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Pogacar sta diventando più grande del ciclismo
07 mar 2022
La sua vittoria alla Strade Bianche è stata fenomenale.
(articolo)
9 min
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La Strade Bianche, la corsa che parte tra le colline nei dintorni di Siena fino ad arrivare a Piazza del Campo, è nata da poco, dal 2007 per la precisione - molto poco per essere considerata una grande corsa in uno sport complesso e pieno di contraddizioni come il ciclismo. All'apparenza, soprattutto nelle corse di un giorno, è tutto semplicissimo: si pedala dalla partenza al traguardo e il primo che arriva ha vinto. Gli altri possono tornare a casa e ci riproveranno la prossima volta. In realtà, ovviamente, è molto più complicato di così, perché per vincere ci sono una miriade di strategie di squadra che devono filare lisce, districandosi fra gli imprevisti che qualunque percorso - anche quello all’apparenza più semplice - può nascondere. In realtà, ogni gara fa storia a sé. Questo in sostanza significa che non tutte le gare si possono vincere allo stesso modo. E questo è vero anche per quelle che chiamiamo “Classiche” o “semi-Classiche”, quelle gare cioè che prevedono quasi sempre lo stesso percorso da ripetere anno dopo anno.

Se il percorso è sempre più o meno quello, ci si aspetterebbe che anche lo svolgimento della gara sia sempre più o meno quello. E così, anche in una corsa così giovane come la Strade Bianche, il copione a cui ci eravamo abituati era sempre stato simile, pur con qualche improvvisazione estemporanea. Fondamentalmente c’era sempre tanta selezione nella fase centrale, quella con i tratti di sterrato (o “strade bianche”, appunto) più lunghi. Dal gruppetto che rimaneva, negli ultimi chilometri con gli ultimi settori in sterrato usciva fuori il gruppettino che si andava a giocare la vittoria sull’ultima salita, dentro Siena, per arrivare a Piazza del Campo.

Anche se a volte possono succedere cose come questa (foto di Tim de Waele/Getty Images).

Con qualche variazione, certo, perché poi ci può essere il colpo di mano di qualcuno su uno degli ultimi settori di strade bianche o un attacco solitario nel finale per far saltare gli schemi. Niente di troppo eccezionale, però, al di là di qualche sparuta eccezione, come ci ha come ci ha insegnato l’anno scorso Mathieu van der Poel, imprendibile sulla salita di Santa Caterina.

E invece il ciclismo finisce sempre per stupirti e sabato, mentre eravamo tutti in attesa degli ultimi chilometri per assistere all’assolo di qualcuno nel finale, impegnati a seguire la corsa con gli occhi fissi sul nostro libretto d’opera, Tadej Pogacar ha deciso di far saltare per aria tutti i programmi con un attacco scriteriato a 50 chilometri dal traguardo.

L’assolo

Il settore di Monte Sante Marie, uno dei più lunghi della corsa, si trova in una posizione chiave del percorso della Strade Bianche. È posto alla fine della parte centrale, quella in cui si trovano i settori più lunghi, e segna in un certo senso l’inizio della fase conclusiva della gara segnata da settori molto più brevi e ripidi. È l’introduzione al gran finale, se vogliamo. Là dove di solito il gruppo finisce di disgregarsi lasciando davanti solo gli uomini che poi si giocheranno davvero le proprie chances di vittoria, uno contro l’altro all’ultimo respiro.

Quello delle Sante Marie è un settore molto variegato, proprio per la sua lunghezza: si entra in pianura, si affrontano una serie di piccoli saliscendi, poi una breve salita, ci si butta in discesa e poi si risale fino a un lungo falsopiano seguito da altri saliscendi. In cima a quella breve salita nella prima parte del settore di sterrato, il gruppo si allunga dopo un assaggio di Alaphilippe che prova a smuovere le acque. In fila indiana ci sono Simon Clarke, Quinn Simmons e poi proprio Alaphilippe con a ruota Pogacar.

