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Il club peggio gestito d'Inghilterra?
28 feb 2023
Una girandola di allenatori, scelte di mercato sbagliate e una dirigenza in guerra.
(articolo)
12 min
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IMAGO / PA Images
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Il 25 gennaio il Tottenham annuncia l’acquisto di Arnaut Danjuma dal Villarreal. Poche ore dopo, nella sua prima intervista con la nuova maglia, l’olandese dice: «appena si è presentata l’occasione non ci ho pensato due volte». Non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che poco meno di una settimana prima Arnaut Danjuma si trovava al campo d’allenamento dell’Everton, in attesa di firmare il suo nuovo contratto, avendo già superato le visite mediche, conosciuto la dirigenza e addirittura ricevuto il materiale da allenamento del club. Ad aver fatto cambiare idea a Danjuma pare sia stato il licenziamento di Frank Lampard, avvenuto il giorno dopo la sua visita a Halewood a causa di una sconfitta con il West Ham.

Il mancato arrivo dell’olandese è stata la ciliegina sulla torta di tre settimane a dir poco tremende per l’Everton in cui era successo di tutto. Prima della sconfitta con il West Ham, ne era arrivata un’altra contro il Southampton ultimo in classifica, sconfitta questa che aveva preceduto l’annuncio della cessione di Anthony Gordon, uno dei giocatori più importanti della squadra. Nel frattempo, i dirigenti del club sono stati aggrediti e minacciati da alcuni tifosi ed è iniziata a circolare la voce che il proprietario, Farhad Moshiri, avesse messo in vendita il club. La notizia della vendita del club era stata accolta molto bene dalla tifoseria, salvo poi essere smentita dallo stesso Moshiri, il quale invece stava solo cercando investitori per il progetto del nuovo stadio, attualmente in costruzione nei Docks di Liverpool.

Neanche i giocatori sono scampati alla furia dei tifosi

La confusione gestionale dell’Everton

Moshiri è probabilmente il simbolo, nonché il principale responsabile, del tracollo che l’Everton ha vissuto negli ultimi sei anni. Questo disastro dirigenziale, apparentemente incomprensibile, nasce in un gigantesco circolo vizioso di scelte ambiziose spesso non aderenti alla realtà che hanno portato il club da essere una contender per l’Europa nel campionato più difficile del mondo alla lotta per la salvezza.

Gli errori dell’Everton si somigliano tutti tra di loro e iniziano da lontano. Nel 2016 viene scelto come nuovo allenatore Ronald Koeman a cui viene fatto firmare un contratto di tre anni. L’idea è di aprire un progetto tecnico nuovo e ambizioso, con un tecnico dalla precisa identità (formato tra Barcellona e Ajax) e che ha fatto bene in Premier con il Southampton. Dopo una prima ottima stagione, però, Koeman paga una brutta partenza e viene licenziato, al suo posto Sam Allardyce. Il suo arrivo sulla panchina implica allora un rigetto delle idee del tecnico olandese, totalmente all’opposto di quelle del suo successore.

Allardyce firma un contratto da quasi 10 milioni di sterline e, si può pensare, sarà lui a plasmare l’Everton del futuro. Ma non è così: a fine stagione Allardyce viene esonerato - nonostante un non terribile 8° posto - e sostituito da Marco Silva. Dopo un anno e mezzo è Marco Silva a essere rigettato dall’Everton e sostituito da Ancelotti.

Il tecnico italiano è il primo a rompere questo continuo ciclo di licenziamenti e nuovi progetti. È lui nell’estate del 2021 ad annunciare il suo addio per tornare al Real Madrid. Oggi che la mossa degli spagnoli ha dato i suoi frutti sembra una scelta normale, ma in quel momento è così improvvisa e avventata che l’Everton è colto del tutto impreparato. Con una nuova stagione da preparare e senza un piano, inizia un processo alla ricerca del suo sostituto. La società riceve i rifiuti, si dice, di David Moyes, Roberto Martinez, Graham Potter e Nuno Espirito Santo e finisce per scegliere Rafa Benitez, che tra l’altro è storicamente legato ai rivali del Liverpool. Questo è, con ogni probabilità, il momento in cui la mediocrità dell’Everton inizia a declinare verso il dramma.

