L'UOMO DI ULSTER
Il 28 Aprile 1990 Madonna guidava la classifica dei singoli in Inghilterra con Vogue e il Liverpool di Kenny Dalglish si aggiudicava il campionato, battendo il QPR con i gol di Ian Rush e John Barnes. Ventiquattro anni dopo quell’ultimo maledetto successo, Brendan Rodgers e Steven Gerrard sono quasi riusciti a riportare il titolo sulla Merseyside, ma hanno fallito. Com’è riuscita una società, nella lega calcistica più competitiva del mondo, a contendere il titolo alle favorite Chelsea e Manchester City con un budget a disposizione molto inferiore? Chi è quell'allenatore appena 41enne, artefice di un miracolo sportivo mancato? Questa è la storia di uomini che hanno avuto paura di vincere.
Nel 2004 Roman Abramovich era deciso ad assegnare il posto vacante di allenatore della squadra riserve del Chelsea al suo ex calciatore Gus Poyet. Ma Steve Clarke, all’epoca assistente di José Mourinho, si ricordò di un giovane e brillante tecnico che aveva incontrato al corso per allenatore e decise di raccomandarlo al portoghese: fu così che Brendan Rodgers entrò a far parte della cerchia dello Special One, che in quegli anni stava formando un altro che poi avrebbe cercato fortuna altrove come capo allenatore, il tattico André Villas-Boas.
Brendan Rodgers con José Mourinho ai tempi del Chelsea.
Rodgers partì dall’Irlanda del Nord nel 1990 per giungere al Reading come promettente difensore centrale, aveva solo diciassette anni. Tre anni dopo, scoprirono un problema congenito al ginocchio che pose fine alla sua brevissima carriera di calciatore professionista. Giocò ancora qualche anno nelle leghe dilettantistiche inglesi, le Sunday Leagues, mentre il Reading gli offrì la possibilità di entrare nello staff tecnico. Successivamente si autofinanziò un lungo anno sabbatico tra Spagna e Olanda, per imparare le tattiche e i metodi di allenamento nelle grandi accademie calcistiche europee. Dopo l’apprendistato al Chelsea, Rodgers assunse gli incarichi di manager al Watford e al Reading (conclusi rispettivamente con un’insperata salvezza e un esonero), prima di arrivare allo Swansea nel 2010. La squadra di Rodgers si distinse per un calcio di chiaro stampo “spagnolo”, caratterizzato da un prolungato possesso palla e da una spiccata aggressività per la riconquista della palla. Rodgers stesso ha dichiarato: “Mi piace che la mia squadra domini l’avversario controllando il pallone. Ma il lavoro maggiore lo facciamo in fase di transizione, pressando per riprenderci il pallone molto velocemente. Se la palla ce l’abbiamo noi, possiamo recuperare energie e riposizionarci. Passare, pressare, aver pazienza (passing, pressing, patience)”. Lo Swansea raggiunse una storica promozione in Premier League (la prima squadra gallese a raggiungere la massima serie) e una sorprendente posizione di metà classifica nell’anno da matricola.
YOU'LL NEVER WALK ALONE
Nel giugno 2012 arrivò la chiamata del Liverpool, che veniva dal suo annus horribilis: ottavo posto in campionato, la posizione più bassa dal 1994, e finale di FA Cup persa col Chelsea di Roberto Di Matteo. Rodgers impose le sue decisioni, predicando subito pazienza e sventolando piani di lungo periodo per il club. Si liberò di tutti i calciatori legati alla gestione precedente di Kenny Dalglish e quelli più influenti nello spogliatoio per anzianità (Kuyt, Bellamy, il nostro Aquilani per citarne alcuni). Decapitò l’intero staff tecnico in forza al Liverpool: a farne le spese, tra gli altri, lo stesso Steve Clarke che lo aveva aiutato portandolo al Chelsea, e che al Liverpool faceva da secondo a Dalglish. Il mercato estivo portò solo due volti nuovi: l’italiano Fabio Borini, dalla Roma, e l’inglese Joe Allen, dal suo Swansea. La mossa più radicale dei primi giorni di Rodgers fu la promozione in prima squadra di ben sette ragazzi provenienti dall'Academy del Liverpool, tra i quali spiccava Raheem Sterling. Rodgers dichiarò a inizio stagione: “Forse quest’anno non vinceremo il titolo, ma il processo per arrivarci parte oggi”. Se ce ne fosse ancora bisogno, chiarì meglio la sua idea di calcio: “Senza palla nessuno può farci del male. Quando hai la palla per il 65%-70% del tempo, agli avversari manca la linfa vitale: è come morire di calcio [it’s death by football]”.
