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Innamorati di Muhamed Bešić
23 apr 2015
Abbiamo aggiunto ai nostri giocatori Preferiti il centrocampista bosniaco dell'Everton.
(articolo)
14 min
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La nostra rubrica Preferiti è realizzata grazie alla collaborazione con Wyscout: il database calcistico che ci permette di visionare giocatori di tutti i livelli, di tutte le età e di tutto il mondo.

In pochi avevano sentito nominare Muhamed Bešić prima che il suo allenatore Safet Sušić lo presentasse come «l'unico calciatore bosniaco che può fermare Lionel Messi». Era la vigilia dell'esordio assoluto della Bosnia in un Mondiale, contro l'Argentina favorita per il titolo, Bešić non aveva ancora compiuto ventidue anni e giocava in Ungheria, nel Ferencváros. Non era abbastanza giovane da giustificare un campionato così periferico, o il fatto che nessuno lo conoscesse, e la frase di Sušić non sembrava avere senso. Eppure Bešić è riuscito a tenere testa a Lionel Messi in più di un'occasione quel giorno.

Dopo solo quattro minuti (la Bosnia è già in svantaggio a causa di un autogol) Messi riceve palla sulla trequarti, con la difesa bosniaca che lo aspetta al limite dell'area. Bešić, in coppia con Pjanic a centrocampo, non lo sta marcando a uomo ma quando il dieci argentino controlla palla gli arriva davanti. Messi corre in diagonale verso sinistra e alza la testa alla ricerca di un compagno da servire alle spalle della linea difensiva, ma Bešić gli prende il tempo per il contrasto e gli toglie la palla. Poco più tardi, Bešić corre una ventina di metri per triplicare la marcatura su Messi, che ha messo giù di petto un lancio preciso di Mascherano, e dal lato destro dell'area di rigore si stava portando la palla sul sinistro per tirare: Bešić arriva giusto in tempo per contrastarlo. All'inizio del secondo tempo, Messi scivola in diagonale alle spalle di Pjanic, gli viene servita la palla filtrante sulla corsa ma Bešić ha letto bene l'azione e accelera all'ultimo passandogli davanti.

Questi sono i tre interventi cartolina di Muhamed Bešić contro il giocatore migliore al mondo, quelli in cui spiccano le sue qualità: abilità nell'uno contro uno difensivo, aggressività, senso della posizione, capacità di coprire grandi porzioni di campo.

Nonostante il titolo del video ci sono anche azioni di Bešić senza Messi, ma che importa: in una delle prime parte in pressione su Maxi Rodriguez, che copre la palla col corpo, mettendosi di lato, e Bešić gli va addosso come un ragazzino che non sa ancora come si frena la bici.

E magari Bešić avrebbe fatto percorso netto se a mezz'ora dal termine Bičakčić non fosse scivolato in ritardo al limite dell'area, mancando Messi che stava correndo in orizzontale lungo il perimetro dell'area di rigore bosniaca e atterrando proprio Bešić che lo stava inseguendo. L'argentino è entrato in area e ha segnato il 2-0.

A quel punto diventa significativa anche un'altra azione, per chi vuole conoscere davvero Bešić: un contropiede 3 vs 3 guidato da Messi con una corsa che comincia a metà campo. Lui è il quarto uomo e sta recuperando da dietro, dovrebbe aspettare che Messi rallenti e raddoppiare, ma il numero dieci argentino è veloce e Bešić non ha pazienza: si lancia in una scivolata disperata con cui non arriva neanche a fare fallo. L'Argentina va al tiro ma la palla esce.

Epicità

Al termine di quella partita non ha chiesto la maglia a Messi: «Non ho mai avuto idoli. Non ho mai tifato una squadra o un giocatore». Bešić è almeno in parte un mitomane ma è anche orgoglioso di giocare con la Nazionale che ha scelto, lui che è nato e cresciuto in Germania da padre e madre bosniaci: «I miei genitori non hanno mai cercato di influenzarmi», dice. «Forse per la mia carriera sarebbe stato meglio giocare per la Germania, ma il mio cuore ha sempre detto Bosnia. Le persone lì hanno una mentalità forte, non so perché ma mi sono sempre sentito bene in Bosnia». Quindi, dopo ogni partita in Nazionale, si tiene la sua maglia, anche se gioca contro il più forte giocatore al mondo.

