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Come la politica ha usato il calcio in Francia
19 apr 2018
Breve storia del rapporto complicato tra la Nazionale e la classe politica francese.
(articolo)
18 min
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Il 14 Luglio in Francia si celebra la presa della Bastiglia ed è tradizione che il Presidente della Repubblica rilasci un’intervista ai principali media nazionali, spesso durante la parata militare sugli Champs Élysées. Nel 1998, i festeggiamenti si svolgono a sole 36 ore di distanza dalla doppietta con cui Zidane ha steso il Brasile e consegnato alla Francia la sua prima Coppa del Mondo (a cui si è aggiunto il gol di Emmanuel Petit, come la più classica delle ciliegie da aggiungere su una torta già gustosissima). Non poteva essere un 14 Luglio e i giornalisti chiedono subito al Presidente Jacques Chirac se il trionfo di Saint Denis rappresenti la vittoria dell’integrazione e la sconfitta del razzismo.

Chirac, che nell’ultimo mese ha trasferito il suo ufficio allo Stade de France, sorride. «Esiste un momento», dice. «in cui un popolo ha bisogno di unirsi attorno a un’idea che lo rende fiero di se stesso. Questa vittoria ci ha fatto capire l’importanza della solidarietà, della coesione e ha dimostrato che la Francia possiede un’anima. […] La Francia, storicamente, ha un’origine plurale. Rivendichiamo spesso le nostre origini giudaico-cristiane, le nostre radici latine, la discendenza con i Galli. È un insieme condiviso che rende il nostro paese quello che, meglio di chiunque altro, ha capito l’importanza dell’integrazione. Oggi questa squadra tricolore e multicolore restituisce una bella immagine di una Francia umanista, forte, unita».

Il battesimo della Rainbow Nation.

Il mito della generazione "Black, Blanc, Beur"

Il discorso di Chirac sancisce la nascita della Francia “Black, Blanc, Beur”. Cioè la Francia dei neri di origine centro-africana, dei bianchi, degli arabi di origine nordafricana; anche se va notato come solo il termine di mezzo corrisponda all'aggettivo comune, peraltro non utilizzato nella società francese (i bianchi sono semplicemente "francesi"), mentre black e beur siano di uso colloquiale comune, utilizzati soprattutto dai bianchi per identificare le altre comunità.

Con il Mondiale del '98 nasce il mito di una squadra che gioca per una sola bandiera nonostante i suoi giocatori abbiano origini diverse: l’Équipe de France simboleggia il successo dell’integrazione “alla francese”, come verrà definita a partire da quel periodo, l’immagine vincente di una società aperta, multiculturale, figlia dell'universalismo repubblicano.

La vittoria della squadra di Thuram (nato in Guadalupa), Blanc (cresciuto ad Alès, in Occitania) e Zidane (figlio di immigrati algerini), Lizarazu (basco), Karembeu (nato in Nuova Caledonia), Djorkaeff (di origini armene, polacche e cosacche), assume una valenza socio-culturale che va oltre il semplice aspetto sportivo e diventa uno straordinario strumento di propaganda politica. È un’occasione perfetta da cavalcare politicamente, e infatti Chirac non è l’unico a farlo.

Durante il Mondiale l’intera classe politica francese fa a gara per sostenere i ragazzi di Jacquet. Il Presidente dell’Assemblea Nazionale ed esponente di spicco del Partito Socialista, Laurent Fabius, scrive un telegramma all’allenatore poche ore prima della finale: «Ci sono 577 deputati seduti con voi in panchina. Sono sicuramente troppi ma siamo tutti con voi». Il dibattito politico di quei giorni verte più sulle parate di Barthez che sulla discussa riforma delle 35 ore lavorative e i sondaggi indicano che la fiducia nei confronti delle istituzioni è in crescita: più del 70% degli elettori infatti si dice soddisfatto dell’operato del Presidente Chirac e del Primo Ministro Jospin, nonostante la difficile cohabitation renda complicati i loro rapporti (Chirac appartiene al partito di destra Rassemblement pour la République, Jospin è il leader del Partito Socialista).

