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Innamorati di Hakan Calhanoglu
01 ott 2015
Abbiamo aggiunto ai nostri giocatori Preferiti il numero 10 del Bayer Leverkusen.
(articolo)
14 min
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La nostra rubrica Preferiti è realizzata grazie alla collaborazione con Wyscout: il database calcistico che ci permette di visionare giocatori di tutti i livelli, di tutte le età e di tutto il mondo.

Nella mitologia del calcio il 10 è un demiurgo solitario, capace da solo di elevare un organismo collettivo dalla propria banalità: segnando gol, trovando colpi risolutivi, facendo vincere le partite. Il 10 non è un uomo come gli altri: Agnelli permetteva a Platini di fumare sigarette: «L’importante è che non fumi Bonini», il mediano. Il dualismo tra Rivera e Mazzola negli anni ’60 era un fatto nazionale, come non lo sarebbe mai stato per un altro ruolo; nel 1982 si discusse l’esclusione di Beccalossi, molto meno quella di Pruzzo. Il 10 conosce a fondo la mistica del pallone, e per questo immaginiamo che ci possa portare su territori che neanche conosciamo: la sua presenza risponde a un bisogno di eroi anche in un gioco fondamentalmente collettivo.

L’iconologia del 10 è così radicata nell’immaginario popolare che la sua scomparsa, più di ogni altra cosa, ha rappresentato il segno di un passaggio epocale al calcio moderno, come la scomparsa delle Trabant in Germania lo è stata del socialismo. Per i più conservatori, l’estinzione del “fantasista” ha privato il calcio del suo romanticismo, del suo elemento magico. Il filo che accomuna questi discorsi è la nostalgia verso un calcio meno veloce, meno duro, meno agonistico, dove a correre era la palla e non i giocatori.

Il tema insomma sembra essere quello della lentezza contrapposta alla velocità, e cioè quello di cui parlava Daniele Manusia in uno dei primi pezzi de l'Ultimo Uomo. L’abdicazione della cerebralità all’agonismo, della pausa all’accelerazione. Se accettiamo queste categorie, magari troppo rigide, Hakan Calhanoglu potrebbe incarnare una sorta di sintesi hegeliana tra il paradigma classico e quello moderno.

Giocatore verticale

Calhanoglu è nato a Mannheim da genitori turchi, e questo, insieme alla somiglianza di ruolo, ha generato fin da subito paragoni con Mesut Özil. Le differenze tra i due, naturalmente, sono enormi e illustrano bene, per riflesso, che tipo di giocatore è il 10 del Leverkusen.

La distanza tra Özil e Calhanoglu vive di molti aspetti e dettagli, ma il tutto potrebbe anche essere sintetizzato in un semplice assunto: per Özil la palla è ancora un fine, per Calhanoglu solo un mezzo. Lo si vede non solo dal modo in cui il giocatore dell’Arsenal tocca il pallone, ma anche da quanto sforzo faccia per riceverlo, per essere costantemente al centro del gioco.

Molto incide la manovra offensiva dell’Arsenal, da sempre costruita su scambi corti e veloci tra gli offensivi. Ma Özil ha una capacità innata di calamitare il pallone su di sé.

Özil gioca sulla certezza che qualsiasi costruzione d’attacco debba passare dai suoi piedi: è un 10 moderno, il cui peso nel gioco è minore di quello di un Platini o di un Riquelme, ma rappresenta comunque il punto di partenza verticale dell’attacco di ciascuna delle squadre in cui ha giocato. I video che gli sono dedicati su YouTube lo definiscono “The Artist” o “Technical Genius”, ha una qualità tecnica sviluppata soprattutto per strada e riesce a palleggiare anche con un chewing gum.

A un certo punto del girone di ritorno della scorsa stagione il Telegraphha evidenziato come fosse il giocatore dell’Arsenal ad aver corso di più. A Özil piace svariare molto, soprattutto in ampiezza, per andarsi a prendere gli spazi che alimentino il gioco associativo della propria squadra. Özil, dalla linea di trequarti, ha una visione a 360 gradi del campo, ama molto anche il movimento orizzontale, defilandosi sulla fascia per andare a prendersi tutta l’ampiezza del campo e aprirsi il campo davanti. Non attacca mai l’area e raramente privilegia la conclusione alla rifinitura. Wenger ha assecondato questa tendenza al punto da averlo spesso schierato direttamente sulla fascia, con risultati poco incoraggianti.

