Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Pulito
28 apr 2016
Scade domani la squalifica per doping di Alex Schwazer e si riaccende la speranza per uno dei pochi talenti dell'atletica italiana.
(articolo)
13 min
Dark mode
(ON)

Come eravamo

Il prossimo 29 aprile (domani) scadrà la squalifica di Alex Schwazer, l’ultimo atleta italiano capace di vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi. Era Pechino, era il 2008 ed era la 50 chilometri di marcia. Mentre la positività di Alex all’eritropoietina (Epo) è stata annunciata il 6 agosto 2012 (il controllo incriminato è quello cui la Wada lo sottopose a sorpresa il 30 luglio precedente). Schwazer venne immediatamente escluso dalla squadra olimpica della 50 km, la sua distanza, che si sarebbe svolta nelle strade londinesi appena cinque giorni dopo l’annuncio.

Tre anni e nove mesi dopo l’atleta altoatesino è convinto di essere pronto per la sfida dei Giochi di Rio. Ma la vera sfida, probabilmente ancora più dura, sarà riconquistare la credibilità agli occhi del mondo, soprattutto in un periodo in cui tutto il movimento atletica è in piena crisi di immagine. Alex ci crede e ha l’appoggio della Fidal - anche se è ancora da verificare quanto il sostegno della federazione sia sincero e incondizionato - che vede in lui una delle due o tre speranze di medaglie olimpiche dopo il naufragio dei Mondiali di Pechino 2015 e dopo che l’ultimo a salire su un podio a cinque cerchi (l’unico a Londra 2012) è stato il triplista Fabrizio Donato.

Alex Schwazer entra solo nel Nido di Pechino: sembrava quella la felicità.

I dirigenti della Federazione italiana di atletica leggera sanno bene che il colore azzurro è sempre più stinto e non può prescindere da Schwazer: ex dopato, reticente alla confessione fino a che tutto non gli si è rivoltato contro, capace di mandare all’aria i suoi affetti personali - nonché la carriera dell’ex fidanzata Carolina Kostner. Infine, collaboratore con il contagocce e confusionario al processo di Bolzano a carico degli ex medici federali Fischetto e Fiorella, tanto da non ottenere alcuno sconto della pena dalla WADA. Insomma, non un esempio di sportività, ma di talento sì, in un movimento sportivo che in Italia è desertificato da anni e che non vede all’orizzonte prossimo degli eredi.

Il presidente federale Alfio Giomi, soltanto il 13 febbraio 2015, commentava così la possibilità di Alex a Rio: «Preferisco un ventesimo posto», ma col passare del tempo e dei tempi cronometrici si è fatto più conciliante. Così, già a novembre, si diceva convinto che «Alex è più forte e batterà il doping. Se credo al suo recupero? Assolutamente sì», mentre il mese scorso arriva addirittura a pronosticare che «A Rio sarà un’arma in più: ha pagato e ora è pronto per affrontare nuove sfide». Fino alla definitiva resurrezione pasquale: «è sulla strada per tornare quello che era nel 2008». Ave e gloria.

Sembrava quella la felicità

E Alex Schwazer sembra davvero sulla buona strada. Si sta allenando duramente sulle strade e le piste ciclabili di Roma, seguito dal professor Sandro Donati (simbolo della lotta al doping) e il 13 marzo scorso due giudici federali, Davide Bandieramonte e Gianni Ferrari, hanno certificato degli ottimi tempi: due frazioni di 10 km coperte in 41’59’’ e 41’01’’, intervallate dai quattro minuti necessari al "test del lattato", più un 5 mila metri marciato in 19’39’’. Quattro anni lontano dalle gare sono tanti, quasi un’era sportiva, ma l’ora della verità per Alex si avvicina, infatti, dopo la fine della squalifica del 29 aprile, l’appuntamento da non fallire è la tappa della Coppa del Mondo del 7 maggio, proprio a Roma, dove dovrà fare il tempo giusto per ottenere il pass per Olimpia.