La vittoria dei Bleus azzera come d’incanto le polemiche sulla sicurezza e sull’immigrazione, ridimensionando il ruolo del Front National di Jean Marie Le Pen, che due anni prima aveva denunciato la presenza di troppi giocatori “stranieri” (cioè nati al di fuori dalla Francia o di origini diverse) in Nazionale. Per molti commentatori, la vera impresa di Zidane consiste nell’aver fatto cambiare idea ai milioni di francesi convinti che la Repubblica sarebbe stata travolta da una moltitudine incontrollata di sans-papiers (letteralmente: senza documenti, non in regola).

Patrick Devedjian, membro del Rassemblement pour la République, ricorda: «Quando ho sentito tutto lo stadio urlare “Zizou, Zizou” sono rimasto colpito. Una cosa simile mi fa credere che, seppur con difficoltà, l’integrazione possa essere accettata anche dagli elettori di destra». Nei mesi successivi alla vittoria dei Mondiali tutto sembra possibile: sanare le ferite del colonialismo, liberare le banlieues dalle loro contraddizioni, vincere anche l'Europeo successivo (e così sarà, ai danni dell'Italia battuta in finale dal golden goal di Trezeguet).

L’incantesimo, però, dura pochi anni. S’interrompe la sera del 6 Ottobre 2001, un anno dopo l'Europeo che ha definitivamente coronato quella Nazionale, e poco più di un mese dopo l’attentato alle Twin Towers di New York.

A Saint Denis si gioca un’amichevole tra Francia e Algeria. La partita è stata fortemente voluta dal Ministro dello Sport, Marie-George Buffet, convinta che i tempi siano finalmente maturi per chiudere i conti con il passato coloniale. Il governo pensa che Zidane, oltre a sconfiggere Ronaldo, possa rimediare persino ai danni di De Gaulle e non ritiene opportuno rimandare la partita.

I calciatori francesi, infuriati per i fischi dei tifosi algerini (che hanno riempito lo stadio) durante la Marsigliese, prendono molto sul serio l’amichevole segnando 4 gol in 50 minuti. I sostenitori algerini invadono il campo costringendo l’arbitro a interrompere la partita. Sugli spalti, un atterrito Jospin, Primo Ministro, osserva gli agenti in tenuta anti-sommossa correre sullo stesso prato in cui, tre anni prima, Deschamps aveva alzato la Coppa del Mondo.

La tribuna presidenziale viene colpita da decine di bottigliette d’acqua mentre Buffet, di fronte ai microfoni, dichiara mortificata: «Questa invasione ha un significato, sta a noi coglierlo e rispondere nella maniera opportuna». Il Ministro dell’Istruzione Jack Lang decide di farlo distribuendo nelle scuole un’audio-libro che spiega agli alunni la storia della Marsigliese. Il deputato dell’UMP Rudy Salles, meno prosaicamente, presenta un emendamento per cui chi fischia l’inno nazionale può essere perseguito penalmente.

Il sogno è finito.

Alzare il tappeto e trovarci sotto la "feccia"

La retorica delle minoranze ben integrate che aveva coperto i reali problemi del paese e di quelle stesse minoranze, cavalcata artificiosamente da una classe politica irresponsabile, svanisce in meno di 90 minuti. La luna di miele tra calcio e politica s’interrompe e le dichiarazioni concilianti del Ministro dello Sport Marie-George Buffet («Non mi pento di aver voluto questa partita. È nostra responsabilità dialogare con questi ragazzi») servono a poco.

