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Prigioniero Witsel
04 set 2015
Anche quest'anno Axel Witsel rimarrà in Russia. Che giocatore perde il Milan?
(articolo)
15 min
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Nell’estate del 2012 Axel Witsel è cercato dai più grandi club europei. In particolare, si parla di un interessamento del Real Madrid, ma neanche i blancos riescono ad andare incontro alle esose richieste economiche del Benfica. Il 3 settembre, quando il mercato è chiuso nel resto d’Europa, lo Zenit San Pietroburgo paga l’intera clausola rescissoria del belga: 40 milioni di euro, evitando negoziazioni estenuanti. Qualche ora prima i russi avevano pagato altri 50 milioni al Porto per acquistare il brasiliano Hulk.

Lo Zenit è in un periodo di particolare bonanza economica e non cerca sconti nel tentativo di alzare il profilo europeo della squadra, rimasto fermo alla vittoria in Supercoppa europea di quattro anni prima. Luciano Spalletti ha imposto alla squadra una vocazione associativa al gioco che ha portato la vittoria del campionato l’anno precedente, ma per compiere un ulteriore salto servono giocatori di livello internazionale, in grado di reggere l’urto con le pressioni della Champions League, rimasta fino a quel momento una competizione molto sfortunata.

L’impatto mediatico dei due acquisti in Russia è enorme: per la prima volta la squadra campione nazionale si mangia la concorrenza passando direttamente alla cassa, senza ridursi a mostrare i muscoli nel mercato interno, com’era costume. All’arrivo dei due talenti stranieri, però, si rompe la struttura salariale esistente, spaccando lo spogliatoio: alcuni dei senatori della squadra finiscono così in attrito con la dirigenza e costringono il primo tifoso della squadra, Vladimir Putin, a intervenire pubblicamente, attaccando senza fare nomi i dissidenti. Putin ha dichiarato che: «I fan vogliono vedere stelle mondiali, non quelle che sono in declino, ma quelle che sono al loro picco».

Spalletti conosce bene il talento belga, avendolo studiato a fondo per preparare gli ottavi di Champions League la stagione precedente contro il Benfica. Invaghitosi del centrocampista, l’allenatore toscano decide che sarà lui il pezzo pregiato attorno al quale costruire il centrocampo della squadra. Perché per il suo calcio di possesso serve un giocatore associativo e per tenere botta sui campi russi serve una certa fisicità: Witsel agli occhi di Spalletti ha entrambe queste qualità. Nell’anno al Benfica, inoltre, Witsel ha dimostrato di poter giocare in più ruoli senza calare di rendimento, persino quando utilizzato come ala destra (per fortuna sporadicamente).

Il giocatore arrivato dal Benfica era pronto a fare l’ultimo salto di qualità.

Adesso che scrivo sono passati tre anni dal suo arrivo allo Zenit, Spalletti ha lasciato la squadra in mano a Villas-Boas, che la scorsa stagione ha subito centrato il titolo, anche se il percorso in Champions League è stato ancora una volta deludente. In questi tre anni Witsel ha dimostrato di essere un professionista serio: ha imparato un po’ di russo (cosa assolutamente non scontata né banale, visti i precedenti dei compagni di squadra stranieri) e sembra essersi ambientato bene alla vita in Russia con famiglia al seguito, almeno così sembra dai social network. In campo, però, le cose non sono andate come sperava.

Problemi di posizione

Per spiegare l’innalzamento del suo gioco, Witsel offre una chiave tattica: «Quando è arrivato, Villas-Boas mi ha dato molta fiducia: mi ha messo in una posizione più avanzata per essere più offensivo e il mio gioco è tornato». Riguardo al tecnico toscano invece ha dichiarato: «Spalletti è stato qui per molto tempo, ma con lui avevo un ruolo più difensivo. Mi piace essere più offensivo e muovermi avanti e questa è la differenza dal mio punto di vista».