Miralem Pjanic ha detto di giocare bene vicino a lui in Nazionale, e Bešić rende al meglio in un contesto che giustifichi l'epicità con cui scende in campo. Non toglie mai la gamba, offende arbitro e avversari in lingue a loro sconosciute, non rispetta niente e nessuno. Poche settimane fa, durante un'amichevole con l'Austria, ha subìto un brutto fallo cadendo sulla schiena. Quando si è rialzato, dopo aver provato a minacciare il colpevole, prima che battesse la punizione, il pubblico bosniaco lo ha acclamato, lui ha applaudito con le mani sopra la testa. In quella stessa partita, a parti invertite, Bešić è entrato duro a centrocampo (facendo saltare in aria un avversario in piena corsa) e senza neanche guardare l'arbitro che lo stava ammonendo si è messo insultare l'avversario a terra. Sono arrivati alcuni austriaci, lui non li ha degnati di uno sguardo continuando a prendersela con il malcapitato, in compenso in sua difesa è arrivato Edin Dzeko, che ha preso per il collo il difensore di origine serba Dragović.

Tu porta i tuoi i tuoi amici che Bešić porta Dzeko.

Breve riassunto della sua breve carriera

Bešić è nato a Berlino nel settembre del 1992, pochi mesi dopo, cioè, l'inizio del conflitto in Bosnia. La sua famiglia era originaria di Srebrenica, famosa per il massacro del 1995 in cui sono morti migliaia di bosniaci musulmani (durante il Mondiale, con alcuni compagni di squadra, Bešić ha visitato la Moschea di Cuiabá). Peccato che non gli piaccia parlare di sé o dei suoi, altrimenti magari avremmo una bella storia sul perché e come sono emigrati tipo quella della madre di Pjanic che lo fa piangere per ottenere i documenti dell'espatrio.

Ha fatto le giovanili nell'Amburgo e ha esordito in prima squadra a diciotto anni (stagione 2010-11), ma l'anno dopo l'allenatore Thorsten Fink lo ha messo fuori squadra, pare per una risposta di troppo. Deve avergli detto qualcosa di brutto se è vero che Fink ha provato a strangolarlo prima di buttarlo fuori dallo spogliatoio. Ma Fink deve essere suscettibile se dopo il litigio ha spinto l'Amburgo ha regalare Bešić agli ungheresi del Ferencváros. Per Fink evidentemente era più importante sbarazzarsi di lui, provando magari a rovinargli la carriera, piuttosto che ricucire i rapporti con un ventenne di talento che avrebbe potuto fargli comodo.

Bešić l'ha presa con filosofia: «A volte devi fare un passo indietro, per continuare ad andare avanti». In Ungheria ha anche ritrovato l'allenatore delle giovanili dell'Amburgo, l'olandese Ricardo Moniz, con cui ha passato due stagioni senza particolari problemi. Poi, grazie al Mondiale, si è fatto notare da club più importanti. E non solo per la marcatura su Messi: in quelle tre partite è stato il giocatore bosniaco con più passaggi, con più precisione e più chilometri percorsi, ma anche quello con più falli. Così è finito in Premier League, all'Everton.

L'erasmus ungherese di Bešić.

Difensore?

Ai tempi del Ferencváros, Tom Mortimer di HungarianFootball.com lo ha descritto così: «Molto combattivo, buon senso della posizione, bravo a far uscire palla dalla difesa. Un difensore di alto livello che può giocare in tutte le posizioni. A volte è indisciplinato, ma raramente. Il miglior difensore che abbia visto in Ungheria, ancora non capisco come sia possibile che giochi qui». Anche se giocava già a centrocampo ogni tanto, secondo Mortimer il suo futuro sarebbe stato «nel cuore della difesa». Ma da quando Bešić è arrivato all'Everton, Roberto Martinez lo fa giocare a centrocampo.

“Mo” (come in Inghilterra abbreviano il nome Muhamed) è un giocatore soprattutto difensivo ma non è un difensore. Ha segnato un solo gol in carriera ma la ragione principale per cui è più adatto al centrocampo non ha a che fare con i suoi difetti, ma con la sua migliore qualità. Francamente non ho visto molti giocatori capaci come Bešić di seguire gli inserimenti dei centrocampisti avversari o effettuare recuperi partendo da dietro. Giocando in difesa si ridurrebbe la porzione di campo che riesce a coprire con il suo incredibile dinamismo.

Nell'arco di una stessa azione, seguendo il pallone, Bešić è capace di portare pressione su tre avversari nel raggio di una ventina di metri, e questo un difensore non può permetterselo. Una volta arrivato davanti al giocatore in possesso del pallone, Bešić sposta il peso sulle cosce piegando la schiena in avanti, sembra un pugile in guardia in attesa che l'avversario faccia la prima mossa. E nell'uno contro uno preferisce gli interventi spettacolari a quelli prudenti da difensore esperto. Da una parte gli highlights con le sue scivolate reggono il confronto con i numeri offensivi dei suoi coetanei; dall'altra Bešić va a vuoto in più di un'occasione.

