A una manciata di giorni dal Natale del 1973, mentre guidava la sua auto lambendo la cittadina di Clermont-Ferrand, Claude Vorilhon vide un oggetto volante non identificato atterrare al centro di un cratere di un vulcano spento: da quella navicella, secondo il suo racconto, sarebbe uscito un essere, un extraterrestre, che presentandosi come Elohim – la parola che gli ebrei usano per riferirsi alla Divinità – gli avrebbe detto, in francese, di avere un messaggio per lui. Da quel giorno, Claude sarebbe stato il raël, il messaggero, appunto. Claude Vorilhon è il fondatore del movimento, appunto, raeliano.
Quasi mezzo secolo più tardi, a Clermont-Ferrand, durante la prima giornata della Ligue 1 2022/23, intorno alle dieci e tre quarti di sera sarebbe capitato di essere ancora una volta epicentro di un’epifania aliena.
Il gol del 5-0 dei parigini, che poi sarebbe anche il secondo della serata di Lionel Messi, inutile starci a girare intorno, è così affascinante perché ci permette di inserire le parole rovesciata, gol e Messi nella stessa frase. Ma non è tutto: con lo sguardo un po’ imbambolato, ci accorgiamo di poter godere di questa concessione per la prima volta da diciotto anni a questa parte. In altre parole, questo è il primo gol di Messi in rovesciata nella sua carriera.
Mancano cinque minuti alla fine della partita, e Leo Paredes riceve il pallone sulla trequarti. Di fronte a lui ci sono nove giocatori di posizione del Clermont più il portiere, un intero battaglione a difesa dall’onore già piuttosto in brandelli. Al centro di questa armata allo sbando, Messi si prepara all’affondo in area. Il pallone di Paredes, come spesso succede quando ad accarezzarlo è il suo destro, è teso e delicato allo stesso tempo, e taglia fuori l’intero nugolo di avversari viaggiando spedito verso l’inserimento di Leo, che però lo battezza troppo alto per uno stop, o un tiro al volo, e troppo basso anche per un avvitamento di testa.
In quel momento, mette in azione tutta la sua intelligenza corporea. Il calcio, vietando all’uomo l’uso delle mani, lo ha privato del suo principale strumento di civilizzazione e cultura: afferrando oggetti con le mani, l’uomo razionalizza gli oggetti, ed è questo ciò che distingue un uomo da un appartenente a qualsiasi altra specie. Il calciatore, quindi, è costretto a un gioco che sublima l’intelligenza del suo corpo.
I grandi calciatori non si limitano a coltivare ed allenare la sensibilità delle parti del corpo funzionali alla loro professione, i piedi o la testa per l'appunto, la loro è un’operazione olistica. Messi ha affinato la sensibilità del suo sinistro in maniera sopraffina, non lo scopriamo oggi (e basterebbe vedere come sfiora il pallone nell’assist per l’1-0 di Neymar, nella stessa partita con il Clermont). La maniera con cui Leo smorza il pallone lasciandolo adagiare sul petto è però un saggio della sua intelligenza corporea: la sfera entra in contatto con la sua aura, e di lì in poi non c’è poi granché da fare, perché le cose succedono. E succedono, semplicemente, perché è inevitabile.
Il colpo di puro istinto che segue, il capovolgimento della visione, il tocco di sinistro che accompagna la sfera da quella stasi a mezz’altezza verso la rete, mentre la schiena di Leo si inarca poggiandosi al terreno, è il gesto che tutti i ragazzini sognano di compiere, e che solo raramente riesce, nei pomeriggi afosi d’estate in cui riesci a togliere tutti i punti al portiere di turno all’ennesimo giro di "tedesca". È esteticamente pregevole? Decisamente. È esteticamente perfetta? Decisamente no.
Ognuna delle rovesciate che ci è capitato di vedere, a suo modo, conservava un tratto etereo, esternazione del talento in uno momento estemporaneo. Molte, come quella di Messi contro il Clermont, venivano precedute da un controllo di petto, funzionale al caricamento della catapulta. Eppure quasi in tutte, prima che il corpo si flettesse con un’armonia elegante, c’era un istante in cui si poteva intuire ciò che stava per succedere: l’istante in cui ti prepari a cavalcare un’onda che vedi montare dall’orizzonte.
La rovesciata di Messi non ha la brutalità dirompente di quella di Cristiano Ronaldo con il Real Madrid contro la Juventus; non ha la stessa perfezione meccanica. Però, allo stesso tempo, conserva anch’essa un elemento di sorpresa, forse più stratificato: non te l’aspetti – e non a caso è un unicum – eppure la riconosci familiare alle sue corde, alla fascinazione fanciulla per il colpo a effetto, alla celebrazione dell’estro. Una prodezza un po’ sconsiderata, magari; un po’ sfacciata, nella sua imperfezione, e massimamente estiva.
Foto di Xavier Laine/Getty Images
Con ciò non voglio dire che Messi non ci abbia mai provato, a segnare in rovesciata. Contro la Sampdoria, al Camp Nou, nel 2016 (era il 10 agosto), si era accartocciato su se stesso in maniera simile a quella della serata di Clermont, ma aveva solo sbucciato il pallone, che però era finito sulla testa di Luis Suárez pronto a ribadire in gol. Con il Guadalajara, in un’amichevole del 2009 (era l’8 agosto), giovanissimo e irridente aveva inscenato una sbiciclettata capace di essudare, nella sua esecuzione, tutta la frenesia e la rapidità che il suo gioco del tempo sprigionava.
Ci sarebbero anche un tentativo, forse quello esteticamente più riuscito, contro l’Atleti, e poi quello un po’ triste, autoindotto, nel crepuscolare ritorno degli ottavi di Champions League 2020/21, nella partita del fallimento ultimo e definitivo con i blaugrana, quella del rigore sbagliato.
La rovesciata segnata in un’umida domenica d’agosto del 2022 in una cittadina dell’Alvernia-Rodano-Alpi, nel cuore di un’estate orfana dei Mondiali, la prima – e chissà l’unica – rete in rovesciata nella carriera di Messi, è significativa per tre aspetti.
Il primo è che il sentiero narrativo imboccato da Leo dalla vittoria della Copa América del 2021 sembra essere lastricato da mattoncini di onnipotenza. Da quando gli è riuscita la più ostica tra le missioni, vincere con l’Albiceleste, ora sembra che tutto, o quasi, possa riuscirgli: vincere ancora, per esempio, la Finalissima. Lasciare casa, e trovarne un’altra disposta ad amarlo. Segnare un gol – il settecentosettantasettesimo – diverso da tutti quelli segnati finora.
Il secondo aspetto, che poi è un corollario del primo, è che con questa prodezza Messi si è andato a riprendere, con le ovazioni del pubblico avversario e una ritrovata benevolenza ecumenica, lo scettro di GOAT che i fischi di Bordeaux, la laconicità del pubblico parigino e di conseguenza di tutto il pubblico europeo, se non proprio erano riusciti a strapparglielo dalle mani lo avevano almeno reso più opaco.
Infine, segnare il primo gol della tua carriera ventennale in rovesciata ti dà anche la misura del fatto che, in fin dei conti, nessuno squarcio del velo di Maya si può pianificare a tavolino. Nessuno ti dirà mai a quale chilometro della strada per Damasco verrai fulminato.