C’è un preciso momento in cui Quinn Simmons si volta per controllare la situazione alle sue spalle. Il primo tratto di discesa è finito e siamo in quella fase pianeggiante prima di un altro settore in discesa. Anche Julian Alaphilippe si volta a controllare perché sente che Pogacar gli si è tolto di ruota rompendo quella classica fila indiana. Lo sloveno si affianca al campione del mondo e risale il gruppetto, si mette in testa e prende la discesa davanti.

Guidare la bicicletta in discesa su quelle strade in sterrato è un’operazione molto delicata e perciò conviene spesso stare più avanti possibile per evitare problemi. In quel momento, quindi, sembra quasi che Pogacar sia lì davanti per evitare rischi e tracciare le sue traiettorie in tranquillità. Ma alla seconda curva è chiaro che Pogacar, i rischi, se li vuole andare a cercare più che evitarli. Alla terza curva entra veloce con la spavalderia dei suoi 23 anni e finisce per allargare la traiettoria come fosse un motociclista che cerca di sfruttare tutti i cordoli della pista, e a quel punto è evidente anche ai suoi avversari che quello lì è un attacco vero e proprio.

In fondo alla discesa, Pogacar ha pochi metri di vantaggio, si volta e insiste. Dietro Alaphilippe sgomita per andare davanti e provare a chiudere; si alza in piedi sui pedali ma la sua azione non è abbastanza efficace. Pogacar tira via le borracce che ha ancora addosso: un peso inutile; gliene daranno di nuove i suoi massaggiatori che lo aspettano all’uscita delle Sante Marie.

Alaphilippe riduce il distacco con grande fatica ma poi la strada ricomincia a salire e Pogacar insiste imperterrito nella sua azione e il francese si spegne all’improvviso. Quei pochi metri di vantaggio che aveva in fondo alla discesa si allargano a vista d’occhio e mentre dietro i suoi avversari stentano a capire cosa stia succedendo, Pogacar va via. Lo rivedranno solo al traguardo.

Foto di Tim de Waele/Getty Images

All’uscita del settore del Monte Sante Marie, a circa 42 chilometri dal traguardo e dopo solo 8 chilometri da quell’attacco solitario in discesa, Tadej Pogacar è al comando con oltre 1 minuto di vantaggio sul gruppo tirato dagli uomini della Quick Step - Alaphilippe, Asgreen e Serry. In mezzo, a bagnomaria, il giovane spagnolo della Ineos, Carlos Rodriguez, che nella sua ingenua purezza aveva intuito la follia di Pogacar e aveva provato, vanamente, a seguirlo.

A quel punto Tadej Pogacar è da solo, inseguito dal due volte campione del mondo in carica e dal vincitore uscente del Giro delle Fiandre (e dal buon Pieter Serry, che comunque proprio scarso sul passo non è vista la sua lunga carriera da gregario alla Quick Step). Davanti a sé ha oltre 40 chilometri di strada che è in realtà un infinito saliscendi con ampi tratti in cui il vento soffia contrario e tre settori di strade bianche ancora da affrontare.

Il paradosso, se vogliamo, è che a quel punto tutti sanno che è finita. Che Pogacar andrà via da solo fino al traguardo senza che nessuno possa davvero farci nulla. È esattamente in questo che si vede la grandezza del fuoriclasse sloveno: non tanto nelle sue vittorie ma nel come ormai abbia raggiunto un livello tale che quando parte da solo in attacchi che per tutti i suoi avversari sarebbero semplicemente assurdi non c’è niente da fare.

Non è più, quindi, una mera questione di tecnica o “di gambe”, come si dice in gergo. Non è solo una questione di potenza fisica, ecco. Perché fare cinquanta chilometri da solo magari non è una cosa che possono fare tutti, ma tanti ce l’avrebbero pure nelle gambe. È una questione di pensiero, di testa, di immaginazione. Alcuni dei suoi avversari magari la saprebbero anche fare un’azione del genere. La differenza fra loro e lui è che loro non la riescono a pensare una cosa così - non la ritengono possibile. Per Pogacar, invece, un attacco del genere è un gesto necessario - la scelta più logica. Avrei detto normale, ma chiaramente non c'è nulla di normale in Tadej Pogacar.

