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Innamorati di DeAndre Yedlin
26 gen 2015
Abbiamo aggiunto ai nostri giocatori Preferiti il terzino americano in forza al Tottenham.
(articolo)
12 min
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Ci sono una manciata di motivi per i quali viene facile invaghirsi di DeAndre Yedlin e a differenza di quanto si possa credere la maggior parte non sono pop, ma calcistici. Voglio dire: Yedlin, certo, è cool perché incarna alla perfezione il fenotipo dell’hipster-anni-10, indossa capri pants, posta foto simil-vintage su Instagram, si fa intervistare mentre sceglie un paio di snekars a SoHo e reclama a gran voce una stazione radio che passi esclusivamente Hip Hop degli anni ’90.

Ma, fondamentalmente, se ho aggiunto Yedlin alla mia personalissima barra dei Preferiti è per come interpreta il ruolo di esterno basso di difesa, in un tipo di calcio in cui la parola “difesa” è solo un’ancora di sicurezza, una coordinata spazio-temporale di partenza.

David Villa l’ha paragonato a Dani Alves, a me sembra più la bombola di NOS che s’accende, sconquassando la trama, nelle scene clou dei film della serie Fast & Furious.

Sto pensando al recupero pazzesco che DeAndre ha eseguito contro Cristian Maidana dei Philadelphia Union, nella recente finale di US Open Cup ’14. È possibile condensare in un’azione che dura 14 secondi il profilo di un calciatore? Con Yedlin sì: brutto errore in fase difensiva seguito da una rapidità-panacea che getta tutto quello che è successo prima nell’oblio.

Quanti calciatori “pischelli” hanno un mashup con Star Wars tra i loro video Youtube? Eh, quanti? Uno.

Ci siamo accorti di Yedlin durante gli ultimi Mondiali in Brasile, dove ha contribuito a far sì che gli USA potessero uscire indenni prima dal Girone Della Morte™ (con Germania, Portogallo e Ghana), e poi a testa alta contro il Belgio, agli ottavi, sconfitti soltanto ai supplementari. Prima del Mondiale era un emerito sconosciuto, salito alla ribalta soltanto per essere il calciatore meno pagato della competizione, quello che in un anno guadagnava quanto Cristiano Ronaldo mette in cassa in sole 36 ore (con uno stipendio di soli 92mila $, il salario medio di un bravo sviluppatore di software, non di un Calciatore Convocato Per I Mondiali).

A Yedlin sono bastate sette settimane per diventare famoso; in quel momento della sua carriera era un professionista da una stagione e mezza soltanto. Se abbiamo avuto modo di osservarlo giocare lì dove lo abbiamo visto, sulla fascia destra, su e giù come un proiettile (l' immagine molto evocativa viene da un tweet di Rio Ferdinand), il merito è tutto di Darren Sawatzky e Caleb Porter, suoi allenatori nelle giovanili dei Seattle Sounders e della University of Akron. Prima di ricevere l’imprinting di un allenatore che tenesse conto delle sue abilità, DeAndre giocava sulla trequarti, a ridosso delle punte: e già allora era un «giocatore molto offensivo, tricky, pieno di esplosività; sembrava potesse correre per giorni».

Nella finezza di questa giocata, un assist con scavino per di più da posizione insolita per lui, molto centrale, c’è la summa del periodo pre-tantrico da trequartista di Yedlin.

Nel periodo del college, alla University of Akron, DeAndre correva i 100, 200 e 400 metri con risultati molto lusinghieri. Sullo scatto delle 40 yard faceva registrare un tempo di 4.2’’, da vero running-back. Se fosse stato un po’ più alto e strutturato fisicamente forse avrebbe scelto di provare a fare strada nel football americano.