Il clima è cambiato e a farne le spese è prima di tutti gli altri Lionel Jospin, che qualche mese dopo viene clamorosamente escluso dal ballottaggio per le Presidenziali del 2002. Il Partito Socialista viene travolto dal Front National di Le Pen, uno dei critici più feroci della Francia “Black, Blanc, Beur”, sostenendo che fosse «artificiale far venire dei signori dall'estero e chiamarla Équipe de France» e che sarebbe convenuto «chiamarla in un altro modo». Poi, dopo la vittoria del Mondiale, aveva provato ad appropriarsene dicendo che se i giocatori cantavano la Marsigliese era merito di una certa «lepenizazzione degli animi». Le Pen perderà l'elezione con Chirac ma quel ballottaggio resterà come una delle ferite più brucianti per l'unità della Francia. Il segno che qualcosa è cambiato.

I fischi all’inno si ripeteranno nel 2007 contro il Marocco e nel 2008 contro la Tunisia nonostante Manuel Valls, esponente del PS e futuro Primo Ministro, ammonisca che «la Repubblica e i suoi simboli sono intoccabili». Il calcio plurale è diventato così scomodo da spingere persino un membro dello stesso Partito Socialista, Georges Frêche, Presidente della regione Languedoc-Roussillon, a dichiarare: «In questa squadra ci sono 9 neri su 11. La normalità sarebbero 3 o 4, sarebbe un numero maggiormente rappresentativo della società francese. Se ce ne sono così tanti, e i bianchi sono così pochi, allora mi vergogno per il mio paese».

La dichiarazione che sancisce però l'inizio di una nuovo livello di conflittualità, non ha a che fare con il calcio. Il 25 Ottobre del 2005 il Ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy, in visita ad uno dei quartieri più difficili di Argenteuil durante le rivolte delle periferie generate dalla morte accidentale di due adolescenti inseguiti dalla polizia, viene accolto dagli insulti e dai fischi degli abitanti. Rivolgendosi a una signora che osserva la scena da una finestra, Sarkozy esclama: «Avete visto quanta feccia? Tranquilli, adesso la puliamo con l'idrante».

Sarkozy ricorda John McClaine ad Harlem. Con le guardie del corpo, però.

Il giorno dopo, il termine “racaille” (appunto, feccia, usato però per distinguere i giovani di periferia) è sulle prime pagine di tutti i quotidiani: mentre le banlieues bruciano, la polizia è costretta ad abbandonare interi quartieri al loro destino. La feccia di cui parla Sarkozy è costituita dalle seconde e terze generazioni di immigrati africani, spesso musulmani, che affollano le periferie, e che per sua sfortuna compongono gran parte dell’Équipe de France: Hatem Ben Harfa, Karim Benzema e Samir Nasri hanno origini maghrebine e sono le nuove stelle del calcio transalpino, destinate a sostituire nel cuore dei francesi gli eroi del ’98.

È proprio uno di quegli eroi a notare il cambiamento, Lillian Thuram alla vigilia di Euro 2008 avverte il commissario tecnico Domenech di fare attenzione perché «nel gruppo ci sono dei petit cons [stronzetti, o delinquentelli, nda]» difficili da tenere a bada e indifferenti alle regole del gruppo. Thuram non è il solo a nutrire dubbi sull’affidabilità della nuova generazione e nessuno si stupisce troppo quando la Francia all’Europeo svizzero-austriaco chiude il suo girone all’ultimo posto, riuscendo a perdere tutte le partite ad esclusione di uno scialbo 0-0 contro la Romania.

A far rumore, però, non sono tanto le sconfitte quanto le polemiche tra Nasri e i senatori dello spogliatoio Gallas e Henry, a cui il giovane franco-algerino ruba il posto sul bus. È solo il primo di una lunga serie di incidenti che segneranno la carriera di Nasri in Nazionale: seguiranno il «ferme ta guele», cioè «chiudi il becco», a un giornalista dell’Équipe; gli insulti al giornalista di AFP e la pallonata a Sara Carbonero prima della partita contro la Spagna ad Euro 2012, che ne faranno uno dei principali imputati dei cattivi risultati della squadra.

