
Con una prestazione molto più convincente di quella messa in campo all’andata, il Paris Saint Germain di Thomas Tuchel è riuscito a ribaltare lo svantaggio e a guadagnarsi l’accesso ai quarti di finale nonostante le pesanti assenze. E nonostante le condizioni ambientali anomale, con il Parco dei Principi chiuso e senza il supporto dei tifosi, comunque impavidamente radunati fuori dallo stadio, dove Kurzawa li ha raggiunti a fine partita per i festeggiamenti. Una scena fuori luogo.
Il Borussia Dortmund, dopo una serie di partite entusiasmanti contro avversarie di grande livello, è venuto meno sul più bello. In fase difensiva ha perso la solidità che gli aveva fatto vincere la partita in casa e in quella offensiva non è mai riuscito realmente a impensierire Keylor Navas.
Oltre alle condizioni ambientali il PSG doveva fronteggiare anche diverse assenze. La squalifica di Verratti e Mbappé non al meglio, oltre all’assenza di Thiago Silva, hanno spinto Tuchel a non riproporre il 3-2-4-1 dell’andata, optando per un 4-2-2-2 già utilizzato diverse volte in stagione. Davanti a Navas, la difesa era composta da Kehrer, Marquinhos, Kimpembé e Bernat; la mediana da Gueye e Paredes, i due esterni/trequartisti erano Neymar e Di Maria e le punte Cavani e Sarabia. Favre invece ha dato continuità al 3-4-3 con Burki, Piszczek, Hummels, Zagadou; Hakimi, Can, Witsel e Guerreiro; Hazard Haaland e Sancho.
Un PSG finalmente incisivo
Uno dei problemi della gara di andata per il PSG è stata la mancanza di incisività nel possesso, che finiva per risolversi in un palleggio perimetrale. I francesi avevano difficoltà a giocare il pallone tra le linee, a causa di una carenza di movimenti senza palla e trasmissioni veloci per manipolare il blocco ordinato del Dortmund.
Nella partita di ieri l’andamento è stato opposto: il PSG ha sì mantenuto il dominio del pallone, ma ha anche saputo sfruttarlo; mentre il Borussia ha faticato non poco a difendere, oltre a non incidere allo stesso modo nelle ripartenze.
È stata innanzitutto una grande prova tattica di Thomas Tuchel, un allenatore la cui peculiarità passa in secondo piano da quando è al PSG, e finisce sullo sfondo dei suoi calciatori. Il 4-2-2-2 peculiare utilizzato da Tuchel prevedeva un atteggiamento molto aggressivo dei terzini e un accentramento di Neymar (a sinistra) e Di Maria (a destra). La disposizione non è però stata simmetrica: sebbene Di Maria tendesse spesso a farsi trovare su canali interni, si è visto diverse volte partire anche coi piedi sulla linea, mentre Neymar aveva un’area di influenza molto più ampia, arrivando a prendere palla diverse volte anche all’altezza del centrocampo.

La disposizione talvolta asimmetrica del PSG, con Di Maria più tendente a stare largo rispetto a Neymar, spesso pescato sui canali centrali.
Per compensare questi movimenti, sono stati importanti anche gli spostamenti dei due mediani nei buchi che si andavano a formare, in particolar modo Gueye, in moto perpetuo per tutti i 90 minuti, impensierendo parecchio i diretti avversari in entrambe le fasi.
Per risolvere il problema della mancanza di profondità della prima partita, Tuchel stavolta ha schierato sia Cavani che Sarabia in attacco, dandogli però dei compiti particolari: quando la squadra attaccava, i due si andavano a posizionare molto larghi, quasi come se fossero delle ali, sia per supportare il palleggio laterale che per dare meno riferimenti ai tre centrali difensivi. Anche in occasione del secondo gol, questa disposizione ha avuto il suo peso.
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La posizione allargata di Cavani e Sarabia, che si scambiavano spesso di lato, ha dato pochi riferimenti ai centrali del Borussia. I loro compagni sono stati bravi a riempire gli spazi centrali a turno, come nell’occasione del secondo gol, rifinito da Sarabia e finalizzato da Bernat.
Questa maggiore mobilità generale rispetto alla partita di andata ha funzionato nel mandare fuori giri il blocco del Dortmund, trovando molto più agevolmente le ricezioni tra le linee e sfruttando bene i movimenti incontro di Neymar, che all’andata finiva spesso per controllare spalle alla porta senza potersi girare bene, mentre in casa ha potuto puntare le linee frontalmente e creare il solito scompiglio.
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Tre situazioni in cui il PSG è riuscito a infilarsi facilmente con due doppie verticalizzazioni. Qualità e organizzazione.
A tutto questo va aggiunto il dinamismo di Cavani e Sarabia, non particolarmente letali nelle scelte finali ma fastidiosi per la loro insistenza. I due hanno giocato un ruolo fondamentale per tenere più bassa la linea giallonera e creare quindi una separazione con i quattro di centrocampo.
Il PSG si è creato lo spazio che è mancato all’andata, e attraverso la solita qualità individuale è riuscito a limitare il numero di palle perse e quindi anche di ripartenze, nonostante la mancanza del suo centrocampista di riferimento. In questo senso, la partita di Gueye è stata encomiabile non solo per la quantità di corse in pressione, ma anche per la naturalezza e la pulizia con cui riusciva a smistare rapidamente il pallone al compagno libero più vicino, abbinando il tutto a un buon istinto per gli spazi vuoti in cui buttarsi. Paredes ha giocato una partita più compassata: è stato ordinato ma con compiti di protezione in accompagnamento e di scansione dei ritmi di gioco quando in possesso.
Il Borussia non è riuscito a innescare Haaland
Aver perso compattezza e convinzione nella difesa bassa ha compromesso anche le ripartenze in campo aperto che avevano portato la squadra di Favre alla vittoria. Oltre a un controllo del possesso migliore da parte dei padroni di casa, anche il pressing del Dortmund è stato più approssimativo, meno puntuale e corale, sebbene nei primi minuti del secondo tempo ci sia stata una fase di gegenpressing abbastanza intenso.