Caleb Porter, invece, il tecnico della squadra di calcio del college, gli Zips, gli ha trovato la collocazione perfetta, nel tipo di gioco che aveva in mente, come esterno destro di difesa: il suo atletismo dirompente gli avrebbe permesso di essere inarrestabile nelle transizioni offensive, di inserirsi negli spazi senza palla con scatti capaci di lasciare sull’asfalto strisce di fiamma, qualcosa di simile all’accelerazione della DeLorean di “Ritorno al Futuro”; oppure recuperare palla e scatenare micidiali contrattacchi. Il problema di Yedlin era (ed è tutt’ora, anche se ai Mondiali non è parso così evidente) che alla velocità non faceva (né fa) da contraltare alcun senso della posizione: non riusciva proprio a rendersi conto di quando doveva correre, fino a dove, quanto potesse spingersi avanti. A volte è come se il tasto R2 del suo joypad rimanesse incastrato.

L’intuizione di Porter è diventata, di lì in avanti, la cifra stilistica del gioco di Yedlin, sia nei Seattle Sounders che nella Nazionale maggiore yankee. Sigi Schmid, l’allenatore dei Sounders, ama giocare con un 4-4-2 in cui i quattro centrocampisti sono disposti a rombo e la mezzala destra (Evans, o Neagle) tende molto ad accentrarsi nello spazio centrale lasciato da Clint Dempsey, libero di svariare per tutto il fronte d’attacco dietro a Obafemi Martins. Ciò significa che sulla fascia destra si spalanca un’autostrada a quattro corsie, perfetta per le gare di velocità clandestine di Yedlin. Ovviamente, così come davanti a un rettilineo difficilmente riusciamo a reprimere la voglia di spingere sull’acceleratore, pur conoscendo cosa dice la legge sui limiti di velocità, Yedlin cerca di nascondere dietro alla prepotenza della sua propulsione le tare tecniche e tattiche sulla fase difensiva.

Klinsmann fa giocare la sua Nazionale con un 4-5-1 o un 4-4-2 in cui agli esterni di difesa viene chiesto di attaccare con parsimonia e pensare soprattutto a difendere lo spazio dietro ai centrocampisti laterali (ai Mondiali, per esempio, Zusi e Bedoya). Nei Mondiali U20 del 2013, giocati in Turchia, Tab Ramos ha chiesto a Yedlin essenzialmente questo, e i risultati sono stati discretamente catastrofici. Mi ha incuriosito il fatto che 6 delle 9 reti incassate in totale dagli Yanks (4 dalla Spagna, 4 dal Ghana e 1 dalla Francia) venissero da attaccanti esterni, che amano giocare sulle fasce. Il primo tempo di Yedlin nella partita contro la Spagna è il bignami del Difensore Che Non Difende: sull’azione dell'1-0 di Jesé, DeAndre stringe verso il centro dell’area in chiusura sul cross di Delofeu, nonostante sia chiaramente a conoscenza (lo vede sopraggiungere) della presenza di Jesé alle sue spalle. Poi, nel fronteggiare Delofeu e Jesé che attaccano insieme sulla sua fascia, decide di lasciare la posizione e attaccare il canterano del Real. Mossa incosciente: Delofeu è libero di involarsi verso la porta e andare a segno in solitudine. Infine, come se non bastasse, due minuti più tardi vede Jesé solo al centro dell’area ma decide di andare a murare lo specchio della porta, posizionandosi sul palo. Che non sarebbe neppure una scelta sbagliata, se non fosse che si tiene a un metro e mezzo di distanza dal palo.

Sto dicendo che Yedlin è un pessimo difensore? Aggiusto il tiro: non è propriamente un difensore. Ma credo la pensi alla stessa maniera Klinsmann, che quando, al 72’ di Usa – Portogallo, lo ha inserito al posto di Bedoya l’ha fatto per impiegarlo nel ruolo di esterno di centrocampo, box-to-box. Questo perché in quella situazione DeAndre offriva la soluzione della velocità inattesa e inarrestabile nella transizione offensiva: e non è un caso che il gol del momentaneo 2-1 di Dempsey sia giunto da una sua tambureggiante incursione.

Il gol di Dempsey da una visuale che ci permette d’apprezzare, oltre che il bel filtrante di Jermaine Jones e l’affondo di Yedlin, la calorosità degli American Outlaws, la torcida yankee.