Per la maggioranza dei francesi, è l’ambiente da cui provengono i giocatori a spiegare la loro insofferenza verso la disciplina. In realtà, secondo il sociologo Stéphane Beaud, le motivazioni sono più complesse. Nel suo libro “Traîtres à la nation?” Beaud sottolinea come la crescita dei giovani calciatori francesi sia ostacolata dal mercato e dai procuratori. Distratti dal denaro e dalle offerte estere, i ragazzi diventano professionisti troppo presto, senza avere il tempo di imparare come ci si comporta in un gruppo. Giudicare gli atteggiamenti dei giocatori solo alla luce delle loro origini o della vicinanza all’Islam è ingiusto, sostiene Beaud.

La Francia inclusiva di Zidane (a cui si perdonava tutto e che veniva accolto come un re da Chirac persino dopo la famosa testata nella finale del 2006) è un ricordo lontano e i beurs sono di nuovo la teppa nordafricana che non si integra e che rifiuta di cantare la Marsigliese.

I like a questo tweet del 2016 di Marion Le Pen (nipote di Marine) sono pochi rispetto al clima che si respira in Francia.

Il calcio esce dall’agenda politica. I partiti preferiscono tenersi alla larga dalle polemiche, lasciando alla Federazione il compito di dirimere (molto male) le beghe tra giocatori e media. Quello che accade a Knysna durante i Mondiali del 2010 è però talmente grave da costringere l’Assemblea Nazionale ad aprire una commissione d’inchiesta. La politica è di nuovo chiamata ad occuparsi di calcio.

Tra illusione e realtà

La Francia inizia il Campionato del Mondo sudafricano pareggiando 0 a 0 contro l’Uruguay e la partita successiva, contro il Messico, è già da dentro o fuori. La sconfitta per 2 a 0 contro El Tricolor è pesantissima. I Bleus, dopo un primo tempo opaco, crollano nella ripresa facendosi infilare sulla linea del fuorigioco da Hernández e regalando un rigore che Blanco non sbaglia. Il giorno dopo, L’Équipe informa i francesi del litigio tra Anelka e Domenech durante l’intervallo della partita contro il Messico.

Per un giorno l'Èquipe è sembrata un tabloid inglese.

Il giorno dopo, infuriati per la fuga di notizie (che imputano allo staff tecnico), i giocatori decidono di non allenarsi, dando vita a un clamoroso sciopero. Le tv francesi riprendono Patrice Evra mentre litiga con il preparatore atletico Robert Duverne, furioso per il comportamento dei calciatori. Domenech, che riesce a stento a trattenere il suo collaboratore, ha perso da tempo il rispetto della squadra. Il CT è addirittura costretto a leggere di fronte alle telecamere il discorso con cui Evra e compagni annunciano l’ammutinamento, sancendo di fatto il suo esautoramento. In un ambiente ormai fuori controllo, la Francia perde 2 a 1 contro il Sudafrica e viene eliminata dal Mondiale finendo ultima nel suo girone.

Il 23 giugno, di ritorno dal Sud Africa, il Ministro dello Sport Roselyne Bachelot parla di fronte al Parlamento: «Mai il Governo avrebbe pensato di doversi occupare della Coppa del Mondo. Perché la responsabilità di quanto è successo è della Federazione. Non posso fare altro che prendere atto assieme a voi del disastro di una squadra in cui dei teppistelli immaturi hanno terrorizzato dei ragazzini spaventati, di un allenatore senza autorità e di una Federazione allo sbando».

Una dichiarazione durissima, con cui il Governo di Sarkozy scarica i giocatori, accusandoli apertamente del disastro (per far capire la distinzione interna alla spogliatoio: Ribery - convertito all'Islam - fa parte dei “caïds immatures”, accusato di aver bullizzato Gourcouff, bretone puro sangue, ovviamente uno dei “gamins apeurés”, dei bambini spaventati costretti a restare sul bus).