Effettivamente la sua posizione in campo si è modificata dall’arrivo di Villas-Boas. Spalletti vedeva in Witsel un centrocampista difensivo moderno e lo aveva utilizzato di conseguenza (esattamente come Wilmots con la sua Nazionale al Mondiale 2014). Per il calcio voluto da Villas-Boas, invece, il regista deve essere più libero di muoversi in modo da raccordare i reparti: il suo Zenit gioca un calcio di possesso, con un’azione che parte dal basso attraverso una circolazione di palla lenta e paziente, in attesa di trovare il momento giusto per verticalizzare. L’accelerazione alla manovra la danno sopratutto gli esterni, che possono andare sul fondo oppure combinare con la punta ed entrare in area.

Per far circolare il pallone partendo dal basso in attesa di verticalizzare, Witsel condivide il centro del campo con il mediano posizionale Javi García, che si limita spesso a dare la palla al giocatore più vicino quando in possesso. Witsel si muove per ricevere e iniziare la distribuzione, scegliendo anche quando cambiare gioco con un lancio per il terzino sulla fascia opposta nel caso in cui l’azione abbia bisogno di guadagnare ampiezza.

Il tecnico portoghese non sovraccarica Witsel di particolari compiti senza palla, lasciandolo concentrare nella gestione del possesso, dove risulta fondamentale anche nell’assorbimento del pressing avversario grazie a una grande capacità di protezione del pallone, una delle sue migliori caratteristiche. Secondo lui la sua migliore. Witsel è in grado di controllare e proteggere la palla sia con la tecnica che utilizzando la sua notevole struttura fisica.

«Credo che la mia qualità maggiore sia il modo in cui proteggo la palla».

Talento totale e imperfetto

Axel Witsel ha un fisico statuario: le spalle larghe e la chioma afro lo fanno sembrare più alto dei suoi 186 centimetri. Quando deve proteggere la palla con il corpo è abituato a tenere il pallone sotto di sé facendolo scorrere subito dopo lo stop, sporgendo le anche (il sedere) come un giocatore di basket che protegge il palleggio, togliendo spazio all’intervento dell’avversario. Le gambe lunghe coprono una superficie abbastanza ampia, e con un forza sufficiente a respingere quasi ogni aggressione. Se non ha l’uomo addosso, ma solo nelle vicinanze, lo stop è più tecnico e pulito: sempre e solo di destro, è capace di mettere giù con il collo del piede anche lanci di 30 metri come un tennista controlla una palla da tennis con la racchetta, mantenendo sempre l’equilibrio.

Una volta addomesticata, la palla rimane sempre a contatto del piede, con un ottimo repertorio di controlli e di buona creatività per uscire palla al piede dall’intervento diretto. La ricezione prevede sempre un’azione successiva, raramente si avventura in tocchi di prima, se non per chiudere un triangolo al limite dell’area.

Vederlo perdere palla è un evento raro durante una partita, e solitamente lo si può attribuire alla distrazione più che all’intervento avversario. Appoggiandosi al fisico o alla tecnica, finisce per perdere solo un pallone di media a incontro.

Witsel è un buon passatore, ma ha molti difetti. Tanto per cominciare il repertorio dei suoi passaggi non è molto vario: va dal piatto rasoterra per il compagno vicino al rasoterra teso per il compagno a media distanza, fino al lancio di collo interno per chi sta lontano. Utilizza quasi solo la parte interna del piede e con un scarsissima dose di creatività. Una linearità paradossale se consideriamo l’abilità e la creatività nel controllo palla, dove utilizza tutto il piede.

Forse Witsel preferisce dare palle sicure per mantenere un possesso che metta a proprio agio i compagni meno dotati. Il basso grado di difficoltà dei passaggi alimenta la percentuale dei passaggi riusciti, vicina all’86%. Raramente si avventura in passaggi che concludano l'azione: sfrutta raramente la propria visione di gioco e questo si rispecchia nella bassa media di passaggi chiave a partita (1). Sotto la guida di Villas-Boas, Witsel gioca più avanzato, ma il peso del suo gioco è sulla costruzione dell’azione e non sulla sua definizione.