Il crollo con Benitez

Un dramma che, però, nessuno vede arrivare. Benitez, infatti, comincia bene: l’Everton vince quattro delle prime sei partite della nuova gestione e riesce a strappare anche un pareggio contro il Manchester United, un risultato che lascia credere che si possa lottare anche per uno dei primi sei posti in campionato. La sua squadra non esprime un gioco particolarmente brillante ma sembra solida e, in generale, non troppo dissimile da quella vista sotto Ancelotti.

Il crollo però è dietro l’angolo e nelle successive dieci partite l’Everton raccoglie una sola vittoria. L’approccio di Benitez finisce per penalizzare molti dei giocatori dei Toffees. Il più danneggiato è Lucas Digne, che negli anni precedenti era stato uno dei terzini più creativi dell’intera Premier ma che con l’allenatore spagnolo peggiora le sue prestazioni. Lo stesso Digne sembra insofferente alla situazione e quando Benitez decide di togliergli tutte le responsabilità sui calci piazzati la situazione deflagra: a inizio dicembre i due hanno una lite davanti alla squadra e il francese viene messo fuori rosa.

Nella gestione di questa lite, la dirigenza dell’Everton mostrerà tutti i suoi limiti. Prima si schiera dalla parte di Benitez, cedendo il terzino all’Aston Villa nel mercato di gennaio per accontentare l'allenatore, salvo poi licenziarlo tre giorni dopo, praticamente ripudiando la scelta fatta tre giorni prima.

Non si mostrerà particolarmente illuminata neanche nella scelta del sostituto, quando la situazione prenderà una piega quasi comica. Il 27 gennaio, infatti, l'allenatore portoghese Vitor Pereira rilascia un’intervista a Sky in cui racconta il suo colloquio con Moshiri e la dirigenza dell’Everton: «Penso che siano stati entusiasti di ciò che ho proposto: un gioco intenso, fatto di pressing e di possesso». Aggiunge poi: «Ho ricevuto un buon feedback». Il 31 gennaio l’Everton annuncia invece che il suo nuovo allenatore sarà Frank Lampard.

Rispetto alle proposte ambiziose di Vitor Pereira, Lampard presenta un Everton meno spettacolare ma non per questo più efficace. Con l’ex centrocampista del Chelsea in panchina arrivano otto sconfitte nelle successive undici partite di Premier League, con l’Everton finisce in zona retrocessione a inizio aprile. La stagione, che si era aperta come mediocre, inizia ad assumere una piega catastrofica. Saranno poi Richarlison, Anthony Gordon e soprattutto Jordan Pickford a tenere l’Everton in Premier. In particolare, Pickford diventa forse il vero eroe di quella stagione con due partite incredibili contro Manchester United e Chelsea e in quest’ultima regalerà anche una parata semplicemente incredibile su un destro di Azpilicueta.

Come si è arrivati a questo punto

Dopo una stagione come l’ultima, da una dirigenza ambiziosa come quella dell’Everton ci si sarebbe aspettato un mercato importante, una dichiarazione d’intenti verso gli obiettivi della squadra, che non sono certo - almeno a parole - il navigare sul pelo della zona retrocessione. L’unico acquisto nelle prime settimane di mercato, però, è lo svincolato difensore centrale Tarkowski, appena retrocesso con il Burnley. Mentre, ancora prima dell’apertura del mercato, era arrivata la cessione di Richarlison al Tottenham.

Il sostituto del brasiliano arriva a sole due settimane dall’inizio della stagione ed è Dwight McNeil. McNeil è quasi il negativo di Richarlison: un esterno mancino, con un bagaglio tecnico modesto, usato principalmente come arma per far risalire il pallone e riempire l’area di cross, reduce da una stagione senza gol e con un solo assist nel Burnley. Nelle sue prime parole da giocatore dell’Everton, spiega che, parlando con Lampard, gli era stato promesso una stagione ben al di sopra della lotta salvezza. Resta complesso capire sulla base di cosa.