Ha impiegato sei partite per ottenere il primo successo in campionato, il Liverpool non era partito mai così male. Il punto più basso lo ha toccato a inizio 2013: i reds erano fuori dai primi dieci in Premier League, eliminati dall’Europa League per mano dello Zenit San Pietroburgo e ancor più clamorosamente in FA Cup: battuti dall’Oldham Athletic, una squadra di League One, la nostra Serie C.
Il Liverpool 2013-2014 in una delle interpretazioni di Rodgers del 4-3-3. Giamaicano di Kingston ma nazionale inglese, Sterling è un'ala esplosiva che può giocare indifferentemente su entrambe le fasce.
Dal mercato di riparazione intanto arrivano il brasiliano Philippe Coutinho (Inter) e Daniel Sturridge (Chelsea). A quel punto Rodgers si è reso conto forse del vero problema: la sua squadra era terribilmente lenta nelle transizioni, il pallone doveva arrivare più velocemente verso Suárez. L’uruguaiano era l’uomo più pericoloso del Liverpool ma anche l’unico prevedibile terminale offensivo, fino all’arrivo di Sturridge. Concentrati sul solo campionato, i risultati del Liverpool migliorarono: la facilità di corsa di Coutinho, impiegato come ala sinistra, rese l’intero sistema di gioco più fluido collegando meglio centrocampo e attacco. Rodgers ha anche accantonato quella che per lungo tempo è stata la coppia di centrali titolare, formata da Daniel Agger e Martin Skrtel. I due giganti erano troppo lenti per la maggior parte degli attaccanti della lega e impacciati nell’impostare l’azione. Agger formò così una nuova coppia col 36enne Jamie Carragher, Skrtel fu dirottato sulla fascia sinistra per il resto della stagione.
Nell’estate 2013, Rodgers si liberò delle ultime vestigia di Dalglish: Carragher, Shelvey, Downing e, sorprendentemente, Pepe Reina. In un mese Rodgers ha rifatto quattro quinti della difesa, acquistando: Kolo Touré, Aly Cissokho, Mamadou Sakho e il portiere belga Simon Mignolet. Ma sopratutto la prima stagione al Liverpool ha modificato l’idea di calcio di Rodgers: partito da concetti guardiolistas, ha sempre sostenuto il calcio posizionale fatto di riconquista veloce della palla e triangolazioni a corto raggio; lentamente però ha iniziato a rendersi conto della necessità di portare il pallone davanti il più velocemente possibile, lì dove la squadra aveva gli uomini con più qualità, riavvicinato a un'idea di calcio mourinhistas.
IL LIVERPOOL DI QUEST'ANNO
In una lega ipertrofica come quella inglese, con un campionato a 20 squadre e ben due coppe nazionali, giocare meno partite può essere un vantaggio considerevole. Il Liverpool ha giocato 43 partite ufficiali, 14 in meno di Manchester City e Chelsea. Questo perché lo scorso campionato erano arrivati al settimo posto mancando la qualificazione alle coppe europee e in questa stagione è uscito ai primi turni di FA Cup (2-1 in casa dell’Arsenal il 18 Febbraio) e di Coppa di Lega (uscendo già a Settembre per mano del Manchester United, 1-0 all’Old Trafford). In campionato ha costruito la sua classifica in casa: tra le mura domestiche hanno collezionato 16 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte.
Il Liverpool 2013-2014 in quello che è stato interpretato come un 4-3-1-2 con centrocampo a rombo, anche se la versione di Rodgers è unica e originale per i movimenti studiati.