Lui sembra rendersene conto: «Posso scivolare di più da difensore centrale, ma c'è molto spazio dietro di me. Devo diventare più paziente». Ma sarebbe molto deludente se per fare carriera Bešić diventasse davvero più riflessivo, rinunciando all'aspetto più divertente del suo gioco.

Iconoclasta.

Roberto Martinez lo adora ma non lo fa giocare

In meno di un anno è diventato un idolo per i tifosi Toffees, che si chiedono perché non giochi mai novanta minuti senza essere sostituito o senza entrare dalla panchina. Martinez lo stima: «È impressionante il suo coraggio e la voglia di fare sempre la cosa giusta. Amo questo tipo di carattere, affidabile, puoi costruire una grande squadra attorno a giocatori del genere». E pensa anche che Bešić sia più «avanti del previsto» nel suo processo di adattamento nel calcio inglese. Le ragioni principali per cui lo sostituisce sono principalmente due. La prima è che titolare a centrocampo c'è Gareth Barry, un altro giocatore prettamente difensivo, solo con molta più esperienza di Bešić. La seconda è che Mo si fa spesso ammonire (per ora ne ha collezionate 8 in campionato, su 15 presenze da titolare).

Contro il Chelsea, lo scorso febbraio, Bešić ha cominciato coprendo alla perfezione il buco lasciato dal terzino destro, Coleman, chiudendo il trequartista brasiliano Willian in fallo laterale con una scivolata magnifica. Willian era scattato alle spalle di Bešić, e avrebbe potuto seguirlo Barry che lo aveva di fronte, che però non avrebbe il passo per seguirlo. Insomma, Barry gioca come un trentaquatrenne, ma Bešić come un ventenne: subito dopo quell'intervento (al quarto minuto di gioco) di nuovo in copertura su Coleman che ha perso una palla, Mo abbocca a una finta di Hazard e lo stende facendosi ammonire. E a fine primo tempo, Martinez lo ha tolto.

Martinez sa che quando Mo entrerà nel pieno della propria forma Barry avrà probabilmente smesso di giocare a livelli accettabili. Certo è anche comprensibile il disappunto dei tifosi dell'Everton, chi non vorrebbe vedere il più possibile in campo uno che al primo pallone giocato, nella prima amichevole con la sua nuova squadra, appena passato dalla periferia dell'Europa al campionato più ricco, fa una cosa del genere:

La timidezza non è un problema.

Street cred di livello internazionale

Con un carattere da mitomane è normale che Bešić dia il proprio meglio contro i grandi. La sua performance individuale più impressionante risale allo scorso ottobre, quando la Bosnia ha affrontato il Galles in una partita valida per le qualificazioni al prossimo Europeo (finita 0-0). La maglia rossa del Galles su Gareth Bale fa lo stesso effetto del mantello sulla schiena di Superman, e Bešić si è presentato subito chiudendolo in fallo laterale con una scivolata. A dire il vero Mo non è scivolato a terra, piuttosto è saltato in lunghezza atterrando sul pallone con il tacco.

Poi, nell'uno contro uno, ha avuto spesso la meglio, togliendo palla a Bale quando provava a dribblarlo, anticipandolo sulle palle difficili da controllare. Il meglio è arrivato nel secondo tempo, quando Bale si è involato sulla destra in contropiede. Bešić avrebbe potuto aggiungere il suo nome alla lista dei calciatori umiliati da Bale in velocità (vedi Bartra), invece gli corre a fianco per una ventina di metri prima di lanciarsi di nuovo alla ricerca del pallone, strappandoglielo letteralmente dai piedi. In quell'occasione, e nella partita di pochi giorni dopo contro il Belgio, si è visto anche come Bešić sia fenomenale in marcatura preventiva, mettendo pressione da dietro e impedendo di girarsi anche a gente come Bale e Hazard.

Se si giocasse a calcio uno contro uno in una gabbia, Bešić sarebbe il più forte giocatore al mondo.

Playmaker?

I paragoni più facili da fare sono quelli con centrocampisti dinamici e aggressivi. L'intensità è simile a quella di Arturo Vidal, anche se Bešić è più portato al recupero e meno all'aggressione frontale. Davanti all'avversario non va alla ricerca del pallone, preferisce mettersi in guardia, spostando il peso sulle gambe pronto a scattare da una parte o dall'altra. Le sue scivolate ricordano quelle di Nainggolan, anche se rispetto al belga è più istintivo e meno potente, con un livello di rischio vicino agli interventi “o la va o la spacca” di De Rossi. Contro il Chelsea si è trovato di fronte il centrocampista serbo Nemanja Matić, che lo ha spostato di peso in un paio di occasioni. «Sono un po' troppo magro, devo mettere su ancora un po' di chili. Passo molto tempo in palestra», ha detto Bešić. Ma il pericolo è che diventi più lento e copra meno terreno: un problema di cui soffre proprio Matić, giocando vicino a un centrocampista che sale parecchio il campo come Fabregas.

