 89 & 26). Dall’altra parte, per dire, c’era Dwight Howard. LMA si piazza al sesto posto all-time per miglior produzione offensiva nelle due gare di esordio di una serie di playoff (primo e secondo Michael Jordan, terzo e quarto Jerry West, quinto Allen Iverson, discreta compagnia). E il bello è che tutti, a Portland così come altrove, alla fine di questa serie ricorderanno il nome di un suo compagno di squadra.
3. OKLAHOMA CITY THUNDER-MEMPHIS GRIZZLIES: LA SERIE
Si inizia da gara-2: l’impossibile tiro da tre punti (scagliato orizzontalmente al parquet) di Kevin Durant, che subisce fallo da Marc Gasol e segna lo stesso (and one, realizzerà anche il tiro libero aggiuntivo). Gara-5: Derek Fisher gioca la sua 245esima partita di playoff, infrangendo il primato di Robert Horry (per dare un’idea: Danilo Gallinari ha disputato 297 partite NBA in tutto, in sei anni di carriera NBA). Sempre gara-5, decisa solo dopo un tempo supplementare come già successo alle tre precedenti, stabilisce un nuovo record, facendo di OKC-Memphis la prima serie di sempre con 4 OT consecutivi. Ed è ancora dopo la quinta partita della serie che Mike Sherman, redattore capo della sezione sportiva dell’Oklahoman, il quotidiano locale, sceglie di aprire col titolo «MR. UNRELIABLE» – «quello di cui non ci si può fidare» – sopra a una bella foto di Kevin Durant. Seguono scuse, ufficiali. Che a rivederle ora non hanno senso, anzi. Potrebbe andare a Mike Sherman il titolo di MVP di questo primo round di playoff, vista la produzione del Durant nelle due gare conclusive della serie, spalle al muro, con OKC sotto 2-3: 34,5 punti con il 56,1% al tiro e il 45,5% da tre punti (5/5 in gara-7), 125,1 di offensive rating e 92,1 di defensive (ovvero quanto hanno prodotto/subito con lui in campo i Thunder, su 100 possessi), per un impressionante net rating (la differenza) di +33. Ah, due vittorie Thunder ovviamente, anche grazie al suo compagno Russell Westbrook, che in gara-7 diventa solo il sesto giocatore di sempre a far registrare una tripla doppia in una settima, impresa che condivide con Jerry West, Larry Bird, James Worth, Scottie Pippen e Rajon Rondo.
4. CLUTCH / 1: VINCE CARTER (13 ANNI DOPO)
San Antonio Spurs-Dallas Mavericks
[gara-3]
Vince Carter vanta una laurea in quelli che oltreoceano chiamano African-American studies. Nonostante abbia lasciato il suo college, University of North Carolina, nell’estate del 1998 dopo solo tre anni – per “volare” a giocare nella NBA – aveva promesso a mamma Michelle, una vita passata come educatrice nelle scuole della contea di Volusia, in Florida, che quel foglio di carta lo avrebbe portato a casa. Lo fece, simbolicamente, un giorno di primavera del 2001, il 20 maggio, una domenica per l’esattezza. Quella sera si sarebbe giocata gara-7 tra i suoi Raptors e i Philadelphia 76ers di Allen Iverson, in palio l’accesso alla Finale NBA. Prima, però, era in programma la cerimonia di consegna delle lauree, in Carolina. Aereo privato in decollo la mattina all’alba, arrivo al campus di Chapel Hill per le 8.30, vestizione nella tradizionale toga (color del cielo, come le divise della squadra) e altrettanto tradizionale lancio del tocco al cielo. Poi il ritorno. E verso il cielo, quella sera, tirò anche un pallone che, col punteggio sull’88-87 Philadelphia, fosse entrato avrebbe fatto dei suoi Raptors gli avversari dei Lakers per il titolo NBA. Due secondi sul cronometro, ricezione in angolo, vicino alla linea da tre punti, una finta, il tiro. E l’errore. La bellezza di 13 anni dopo, la redenzione. Con la maglia dei Dallas Mavericks, in un primo turno di playoff (non in una finale di conference) e in una gara-3 (non in una gara-7) – ma tant’è. Un secondo e sette decimi sul cronometro, ricezione in angolo, dietro la linea da tre punti, una finta, il tiro. E il canestro. Vincredible!