“Non ha più la minima intenzione di barare”.

La "strana coppia”, così sono stati ribattezzati Schwazer e Donati, non ha il tempo di ripensare al nomignolo così calzante eppure così frusto. Ma proprio il tempo, la vita e gli obiettivi in comune obbligano oggi a rivisitare quel cliché.

Altro che strana: Donati è un tecnico di livello superiore, oltre che attualmente consulente della WADA, l'agenzia mondiale antidoping, è per Alex oggi è allenatore ma anche, quasi, un padre e l’ultima speranza di redenzione terrena. Donati un paio di mesi fa ha raccontato che fu proprio lui a segnalare Schwazer alla WADA, «La mia decisione ha provocato il danno dello stop, ma ritenevo fosse la cosa giusta. Se fossi stato nell’ambiente non lo avrei mai fatto arrivare a questo punto, lo avrei salvato prima». Ad Alex lo ha detto una sera a cena.

Il piccolo albergo sulla Nomentana a due passi dalla casa di Donati; la ciclabile sulle sponde dell'Aniene su, su verso la Salaria e poi le "uscite" sulla piana "delle cornacchie", un lungo falsopiano nei pressi di Sambuci, dove si allenano mezzofondisti e maratoneti laziali, a pochi chilometri dalla capitale. «È un talento assoluto, abbandonato a sé stesso per anni e per questo finito nel doping», spiega Donati. L'altoatesino rappresenta forse la scommessa della vita per l'ex dirigente Coni, emarginato a suo tempo dall'ente proprio per le sue battaglie contro la dilagante farmacia proibita. Fu il grande accusatore di Evangelisti nel 1987 e pure con Pantani non fu morbido. Una scommessa che, a prescindere dai risultati su strada, sembra già vinta.

Test nel laboratorio di Pavona ripresi da Eugenio Capodacqua.

Di Sandro Donati si devono fidare Alex Schwazer, la Federazione italiana, quella internazionale, la WADA e tutti noi, addetti ai lavori e appassionati. Perché chiunque ami lo sport non può essere felice nel vederlo agonizzare, e lo stesso vale per un talento che si butta via. L’accusa lanciata da Donati alcuni mesi fa, all’esplodere del caso Russia, deve essere voce di tutti: «Nel Codice WADA nulla è previsto nel caso che a fare o coprire il doping siano le istituzioni: federazioni nazionali, internazionali, comitati olimpici, agenzie nazionali. Una lacuna gravissima che rende l’antidoping attuale una lotta solo di facciata»

I patti sono chiari: rendersi disponibile ad ogni controllo a sorpresa, giorno e notte. A chiamarlo per una quindicina di test di ogni tipo il professor Ronci, ematologo dell'Ospedale S. Giovanni Addolorata. Se si aggiungono le due analisi della Iaaf, la federazione internazionale si può dire che oggi Alex sia uno degli atleti più controllati al mondo. E questa è una prima vittoria del team Donati: si può fare un controllo credibile senza spendere cifre pazzesche come l'antidoping ufficiale. I test li ha pagati e li paga lo stesso Schwazer. La seconda vittoria è altrettanto chiara: con il talento si può fare sport di alto livello senza fare uso di farmaci, neppure quelli consentiti. Alex non assume integratori e neppure vitamine. Pane e un piatto di pasta e broccoli basta e avanza dopo una mattinata di allenamento e 20 chilometri di test a varie andature.

Allenamento a Grottarossa con tempi da agonista, vale ricordare che Schwazer non partecipa a una gara vera da più di quattro anni.

Sotto Natale Schwazer ha raggiunto l’obiettivo di percorrere 40 chilometri in poco più di tre ore ad una velocità che non sarebbe facile tenere neppure di corsa per un atleta di medio calibro. Nei test di gennaio ha mostrato miglioramenti sensibili sui 5000 metri, a ritmi crescenti: da 13,3 a circa 15 km all'ora. È un passo da primi 5 al mondo, con frequenze cardiache che lasciano spazio a grandi margini di crescita. Lo pensa Donati e lo pensano i tecnici federali.