Rottura

La vittoria di sabato di Pogacar non è solo un altro tassello in un albo d’oro già sbalorditivo per l'età, e sarebbe riduttivo valutarla in questo modo. A volte si tende a esaltare vittorie prestigiose ottenute in contesti molto favorevoli e particolari, e a valutarle più di vittorie in corse di livello più basso ma figlie di azioni straordinarie. E quindi come si pone questa vittoria alla Strade Bianche nella storia di Pogacar?

Per rispondere a questa domanda bisogna ricordarsi che, anche se non può essere paragonata per storia alle cosiddette Classiche, la Strade Bianche sta assumendo negli ultimi anni un prestigio sempre più solido, dato da un'importanza che le riconoscono gli stessi ciclisti. Ho già citato l'attacco di van der Poel sulla salita di Santa Caterina l'anno scorso, ma si potrebbe citare anche le vittorie di van Aert e Alaphilippe. Momenti come questo, e come la vittoria di Pogacar, sono il segnale che i più importanti ciclisti del mondo ci tengono a vincerla, anche provando a superare i propri limiti, e le loro imprese le stanno conferendo un prestigio notevole per una gara che ha appena 15 anni. Si potrebbero fare altri esempi dal passato quello che conta comunque è che sarebbe un errore considerare questa come una vittoria minore - minore rispetto per esempio a una vittoria in un’altra corsa che oggi consideriamo più prestigiosa, magari in una di quelle che ci piace definire “Classiche Monumento” come se questa cosa avesse davvero un significato reale.

Questa non è una vittoria come un'altra, ma il trionfo di un fenomeno che ha distrutto la concorrenza, facendo sembrare i suoi avversari (che, lo ricordiamo, non erano gli ultimi arrivati) delle semplici comparse, inermi di fronte al suo dominio. L'eccezionalità è tale che non è assurdo considerarla un vero e proprio punto di rottura rispetto al passato recente del ciclismo, fatto di scatti negli ultimi chilometri e di ciclisti iperspecializzati.

Una pillola statistica che ci fa capire meglio la portata di ciò che ha fatto Pogacar sabato.

Non è il solo che sta segnando un prima e un dopo, perché in questo discorso andrebbero citati anche Wout Van Aert e Mathieu van der Poel, tanto per fare due esempi, che stanno contribuendo a cambiare questo sport portandolo nel futuro. Tadej Pogacar però è speciale, più di tutti gli altri. Perché ha solo 23 anni e ha già vinto due volte il Tour de France (in due sole partecipazioni): la prima volta ribaltando Roglic nella cronometro finale e la seconda volta mandando all’aria tutta la concorrenza con una sola clamorosa azione che ricorda molto quella di questo sabato per come è stata pensata e realizzata. Non contento, l’anno scorso ha vinto in una volata ristretta la Liegi-Bastogne-Liegi ad aprile e poi il Giro di Lombardia a fine stagione, oltre al bronzo olimpico ai Giochi di Tokyo. Se si ritirasse domattina, Pogacar potrebbe essere già considerato uno dei ciclisti più forti della storia di questo sport.

La sua grandezza, però, come detto non è definita solo dal palmares, ma anche dalle cose eccezionali che fa sulla bici. Pogacar è un ciclista che sa andare forte su ogni terreno: vince a cronometro, domina in salite lunghe, sa andare forte sullo sterrato, ha un ottimo spunto sugli strappi secchi e in volate ristrette non è secondo a nessuno. In poche parole, è uno di quegli strani esseri che parte da favorito in qualunque corsa a cui partecipa, senza distinzione fra corse a tappe di una settimana, grandi giri o corse di un giorno. Ogni quanti anni nascono ciclisti così dominanti? Dobbiamo abituarci all’idea che Tadej Pogacar è ormai talmente grande che non sono più le corse che vince a dare a lui maggiore fama ma è il fatto stesso che lui le vinca a dare a quelle corse un po’ di prestigio in più. Se oggi la Strade Bianche è una corsa un po’ più importante di quanto fosse venerdì scorso è merito soprattutto di Pogacar e del suo folle attacco di 50 chilometri in solitaria.

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