
La pioggia battente, il Parco dei Principi pieno in ogni ordine di posto, i canti incessanti delle curve, la rivalità tra due fondi sovrani, Qatar in casa e Emirati Arabi Uniti in trasferta, l’amicizia tra Guardiola e Luis Enrique, il bisogno di vincere per non rischiare di rimanere fuori dalla Champions League. C’era tutto affinché PSG-Manchester City fosse una grande partita, ma per 45 minuti non era successo quasi niente.
Le due squadre si erano limitate a fare del calcio una partita a scacchi, provando a contendersi il possesso e spendendo un sacco di energie in un palleggio tra lo sterile e l’irritante, il perfetto assist per chi sostiene che il gioco di posizione sia noioso e il possesso palla una farsa. A mettersi di traverso era stato anche il caso, con il bel gol di Hakimi nel recupero annullato per un fuorigioco molecolare. In realtà, non lo sapevamo, il PSG aveva già iniziato a fiaccare la resistenza inglese, minare le poche certezze della squadra di Guardiola.
I francesi infatti a fine primo tempo avevano tirato in porta il doppio (anche se male), avuto il possesso palla per il 64% del tempo (avete mai visto il City avere il pallone per solo il 36% di un tempo?), vinto più contrasti, giocato quasi il doppio dei passaggi in avanti rispetto agli avversari. Soprattutto avevano costretto il City a fare tutte queste cose a un ritmo abbastanza alto, una partita sì bloccata, ma non addormentata, anzi.
TUTTO SECONDO I PIANI, FORSE
Come si cambia una partita del genere? Coi cambi, lo dice la parola stessa. Da una parte Luis Enrique - che aveva rinunciato al centravanti per schierare davanti il tridente Barcola, Kang-in Lee e Doué - ha inserito Dembélé per il sudcoreano, inesauribile nei movimenti ma poco a suo agio come riferimento centrale; dall’altra Guardiola ha dovuto togliere Ruben Dias infortunato, sostituendolo con Rico Lewis (e riportando Gvardiol al centro della difesa) e inserito Grealish a sinistra per un innocuo Savinho.
E proprio Grealish, di cui si è parlato molto negli ultimi mesi per la sua incapacità di incidere nel City con gol e assist, sembrava aver cambiato la partita. Non che i meriti fossero solo suoi, anzi. Il primo di una rumba di gol nel secondo tempo è arrivato grazie a una bella iniziativa di Akanji, che sulla destra si è buttato in area di rigore col pallone al piede, ha vinto il duello con Nuno Mendes e dal fondo ha servito in cut-back Bernardo Silva. Il suo tiro è stato respinto da Donnarumma, ma dalla successiva carambola è arrivato col giusto rimbalzo sul piede di Grealish.
Neanche il tempo di pensarci, che è arrivato il 2 a 0. Il PSG perde una palla ingenua a centrocampo, il City torna da Ederson per evitare la pressione dei francesi, il suo rilancio lungo viene respinto male da Nuno Mendes finendo tra i piedi di Nunes (riciclato terzino destro all'occorrenza) che taglia il campo in diagonale in conduzione con il PSG spaccato a metà. Da lì è facile trovare Grealish a sinistra coi piedi dentro l’area di rigore. Il suo cross, ancora in cut-back, viene deviato dal recupero disperato di Joao Neves, ma finisce sui piedi di Haaland a un metro dalla porta. 2 a 0.
A questo punto la storia sembra essersi allineata al suo solito scorrere: il PSG è il PSG, cioè una squadra di belle individualità e volenterosa, ma sempre perdente quando il gioco si fa serio; mentre il City è il City, e magari non sarà nel suo momento migliore, ma queste partite le vince con la superiorità della struttura costruita da Guardiola negli anni. Lo avrebbe ammesso dopo lo stesso Grealish: «Ho fatto gol e nell’azione successiva abbiamo segnato di nuovo. Ho pensato: sta andando tutto secondo i piani». E invece.
LA FISICITÀ DEL PSG HA DISTRUTTO IL CITY
Il gol del 2 a 1 arriva quasi direttamente dal successivo calcio d’inizio. Sono 80’ di palleggio partendo dal recupero di una palla contesa dopo il lancio iniziale di Donnarumma. Non è un possesso geniale, ma disinvolto. Il pallone va da destra a sinistra un paio di volte, col City che corre a vuoto, poi la fiammata: Fabian Ruiz si apre a sinistra, riceve e dopo il controllo serve Barcola coi piedi sulla linea laterale spalle alla porta. È un passaggio un po’ pigro e Matheus Nunes pensa di poterlo intercettare o almeno andare a contrasto, invece di aspettare e continuare a difendere passivamente. Quel pensiero è la fine del City, almeno per ieri sera.
Il brasiliano, che non è un terzino, arriva con un attimo di ritardo, e Barcola, che invece è un’ala, e pure forte, lo buca con un tunnel tanto semplice all’apparenza quanto geniale e definitivo nella sostanza. A quel punto il campo si è inclinato: la difesa inglese è in linea quasi a centrocampo, Akanji e Kovacic non hanno il passo per riprendere Barcola in corsa. Entrato in area di rigore il francese vede e serve Dembélé, che intelligentemente si è fermato sul dischetto del rigore mentre Gvardiol e Rico Lewis hanno continuato a correre disperati.