Il PSG è riuscito a venir fuori molto più facilmente rispetto all’andata.
In particolare, il PSG riusciva ad attrarre in avanti e spezzare in due il Borussia semplicemente giocando all’indietro e poi tornando avanti rapidamente: il trigger del pressing veniva recepito solo dai giocatori più avanzati di Favre, mentre gli altri facevano più fatica ad accompagnare e marcare sugli appoggi, forse anche a causa della diversa disposizione scelta da Tuchel e di conseguenza una difficoltà maggiore nel controllo uomo su uomo (che all’andata veniva agevolato dal sistema speculare).
Va però sottolineata la partita dei difensori del PSG, in particolar modo di Marquinhos, che non ha fatto assolutamente rimpiangere Thiago Silva nella guida della linea e ha mostrato quanto sia diventato costante nella lettura delle situazioni, accorciando e temporeggiando senza problemi. Kimpembè, al suo fianco, è stato più incerto soprattutto nella gestione del pallone, ma la sua aggressività gli ha consentito di alzare l’altezza dei recuperi palla e sporcare sul nascere diverse ripartenze.

Un Borussia con poche idee e movimenti, con una buona pressione del PSG, non ha avuto neanche lo sbocco facile del lancio lungo verso Haaland, ben controllato.
La prova difensiva del PSG è stata singolare, considerando che Neymar e Di Maria, durante le fasi di attacco posizionale del Borussia (che sono arrivate soprattutto a inizio e a metà del secondo tempo, anche in reazione al risultato) hanno dovuto agire da esterni di centrocampo puri, stando molto attenti ai tempi di uscita in pressione. Alcune occasioni per il Borussia sono nate proprio dal palleggio laterale che esponeva i limiti difensivi dei due, ma gli ospiti non sono stati capaci di insistere più di tanto su questo pattern per mettere a disagio la disposizione avversaria. Neymar se l’è cavata con una caparbietà sorprendente, mentre Di Maria è sembrato un po’ in sofferenza, tanto da venire sostituito per crampi nel finale da Kurzawa.
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Il BVB avrebbe potuto insistere di più nello sfruttamento dello spazio ai fianchi di Di Maria e Neymar. Qua sopra, Sancho viene pescato dietro l’argentino e può puntare Kehrer, arrivando in area grazie a una triangolazione con Guerreiro.
Favre non è riuscito a dare una sterzata alla manovra offensiva della sua squadra neanche invertendo Hazard e Sancho o inserendo Brandt e Reyna per l’assalto finale. Haaland, questa volta, non ha avuto l’occasione di sfoggiare il suo cinismo e la sua potenza, e si è notato soprattutto per qualche corsa in pressione o in ripiegamento.
Alla fine, al Borussia non è bastata una partita superba su due, ma considerando i mezzi a disposizione sarebbe eccessivo fargliene una colpa. Tuchel ha invece infranto la “maledizione degli ottavi” dopo tre anni. Ci è riuscito però in un’edizione in cui non è ancora chiaro se riusciremo ad assistere al turno successivo. Resta la sua grande dimostrazione di abilità strategica: Tuchel ha individuato alla perfezione tutte le criticità della partita di andata ( poche verticalizzazioni fruttuose tra le linee, sofferenze in transizione difensiva) e vi ha posto rimedio.
Se non ci fosse stata la situazione surreale che stiamo vivendo, che ci ha tolto quasi tutto il gusto per il calcio, avremmo potuto apprezzare tutti gli ingredienti che rendono speciale la Champions League. Due squadre piene di talento e guidate da due allenatori metodici e minuziosi si sono divise equamente andata e ritorno. Abbiamo potuto assistere a grandi sprazzi di talento individuale e a tanti spunti tattici interessanti, il tutto condito dall’immancabile tensione sportiva (sfociata poi in un rosso evitabile di Emre Can). La speranza è di poter rivedere tante partite così al più presto.