Spesso nel calcio le nostre convinzioni vengono stravolte nell'arco di pochi secondi. Una difesa arroccata che sembrava impenetrabile viene perforata facilmente con una singola azione. Un calciatore che aveva perso tutti i duelli fino a quel momento, fa la giocata decisiva per la vittoria della sua squadra. Un portiere che ci era sembrato insicuro per tutta la partita fa un miracolo che non ci saremmo aspettati nemmeno dai migliori del mondo. E quando succedono questo tipo di cose sentiamo l’esigenza di riavvolgere il nastro, di osservare un’azione più volte con calma. Il problema è che il più delle volte non riusciamo davvero a farlo: veniamo trascinati dalla continuità del gioco, da quello che accade dopo, e l’unico modo per provare a ricondurre questi avvenimenti a un briciolo di ragionevolezza è affidarci al cosiddetto senso comune, cioè all'esperienza condivisa da generazioni e generazioni di tifosi.
Il serbatoio delle esperienze è fatto di tutte le partite che abbiamo visto, di come le abbiamo vissute, della consapevolezza che ciò che è successo in campo nel passato può ancora ripetersi nel futuro. Una parte del serbatoio è fatta di esperienze di seconda mano, dentro ci sono le cose che ci hanno detto quando eravamo bambini i nostri padri dal divano davanti alla TV; o i nostri amici del bar, quelli bravi che hanno anche giocato a un certo livello, senza mai specificare quale fosse questo livello. Quando poi sono i telecronisti a confermare quelle credenze ecco che viviamo un’epifania. Questo è quello che è successo, deve essere così.
Ci sono fatti che, a forza di ripeterli noi stessi o di sentirli dire, sono diventati quasi inconfutabili. Ma ora che abbiamo una conoscenza numerica più precisa del calcio di quanto se ne potesse avere in passato possiamo finalmente misurare la loro solidità: quanto c’è di vero nei luoghi comuni che sono nati intorno al calcio? Ne ho presi cinque che mi sembrano i più rappresentativi e li ho passati al vaglio delle statistiche disponibili, cioè nel mio caso dalla stagione 2015/16 ad oggi, per vedere quali di questi regge davvero.
Il possesso palla non serve a niente
La percentuale del possesso palla è la statistica più bistrattata tra tutte. All’epoca del Barcellona di Pep Guardiola era praticamente l’unico numero che contava guardare, per capire se una squadra aveva o no meritato di vincere una partita (purtroppo o per fortuna non esiste alcun numero in grado di fare ciò, neanche gli Expected Goals). Oggi, invece, sentiamo dire - da telecronisti, commentatori, ma anche da alcuni allenatori - che l’indicazione sulla percentuale di possesso palla in una partita non serve a niente, anzi, che è addirittura fuorviante.
In realtà avere il pallone a disposizione per più tempo possibile è ancora il primo passo per vincere le partite. Non è l’unico per vincere una partita, certo, ma è quello che permette di vincere più partite degli altri nell'arco di un campionato.
Negli ultimi quattro anni, nei maggiori campionati europei, chi ha avuto il maggior possesso palla nell’arco di una stagione ha anche segnato più gol. C’è quindi una correlazione diretta tra la produzione offensiva e la percentuale di possesso. La relazione resta in piedi anche se consideriamo altri derivati meno pregiati dell’attacco che non siano i gol: chi ha la palla tira di più, guadagna più corner, si vede assegnati più calci di rigori.
Nonostante esista un effetto virtuoso nell’avere il pallone, è vero che oggi gli allenatori, più che al possesso palla, sono interessati al dominio territoriale, cioè alle zone di campo in cui viene speso il tempo con il pallone a disposizione. Sono interessati, cioè, più al dove che al quanto.
Le squadre che nel grafico sono posizionate nel quadrante in alto a sinistra sono quelle che hanno avuto la palla tra i piedi per la maggior parte del tempo e che per lo più lo hanno passato chiudendo gli avversari nella loro metà campo. Sono squadre dominanti in senso assoluto, che cercano di avere il controllo della partita non solo attraverso il controllo della palla, ma anche con la compressione della porzione di campo che attaccano. Il che non significa che siano invincibili - non lo era nemmeno il Barcellona, forse la squadra più dominante in assoluto nel calcio contemporaneo - ma la probabilità che vincano la partita è per loro molto più alta.
Chi vince i duelli, vince le partite
Dalla fine degli anni Ottanta in poi, l’aspetto organizzativo di una squadra ha preso il sopravvento sugli altri. Eppure ogni collettivo è fatto di individui, che possono cambiare la partita in ogni momento grazie al loro talento. Anzi, nelle partite tatticamente più chiuse, solo l’azione di singolo può spezzare l’equilibrio tra le squadre. Vincere tanti duelli in giro per il campo è il mantra di tanti allenatori.