Il clima attorno

Se la Federazione è tutta con lui, non si può dire lo stesso dei suoi colleghi, alcuni dei quali ancora alle prese con la brutta storia dei whereabouts, ovvero la mancata reperibilità ai test del sangue: in tutto erano 26 gli atleti italiani deferiti al Tribunale antidoping per aver saltato i controlli senza dare una spiegazione. Per otto di loro la questione è chiusa con l’archiviazione senza nessun addebito, e tra loro ci sono Fabrizio Donato, Daniele Meucci, Ruggero Pertile, Silvia Salis e Anna Incerti che hanno già il biglietto assicurato per Rio 2016. Per tutti gli altri si tratta di attendere ancora qualche giorno con la speranza che l’esito positivo sia confermato.

Ma il caso non è finito. E non solo per il probabile ricorso in appello della procura antidoping del Coni, che aveva firmato i deferimenti. Il Tribunale ha invitato lo stesso organismo ad andare avanti nell'inchiesta, valutando altre responsabilità, presumibilmente anche di dirigenti e funzionari che lavoravano fra Coni e Fidal, proprio sul fronte delle norme per la reperibilità. E, quindi, si può dire che il nastro si riavvolge, ma questa volta tirando in ballo anche i dirigenti, che erano i grandi assenti dall'inchiesta di questi mesi. Tutto questo non aiuta a rasserenare il clima nei corridoi del palazzo di via Flaminia nuova, dove ancora risuonano i lamenti di sportivi e allenatori coinvolti: «Alex ha un’autostrada spianata verso il Brasile e noi temiamo di restare a casa».

Un po’ di chiarezza sulla questione whereabouts.

Non aiutano di certo le ultime voci secondo cui nell’ultimo trimestre una decina gli sportivi sarebbe incorsa in ulteriori violazioni dei whereabouts. La metà apparterrebbe all’atletica: uno, in particolare, sarebbe un nazionale di punta, destinato a Rio. Le reperibilità saltate sono una o due, ancora non si configura la violazione sanzionabile, però la Fidal, in base al nuovo codice etico, starebbe pensando di revocare ai reprobi la borsa di studio e comunque la situazione, per la leggerezza con cui viene percepita da alcuni nonostante i casi già all’attivo, è allarmante.

Non c’è un bel clima attorno alla Federazione, non c’è un bel clima attorno all’atletica e anche Alex Schwazer sa che quando tornerà in gara sarà sotto gli occhi di tutti, sia che vada bene sia che vada male. «Se tornerò ai miei livelli di un tempo, salterà sempre fuori qualcuno che dirà “si dopa ancora”. Se sbaglierò, qualcun altro sosterrà che è perché non mi drogo più. Ma non ho né il tempo né la voglia di occuparmene. Da maggio in poi gareggerò solo per me stesso, anche se spero che il mio impegno riesca a convincere i diffidenti. E a ribaltare un modo di pensare, accusare, assolversi e autoassolversi che nuoce alla convivenza, oltre che allo sport. Se volete farmi un regalo, evitate qualsiasi coro e giudicatemi solo per come marcio». Con queste parole Alex si è raccontato a Panorama.

Ci sono poi i numeri, come quello dei test a cui si è sottoposto: 23 controlli ematici e 4 esami antidoping della federazione internazionale di atletica (Iaaf) negli ultimi 9 mesi. Tutti a sorpresa, tutti negativi. Per Alex Schwazer, nonostante tutto, c’è una seconda chance, ma lui sa bene che non ce ne sarà una terza. Deve essere inattaccabile, ed è per questo che ha scelto di farsi seguire da Donati. Ciascuno dei due ha puntato sull’altro, sulla sua capacità di guadagnarsi di nuovo la ribalta sconfiggendo l’omertà del mondo dell’atletica, e per ora ha vinto la scommessa. «Il talento è ciò a cui devi aggrapparti per risalire quando di anni ne hai ancora soltanto 31 e gli errori te li sei lasciati alle spalle», ha detto Donati.