La rosa dell’Everton non sembra così povera di qualità ma, soprattutto negli ultimi due anni, è stata assemblata con poco criterio. Quest’ultimo mercato non fa differenza visto che gli acquisti, quasi tutti tardivi, hanno portato giocatori incapaci di alzare il livello della rosa, con la sola eccezione del centrale Conor Coady. Persino Amadou Onana e Gueye, che sono stati forse i due acquisti più importanti del mercato, non hanno costituito un grande miglioramento a un centrocampo a cui manca qualità, specie dopo la cessione, negli ultimi momenti del mercato, di André Gomes.

Questa grave mancanza strutturale costringe Lampard a inventarsi soluzioni creative, come quella di impiegare Alex Iwobi - nominalmente un esterno alto - come mezzala in un centrocampo a due. L’intuizione di Lampard funziona anche ma rimane una pezza su un problema strutturale che va avanti da anni. L'Everton, in sostanza, è una squadra spezzata in due, con poche soluzioni offensive inaridite ulteriormente dalla cessione di Richarlison e dai continui infortuni di Dominic Calvert-Lewin.

A inizio stagione Lampard prova a disegnare la squadra con un tridente fluido, composto da McNeil, Gordon e Demarai Gray senza, però, ottenere grandi risultati. La dirigenza decide di intervenire solo negli ultimi giorni di mercato, con la stagione già iniziata da settimane, acquistando il centravanti ex-Brighton Neal Maupay. Il francese – che al Brighton si era reso celebre soprattutto per i suoi errori in finalizzazione – segnerà un solo gol in 12 partite ma che sarà decisivo per battere il West Ham. Questa vittoria, la prima stagionale, si incastra in una serie di quattro pareggi consecutivi e sarà seguita due settimane dopo, dalla seconda vittoria stagionale, contro il Southampton. A inizio ottobre, in qualche modo, l’Everton è a metà classifica, imbattuto da sei partite e con la miglior difesa del campionato. Un'altra volta, però, il crollo è dietro l'angolo. A sancire l'irreversibilità della situazione arrivano due sconfitte proprio contro Southampton e West Ham – rispettivamente decima e undicesima in 14 partite – che segneranno la fine dell’era Lampard.

Una decisione inevitabile ma che, ancora una volta, non risolve i problemi dell’Everton, che sembrano prima di tutto societari. Il club, infatti, non sembra prendere decisioni in modo lineare: la stessa scelta di Lampard, stando alle ricostruzioni, sarebbe arrivata al termine di una delicata situazione in cui la sua candidatura era supportata dal board mentre quella di Vitor Pereira da Moshiri. L’Everton è un club in cui coesistono troppi interessi, spesso contrastanti, e le decisioni sembrano semplicemente il risultato della vittoria di una guerra tra bande più che di un processo collettivo organizzato.

I nomi di cui si è parlato come possibili sostituti di Lampard sembrano confermare questa teoria. Il primo è quello di Bielsa, che avrebbe rifiutato in maniera spettacolare. Il tecnico argentino avrebbe chiesto piuttosto di prendere il controllo dell’Under-21 dell'Everton fino a giugno per poi passare in prima squadra. Un’altra surreale storia che fa il paio con il fatto che l’altro candidato forte – che poi diventerà il nuovo manager – è un allenatore idealmente all’estremo opposto di Bielsa come Sean Dyche.

Resta difficile comprendere come un club possa avere due nomi così diversi candidati allo stesso posto e Jamie Carragher ha, giustamente, espresso con grande violenza le sue perplessità: «L’Everton è il club peggio gestito di tutto il paese», ha detto l'ex giocatore del Liverpool oggi commentatore di punta per Sky, «I club che sono gestiti bene hanno un’identità, costruiscono un gruppo di giocatori e scelgono un allenatore adatto. L’Everton si muove da un estremo all’altro dello spettro».