La migliore qualità di Özil è la visione del gioco per la costruzione dell’ultimo passaggio. Anche defilato sulla fascia, ha una qualità incredibile nel rifinire verso i giocatori mobili e veloci che gli corrono davanti, una capacità di playmaking diretto che innesca il cinetismo dei giocatori più rapidi (Ronaldo gli deve aver offerto più di una cena).

Rispetto a Calhanoglu, però, Özil fa quasi pensare a dei filmati d’epoca. Calhanoglu rappresenta un'ulteriore evoluzione del ruolo: più verticale, più diretto, ancora più intenso. Pur giocando nella stessa posizione e all’interno dello stesso modulo (4-2-3-1) Özil e Calhanoglu hanno statistiche così differenti da far pensare a due sport separati.

Innanzitutto la quantità di palle giocate: Calhanoglu effettua la metà dei passaggi del giocatore dell’Arsenal e meno di qualsiasi altro giocatore con importanti responsabilità creative (Silva, Pogba, Isco, Rakitic, Pjanic). Pochi passaggi e con una percentuale di riuscita piuttosto bassa, intorno all’80%, anche qui la peggiore nel campione esaminato. Dato che la sua tecnica non è in discussione, significa che i passaggi di Calhanoglu hanno un maggiore margine di rischio, sono più diretti e lo sono anche lontano dall’area di rigore. La lunghezza media dei passaggi, 18 metri, è superiore di 4 metri a quella di Özil ed è, anche qui, la più alta di tutti i giocatori del campione.

Sintassi di gioco veloce in uscita dal pressing e verticalizzazione immediata per il primo taglio offensivo.

Calhanoglu tiene pochissimo il pallone: ogni volta sembra bruciargli tra i piedi e prova a innescare gli attaccanti al primo momento utile. Questa tensione alla verticalità si rispecchia bene anche nel dato dei passaggi arretrati, il più basso del campione, anche qui quasi la metà rispetto a Özil (15 a 29 per partita). L’insieme di questi dati fa sì che Calhanoglu sia uno dei giocatori con il miglior rapporto tra palle toccate e chance create: il trequartista del Leverkusen ha bisogno di toccare solo 13 palle per creare una chance per la propria squadra, a fronte delle 20 di Mesut Özil.

Gegen10

Ovviamente molto di questo ha a che fare con il sistema entro cui è inserito. Il Bayer Leverkusen di Roger Schmidt è una delle squadre col dato medio di possesso tra i più bassi in Bundesliga, che preferisce lasciare il pallone agli avversari per elevare il livello di intensità e giocare in modo più diretto e verticale. Le "Aspirine" pianificano ogni fase del proprio gioco—dalla riconquista alta all’uso frequente del lancio lungo—per abbreviare il più possibile la strada per la porta avversaria.

All’interno del sistema Calhanoglu è il giocatore con maggiori responsabilità creative, il che significa soprattutto: pensare giocate efficaci e dirette nel minor tempo possibile. È costretto a svolgere i doveri di un 10—aumentare l’incidenza offensiva, rifinire, finalizzare—senza però averne i diritti—il diritto alla pausa, al ragionamento, a giocare con i propri ritmi, a sentire la giocata. In Calhanoglu c’è il fascino della creatività iper-disciplinata, come un romanzo dell’Oulipo senza la lettera "e".

Da qui le statistiche che elencavamo in precedenza. È difficile stabilire quanto Calhanoglu sia un giocatore essenzialmente predisposto all’intensità e quanto in realtà sia stato modellato da Schmidt, costretto in un sistema che ne modella, e forse castra, la fantasia. Alla fine del girone d’andata della scorsa stagione, in una lunga intervista alla tv tedesca, ha dichiarato: «Forse ci sta mancando un po’ di energia. Il sistema è molto faticoso, anche per me. Forse dovremmo giocare con qualche pausa in più, fermarci e riflettere», come a reclamare il diritto alla sua vocazione. Nonostante le lamentele, però, Calhanoglu ha chiuso l’anno realizzando 10 gol e 8 assist tra Bundesliga e Champions League, cifre anche superiori a quelle totalizzate con l’Amburgo l’anno prima. Quindi se Schmidt non ha trovato il modo per farlo sorridere mentre gioca, ha comunque capito come farlo produrre.

Se l’attacco è la miglior difesa e viceversa, il fatto che il Leverkusen sacrifichi il possesso non la rende comunque una squadra difensiva, anzi. Lo stesso Calhanoglu, parlando del sistema di Schmidt, ha detto: «Giochiamo un calcio molto offensivo, attacchiamo in continuazione la squadra avversaria»: la differenza è che l’arma d’attacco delle "Aspirine" non è la palla, ma lo spazio; “attaccare in continuazione la squadra avversaria” significa pressarla così alta e con un’intensità tale da fargli mancare la terra sotto i piedi; e in questo tipo di assalti Calhanoglu è spesso all’avanguardia.

