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Gli streamer stanno diventando importanti
08 giu 2020
Intervista a Pow3r, uno degli streamer più importanti in Italia.
(articolo)
7 min
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Ogni sera Pow3r, cioè Giorgio Calandrelli, va nella sua camera a Ostia costantemente illuminata da una forte luce al neon rosa fluo per giocare a Fortnite, o a Call of Duty: Warzone, o a Valorant. La differenza tra lui e un qualsiasi altro videogiocatore italiano, però, è che lo fa ogni giorno in diretta sul suo canale Twitch, davanti a un pubblico in media di più di quattromila persone. Il suo canale è il più seguito in Italia, con oltre 960mila follower, a cui si aggiunge il milione abbondante che lo segue su YouTube, dove i suoi video di highlights dei suoi streaming hanno un numero di visite che si aggira tra le 30mila e le 750mila.

Anche se nella forma non è praticamente mai cambiato, lo streaming, e in particolare lo streaming sui videogiochi, negli ultimi mesi ha assunto un’influenza inimmaginabile rispetto agli inizi, complice anche la pandemia di Covid-19 che ha dato una spinta forse decisiva all’intero movimento. Durante il lockdown non solo abbiamo visto programmi televisivi avvicinarsi esteticamente al mondo dello streaming, con ospiti collegati da casa attraverso le webcam dei propri cellulari, ma soprattutto una parte del mondo della televisione approdare su internet. Rovazzi, ad esempio, ha recentemente aperto un proprio canale Twitch, in cui invita a parlare ospiti e a volte gioca a Fortnite (anche con lo stesso Pow3r), mentre per altri personaggi televisivi il rapporto si è addirittura invertito e sono stati loro ad essere andati ospiti da alcuni degli streamer più importanti. Fabio Caressa pochi giorni fa ha fatto uno streaming con Homyatol, uno degli streamer italiani più seguiti al momento, mentre il talk show Twitch Il Cerbero, che a volte fa anche streaming di Grand Theft Auto V, ha visto recentemente tra i suoi ospiti Fedez. Pow3r, dal canto suo, nei suoi streaming ha giocato a Fortnite con Paolo Condò e a Warzone con Charles Leclerc (che ha a sua volta un suo profilo Twitch), oltre che con diversi calciatori, tra cui Alex Sandro, Douglas Costa e Paquetà, tutti atleti Adidas come lui.

C’è una ragione semplice sotto questa tettonica a placche del mondo dell’intrattenimento. E cioè che sempre più persone, e in particolare sempre più persone giovani, guardano Twitch o YouTube invece della televisione. Secondo il report Digital 2020, elaborato da We are social in collaborazione con Hootsuite, gli utenti di internet in Italia sono ormai quasi 50 milioni (cioè l’82% della popolazione totale), 1,2 milioni in più rispetto allo scorso anno, e passano quasi il doppio del tempo su internet rispetto a quanto ne passano a guardare la televisione (in media 6 ore al giorno contro poco più di 3). Di questi, il 12% ha guardato almeno uno streaming di qualcuno che giocava a un videogioco e il 5,1% ha addirittura visto un torneo di esports. E se YouTube la fa ancora assolutamente da padrone (con ben l’88% degli utenti che dichiara di averlo utilizzato almeno una volta nel mese precedente all’elaborazione del report, più di qualunque altro social network), Twitch è ancora in fase di crescita (14%).

In questo panorama Pow3r si è ritagliato uno spazio per certi versi unico. In un paese in cui la cultura degli esports fa ancora fatica a penetrare, anche rispetto alla Germania e la Francia, Pow3r incarna in Italia quella figura, centrale nel mondo dei videogiochi, perfettamente a metà tra l’intrattenimento e la competizione, che a livello globale è stata resa famosa da Ninja. Pow3r non partecipa attualmente a nessuna competizione, quindi è al momento un ex pro-player competitivo di Overwatch e Call of Duty, ma fa ancora oggi parte dei Fnatic uno dei team esportivi più importanti d’Europa. Qualcosa che negli sport tradizionali sarebbe inaudito e che invece negli esports ha perfettamente senso. Oltre che per gli ospiti e per le collaborazioni con i brand, quindi, i suoi streaming vengono visti in primo luogo per il gameplay d’alto livello - imparagonabile a quello del videogiocatore medio.