Dopo aver guardato ore di sue partite e highlights individuali, ho pensato che per certi versi Muhamed Bešić somiglia a un classico playmaker. Non solo è più tecnico dei giocatori citati sopra, e con il piatto destro arriva praticamente in ogni angolo di campo, ma il modo in cui protegge palla di spalle finché l'avversario allenta la pressione e lo lascia libero di giocare, sembra quello dei grandi giocatori. Sempre contro il Chelsea, Lukaku gli ha passato una palla a orologeria in una zona congestionata di campo, Hazard è corso alle sue spalle salendogli praticamente sulla schiena e Bešić ha allargato le gambe per non farsi superare, finché Hazard ha perso la forza necessaria a restare in sella.

Sotto pressione, Mo si libera della marcatura a forza di strappi sul posto, sbilanciando gli avversari alle sue spalle con finte in una direzione e nell'altra, oppure, se ha spazio, girando su sé stesso finché non riescono più a seguirlo. Oltretutto, ha anche un ottimo dribbling nello stretto.

Bešić racconta che da piccolo giocava numero dieci ma che è stato arretrato in difesa intorno ai sedici anni, per via di quell'aggressività che, dice, «viene da dentro». Adesso non si spinge mai oltre la trequarti di campo, tranne nelle partite in cui l'Everton si trova a dominare il possesso (come contro il West Bromwich di Tony Pulis) e Martinez chiede a lui di alzare il proprio baricentro lasciando dietro Barry. Per ora sembra a disagio quando arriva nei pressi dell'area di rigore avversaria, ma non è escluso che in una squadra più fluida o con un baricentro più alto (tipo una tedesca) la sua visione di gioco migliori ulteriormente.

Certo, Bešić non è privo di difetti.

Vedi a tirarsela troppo.

Difetti

Mo ama il rischio, il contatto con l'avversario, con e senza palla. Quando è in possesso raramente si appoggia ai difensori, preferisce aspettare che l'avversario gli arrivi sotto per dribblarlo, come se volesse dimostrargli che ha sbagliato anche solo a pensare di potergli togliere palla.

Poi: Bešić, per usare un anglesismo, non sa scegliere le sue battaglie. Entra in tackle sempre e comunque, senza adattarsi al tipo di avversario che sta marcando. Rimbalzava contro Matić e partirebbe all'assalto di un orso a mani nude, se l'orso avesse una palla da calcio tra le zampe posteriori.

Non si rende conto dei suoi limiti, o semplicemente non li accetta. È ingenuo e impulsivo: «Non studio mai i miei avversari. Gioco e basta. Anche quando ho dovuto affrontare Messi, non ho guardato i suoi video. Tranne quelli che l'allenatore ha mostrato a tutta la squadra. Ho fiducia nel fatto che nell'uno contro uno sono difficile da superare».

Avrebbe un ottimo tempismo e senso della posizione, ma non temporeggia mai veramente, si fa attrarre dalla palla per entrare in contrasto, a volte in maniera così cieca che sembra si stia lanciando contro un muro. Raramente si rialza con la palla tra i piedi, più spesso la manda fuori, o lontana, si direbbe che se potesse bucarla con ogni scivolata sarebbe felice.

Frasi di gioventù

Bešić ha già posato per un magazine bosniaco nei panni del duro romantico, con i capelli lucidi all'indietro e la camicia aperta sul petto senza peli da post-adolescente. Nonostante ciò non sembra affatto uno della sua generazione. Non lo interessava niente a parte giocare a calcio e andava male a scuola, non beve e ha fumato solo una sigaretta quando era più giovane. Da quando ha diciassette anni contribuisce ai conti della famiglia e dice che la sua sfera privata è sacra: «Meno la gente sa, più ha rispetto». Gli piacciono i film d'azione, il suo attore preferito è Jason Statham. Non guarda molto calcio perché gli basta giocare e allenarsi: «Non ho un modello. Io sono io». Il suo motto è: «L'Uomo propone, Dio decide».

La speranza è che Muhamed resti così, idolo senza idoli, che il calcio non lo cambi, che non cominci a farsi le foto con le auto costose, che si accontenti di spargere terrore nel campo da calcio, nutrendosi dell'amore dei suoi tifosi e dell'odio dei suoi avversari.

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