Dopo la partita Luis Enrique ha definito questo «il momento chiave» della partita. «Quando Barcola ha passato la palla a Ousmane è stato come vedere aprirsi uno scenario completamente nuovo». Effettivamente dal gol di Dembélé in poi si gioca a una sola porta, il divario tra le due squadre sembra all’improvviso quello tra il PSG e una delle squadrette che ogni tanto incontra in Coppa di Francia. Per i successivi 31 minuti il conteggio dei tiri sarà di 16 a 0 per i francesi, che non sembrano più giocare a calcio, ma piuttosto a hockey o comunque uno di quegli sport in cui ogni azione sembra dover finire con una rete.
L’azione successiva è piuttosto indicativa dello stato delle cose: Joao Neves strappa il pallone in mezzo a quattro avversari, si libera e serve sulla destra Doué. Il passaggio è leggermente arretrato ma il francese con un controllo in corsa di tacco se lo porta avanti fino alla trequarti avversaria mentre il City recupera con fatica. Altro giro palla e si arriva da Barcola dall’altra parte, che con un semplice movimento a rientrare si libera di Nunes e calcia da buona posizione (fuori). Un’azione partita grazie alla forza di un 2004, rifinita dal talento di un 2005 e chiusa dall’esplosività di un 2002.
Il dominio del PSG diventa estremamente fisico, animalesco. Qualcosa che suona anche strano detto di un confronto tra francesi e inglesi. Basta vedere il gol del pareggio: Kovacic avrebbe il controllo del pallone davanti alla sua area di rigore ma praticamente lo lascia intimorito a Joao Neves che gli arriva addosso quasi caricandolo. La partita del portoghese, fisica e tecnica, è stata eccezionale. Dopo arriva il tiro a giro di Doué che si stampa sulla traversa e il tap-in di Barcola. Tutto sembra inevitabile, facile.
Non è la prima volta in stagione che il City crolla all’improvviso e senza avvertimenti. Fino a un determinato minuto la squadra sembra più o meno essere in campo, poi non più. Finora ha subito 3 gol in otto minuti contro lo Sporting Clube, 2 in cinque minuti contro il Brighton, 2 in sette minuti contro il Tottenham, 3 in quindici minuti contro il Feyenoord, 2 in due minuti contro il Manchester United, 2 in otto minuti contro il Brentford. Questi presi contro il PSG però fanno in qualche modo più male, sanno di punto di non ritorno, in un momento in cui la squadra di Guardiola stava provando a rialzare la testa, sia con i risultati che con il mercato.
IL CITY NON C’È PIÙ
Al Parco dei Principi i giocatori di Guardiola hanno perso le misure, si sono scoperti stanchi, gli spazi si slabbrano. Kvara in tribuna ride. È anche difficile dire cosa possa aver cambiato la partita così nettamente. Certo, l’ingresso di Dembélé ha dato più consistenza al PSG, ma non si può dire che sia stata la svolta. Il crollo è tutto interno alla squadra di Guardiola, che di suo, anche non volendo, sembra peggiorare le cose di questi tempi. L’allenatore spagnolo ha effettuato cinque cambi tra l’inizio del secondo tempo e il terzo gol, tutti sembrati piuttosto casuali. L’ultimo, l'ingresso di Stones, al rientro da un lungo infortunio, per Nunes, che col senno di poi non avrebbe proprio dovuto giocare, arriva un attimo prima del calcio di punizione calciato da Vitinha, che passerà proprio pochi centimetri sopra la testa del difensore inglese prima di finire su quella di Joao Neves per il 3 a 2. Stones era entrato per provare a difendere il pareggio, visto che un punto avrebbe aiutato parecchio in vista dell’ultimo, terribile turno del mega-girone.
Poi arriverà anche il 4 a 2, giusto per celebrare e rendere ancora più storica la vittoria del PSG, che di queste notti non ne ha avute tante.
Abbiamo già parlato della possibile fine dell’era Guardiola, e mai lo avevamo visto così in difficoltà, così incapace di invertire lo stato delle cose con una di quelle sue mosse geniali, il falso terzino, i difensori centrali a metà campo, i centravanti finti, cose così. Anche l'alibi dell'assenza di Rodri ormai appare lontano nel tempo. Ieri sera la sensazione è che a essere finito sia proprio il Manchester City. Si è visto nelle prestazioni dei singoli e nel loro linguaggio del corpo. De Bruyne e Bernardo Silva, che di solito in queste notti mostravano la loro versione migliore, sono sembrati oltre l’appannato, quasi scazzati dal dover giocare questa partita. La squadra sembra vecchia nei suoi migliori giocatori, spaesata in quelli più giovani.
Forse un peso lo stanno avendo anche le inchieste in cui il club è coinvolto e che potrebbero portare a pesanti penalizzazioni per le violazioni delle norme sul Fair Play finanziario interno alla Premier League. In questi giorni il club sembra stia programmando più il futuro che provare a invertire in questa stagione, ma nel calcio è facile finire in una spirale di errori e soldi buttati, basta guardare dall’altra parte della città di Manchester.
Per il PSG invece è più difficile dare giudizi definitivi. Sì, è stata una grande partita, per la prima volta la squadra è sembrata avere una sua identità che va oltre il talento dei singoli. Joao Neves, Barcola e Doué appaiono come le scelte più azzeccate mai fatte sul mercato, giocatori forti e funzionali più che nomi altisonanti. Tuttavia sappiamo come tutto qui può andare velocemente in crisi, già tra una settimana, quando ci sarà il turno decisivo.
In ogni caso è stato un bel ritorno della Champions League, al di là del dibattito sul nuovo formato - della sua imprevedibilità, del talento dei migliori giocatori al mondo, della affermazione dei più giovani. E se poi alla fine Guardiola e il suo City non dovessero passare il turno, per una volta ce ne faremo una ragione.