Insomma, in Italia non esiste una persona più adatta di lui a parlare di come lo streaming e i videogiochi stiano cambiando il modo di fare intrattenimento e di raccontare lo sport. Argomenti di cui parliamo in una lunga intervista su Zoom, di cui di seguito trovate una parte editata per migliorarne la scorrevolezza di lettura.

Com’è iniziata la tua carriera nello streaming?

Ho sempre avuto la passione di streammare e fare le dirette. All’inizio era diverso. Quando avevo aperto il mio canale su YouTube non avevo una connessione sufficientemente performante [per fare streaming, nda] e tra registrare un video su YouTube, montarlo, editarlo, fare il voice-over, caricarlo e tutto il resto si perdeva davvero tanto tempo. Io sono una persona a cui piace giocare ai videogiochi. YouTube mi frenava in questo, non mi faceva essere chi sono veramente. Le dirette sono state la mia salvezza perché mi hanno aiutato a creare dei contenuti ma allo stesso tempo giocare ai videogiochi. Io streammo di media 240 ore al mese, senza pause, senza giorni di vacanza. Quindi vuol dire 8 ore al giorno, ogni giorno, per 30 giorni. E questa è una media, quindi vuol dire che a volte faccio anche di più. Ho iniziato a provare a streammare su JustinTV, che era il primo nome di Twitch, prima quindi che venisse acquisita da Amazon.

Ho streammato anche sul sito di MLG [Major League Gaming, un’importante organizzazione di esports statunitense recentemente acquisita da Activision Blizzard, nda] per un periodo, ché avevo un contratto con loro. Però non avevo mai trovato quella costanza e dedizione che serviva per lo streaming, anche perché ero concentrato su altre cose e non credevo di potermi creare una carriera in questo mondo. Lo vedevo un pochino come un hobby, uno sfogo. Ho ricominciato a streammare praticamente quattro anni fa. Dopo circa un annetto che ero andato su Overwatch, e streammavo su Overwatch, facendo dei numeri discreti, sono stato invitato a un evento internazionale per l’anniversario del videogioco. Erano stati invitati streamer da tutta Europa, in Germania, per partecipare a queste 48 ore di streaming. Tipo staffetta tra le varie nazioni dove ci si scambiava il testimone in streaming. E lì ho fatto una scelta. Mi sono detto: voglio streammare con più professionalità, costanza e dedizione perché me ne sono innamorato, lavorando e collaborando con queste persone, e vedendo l’ambiente.

Qual è il tuo primo video che hai fatto su YouTube?

L’ho rivisto recentemente per lo speciale del milione [di iscritti al suo canale YouTube, nda], credo sia uscito sette o otto anni fa. Ho provato ad essere costante su YouTube, a fare determinate cose, ma se ti devo dire la verità non credo che con YouTube tu possa creare un legame con le persone come tu lo puoi creare con Twitch, essendo in diretta e potendo rispondere alle persone.

Per la chat con le persone che ti inviano i messaggi in diretta?

Sì, è molto meglio: tu puoi proprio intavolare dei discorsi. Quelli più attivi diventano poi delle persone con cui tu parli in chat di varie cose. Si creano delle relazioni all’interno della chat.

Quando tu hai iniziato a fare video su YouTube avevi un modello?

Sinceramente no. Anche oggi non ho un modello o un’ispirazione da seguire. Ho un metodo tutto mio che magari in alcuni casi è anche sbagliato.

Perché sbagliato?

Perché magari ci sono dei format, degli aspetti della comunicazione che possono dare un boost. Ma per come sono fatto io e per come voglio fare le cose io, non ne faccio uso. Molte volte magari faccio dei contenuti che teoricamente non vanno bene per la community italiana, che non è abituata al gaming di alto livello. Però francamente me ne sbatto.

Ti consigliano di fare contenuti diversi?