L’idea di Villas-Boas è di massimizzare la sua capacità con il pallone il più possibile, facendone parte integrante di ogni manovra della squadra.

Non è un regista

Il coinvolgimento costante in fase di creazione non fa che sottolineare dei difetti del gioco di Witsel che potevano essere “addomesticati”, ma che dopo questi anni in Russia sono ormai impossibili da ignorare.

Witsel si fida talmente del suo controllo da risultare quasi letargico quando in possesso del pallone e con spazio intorno a sé, cosa che rallenta ancora di più l’azione di quanto non faccia la sua abitudine a giocare sempre con minimo due tocchi. Il fatto che debba pensare prima di eseguire un passaggio complesso non aiuta il ritmo della squadra, già di per sé lento. Le squadre che praticano un calcio di possesso hanno sì bisogno di precisione nel gesto (e quella Witsel l’assicura sempre), ma anche di un giocatore in grado di mantenere il ritmo del possesso non fermando ogni volta il pallone prima di alzare la testa e decidere cosa farci. La sua gestione del pallone rallenta l’avanzare della manovra offensiva voluta da Villas-Boas, e i giocatori più offensivi finiscono per perdere dei tempi di gioco in attesa dell’innesco.

Per questo Witsel va considerato come una mezzala di possesso, forzato con il tempo a toccare troppi palloni e finito a giocare da regista, e tutto questo non ha aiutato il suo sviluppo come calciatore. Un esempio lampante di questo snaturamento sta nel modo in cui Witsel si fa attrarre dalla palla quando un suo compagno ne è in possesso, andando continuamente incontro al pallone anziché cercare di leggere lo spazio e posizionarsi dove converrebbe per sviluppare l'azione.

Forse si tratta di indicazioni di Villas-Boas, ma ogniqualvolta la palla è in possesso della sua squadra Witsel è nel raggio di venti di metri, dimenticando quanto gli sta intorno e guardando solo il pallone. Lo desidera al punto da venirselo a prendere camminando se è troppo vicino, avvicinandosi al portatore invece di distanziarsi e lasciare più opzioni di passaggio al compagno, o mantenendo la posizione se già libero. Arriva quasi a pestare i piedi dei compagni, con lo Zenit che si trova ad avere due giocatori sempre vicini al pallone e facilitando così il compito degli avversari in pressing.

Eppure, quando è in possesso del pallone, ha sviluppato un meccanismo di passaggio e corsa interessante per non dare punti di riferimento agli avversari: si sgancia con uno scatto non appena il pallone si avvia verso il compagno a cui intende passarla, appena lascia la palla, cioè, salta una linea avversaria in avanti.

Un assaggio del vario repertorio a disposizione di Axel Witsel.

Torre

Per quanto riguarda l’aspetto prettamente offensivo, Witsel possiede un tiro potente, esteticamente perfetto, ma che viene sfruttato poco (solo in questo inizio di stagione sembra aver deciso di provare di più la conclusione, superando i 2 tentativi a partita). Non tirando molto punisce le difese soprattutto nei duelli aerei. Il discorso sui duelli aerei merita un approfondimento, perché Witsel condivide con Fellaini, ex compagno di squadra allo Standard Liegi e attuale compagno di Nazionale, un’abilità di prim’ordine.

Witsel ha uno stacco potente che, aiutato dalle spalle larghe, gli permette di vincere praticamente sempre il duello aereo con l’avversario. Non è un’esagerazione, la palla di testa riesce a prenderla anche senza bisogno di smarcarsi, dato che nello stacco o arriva prima o sposta direttamente il marcatore. Con il tempo ha poi imparato anche a essere preciso. E forse anche questa abilità aerea tanto spiccata ha portato Spalletti a posizionarlo davanti alla difesa, così da poter rendere innocui i rilanci dei portieri avversari. Questo compito è ora preso in carico da Javi García, con Witsel portato a essere più pericoloso di testa in fase offensiva.

