Se vi dicessi che esiste un giocatore alto ed elegante come Marco van Basten, con una faccia da quinto moschettiere, le gambe lunghe di Patrick Vieira e l’audacia di Marco Verratti, vi interesserebbe sapere di chi si tratta?
Sto parlando di Adrien Rabiot che, a giudicare dalle apparenze, avrebbe tutto per diventare una futura bandiera parigina. È nato nell'aprile del '95, nel bel mezzo della migliore stagione del PSG (fino all'era qatariana), quando suo padre tifava George Weah e David Ginola in Champions League (sono arrivati fino in semifinale, fermati dal Milan). Nato nella periferia di Parigi, Adrien non ha nemmeno vent’anni ed è uno dei calciatori più promettenti di una nuova ed eccitante generazione francese. Sembrerebbe tutto pronto perché Adrien entri di prepotenza nella storia del PSG, quindi. Ma a volte le apparenze ingannano.
L'amichevole più emozionante di sempre
Quando Adrien aveva 12 anni, nel 2007, un ictus ha mandato suo padre Michel in coma. Al risveglio ha sofferto della sindrome locked-in: uno stato in cui pur essendo cosciente non si poteva muovere. La mente era lucida come prima dell'ictus, ma poteva comunicare solo sbattendo le palpebre. La stessa sindrome in cui era caduto, dieci anni prima, il giornalista e caporedattore di Elle Jean-Dominique Bauby, sempre in seguito a un ictus. Sbattendo le palpebre, Bauby scrisse un libro in cui descriveva le sue sensazioni da locked-in, creando una certa consapevolezza della sindrome in Francia. Il libro si chiamava Lo scafandro e la farfalla: la sindrome locked-in era lo scafandro, la farfalla era la palpebra con cui si esprimeva e, in un certo senso, viveva. Il libro venne pubblicato nel 1997, con grande successo di critica e pubblico in Francia. Magari Michel Rabiot l'aveva anche letto.
Il padre di Adrien è stato ospedalizzato ad Auxerre, dove nel 2011 si è giocata forse l'amichevole più bella nella storia del calcio dal punto di vista dei sentimenti: davanti agli occhi del padre, tifoso doc del Paris Saint-Germain, Adrien Rabiot ha giocato titolare contro l'Auxerre, in un'amichevole tra Under-19. Adrien ha segnato una doppietta e quella è stata la prima e unica volta (fino ad ora) in cui il padre l'ha visto dal vivo, dalla sua sedia a rotelle, giocare per il PSG. Era solo un’amichevole U19, ma se si parla di sentimenti non riesco a immaginare una partita più bella di questa, organizzata ad hoc per una persona che sta soffrendo enormemente e che, probabilmente, vive un po' di più attraverso il proprio figlio.
Michel Rabiot, Adrien Rabiot e i suoi compagni dopo la partita di Auxerre.
Adrien sul campo
I paragoni del tipo: "il nuovo Maradona", "il Ronaldo peruviano" sono quasi sempre sbagliati, o esagerati, e in quel caso non aiutano né tifosi né giocatori. A volte, però, un paragone può illuminare. Molti paragoni possono indicare influenze diverse e dare un contesto più ampio per capire di cosa si parla. Tenendo a mente che si tratta di un tentativo ho provato a descrivere Adrien Rabiot paragonandolo per il fisico filiforme e le movenze eleganti a quelle di Marco van Basten, per i piedi e l'audacia a Marco Verratti e per le gambe lunghe nel traffico di centrocampo a Patrick Vieira.
Può essere schierato sia come mediano nell'ormai classico, e molto francese, 4-2-3-1, sia da mezzala nel 4-3-3, con compiti simili a quelli che aveva Seydou Keita nel Barcellona e che ha ora Kevin Strootman nella Roma: fare da collegamento tra difesa e attacco, schierato a sinistra (e se aggiungo questi due ai paragoni è perché di Rabiot si è parlato a un certo punto proprio in chiave giallorossa). Ha i centimetri di Strootman ma non i chilogrammi, di conseguenza gli manca la forza bruta dell'olandese. Manca anche la saggezza di Keita, a dire il vero, ma sarebbe strano se ce l'avesse ad appena 19 anni.
Ha visione di gioco ed è bravo sia a lanciare la palla lunga negli spazi sia a tenere il controllo del gioco. Può uscire da situazioni complicate trasformando il pallone in una bolla di sapone; il suo modo di calciare fa fluttuare la sfera a mezz'aria, sopra agli avversari, atterrando poi davanti ad un suo compagno. Il fatto che sia mancino rende tutto ciò un po' più speciale.
Il fatto che sia bello, alto ed elegante non è sufficiente, ma aiuta ad apprezzarne il gioco.
C'è sempre un rischio per un giocatore alto come Rabiot: quello di somigliare a Bambi nella scena in cui scivola sul ghiaccio. Adrien, invece, è elegante quando si muove e sfrutta le lunghe leve per rubare palla, un aspetto del suo gioco che ricorda (per aggiungere un altro pezzo al puzzle) Sergio Busquets: entrambi possono uscire palla al piede da duelli contro avversari più bassi e veloci. Rabiot ha anche capito come usare le gambe lunghe in fase offensiva: non si può dire che dribbli, più che altro usa la differenza di passo per aggirare gli avversari.