No, ma ci sono delle cose che vanno tanto in Italia: il flame, il dissing, contenuti di medio livello, o addirittura a un livello più basso del player medio. Non c’è la cultura del pro-gaming, dell’hardcore gaming, dell’esport in Italia. E per farla conoscere cerco di non spostarmi su quei contenuti se no finirei per non ispirare le persone a fare qualcosa di più di guardare gli altri raggiungere grandi risultati mentre loro stanno nella loro cameretta.

Però tu hai tanto successo.

Ma potrei fare molto di più. Ne sono cosciente ma è una scelta che non deriva da un fattore monetario. È più che altro un ideale, una morale che mi sono posto da quando ho iniziato a fare il professionista. Ho fatto il professionista per tanti anni, ci ho provato, ho giocato ad alti livelli, in vari circuiti o tornei, e tutto questo mi ha dato un’impostazione molto più professionale rispetto a tante altre persone.

Quindi la tua “mission”, come si dice in ambito aziendale, è quella di spingere le persone a provare una carriera nel mondo degli esports o del gaming?

Se parliamo di una visione macro, bisognerebbe dire che in verità è cercare di sdoganare i videogiochi qui in Italia, come intrattenimento e come competizione. Entrambe le cose. Quando le persone mi vedono giocare, e mi vedono fare kill incredibili, o numeri di kill altissimi, o giocate spettacolari, quello è intrattenimento anche se è un gameplay di alto livello. È la stessa differenza che c’è tra vedere il cinepanettone e farti una risata e vedere qualcosa di un pochino più impegnativo, magari più serio. Per esempio, Jeeg Robot, che magari fa ridere ma ha anche un qualcosa di serio sotto e una regia incredibile. È il motivo per cui investo tanto anche nella mia attrezzatura.

Quindi tu cerchi un compromesso tra l’intrattenimento e il gameplay di alto livello?

Sì, perché io di persona sono così. Sono molto spigliato e per esempio non sono family-friendly. È una cosa che non voglio essere, se no perderei me stesso. Però sono anche politically correct perché chi fa il professionista in questo ambiente deve seguire delle regole. Se dico per esempio “questo tizio è un cancro” e la mia squadra lo sa io vengo cacciato. Ed è difficile che io rientri in un’altra squadra di un livello del genere. Anche perché stiamo parlando di una delle migliore dieci squadre al mondo, i Fnatic. È un’onta sul curriculum. Però ci sono persone che fanno e dicono queste cose senza nessun problema.

Tu ti consideri ancora un gamer competitivo? O ormai sei uno streamer?

Sono due cose diverse. Perché non tutti gli streamer sono gamer competitivi. Ma tutti i gamer competitivi possono essere streamer.

Ma tu cosa ti consideri oggi?

Non saprei dirlo. Attualmente sono in una situazione di standby: non sto partecipando a tornei. Anche perché Fortnite è nel suo stato più brutto e anche i Fnatic si sono ritirati dall’investire all’interno del gioco. Probabilmente quindi al momento mi riterrei più streamer. Il problema è che io sono molto competitivo: in ogni gioco mi piace vincere. Perché se l’obiettivo di ogni partita è vincere perché io non devo vincere? Perché non devo fare di più? Questa dualità esiste, quindi. Sicuramente produco anche contenuti di puro divertimento, for fun:per esempio ieri abbiamo visto l’evento di NASA e SpaceX, oppure abbiamo giocato con Douglas Costa e Alex Sandro [a Call of Duty, nda].

E nel tuo futuro ti vedi a tornare ad essere un giocatore competitivo al 100%?

Lo spero, sinceramente. Spero che ci sia un gioco che mi faccia innamorare. Perché tutte le competizioni che ho fatto sono nate puramente per il divertimento che provavo in quel gioco. Il problema è che attualmente non c’è niente che mi piaccia. L’unico gioco che mi sarebbe piaciuto giocare a livello competitivo mi toglierebbe dallo streammare. Mi farebbe chiudere la mia carriera da streamer per un periodo. E sto parlando di Valorant, l’ultimo FPS di Riot Games.

Quindi su Valorant tu vorresti farlo.