L’aggressione parte sin dalla costruzione bassa degli avversari. Calhanoglu, in fase di non possesso, parte spesso dalla sinistra, da lì esercita spesso una pressione sull’esterno basso avversario. La pressione sulle fasce è ancora più esasperata ed è tesa a togliere le soluzioni di uscita agli avversari.

Calhanoglu è allora costretto a spendere un grosso quantitativo di energie nella fase di non possesso, e allo stesso tempo rimanere lucido in quella di possesso dove, come detto, è il giocatore con maggiori responsabilità creative, ma anche di finalizzazione. Quando il Leverkusen è in possesso palla Calhanoglu spesso si abbassa per ricevere palla e accorciare con dei lanci la distanza dalla porta nel più breve tempo possibile. Una delle sue migliori doti è quella di prendere decisioni in breve tempo e in spazi stretti, riuscendo a sfruttare la propria qualità di calcio anche sotto pressione.

Le ali molto tecniche e veloci del Leverkusen sembrano saperlo e quando il turco entra in possesso palla attaccano sempre lo spazio in modo ottimistico.

Quando è in posizione più avanzata è attento ad andarsi a prendere le seconde palle che Kiessling riesce a fornire in quantità sempre generose. Per questo da sinistra converge verso il centro, da dove può essere estremamente minaccioso grazie alla sua maggiore qualità, il tiro da fuori.

Il tiro di Calhanoglu

Su Calhanoglu bisogna dire un’ovvietà che è un presupposto di ogni idea su di lui, cioè che calcia la palla in maniera migliore rispetto alla maggior parte dei giocatori al mondo. Abilità che lo aiuta ad avere un passaporto YouTube incredibile anche per gli standard YouTube, ma che soprattutto lo rende un arma letale nelle mani di Schmidt. L’allenatore tedesco, sin dai tempi del Red Bull Salisburgo, utilizzava il tiro da fuori come strumento tattico fondamentale. Giocando un calcio tutto basato sullo strozzamento dei tempi di gioco, il tiro da fuori permette di mantenere alta l’intensità e di essere minacciosi non appena riconquistato il pallone.

C’è un video di un esercizio al Salisburgo dove i giocatori devono costruire una conclusione sotto pressione entro pochi secondi. Non a caso il Bayer Leverkusen è la squadra che tira di più entro i 7 secondi dalla riconquista del pallone, e naturalmente molto da fuori, anche a costo di sacrificare la precisione. In quest’organizzazione blitz degli attacchi Calhanoglu riveste un ruolo fondamentale: non solo è il giocatore che conclude di più da fuori nel Leverkusen (all’incirca insieme a Bellarabi), ma anche in Europa. Lo scorso anno ha tirato da fuori 89 volte, più del doppio di altri giocatori che tendono a concludere molto da lontano come Paul Pogba o Marco Parolo.

Arrivato al limite dell’area, pure in condizioni precarie o dovendo coordinarsi in un tempo ristretto, Calhanoglu è sempre una minaccia. Innanzitutto perché nella preparazione al tiro può sfruttare una forza notevole sulle gambe: non è brevilineo (1 metro e 78), ma ha un baricentro piuttosto basso e una reattività importante anche nello stretto. Se con il sinistro Calhanoglu può calciare solo in modo elementare, con il destro può colpire la palla con qualsiasi punto del piede senza perdere né in potenza né in precisione. Nel suo repertorio ci sono sia tiri d’interno classici sul secondo palo, che traiettorie d’esterno a uscire.

Lasciargli tempo e spazio dal limite equivale a concedergli un calcio di rigore, e il sistema di Schmidt fa in modo di moltiplicare le occasioni in cui Calhanoglu si trova a poter calciare. In questo schema di riconquista e tiro rapido, sviluppato attorno a degli specialisti dell’intensità e del tiro da fuori, il gioco del Leverkusen sembra una declinazione calcistica del sistema “7 seconds or less” di Mike D’Antoni a Phoenix, basato su una sintassi rapida di scarichi e tiri. L’idea di fondo è simile: alzare l’intensità e il ritmo di gioco per produrre una grande mole di conclusioni ad alto rischio, anche a costo di abbassare le percentuali di riuscita.

All’interno di questo sistema allora Calhanoglu ricoprirebbe il ruolo di Steve Nash: il giocatore a cui sono delegate le responsabilità di playmaking veloce e con la migliore percentuale di realizzazione da tre.