Nei calci piazzati è un giocatore da dover marcare strettissimo.

Pigrizia senza palla

Il gioco senza palla, quando la squadra non è in possesso, risente poco della sua attrazione viscerale per la sfera: Witsel non si getta nel recupero a testa bassa, se non per poche azioni a partita, e solitamente preferisce posizionarsi sulle linee di passaggio per recuperare palla leggendo il gioco avversario, piuttosto che provare a far valere la stazza nei contrasti. Non è un grande recuperatore di palloni: nonostante i contrasti siano decisi, rimangono decisamente pochi nel corso della gara, dando l’impressione di un giocatore pigro, se consideriamo l’ottima pressione in grado di esercitare quando la situazione lo richiede.

Il belga recupera o intercetta poco meno di 3 palloni a gara, e considerata la posizione in campo e le potenzialità fisiche a disposizione rimane poca cosa. Se superato, poi, non rincorre (anche perché non rapidissimo) e i suoi tentativi sono singoli: se riesce lo fa con ottimo stile, ma in caso contrario lascia l’uomo in possesso tranquillo di avanzare.

Visti anche i problemi in marcatura, dove guarda sempre la palla in possesso contrario invece che l’uomo libero da anticipare, si può dire che tutta la sfera del suo gioco senza palla è stata poco sviluppata, lasciando il talento a dettare al giocatore la scelta da prendere. Pur mancando in rapidità per i recuperi, possiede comunque una buona corsa ad ampie falcate, buone letture e un fisico che potrebbero fargli eseguire ottimi interventi. A 26 anni però anche questo aspetto del suo gioco non so quanto possa essere sviluppato.

Crescita bloccata

In questi tre anni la crescita del giocatore sembra essersi arrestata. Non solo i difetti strutturali sono rimasti gli stessi dall’arrivo a San Pietroburgo, ma anche quelli “allenabili” non sono del tutto spariti. Witsel aveva margini di miglioramento e il potenziale per diventare una stella mondiale, cosa che a 26 anni sembra ormai molto difficile: «Quando ero al Benfica ho avuto la possibilità di andare al Real Madrid, anche se alla fine non si è compiuta per diverse questioni. Non sono rimasto triste al riguardo per molto tempo però. Ho girato pagina rapidamente. Ho 26 anni, sono ancora giovane e sono una persona molto paziente».

Il livello del campionato russo purtroppo non ha seguito lo sviluppo che sembrava potesse prendere solo un lustro fa (finendo addirittura per regredire con la crisi finanziaria e le nuove regole sugli stranieri) e con il campionato che non ha la competizione necessaria a mettere in difficoltà il giocatore, lui non è riuscito a tirare fuori il meglio di sé, andando a coprire i margini di miglioramento che si erano visti a inizio carriera.

Si è accorto di questo il padre, Thierry Witsel, che già in primavera aveva parlato della necessità per il figlio di andare via: «Axel non si è mai rammaricato per la sua decisione di andare dal Benfica allo Zenit, ma tre anni a San Pietroburgo sono abbastanza». Quando però è arrivato il mercato estivo, c'erano poche spasimanti tra i grandi club d’Europa.

Vuoi per le scelte tattiche degli allenatori che non sembrano aiutarne la crescita, vuoi per un contesto non competitivo al massimo, vuoi semplicemente per un'incapacità di superare i propri limiti, Witsel non ha ancora fatto il salto di qualità. E questo ha pesato anche in sede di mercato, dove, probabilmente vedendo in lui un prodotto finito e non più migliorabile, nessuna pretendente alla Champions League ha fatto un’offerta, neanche il Chelsea o la Juventus, che sembravano interessate fino a pochi mesi fa, hanno deciso di provarci, spaventate anche dal rifiuto della dirigenza dello Zenit a considerare ogni tentativo di trattare sul prezzo del giocatore, spingendo i possibili acquirenti verso la ridicola clausola rescissoria di 100 milioni. La risposta sprezzante di chi non ha mai “necessità” di vendere.