Ma non posso. Dovrei abbandonare tutte quelle persone che mi supportano e mi tifano come dei matti incredibili. E non so se sono pronto a fare una scelta del genere, egoistica se posso dire. I giochi estremamente competitivi, e con questo intendo Counter-Strike, League of Legends, Dota 2, ma anche Rainbow Six, non permettono ai giocatori professionisti di alto livello di giocare e streammare i tornei, o persino l’allenamento. Questo perché i team avversari con cui poi si andranno a giocare i futuri tornei potrebbero scoprire determinate tattiche. E fare delle strategie per controbattere a queste tattiche.

Come ti sei professionalizzato nel tempo? A parte l’acquisto dell’attrezzatura che immagino sia molto importante, volevo sapere se magari avevi fatto qualcosa nello specifico. Che ne so, un corso di dizione.

No, niente di tutto questo. Principalmente è stata una trasformazione che ho avuto nel tempo. Grazie allo streaming sono passato da essere un ragazzo introverso a uno estroverso, che non si fa problemi a parlare, a dire cose davanti una telecamera, davanti a migliaia di persone, che può essere su un palco, come può essere da casa. Lo streaming è una cosa che mi ha cambiato, cioè ha scoperto un lato di me che non conoscevo. È stata la compagnia delle persone, il fatto di essere in diretta tante ore al giorno.

Però tu hai un team che lavora con te, giusto?

Sì. Quella è sicuramente una cosa che ha migliorato la mia professionalità. Penso di essere uno dei pochi, se non l’unico, ad avere un vero e proprio team di persone che lavorano per me, che vanno da un direttore creativo, a un informatico a un editor, ai vari moderatori.

Come lavora il tuo team?

Queste persone che lavorano per me erano all’inizio dei miei fan, delle persone che mi seguivano da anni, chi su YouTube, chi su Twitch. Tra una cosa e l’altra sono finiti per essere i moderatori della chat. E parlando abbiamo legato sempre di più, fino a diventare praticamente degli amici. Da cosa nasce cosa: ognuna di queste persone aveva delle abilità, delle skill che potevano aiutare me e dare a loro un’opportunità di lavoro. E adesso hanno anche una loro società che aiuta e gestisce altri canali di streamer o youtuber. Si occupano di grafica, consulenza, e così via.

Quindi fate delle specie di riunioni di redazione? Che ne so: programmate i video della settimana?

No, i video non li programmiamo perché i video vengono dallo streaming. Al massimo decidiamo la programmazione dei futuri giorni ma in maniera molto blanda. Non stiamo lì a pensarci troppo. Straemmare come straemmo io, cioè veramente tanto, significa anche sapere improvvisare, che è la cosa più difficile. Una cosa è essere un content creator che magari fa tante attività ogni giorno o diluite nel tempo, una cosa è streammare otto ore al giorno, ogni giorno, e sapere tenere incollate allo schermo migliaia di persone. Ovviamente ci sono delle pianificazioni. Per esempio quando lavoriamo con i brand, quando lavoriamo per creare eventi. Io ci metto la faccia ma poi ho bisogno di Web Stars Channel [la digital company che cura il suo management, nda], con i suoi consigli, con la loro agenzia, con i loro contatti, con i loro legali. Poi ci vuole anche la direzione creativa perché ovviamente ci sono cose che si possono e non si possono fare. Ci sono richieste che vengono date dal brand che magari possono essere sbagliate e noi, che viviamo questo mondo ogni giorno, possiamo indirizzarlo verso scelte più giuste.

Ti è successo qualcosa in particolare con qualche brand?

Ci sono capitati in passato dei brand che hanno puntato i piedi e abbiamo dovuto seguire per filo e per segno quello che volevano fare loro, e alla fine il risultato è stato mediocre. Quando arrivano brand che non sono endemici al settore è normale. Più sono grandi più vogliono fare le cose a modo loro. Però a volte hanno delle compagnie di PR o chi crea i loro business plan che non sanno lavorare in questo mondo perché vengono magari dal mondo televisivo o pubblicitario. Non sanno interfacciarsi con la community di internet. Il mondo del gaming è totalmente diverso da quello della televisione. È una community molto più libera da tutti i dogmi dell’italiano medio.