In realtà non c’è una relazione diretta tra il numero di duelli vinti (qui intendo tutti i duelli, sia quelli offensivi, come i dribbling, sia quelli difensivi, come i contrasti vinti) e le vittorie conseguite. Come si vede dal grafico, le squadre si sparpagliano senza delineare alcuna tendenza. Il City di Guardiola e il Liverpool di Klopp, due squadre fenomenali sotto tanti aspetti, hanno vinto meno duelli del Werder Brema, che nella stagione 2015/16 ha evitato la retrocessione per due soli punti. Insomma, ci sono tanti modi di vincere una partita di calcio, vincere più duelli è solo uno di questi.
Le difese vincono i campionati
A volte le specificità dei singoli campionati sono tali da rendere impossibile una sintesi generale, ed è meglio fare un ragionamento per ciascuna competizione. Negli ultimi dieci anni, per nove volte la squadra che ha subito meno gol ha poi vinto la Serie A (l’unica eccezione è stata la Juventus di Maurizio Sarri). Nello stesso periodo, soltanto due volte la squadra vincitrice ha avuto il miglior attacco del campionato. Quindi sì, almeno in Italia è vero che le difese vincono i campionati.
All’estero invece la situazione è meno chiara. In Inghilterra cinque volte su dieci la squadra campione della Premier League ha avuto la miglior difesa; mentre sei volte ha avuto il miglior attacco. La Bundesliga e La Liga sono campionati polarizzati a estremi opposti. Nove volte su dieci, in Germania, la squadra con il miglior attacco ha poi vinto il campionato. In questo caso la statistica è dettata soprattutto dal dominio del Bayern Monaco sulla Bundesliga degli ultimi anni. In Spagna, infine, sei volte su dieci la squadra con la miglior difesa non ha poi vinto il campionato. In questo caso, invece, l'influenza è soprattutto quella dell’Atletico Madrid, che negli ultimi dieci anni ha avuto la miglior difesa otto volte, ma è riuscito a vincere La Liga solo, si fa per dire, due volte.
Quando conta davvero, le squadre si chiudono all’indietro
C’è una teoria secondo la quale quando il risultato conta davvero, nel periodo della stagione in cui si stabiliscono i verdetti nelle varie zone della classifica, le squadre badano più a difendersi che a segnare un gol. Per quanto riguarda la Serie A, studiando l’andamento di varie statistiche nel corso dei mesi, tra le quali i gol segnati, il baricentro medio tenuto dalle squadre in campo, il numero di tiri bloccati, non si nota alcuna variazione di sostanza. A grandi linee, le squadre giocano per la vittoria o per la sconfitta esattamente allo stesso modo.
Ci sono alcune ricorrenze che si verificano anno dopo anno. Ad esempio in Serie A si segna di più tra agosto e settembre e tra maggio e giugno. Il motivo potrebbe riguardare i livelli di forma disomogenei delle squadre; oppure una certa rilassatezza da parte di chi ha già raggiunto il proprio obiettivo di classifica.
Le differenze che si notano in Champions League, dove tra fase a gironi e fase a eliminazione diretta si giocano due sport differenti, sono anch’esse marginali. Il baricentro degli interventi difensivi si abbassa solo del 4%; mentre il numero di tiri bloccati dalla difesa, un sintomo della congestione degli spazi davanti alla porta, si alza appena del 6%. Variazioni troppo leggere per essere davvero significative.
Gol sbagliato, gol subito
Questo è il mio luogo comune preferito. La generazione dei nostri padri (per chi ha tra i trenta e i quarant'anni), soprattutto, ne è ossessionata, forse dev’esserci stato davvero un numero di occorrenze pazzesco nel calcio intorno agli anni Settanta e Ottanta (purtroppo non possiamo andare così indietro con le statistiche invece). O forse è stato un singolo momento, magari in una finale, che ha convinto tutti quelli che l'hanno vissuto a convincerci della veridicità del detto: se sbagli un gol facile, stai pur certo che all’azione successiva subirai una rete.
I numeri, purtroppo, non sembrano però dar credito a questa credenza. Secondo le medie realizzative degli ultimi anni, la probabilità che una squadra segni un gol nel corso di cinque minuti qualsiasi di una partita di Serie A è dell’8% circa. Invece la probabilità che ci sia un gol di un avversario nei cinque minuti successivi a una grossa occasione sprecata da una squadra è più bassa, è solo del 5% - addirittura più bassa quindi. Ovviamente le conclusioni a cui arrivo non devono essere prese per oro colato ed è importante sottolineare che si riferiscono unicamente al calcio contemporaneo, che come sappiamo è molto diverso anche solo al calcio di inizio anni 2000. Il calcio è in continua evoluzione e magari alcuni di questi luoghi comuni torneranno d'attualità tra qualche anno. E anche se non lo facessero non riuscirete mai a convincere i vostri amici al bar o i vostri padri che bofonchiano sul divano. Alla fine, è anche questa nube di luoghi comuni, credenze e conoscenze magiche che ci ha spinto in maniera così appassionata questo sport e anche solo per questo non possiamo far altro che rispettarla.