La Segretaria di Stato con delega allo Sport, Rama Yade, intervistata da France 2, si dice «costernata per il comportamento indecente con cui i giocatori hanno violato la maglia della Nazionale». Per la Segretaria «i calciatori devono capire l’importanza del loro ruolo. Sono gli ambasciatori del paese all’estero, professionisti che guadagnano 900.000 euro a settimana. Non possono mancare di rispetto ai tifosi che, per sostenerli, hanno affrontato migliaia di kilometri». La segretaria di Stato dichiara che Knysna rappresenta «il big bang del calcio francese», il momento in cui ripensare l’intero sistema calcistico. Pochi mesi dopo, i responsabili dei centri federali ricevono un documento che chiede di ridurre al 30% del totale le selezioni dei ragazzi di origine non francese.

Dov’è finita la Francia forte e unita celebrata da Chirac? Dopo il Mondiale sudafricano ci si rende conto che, in realtà, non era mai esistita. La bugia secondo cui l’Équipe de France rispecchia l’integrazione della società francese ha finito per compromettere i risultati della squadra, i Blues sono rimasti schiacciati dalle responsabilità che un paese intero, spinto dalla sua classe politica, gli ha affidato dopo la vittoria del 1998. Da allora, per la Nazionale francese non è più sufficiente giocare e, se possibile, vincere. Deve farlo rispettando dei valori condivisi inesistenti, di una nazione plurale, multietnica, attenta all’integrazione delle minoranze.

Nel suo libro “Racaille football club”, Daniel Riolo sostiene che la nazione plurale, multietnica, attenta all’integrazione delle minoranze è un’invenzione creata ad arte dai politici e dagli intellettuali per tenere a bada le frange più povere della società .

Per Malek Bouith, deputato del Partito Socialista, ad esempio, «il principio della liberté, égalité et fraternité, la Repubblica francese e le sue istituzioni sono una finzione. È un teatrino in cui alcuni recitano ruoli da protagonisti mentre altri vengono messi ai margini. Per questo non è possibile che una parte della società rispetti i valori dell’altra».

Secondo il sociologo François Dubet «la Francia si è sempre considerata una società cristiana, bianca e culturalmente omogenea. Poi, improvvisamente, qualcuno ha deciso che la nostra dovesse diventare una società plurale».

Il clima politico è cambiato totalmente in poco più di 10 anni e la Nazionale sembra non rappresentare più la Nazione. Secondo un sondaggio commissionato nel 2013 dal quotidiano Le Parisien, l’82% degli intervistati dice di non seguire più la squadra.

Sorprendentemente, è Nicolas Sarkozy a riavvicinare i francesi alla Nazionale, dopo aver contribuito più di tutti ad allontanarli. Il 21 Maggio 2010, a Ginevra, il Presidente della Repubblica sostiene la candidatura del suo paese ad ospitare gli Europei del 2016, e lo fa con un discorso conciliante e pieno di speranza. «In Francia pensiamo che lo sport sia una risposta alla crisi» dice ai rappresentanti dell’UEFA. «Per questo l’intero paese si mobiliterà nell’organizzazione di un evento così importante. Perché non c’è strumento migliore dello sport, e in particolare del calcio, per aiutare la Francia ad affrontare e superare le difficoltà».

Ancora una volta, la politica si serve del calcio per scopi elettorali. Sarkozy è in corsa per le Presidenziali del 2012 e spera che i posti di lavoro garantititi dalla costruzione degli stadi e delle infrastrutture gli valgano un secondo mandato. I francesi infrangono le sue speranze preferendogli il candidato socialista, François Hollande, che lo sostituisce all’Eliseo. Con il suo impegno, però, Sarkozy assicura comunque al paese la competizione che può riavvicinare la Nazionale al popolo francese.

È lo stesso Hollande a riconoscerlo il giorno dell’esordio contro la Romania: «I Blues sono la squadra dei francesi. Non dobbiamo più parlare delle origini dei giocatori, del colore della loro pelle. Abbiamo fatto un passo avanti, non abbiamo più bisogno di parlare di “Black, Blanc, Beur” come nel ’98. La Francia è un mix di etnie, è un dato di fatto. Non c’è più bisogno di impartire lezioni [alla squadra, n.d.r.], il Paese la sostiene».