Cioè?

Per esempio, il fatto che l’italiano medio è mono-calcio. O che abbia un umorismo alla cinepanettone. Cose del genere. Su internet ci sono altre regole - della libertà, dei meme - c’è un linguaggio diverso. Attualmente chi vive internet sa benissimo quanto è diventato forte. E un brand che si vuole imporre non sempre ha un riscontro positivo.

Pensi che il tuo modo di fare streaming sia cambiato in questi anni? Io per esempio quando rileggo i miei vecchi pezzi a volte dico: oddio come l’ho scritto male. E mi rendo conto che il mio modo di scrivere è molto cambiato. Quindi ti chiedo se per te è lo stesso.

Sicuramente. Ma dipende anche dal fatto che prima Twitch aveva delle regole meno ferree. Specialmente adesso perché sta diventando un social network molto potente. Non si possono fare determinate cose, non si possono dire determinate cose attualmente.

Argomenti sensibili, diciamo.

Sì, oppure la n-word ad esempio. Che poi sinceramente io non ci vedo niente di male se è in un contesto di una canzone che non ha nessuno sfondo razzista, razziale o di incitamento all’odio. Però capisco benissimo che un brand come Amazon voglia avere delle regole più ferree perché lo sappiamo benissimo che su internet basta dire una cavolata che vieni preso di mira. E poi mi sono reso conto che c’erano veramente tante persone che mi seguivano o volevano emularmi e quindi dovevo dare il buon esempio. Quindi è cambiato il mio modo di fare, secondo me in meglio. Sono diventato più professionale, più cosciente di quello che sto facendo. Perché se prima era una cazzata che facevo per hobby, tre anni fa ho preso la decisione di farla diventare una cosa seria. La rivelazione per me è stato il Games Week del 2018. Lì ho capito: guarda Giorgio quante persone ci sono qui per te: ora tu vai lì e ti ammazzi per loro, dando il massimo per ognuno di loro. Indipendentemente se starai male, non mangerai, non andrai al bagno. Perché tutti quelle persone sono venute lì per te e non si sa quando le potrai rivedere.

Volevo proprio chiederti se ti eri mai dato una ragione del tuo successo. Perché pensi che tanta gente ti guardi?

Ho avuto culo [ride, nda]. Sono stata la persona giusta al momento giusto. Molte persone dicono: il tuo successo è dato da Fortnite. La mia domanda è: allora perché c’è un Pow3r solo?

E infatti è anche la mia domanda: qual è la spiegazione secondo te?

Io vado a colmare una richiesta del mercato italiano, dove non esisteva una persona che gioca ad alti livelli, che ha comunque carisma ed è simpatico e si comporta in maniera professionale. La maggior parte dei miei colleghi che giocano ad alto livello o non hanno avuto la visibilità perché non erano lì al momento giusto o magari mancano di carisma. O magari hanno avuto solamente sfortuna. E non hanno avuto la dedizione e la costanza.

Come pensi possa cambiare lo streaming nei prossimi anni? Anche riguardo ai tuoi contenuti in particolare. Se ti pensi tra due anni, ti pensi ancora a fare i video con tu che giochi?

Lo spero. Io spero vivamente nei prossimi 10 anni di poter continuare a streammare. Però in futuro vorrei rallentare lo streaming per portare contenuti di alto livello in streaming… cioè solamente contenuti di alto livello, non ciò che sto facendo oggi nella mia quotidianità. Portare ogni volta qualcosa di incredibile.

A livello di giocate?

Non solo questo, anche di eventi, di attività che potrei fare. Un pochino com’è il Dr DisRespect ma ovviamente non esattamente come lui perché ha un modo tutto suo e non voglio essere una copia. Mi piacerebbe molto curare di più il mio lato Instagram e YouTube nel futuro. Quindi questo rallentamento da Twitch potrebbe essere dovuto al fatto che rincarerei la dose di contenuti incredibili ed esclusivi su YouTube e Instagram per poi farli riversare su Twitch. Come un imbuto, no?

Parli di crearti un’immagine? È a quello che ti riferisci?