Il Liverpool gioca un calcio offensivo, diretto, verticale. È una formidabile macchina da gol che ha messo a segno 101 reti in campionato, una prestazione paragonabile a quella del Real Madrid dei record di José Mourinho (121 gol nella Liga 2011-2012). Il 60% delle reti sono state segnate nei primi quarantacinque minuti, a testimonianza della grande aggressività nell’approccio alla partita; inoltre è la squadra che è riuscita meglio a sfruttare le situazioni da palla inattiva, ricavandone 24 gol in totale, cinque in più di ogni altro avversario. Il 50% del totale delle reti sono state messe a segno dal duo di attaccanti, Luis Suárez e Daniel Sturridge. Rodgers è uno degli allenatori che ha confermato una tendenza che si è vista altrove in Europa: il ritorno degli schieramenti con due punte, dopo più di qualche stagione nella quale la norma era il falso nove e ogni forma possibile di 4-5-1.
Rispetto al passato però, nel quale i due attaccanti erano messi insieme con qualità fisiche e tecniche complementari, i due del Liverpool sono simili per struttura fisica e interpretazione del ruolo. Si avvantaggiano di questa somiglianza scambiandosi continuamente compiti e posizione nel corso della partita, disorientando gli avversari.
Nel corso della stagione, Rodgers ha continuamente cambiato modulo di gioco: dal 4-3-3 di riferimento all’attuale 4-3-1-2, riuscendo a sperimentare persino il 3-5-2, un sistema pressoché inedito in Inghilterra. Rodgers, come Mourinho, prepara con meticolosità ogni partita e conosce alla perfezione pregi e difetti di ogni avversario. Questo gli permette di sistemare i suoi in campo in modo da far leva sulle debolezze dell’avversario di turno: contro il Tottenham (battuto 4-0) ha schierato come vertice alto del triangolo di centrocampo Henderson, che con i suoi inserimenti da dietro ha ingannato la tattica del fuorigioco studiata da Villas Boas; contro l’Arsenal (demolito 5-1) ha tenuto Suárez basso a centrocampo facendo saltare la gabbia preparata da Wenger e creando spazi per Sturridge e Sterling; contro il Manchester City (sconfitto 3-2) ha chiesto a un’ala come Sterling di fare il falso nueve, facendo ammattire Fernandinho e Javi Garcia per chi dovesse prenderlo in marcatura.
The SAS power: Sturridge e Suárez, gol e assist l’uno per l’altro.
La costante è la presenza di tre uomini in mezzo al campo: per avere il controllo del possesso bisogna avere il controllo del centro del campo. Il Liverpool ha cambiato marcia quando, nel girone di ritorno, Rodgers ha scelto di giocare stabilmente lì nel mezzo con Gerrard, Coutinho e Henderson, con l’esclusione di un uomo dell’allenatore (l’ex Swansea, Joe Allen) e di un senatore dello spogliatoio (il brasiliano Lucas Leiva). Gerrard, da vecchio capitano, ha accettato il sacrificio di calarsi a 33 anni in un nuovo ruolo: sistemato davanti alla difesa con compiti di copertura e di rilancio dell’azione con la sua straordinaria capacità di calcio. Nell’idea di Rodgers, Gerrard avrebbe aiutato l’impostazione del gioco, scendendo tra i due difensori centrali a inizio azione; avrebbe permesso ribaltamenti di fronte fulminei con lanci di 60 metri dalla difesa a pescare uno degli attaccanti su l’una o l’altra fascia.
Coutinho e Henderson sono stati letteralmente rigenerati, impiegati per lo più da esterni offensivi nell’Inter di Stramaccioni e nel Liverpool di Dalglish, hanno formato una coppia di interni di centrocampo di qualità e di corsa: fondamentali le imbucate in verticale di Coutinho per i tagli degli attaccanti; instancabile l’azione di Henderson, sempre in appoggio dei compagni in entrambe le fasi. La vittoria in casa col Manchester City ha messo il Liverpool nella migliore situazione possibile: in testa alla classifica con quattro partite da giocare. Il destino era solo nelle loro mani, con tre vittorie e un pareggio avrebbero vinto il campionato. Una delle quattro però è col Chelsea di José Mourinho.
Anfield Road da brividi contro il Manchester City.