Grazie a questa qualità si può permettere anche incursioni offensive, spingendosi avanti quando vede un buco a centrocampo. In quei momenti Rabiot diventa il personaggio di un romanzo di Alexandre Dumas, un quinto moschettiere, l'equivalente moderno di Edmond Dantès (visto che per qualche motivo associo il suo volto al protagonista de Il conte di Montecristo: per il suo stile, il risultato della somma tra il suo tocco raffinato e l’istinto avventuroso). Come Dantès nel romanzo, Rabiot è versatile, è sia arrogante che vivace. Nel senso che è sicuro di sé e che sa perfettamente cosa può fare sul campo, e se a volte sembra un bambino viziato magari è perché applica l'assioma del libro di Dumas: fai mostra di stimarti e sarai stimato.
Cocco di mamma
Va detto che qualcuno pensa sul serio che Rabiot sia un ragazzo viziato. Dicono sia dominato e controllato da sua madre, perché è stata lei a trattare il suo primo contratto da professionista e perché sbatte il telefono in faccia ad ogni procuratore che la chiama. Pare, però, che molte delle voci negative su di lui (e lei) nascano all'interno del Paris Saint-Germain, non esattamente un attore neutrale sul palco. Ma se sono frustrati con lei è perché la mamma Veronique insiste affinché mantengano le promesse contrattuali fatte al giocatore, da questo punto di vista anziché sparlarne bisognerebbe nominarla mamma dell’anno.
Ma torniamo da dove abbiamo cominciato: la svolta per Adrien Rabiot è arrivata durante la stagione 2012/13. All'inizio di quella stagione ha giocato titolare contro il Barcellona in amichevole (sostituito, tra l'altro, da un esordiente Marco Verratti), impressionando spettatori illustri come Lilian Thuram che gli ha detto alla fine: “Tu m'as impressionné, petit!”.
Nonostante il segno positivo lasciato quel giorno, in Ligue 1 non ha giocato molto. Durante l'inverno ha insistito per andare via in prestito e trovare minuti di gioco, lo hanno accontentato e con la maglia del Toulouse è andato tutto secondo copione: dopo circa un mese è diventato titolare inamovibile, giocando 12 partite su 13 per il Téfécé da titolare.
Dopo il prestito a Tolosa è tornato a Parigi per la stagione 2013/14. Ha giocato 12 partite da titolare, 13 partendo dalla panchina. Poi, questa stagione, sembra essere finito fuori dal cono di luce di Laurent Blanc. A metà stagione è stato titolare solamente 5 volte, una manciata di più nelle coppe. La posizione di Blanc non è poi così incomprensibile: a inizio febbraio il PSG era solamente al terzo posto in Ligue 1, una posizione inferiore alle attese della proprietà, e per Blanc ogni partita è importante, ogni risultato obbligatorio, di conseguenza la valorizzazione dei giovani ha una priorità bassa. L'ex centrale difensivo dell'Inter lotta per restare sulla panchina e probabilmente per massimizzare le chance di vincere ogni partita preferisce puntare sui giocatori più esperti.
Niente di strano, quindi, ma triste sì. Perché Lione e Marsiglia lottano col PSG e mandano in campo dei diciannovenni. Il Lione in particolare è quasi interamente costruito sui giovani del proprio vivaio, e a pensarci bene il PSG non ha neanche la scusa che a Rabiot manchi l'esperienza, dato che di partite ne ha giocate a sufficienza. Insomma, volendo il PSG potrebbe permettersi di puntare su di lui, ma forse è un problema più grande, quello comune a tutta la generazione dei nati nel ’95.
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Doppietta contro la sua unica ex squadra.
Sembrava che Rabiot dovesse venire a Roma, poi a Londra (da Baldini al Tottenham), poi alla fine non si è mosso. Gioca poco, raramente titolare e ancor più raramente novanta minuti di seguito. Ma c'è, è pronto, e il suo problema semmai è la concorrenza interna e le preferenze di Blanc. Ha segnato contro il Bastia (il PSG ha perso in Corsica 4-2 però) e poi contro il Rennes ha giocato quasi un'ora prima di essere sostituito da Verratti, partecipando in maniera importante all'azione del gol di Lavezzi: con un pallonetto che ha scavalcato la difesa del Rennes all'altezza del limite dell'area ed è atterrato tra i piedi di Pastore, che ha eseguito l'assist per Lavezzi.
Escluso in Champions League contro il Chelsea (Laurent Blanc per coprire l'assenza di Thiago Motta ha avanzato David Luiz a centrocampo anziché, una delle strade che sembrava più praticabili alla vigilia, far giocare Rabiot) quattro giorni dopo ha giocato da titolare contro il Toulouse, segnando la sua prima doppietta in una gara ufficiale (e non possiamo non pensare a quella segnata davanti agli occhi del padre).
Rabiot non sembra destinato a diventare una bandiera del PSG, non con queste condizioni almeno. E qui torniamo al padre e all'immagine dello scafandro e della farfalla: la speranza è che Adrien Rabiot apra le ali, a costo di volare lontano da Parigi. Per quanto affascinante, la capitale rischia di fargli da scafandro.
Questo pezzo è stato realizzato consultando Wyscout (qui la loro pagina Facebook, qui invece l’account Twitter).