Negli ultimi dieci minuti giocati contro la Germania, ancora una volta lanciato nella mischia come esterno di centrocampo, ha messo in mostra il meglio del suo repertorio, e anche qualcosa di inatteso, come certe chiusure aggressive; ma è stata soprattutto l’esplosività in contropiede a impressionare: qua, ad esempio, in tandem con Dempsey inscena un assalto alla diligenza in pieno stile americano che solo grazie a una chiusura monumentale di Lahm non si conclude con spargimento di sangue.

A questo punto dovreste esservi fatti un’idea di che giocatore è Yedlin. Ma le convinzioni sono fatte per essere smontate, ed è esattamente quello che succede quando lo osserviamo in azione contro il Belgio, nell’ultima partita degli Usa ai Mondiali (e quella in cui Yedlin ha collezionato più minuti in campo).

Per la prima volta Klinsmann lo utilizza da esterno basso, in sostituzione dell’infortunato Fabian Johnson. Ma quel che più conta, gli assegna un compito improbo o almeno apparentemente al di sopra delle sue possibilità: quello di annullare Eden Hazard. Per farlo, Yedlin ha una sola strategia possibile. E casualità, proprio quella più vicina alla sua filosofia: difendere attaccando. È uno scontro dagli esiti non scontati: Yedlin riesce quasi sempre a tener testa a Hazard, considerato uno dei migliori giovani calciatori al mondo; gli dà l’illusione che ci sia spazio, ma poi sistematicamente lo chiude e riparte. Il filmato delle sue giocate quella sera è emozionante ai limiti dell’epica se riusciamo a far innescare in noi il meccanismo d’immedesimazione: a un certo punto, quando supera un avversario con un sombrero, ti viene da pensare che con un po’ più di coraggio, o di sfacciataggine, magari avrebbe anche potuto provare il tiro al volo, o almeno noi l’avremmo fatto.

Ma se c’è una sequenza d’immagini davvero significativa, credo sia questo scontro prolungato contro Hazard:

Chi è che non sapeva difendere? Yedlin questo?

DeAndre ha un tatuaggio sul polpaccio, c’è scritto «Always remember the beginning». È cresciuto a Shoreline, una cittadina nell’hinterland di Seattle, insieme al nonno materno Ira, di origini lettoni, e la sua seconda moglie. Non ha mai conosciuto di persona il padre, Larry Rivers Jr, imprigionato per traffico di cocaina due settimane prima che nascesse. La madre Rebecca non era neppure maggiorenne: con il fidanzato in carcere ha mal pensato di dare seguito al suo business, così nascondeva le dosi di marijuana da spacciare nel pannolino di DeAndre. Quando anche lei ha cominciato a entrare e uscire dal carcere, ha chiesto e ottenuto che fossero i suoi genitori a prendere in affidamento il figlio. DeAndre aveva due anni quando Larry è stato arrestato per una rapina a mano armata aggravata da sequestro di persona, reato per il quale sta attualmente scontando l’ergastolo.

In un contesto familiare del genere, la vera figura paterna per DeAndre è stato lo zio Dylan, di 9 anni più grande, che aveva giocato a calcio alla Union College di Schenectady, nello stato di New York, e che gli ha instillato la passione per il soccer. A 13 anni Yedlin è entrato a far parte dell’Olympic Development Program dello stato di Washington, con il quale è anche andato in tour in Europa. Di ritorno ha appuntato su un post-it in cucina i suoi tre obiettivi nel calcio: diventare professionista, giocare in Europa e abituarsi, far sì che la cultura europea gli diventasse familiare. Poi è entrato a far parte della squadra U20 dei Sounders.

Nel 2013 la squadra di Seattle, al SuperDraft, l’ha messo sotto contratto come prima scelta in quanto homegrown (cioè prodotto del vivaio). DeAndre aveva due buoni motivi per essere orgoglioso: avrebbe giocato con la squadra di cui è tifoso, ma soprattutto poteva fregiarsi del vanto di essere il primo giovane prodotto da uno degli MLS Development Programs piuttosto che da una delle Academies nazionali. Anche questo è un segno di quanti cambiamenti siano in atto nella MLS.