5. THE STARE, FEAT. LEBRON JAMES & MICHAEL JORDAN
Miami Heat-Charlotte Bobcats
[gara-3]
Miami, già sopra 2-0 dopo le prime due partite giocate in Florida, comodamente in controllo anche in gara-3, sul parquet di Charlotte. Punteggio 66-49. Mancano 7:40 al termine del terzo quarto. LeBron James strappa il pallone dalle mani di Josh McRoberts e si ritrova in campo aperto per due facili punti. Tre secondi dopo, infatti, ha già schiacciato violentemente il pallone nel canestro dei Bobcats. Tra il recupero e la segnatura, però, sta il bello. Ovvero lo sguardo fisso verso la panchina di Charlotte, dove siede il proprietario della squadra. Palleggia e lo guarda. Stacca e lo guarda. Vola e lo guarda. “Come fly with me”, sembrerebbe dirgli. Poi affonda la schiacciata. Tre secondi di LeBron James vs. Michael Jordan hanno fatto più parlare di quattro intere partite tra Heat e Bobcats.
6. DONALD STERLING
Los Angeles Clippers
«A Letter from Commissioner Adam Silver.»Questo è l’oggetto di una e-mail che ho ricevuto in casella la sera del 29 aprile. E se mi scrive una lettera il Commissioner, qualcosa di grosso dev’essere successo. Partendo dalle solite intercettazioni di TMZ per arrivare alla solita – esclusiva! – intervista dell’85enne Barbara Walters alla misteriosa – ma mica tanto – V. (per Vendetta) Stiviano («I’m his everything» e «God only knows» le due risposte che più mi hanno entusiasmato, insieme agli studiatissimi battiti di ciglia degni di miglior attrice), quello che è successo è che Donald Sterling – il razzista Donald Sterling, proprietario dei Los Angeles Clippers – è stato messo al bando dalla NBA a vita e punito con una multa di 2,5 milioni di dollari (che sarà devoluta in beneficienza, of course). Bene? Sì. Si poteva fare prima? Pure. Si poteva fare “meglio” (senza ricorrere a un’intercettazione)? Anche. Nel mentre, i Clips – favoriti contro i Warriors nel loro primo turno di playoff – hanno dovuto lottare con le unghie e con i denti per non sprofondare nel marasma generato dalle polemiche che ne sono seguite, pagando lo scotto di un -21 all’indomani della notizia, per poi far quadrato e spuntarla in gara-7. In attesa di un nuovo proprietario.
7. CLUTCH / 2: DAMIAN LILLARD
Houston Rockets-Portland Trail Blazers
[gara-6]
Gli amici con cui perdo tempo a commentare i playoff NBA durante notti insonni e (successive) mattinate di scarsa lucidità lo sanno. Qualcuno potrebbe anche essere disponibile a testimoniare. Voi altri tutti, invece, dovete fidarvi. Anche prima di gara-6 tra Rockets e Blazers – col match-point sulla racchetta di quest’ultimi – Damian Lillard era il mio MVP romantico di questo primo turno di playoff (se limitiamo l’analisi ai 28x15 di parquet). Per una serie infinita di motivi. Perché viene dall’asfalto di Oakland, che ha già fatto da culla a tanti altri fantastici playmaker NBA (Gary Payton e Jason Kidd su tutti). Perché ho guidato da solo per quasi due ore in una fredda mattina di gennaio nello Utah soltanto per farmi raccontare dal suo allenatore universitario, Randy Rahe, che tipo di persona(ggio) fosse. Perché appartiene alla razza rara di chi ha fatto tutti e quattro gli anni al college, a Weber State (e perché quelli di Weber State negli anni ’70, non avendo i soldi per permettersi il pullmino della squadra, andavano in trasferta su un carro funebre riadattato). Perché è venuto in Italia la scorsa estate – dopo aver vinto il premio di Rookie dell’Anno – e si è dimostrato simpatico e disponibile. E poi perché mi sembra tremendamente forte, molto maturo e – per quello che vale il termine – un vero vincente. Poi sono arrivati gli ultimi 0,9 secondi di gara-6, con i Blazers sotto di due e una rimessa da inventare. Il vine che ha pubblicato sulla sua pagina Facebook riassume meglio di ogni parola quel secondo scarso. La velocità a cui tutto accade. Quel concitato battere di mani. Il resto.
Ecco perché è lui – Damian Lillard – il compagno di squadra di LaMarcus Aldridge di cui tutti ricorderanno il nome.
8. R-I-H-A-N-N-A!
Toronto Raptors-Brooklyn Nets
[gara-3]
Perché, se invece non limitiamo l’analisi ai 28x15 di parquet (sorry Damian) ma andiamo anche solo un metro oltre, seduta a bordocampo al Barclays Center in occasione di gara-3 tra Nets e Raptors, c’era lei. Ma (particolare non da poco) non c’era con lei un elemento solitamente abituale di biancheria intima femminile. Autentica e incontrastata MVP del primo turno, lady Rihanna.