Il cambiamento della percezione politica - con uno slittamento che trasforma i Bleus da cura per la mancata integrazione ad antidoto contro la depressione economica - aiuta la squadra di Deschamps che, sostenuta dal rinnovato amore della gente, supera brillantemente il girone e dopo aver rifilato cinque gol all’Islanda nei quarti, elimina la Germania in semifinale, battendola 2 a 0 grazie alla doppietta di Griezmann.

L’attaccante dell’Atletico Madrid è, assieme a Pogba, uno dei simboli di questa nuova Nazionale, più allegra e meno problematica rispetto alle precedenti. Le petit diable e il centrocampista del Manchester United sono personaggi positivi, i cui atteggiamenti (in campo e fuori) piacciono alla gente, stanca dei gesti polemici verso le tribune o delle magliette con messaggi religiosi inopportuni.

La Francia che arriva in finale a Saint Denis diciotto anni dopo il trionfo del ’98 è una squadra serena, quasi spensierata, non più appesantita dalle strumentalizzazioni. La sconfitta contro il Portogallo è dolorosa ma non incrina un rapporto che si è saldato la sera del 13 Novembre 2015, quando tre terroristi si fanno saltare in aria mentre è in corso l’amichevole tra Francia e Germania. Pochi minuti più tardi seguirono le stragi lungo le vie di Parigi e all’interno del Bataclan e Blaise Matuidi, in un’intervista di qualche mese dopo, disse che «giocare la partita successiva contro l’Inghilterra era l’unico modo per ridare coraggio» ad un paese sotto shock, alla disperata ricerca di qualcosa che lo tenesse unito.

La politica, attraverso le parole del ministro dello Sport Patrick Kanner, ha approvato: «Giocando qui a Wembley la Nazionale dimostra che il paese si è rimesso in piedi, vuole andare avanti senza cedere al ricatto del terrorismo»

Nonostante ciò la paura e l’insicurezza contribuiscono a riportare il Front National, guidato da Marine Le Pen, al ballottaggio per le Presidenziali del 2017. Di nuovo Zidane, come aveva fatto nel 2002 si schiera contro il FN, ma è significativo che Marine Le Pen per screditarlo dica che «con tutti i soldi che guadagna è normale che sostenga Macron», eludendo la questione centrale di fondo, quella che lega la paura del terrorismo al tema dell'immigrazione.

Le Pen viene sconfitta dall’enfant prodige della politica francese, Emmanuel Macron, il cui trionfo rappresenta, almeno apparentemente, una rottura con il passato. Lontano dai vecchi partiti, il nuovo Presidente ha anche il compito di alleviare le paure che i francesi provano per la comunità musulmana. Una sfida difficilissima, che però può essere vinta, e ancora una volta, con l’aiuto del calcio. Non attraverso gli investimenti proposti da Marine Le Pen, secondo cui «è necessario sostenere le società più piccole per permettere ai giocatori francesi di militare nei club professionistici», ma grazie ai centri di pre-formation sparsi sul territorio.

I pôles espoirs sono fondamentali non solo per allevare i talenti del futuro ma anche e soprattutto per insegnare regole e valori condivisi ai ragazzi provenienti dalle banlieues. Macron, che a differenza di Le Pen è un grande tifoso e si arrabbia se l’OM perde, sostiene che «attraverso i centri federali, i club investono sui giovani senza chiedersi quali sono le loro origini. Quello che conta è la loro determinazione». Macron sa che il suo successo politico dipende anche dai ragazzi che usciranno da questi centri per entrare a far parte della Nazionale.

Kyliann Mbappé è uno di loro. È nato a Bondy, periferia est di Parigi ed è cresciuto all’INF di Clairefontaine. Per lui, che nel ’98 non c’era ancora, il sogno è vincere la Coppa del Mondo tra pochi mesi, in Russia. Per i politici la speranza è che, anche grazie ai suoi gol, la Francia possa finalmente fare pace con il suo passato.

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