Per quanto fosse lecito aspettarsi un periodo di lento inserimento, DeAndre si è trovato catapultato in prima squadra praticamente da subito: a inizio Marzo 2013 ha esordito, neppure dieci giorni più tardi, in una gara di Champions League della Concacaf contro i messicani del Tigres, ha messo a segno la sua prima rete ufficiale. Questa:

Yedlin si avventa su una respinta all’altezza della trequarti, e ha due soluzioni: allargare sul compagno che ha battuto il calcio d’angolo alimentando l’azione oppure calciare al volo, di collo pieno. Quale delle due abbia scelto, la più prudente o quella presuntuosa, lo si dovrebbe capire anche senza guardare il prosieguo, solo focalizzandosi sul fermo immagine della sua acconciatura leonina.

«Penso che per portare capelli come quelli devi credere molto in te stesso. Io sono convinto di avere qualcosa tipo lo stesso mind-set di Kanye West: mi piace fare le mie robe». Da quando è sotto i riflettori della MLS Yedlin ha spesso stupito per le sue eccentriche pettinature: una specie di elmetto da spartano, strisce e ghirigori vari, una cresta da mohicano. Per un periodo ha avuto anche un hair-tailor personale, Valentine, che lo seguiva ovunque andasse.

Ma non è per le acconciature eclatanti che è stato inserito due volte consecutive, nelle due stagioni che ha giocato da professionista, nella rappresentativa All Star della MLS che ha affrontato, nell’estate del 2013 e 2014, rispettivamente la Roma e il Bayern Monaco.

Può sembrare un accostamento retorico e facile, ma il fatto che i destini di DeAndre Yedlin e Landon Donovan nel corso degli ultimi mesi si siano spesso incrociati ha dei risvolti che vanno oltre la curiosa coincidenza, oltre l’accavallamento di icone generazionali. Prima di scontrarsi faccia a faccia nella recente finale di Western Conference (con DeAndre battuto), insieme hanno partecipato al Camp pre-mondiale di Palo Alto. Una convocazione nella quale Yedlin credeva pochissimo, tanto da definirla «surreale». Eppure, alla fine, fuori dalla lista dei 23 è rimasto Donovan, mentre le incredule “Young Guns” Brooks, Green e Yedlin sono volate in Brasile. Se Klinsmann voleva lanciare un messaggio, e cioè che su queste “young guns” si potesse puntare non solo nell’ottica di Russia 2018 ma da subito, mi pare che sia arrivato forte e chiaro: Brooks ha segnato il gol della vittoria contro il Ghana, Green quello della bandiera contro il Belgio e DeAndre, ecco: DeAndre si è guadagnato il riconoscimento di USA Young Male Athlete of the Year e un ingaggio in Europa, da parte del Tottenham Hotspur.

Intervistato dal New York Times qualche giorno dopo la fine dei Mondiali, Yedlin aveva dichiarato «La MLS è una lega in grande crescita; forse scegliere l’Europa ora non avrebbe molto senso».

Qualcosa, però, più tardi, deve essersi acceso nella sua testa. A 8by8, un indie magazine americano, ha confessato:«Ci sono sempre giocatori più giovani in campionati migliori che fanno cose migliori di quelle che sto facendo io ora. Perciò se non sono là, beh, devo andare là».

Quel là sarebbe potuta essere Roma e la Roma: troppe coincidenze spingevano a favore della liaison Yedlin-colori giallorossi, così troppe che invece ha finito per prevalere Londra e la Premier League, nella quale Yedlin è approdato a inizio gennaio. Il Tottenham bielsista di Mauricio Pochettino sembra la squadra perfetta per esaltare le sue caratteristiche. Se c’è qualcosa a cui Yedlin è abituato, quel qualcosa è bruciare i tempi. Il terzo dei propositi affissi sul frigorifero della sua casa di Seattle, abituarsi alla cultura calcistica europea, potrebbe realizzarsi a una velocità inaudita, quasi scandalosa.

Un po’ come i suoi incredibili scatti sulla fascia.

Questo pezzo è stato realizzato consultando Wyscout (qui la loro pagina Facebook, qui invece l’account Twitter).

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