Perché alla fine Witsel è un ottimo giocatore, con pregi e difetti evidenti, che possiamo paragonare, ad esempio, all'investimento del Chelsea su Matic: un giocatore dal rendimento sicuro, forte di pregi e difetti definiti che non compromettono il suo valore in un contesto vincente, ma che non lo innalzano quanto una vera stella potrebbe fare.

Con il proseguire del mercato, però, la posizione della dirigenza di San Pietroburgo sembrava essersi ammorbidita, passando alla richiesta più ragionevole di 40 milioni, quelli spesi per averlo, fino a scendere a circa 25 milioni. La cosa ha avvicinato alcune squadre che non giocheranno la Champions League come Milan e Tottenham, club più inclini a rischiare per un giocatore che per loro rappresenta, a partire dalle evidenti lacune a centrocampo, un valore aggiunto chiarissimo.

Witsel ad esempio nel Milan farebbe la fortuna della squadra, apportando quello che Montolivo non è mai riuscito a offrire del tutto, aggiungendo alla distribuzione in fase di possesso anche la capacità di conservare il pallone e una decisa dose di fisicità. Se per le pretendenti alla Champions League AW può essere considerato un giocatore da sistema, per quelle un gradino sotto invece può diventare il centro del progetto tecnico in mezzo al campo. L’approccio al trasferimento di questi club non ha però sortito gli effetti sperati: provando a tirare la corda nella speranza di ricevere ulteriori condizioni favorevoli sono passati giorni preziosi, che alla fine si sono rivelati fatali. «Per Witsel ci abbiamo provato, dovevamo investire più di 25 milioni, speravamo di averlo in prestito con diritto di riscatto e non con obbligo, ma non è stato possibile». Sono le parole sconsolate di Galliani a fine mercato.

La situazione non semplice dell’economia russa non sembra incidere sulla stabilità di Gazprom, che più è passato il tempo e meno è risultata incline a privarsi di un giocatore fondamentale per la propria squadra senza un sostituto pronto. Il tempo che Tottenham e Milan hanno speso per cercare di abbassare la domanda in realtà ha anche portato lo Zenit a non avere da parte sua la possibilità di iniziare trattative per il mercato in entrata, bloccandone di fatto la cessione.

Direttamente dal suo sito ufficiale AW ci lascia in un video di due anni fa: perle motivazionali che gli risulteranno utili nell’autunno russo che sta arrivando.

È stato lo stesso giocatore nell’ultimo giorno di mercato in Inghilterra a chiarire che non si sarebbe più mosso: «Non andrò più via. Lo Zenit ha preso questa decisione ieri perché in così breve tempo non avrebbero potuto trovare qualcuno che giocasse nella mia posizione. È un peccato perché speravo di trasferirmi. Ma adesso è sicuro che rimango allo Zenit fino a gennaio. Poi vedremo. Se il mio trasferimento non è avvenuto non è stato per motivi economici o perché le offerte ricevute non mi interessassero».

Il messaggio è chiuso con una rassicurazione alla calda tifoseria dello Zenit: «Non sono per niente dispiaciuto di rimanere allo Zenit. Stare allo Zenit non è per me un problema, rimarrò concentrato come sono sempre stato».

Non saranno certo altri quattro mesi in Russia a cambiare drasticamente le prospettive future di Witsel, che sembra lontano in maniera ormai irreparabile dai livelli promessi nei primi anni di carriera. Pur non avendo mai spiegato espressamente cosa l’abbia spinto a scegliere di andare in Russia tre anni fa, bisogna ammettere a malincuore che la scommessa è stata persa. Axel Witsel è un ottimo giocatore, ma non ha fatto fare il salto di qualità allo Zenit, né è arrivato allo status di stella mondiale come i tifosi russi si aspettavano da lui.

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