Già ho un’immagine abbastanza sviluppata. Perché le persone già mi conoscono per altri miei lati come per esempio quello di amante della moda, di blogger di viaggi molto particolari. Quindi la cosa sarebbe non soffermarsi più al Pow3r come quel giocatore incredibile, simpatico che trovi su Twitch ma essere… non mi piace chiamarmi personaggio perché non c’è differenza tra Pow3r e Giorgio in streaming. Però vorrei alzare l’asticella ancora di più di quello che sto facendo oggi in un futuro, tra qualche anno.

Ma pensi che questo sia possibile per esempio entrando nel mondo anche del mainstream italiano? Penso alla televisione.

Sicuramente. Il problema è che persone come me, che hanno capacità comunicative ed esperienza, non vengono chiamati dalla televisione italiana. Perché spesso noi siamo un pericolo per la televisione italiana. Credo che in pochi si prenderebbero il rischio di chiamare persone come me o simili per parlare del mondo dei videogiochi. Noi siamo attualmente la concorrenza alla televisione: ora qualsiasi ragazzo sotto i 18 anni guarderà forse 2-3 ore di televisione a settimana, mentre invece ne guarda 50-60 sul cellulare, sul tablet, sul PC, su internet.

Quindi tu ti pensi in opposizione a quel mondo?

Non mi vedo in opposizione, non ci vedo nulla di male. Prima o poi la televisione dovrà sbarcare sul mondo di internet perché per certi versi siamo molto più potenti di loro, se posso permettermi. Allo stesso tempo, però, sono loro che detengono le mode, i trend. Se i videogiochi non vengono accettati e non vengono visti di buon occhio è anche perché non se n’è parlato bene in televisione. E se il genitore ne sente parlare male in televisione, lo vieta al figlio. E questo crea due cose: o crea l’odio nel figlio perché gli piacciono i videogiochi o crea un figlio che andrà a prendere in giro chi gioca ai videogiochi.

Pensi che in Italia questo discorso passerà mai nel mainstream? Cioè che i videogiochi vengano accettati a livello culturale.

Di questo non ne ho la più pallida idea. Di sicuro non sono io che vado a bussare alle porte della televisione italiana o del mainstream per parlare di questo. Perché sinceramente ho visto le peggio cose. Come Fabio Fazio che parla di esports e videogiochi senza una minima preparazione. Dire frasi del tipo: “Ah quindi si prendono delle droghe per giocare a SuperMario?”, parlando di Adderall [farmaco utilizzato per il trattamento del deficit dell’attenzione, nda] e altre sostanze. Quindi non sono io che devo andare da loro per provare a fare questo.

Pensi che la pandemia di coronavirus possa dare una svolta definitiva in questo senso?

L’ha già fatto. Si è visto con Rovazzi e il suo approdo su Twitch, con tutti i grandi ospiti che ha portato. Sono arrivati a parlarne SkyTG24 e tantissime altre testate giornalistiche. È stato uno shock vedere un influencer/cantante come Rovazzi andare su Twitch, giocare ai videogiochi con altri videogiocatori; portare ospiti che non fanno parte del mondo dei videogiochi, addirittura giocare con alcuni di loro; e creare contenuti su Twitch. Quello è stato un grandissimo passo. E per quanto molti miei colleghi magari critichino Rovazzi per questa cosa, secondo me è solamente da elogiare perché è uno dei pochi che ha fatto qualcosa per il nostro mondo. Aiutando un pochino a sdoganarlo.

A proposito di videogiochi, ho visto tanti tuoi video critici sul secondo capitolo di Fortnite.