Cecchino

Un altro aspetto fondamentale del calcio di Roger Schmidt è l’utilizzo efficace delle palle inattive, da cui già ai tempi di Salisburgo il tecnico riusciva a ottenere molti gol. A Leverkusen Calhanoglu è utilizzato come una raffinatissima macchina lanciapalle. La sua capacità di calcio fuori dal comune è sfruttata sia per mettere in area traiettorie sempre tese e pericolose (vedere il calcio d’angolo di martedì contro il Barcellona, che possiamo considerare quasi un gol), sia per cercare la conclusione diretta.

Calhanoglu è attualmente uno dei migliori calciatori di punizioni in Europa: dice di ispirarsi a Juninho Pernambucano, e infatti molti dei suoi gol sono arrivati imprimendo al pallone una balistica obliqua e indecifrabile. Ma a impressionare è soprattutto il modo in cui usa l’interno piede. La maggior parte delle punizioni di Calhanoglu sono, banalmente, delle traiettorie tirate d’interno che passano sopra la barriera, ma sono quasi sempre più forti, più precise, più veloci di quanto siamo abituati a vedere. C’è un quid di imperscrutabilità nelle punizioni del turco, un nocciolo duro che non le rende del tutto comprensibili.

Qui segna da 41 metri. Weidenfeller non è attentissimo, ma…

Con 8 gol nelle ultime due stagioni Calhanoglu guida la classifica dei cannonieri su punizione, pur avendo una percentuale di conversione più bassa rispetto, per esempio, a Pjanic.

Il talento del collettivo

Dopo l’incredibile stagione all’Amburgo, dove segnò 11 gol, Calhanoglu era seguito da quasi tutti i maggiori club europei. Lo scorso anno ha confessato di aver rifiutato un’offerta del Bayern Monaco preferendo il Leverkusen, dove avrebbe avuto la sicurezza del posto da titolare. In questo ha dimostrato di avere coscienza della gradualità con cui deve avvenire la maturazione di un calciatore. Fino a 4 anni fa militava in Serie C e in pochi anni ha scalato, in modo rapido, ma senza salti bruschi, la piramide del calcio tedesco. Qualche settimana fa ha criticato la scelta dell’ex compagno Son di trasferirsi al Tottenham, che a suo parere non rappresenterebbe un vero e proprio passo in avanti nella sua carriera.

Anche per questo risulta difficile credere a un suo trasferimento in Italia (al Milan o alla Juve) di cui si parla in questi giorni. Più facile immaginarlo in un club con capacità di spesa più importanti, come il Manchester United, che pare stia cercando di prenderlo già a gennaio. Sarà interessante, in ogni caso, vederlo all’interno di un sistema di gioco che potrebbe lasciargli maggiori libertà creative, anche per capire quanto a fondo lo abbia cambiato il passaggio nella lavatrice di Schmidt. Pure con qualche reticenza, in un anno e mezzo al Leverkusen, Calhanoglu è diventato un esempio quasi unico di giocatore che ha lasciato assorbire il proprio talento individuale all’interno di un sistema di gioco collettivo. Un percorso simile a quello di Arda Turan all’Atlético Madrid, ma per certi versi ancora più estremo.

È triste, in un certo senso, vedere Calhanoglu costretto a faticare così tanto in fase di non possesso, dar via il pallone senza avere la possibilità di sentirlo, senza sfruttare a pieno il “senso del calcio” che la natura sembra avergli messo a disposizione. Certe volte si ha l’impressione di una Maserati utilizzata per fare da navetta a qualche evento. Calhanoglu al Leverkusen ha compiti faticosi ed elementari: pressare, contrastare, lanciare, verticalizzare, tirare; tutto al massimo della velocità, come se si avesse la certezza che il sistema calcistico che lo trascende sappia meglio di lui come deve comportarsi in ogni circostanza. Come se il numero 10 che porta sulle spalle fosse davvero un numero come un altro.

Quella di Calhanoglu è la classica storia del conflitto dialettico tra individuo e collettivo, e il fascino che vi possiamo leggere dipende da quale luce vi proiettiamo. Possiamo leggerla come una storia di totalitarismo distopico, simile a quei pittori costretti da Stalin a dipingere quadri realisti di propaganda. Oppure possiamo lasciarci affascinare dalla rinuncia all’ego, dalla possibilità di espressione creativa individuale disciplinata dentro le strettoie del sistema di cui fa parte. Se il calcio è morto Calhanoglu è il suo profeta.

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