L'ALLIEVO NON SUPERA SEMPRE IL MAESTRO
Ancora Mourinho. Il maestro Mourinho. L’allenatore che va ricordato per le barricate al Camp Nou con l’Inter o al Vicente Calderon col Chelsea, ma anche per le micidiali, fluidissime transizioni mostrate col Real Madrid di Cristiano, Di Maria e Özil nella stagione di grazia 2011-2012. Mourinho e i suoi mind games, che la settimana prima dello scontro diretto—sconfitto 2-1 in casa dal Sunderland—aveva inveito non contro l’arbitro, ma direttamente contro il designatore. Che pochi giorni prima ha polemizzato con tutta la Football Association, per aver mancato di rispetto al Chelsea non concedendo l’anticipo che avrebbe permesso ai londinesi di preparare meglio il ritorno di Champions League contro l’Atletico. Che si presenta ad Anfield con una squadra imbottita di riserve, quasi a voler delegittimare l’avversario. Al Liverpool, in fondo, serve un solo punto. Dovrebbe fare l’unica cosa che non è capace di fare, gestire la gara. Infatti il Liverpool va all’attacco, il Chelsea lo aspetta con un 4-4-1-1 con le linee vicinissime, basse e strette, talvolta ben dentro l’area di rigore. Quelli del Liverpool sbattono quarantacinque minuti contro il muro issato da Mourinho: Coutinho e Sterling, esterni nel 4-3-3, non hanno spazio per correre dietro le linee avversarie; vengono quindi in mezzo per cercare col piede buono l’imbucata centrale per Suárez. Ma in mezzo il gioco fatto di brevi triangolazioni viene soffocato dai nove uomini del Chelsea.
L’uomo che consegna la partita al Chelsea è proprio Steven Gerrard: con uno scivolone al quarantacinquesimo. Ironia della sorte: due settimane prima, il silenzioso capitano aveva tenuto il suo discorso in campo urlando ai suoi: “(Il titolo) non ci scivolerà via adesso”. Da ultimo uomo, permette all’unico attaccante avversario Demba Ba di involarsi verso la porta. Il Liverpool non risalirà più la china della partita, nonostante i tentativi dello stesso Gerrard di porre rimedio al suo errore con una serie infruttuosa di tiri dalla distanza.
La situazione a due partite dalla fine è completamente cambiata: il Liverpool perderebbe il campionato anche in caso di arrivo a pari punti col City, per la differenza reti. Una settimana dopo, in casa del Crystal Palace già salvo, il Liverpool va 0-3 già al cinquantacinquesimo. Gli uomini di Rodgers, iper-confidenti di poter recuperare i gol di distacco dal Manchester City, si alzano tutti e continuano ad attaccare. In sette minuti quelli del Palace prendono tre volte d’infilata la difesa. Ancora la Sorte, beffarda: sette minuti erano bastati al Liverpool di Gerrard per ribaltare lo 0-3 contro il Milan, nella finale di Champions ad Istanbul.
Finisce tutto qui. Tre gol recuperati dal Crystal Palace e un pareggio che per una volta equivale al 100% a una sconfitta.
PROVACI ANCORA, BRENDAN
Cosa possono fare Rodgers e il Liverpool per evitare che quello di questa stagione sia un exploit unico e irripetibile? Intanto Rodgers passerà la seconda estate consecutiva prodigandosi per convincere Suárez a non partire (le sirene da Madrid, sponda Real, si sono ridestate). Tanto forte è il suo attacco quanto debole la difesa: il Liverpool nel girone di ritorno ha limitato i danni tatticamente, scegliendo di posizionarsi più basso e sfruttando poi gli spazi in campo aperto. Sakho e Skrtel sono due buoni giocatori, ma non sembrano avere la maturità adatta a guidare una difesa ad alti livelli e con costanza di rendimento. La mancanza di alternative, anche in attacco, ha pesato nei momenti cruciali della stagione: ad esempio contro il Chelsea, che si è chiuso dietro nella partita di Anfield, sarebbe stato utile schierare un attaccante d’area di rigore che il Liverpool in rosa non ha. Suárez, Sturridge, Sterling potranno ripetere la straordinaria stagione 2013-2014? Il Mondiale brasiliano e la prossima Champions League saranno veri banchi di prova per tutti e tre. La stagione 2014-2015 sarà quella della verità anche per Rodgers, schiacciato per ora tra il mito del maestro Mourinho e il precedente del fallimento di Villas Boas, finito ad allenare in Russia proprio dopo una sconfitta pesante del suo Tottenham (0-5), in dieci uomini, contro un Liverpool senza pietà. Superare il proprio maestro non è facile come si dice, sopratutto dipende dal maestro che ci si sceglie.