Non solo sul secondo capitolo. È qualcosa che viene dalla stagione 9 di Fortnite. Ho provato a parlare con Epic Games, a comunicare con loro, a cercare di spiegargli determinate cose. Non sono stato mai ascoltato. Oltre a questo Epic Games, almeno in Italia, non ha mai considerato i grandi content creator che hanno finito a un certo punto per perdere la pazienza. Dicevamo: questo gioco è in hype, ci fa fare tanti numeri, noi facciamo tante belle cose: perché non collaborare insieme ad Epic Games per fare cose ancora più grandi? Non ricevere nessuna risposta, non avere una comunicazione con loro ha portato i content creator a dire: lo sai cosa? Ma che mi frega di dover fare delle cose per loro quando alla fine loro nemmeno mi considerano. Fortnite era amato dalla propria community, dalle persone che lo giocavano. E ora invece non è più così: tutti quelli che ci giocano da anni odiano Epic Games per come ha rovinato un gioiello che avevano tra le mani. Le persone sono frustrate non perché non gli piace il gioco, ma perché sanno qual è il potenziale del gioco e dove potrebbe arrivare. E il fatto che non vogliano ascoltare la community crea ancora più nervosismo.

E invece con gli altri videogiochi tu hai più comunicazione?

Un gioco con cui ho avuto una comunicazione è stato sicuramente Valorant. È stato allucinante: è iniziato tutto dal weekend di prova del gioco. Parlare con gli sviluppatori, con chi crea il gioco, sentire le loro idee, provare il gioco insieme a loro… per noi che l’abbiamo provato e abbiamo esperienza nel mondo dei videogiochi è stata un’opportunità incredibile che secondo me ogni azienda dovrebbe ripetere. Valorant è un videogioco curato nei minimi dettagli. Ed era una beta, cioè una versione di prova che viene cambiata durante il suo percorso, anche radicalmente, secondo i feedback dell’utenza. Ora capisco perché Riot Games è una delle case più elogiate di tutto il mondo a livello competitivo, di intrattenimento, aziendale, business e marketing. Perché vogliono fare le cose al meglio per i videogiocatori. E non solo per un mero discorso di soldi.

E tu con Riot hai preso accordi anche per la creazione di contenuti?

Io non sono stato pagato da Riot Games per giocarci, per dare loro i feedback, per fare video sul loro gioco. L’ho fatto io di mia spontanea volontà perché il gioco mi piace tantissimo e penso sia curato. Non si vedeva un videogioco del genere da anni. Un gioco che è basato sulla cura del dettaglio, sulla precisione, sulle abilità dei singoli giocatori, del volersi migliorare. Non ci sono stupidaggini, non parliamo di cavolate come ci sono su Warzone o Fortnite, parliamo davvero di un videogioco pensato per i veri giocatori. Quelli di Valorant prima di essere sviluppatori sono dei videogiocatori, che amano giocare al videogioco che hanno creato. Mentre invece mi capita di vedere giochi come Warzone, che ha dei problemi incredibili e un potenziale assurdo che non viene sfruttato. Perché? Perché tanto abbiamo fatto due miliardi quest’anno, perché dobbiamo investirci di più e migliorare il gioco?

Dici da un punto di vista di competitività?

Il gioco ha dei server pietosi, sono delle patate con dei fili a una vaschetta d’acqua. Manco i server dell’INPS sono così. Il bilanciamento del gioco è allucinante: senti gente che sclera e vuole spaccare tutto perché ti sparano con un lanciarazzi che ti uccide con un colpo - un’arma che saprebbe utilizzare anche mio cugino di quattro anni. O se no il problema dei cheater. Io in una giornata ho beccato 9 cheater, volevo spaccare tutto.

Tornando un’ultima volta su Fortnite: cosa ne pensi della loro intenzione di andare oltre la competitività, per esempio creando un’altra isola dove vai e ti rilassi?

Secondo me stanno sbagliando il modo in cui lo stanno comunicando. Fortnite dall’uscita del capitolo 2 ha fatto tantissime sponsorizzazioni e advertisement diventando un cartellone pubblicitario giocabile. Secondo me questo è anche uno dei motivi dello scontento della community. Le persone vedono che stanno curando di più la parte commerciale che quella dell’ecosistema del gioco stesso. E non è per forza una cosa sbagliata ma allo stesso tempo non bisogna perdere quello da cui sono nati, la loro community, le persone che hanno reso il gioco ciò che è oggi. Tu non puoi dare il merito del tuo successo al gioco e basta. Perché se le persone non lo giocavano, se le persone non lo streammavano, se le persone non lo guardavano quel gioco non faceva successo.

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