La scelta di Dyche, però, può essere inserita in un tentativo di progettualità forse leggermente diverso dal passato. Nell’immediato è un allenatore che sa fare la lotta nel fango per salvarsi, ma in ottica futura può essere anche sfruttato per ricostruire il club nell’eventualità di una prossima stagione in Championship.

La retrocessione, inevitabilmente, sarebbe lo scenario più inquietante per l’Everton. Il club è uno dei sei che hanno disputato tutte le stagioni di Premier League dalla sua nascita a oggi e non retrocede dal 1951. Lo scenario di questa stagione tuttavia appare molto più tragico di quello della scorsa stagione, quando bastarono quattro vittorie per risollevarsi. Le altre squadre in difficoltà insieme all'Everton - come Nottingham Forest, Bournemouth e Wolverhampton - sono intervenute pesantemente sul mercato per provare a raddrizzare la stagione. L'Everton invece, dopo aver ceduto un uomo chiave come Gordon e mancato l'acquisto di Danjuma, hanno chiuso il mercato in bianco. Conor Gallagher, Hakim Ziyech, Nicolò Zaniolo e André Ayew tutti - sembra - hanno preferito declinare le offerte dell'Everton pur di non infilarsi in una situazione così complessa.

In quel momento, dopo venti giornate, l’Everton era penultimo con 15 punti in classifica. Considerando i tre punti a vittoria è il peggior risultato della storia del club, pareggiato solo dalla stagione della retrocessione. Come se non bastasse, il manager del Southampton Nathan Jones aveva tenuto a sottolineare l’estrema fisicità della gara di metà gennaio vinta dai suoi Saints contro l’Everton, paragonandola a quelle che si vedono normalmente in Championship.

Se inizialmente le parole di Jones volevano suonare come un sinistro presagio, col senno di poi hanno semplicemente anticipato le scelte della società. Al suo debutto sulla panchina dell'Everton, Dyche ha schierato l'Everton con un 4-3-3 molto ordinato e combattivo. Contro l'Arsenal primo in classifica si è vista una squadra con davvero poca qualità ma con molta fisicità, visti gli inserimenti di Doucouré nei tre di centrocampo e il ritorno di Iwobi sull’esterno.

La partita con l’Arsenal è a tutti gli effetti un capolavoro del vecchio Dycheball. L'Everton, in mano al suo nuovo manager da neanche sette giorni, ha gioca con un’intensità inaudita, intasando alla perfezione il centro del campo e forzando l’Arsenal a un'estenuante partita di duelli individuali. Una partita che sembra uscita direttamente dall'archivio delle migliori del Burnley di Dyche. All'Everton era bastato un calcio d'angolo per portare a casa la vittoria: assist di McNeil, testa di Tarkowski. È il gol simbolo del Dycheball, segnato dai due uomini fondamentali del suo Burnley e che aggiunge una dimensione quasi mistica a una prestazione positiva come non si vedeva da oltre un anno.

L’esordio di Dyche ha assunto le sembianze di uno statement in piena regola: una vittoria pesante e ottenuta con un'identità sorprendentemente chiara dopo neanche una settimana, contro la squadra più in forma del campionato. Una prima conferma di quanto visto arriva due settimane dopo, quando un tiro – o forse un cross – di Coleman da posizione incredibilmente defilata trova Meslier incredibilmente fuori posizione, firmando l'1-0 con cui l'Everton ha battuto il Leeds nel primo scontro-salvezza della nuova gestione. È una vittoria dai molteplici significati: il più immediato è che l'Everton è uscito fuori dalla zona retrocessione per la prima volta in due mesi (ci ritornerà una settimana dopo), ma il più positivo è che dopo appena tre settimane la squadra ha già mostrato due prestazioni in cui ha applicato in modo quasi perfetto le idee del suo nuovo allenatore.

È ancora presto per dire se queste due partite - a cui fanno da contraltare due sconfitte nette contro Liverpool e Aston Villa - potranno costituire una rinascita, ma sicuramente segnano un primo passo verso l'acquisizione di un'identità chiara, forse ciò di cui l'Everton aveva in assoluto più bisogno in questo momento.

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