Disintegration anxiety

Torniamo a quel 6 agosto 2012. Il comunicato che compare sul sito del Coni: un atleta della delegazione che si trova a Londra è risultato positivo all’Epo. La lettera inviata dalla WADA parla di marker o metabolito, poco cambia, significa doping. Poi una data: 30 luglio. Il mistero dura pochi minuti, è lo stesso Schwazer che annuncia all’Ansa: «Sono io». E poi il mea culpa, seguito subito da quel «Volevo essere più forte per questa olimpiade. Ho sbagliato, la mia carriera è finita. Ho fatto tutto da solo e di testa mia e dunque mi assumo tutte le responsabilità per quello che è successo».

La ricostruzione degli ultimi giorni fatta in conferenza stampa l’8 agosto a Bolzano.

Un’ammissione che suona come una liberazione per lui. Una fucilata per tutti gli altri. Il più duro è Michele Didoni, campione mondiale di marcia nella 20 km di Göteborg 1995 e allenatore di Schwazer: «Continuava a ripetere puerilmente mi prendo tutte le responsabilità senza capire che il suo gesto ricadrà su tanti. Non ho neppure voluto chiedergli perché l'ha fatto: non ci sono giustificazioni. A 28 anni si è uomini, non più ragazzi». In quello stesso giorno, oltre alle critiche del presidente Fidal di allora, Franco Arese, «all’uomo prima che all’atleta», si ricordano anche le parole amare di una giovane Alessia Trost: «Perde valore tutta l’atletica italiana».

Anche la Ferrero, di cui Alex è testimonial da diversi anni, gli volta immediatamente le spalle. Il campione al latte e cioccolato improvvisamente diventa un imbroglione sintetico. Probabilmente il marciatore di Racines non è mai stato quello che ci hanno venduto: ha un carattere chiuso, ombroso e tendente alla depressione. A Daria Bignardi dirà una cosa molto importante circa un anno dopo e cioè che non ama il suo sport, lo fa perché è bravo. Allo stesso tempo parla della felicità che aveva prima di salire sul podio di Pechino. Citando la fidanzata (di allora) Carolina Kostner racconta che lei è felice di danzare sul ghiaccio, Schwazer dopo Pechino sente soltanto il peso schiacciante della responsabilità di essere il campione olimpico.

In questa intervista ci sono tantissime cose interessanti sul significato di una vittoria olimpica.

Non ha stimoli per preparare le gare, odia passare 35 ore a settimana ad allenarsi, sa che la cosa giusta sarebbe ritirarsi, ma sente i doveri legati a quella medaglia. Quindi si informa sull’Epo, vola in Turchia nella primavera 2012 dove lo acquista per 1500 euro in una farmacia. A suo dire “prova” soltanto il 13 luglio, ma sappiamo che successivamente, durante l’interrogatorio a Bolzano ammetterà che il primo assaggio di Epo avviene direttamente in quei giorni di primavera. L’ultima fiala è del 29 luglio, un giorno dopo un controllore bussa alla sua porta e lui lo accoglie con «sollievo». Questa è la versione di Alex, nessuno ne ha mai raccontata una diversa.

Il presidente del Coni Giovanni Petrucci decide di espellere l’atleta dalla delegazione olimpica, appena informato della positività dell’atleta, dopo un colloquio con il capo delegazione Raffaele Pagnozzi. «È una pagina che non avrei mai voluto vivere. Risultati esaltanti, medagliere importante, tutto stava filando per il verso giusto, ma questa è stata una notizia che ci ha ferito. L’avevamo detto: meglio medaglie in meno ma pulizia. Certo è una notizia che farà il giro del mondo visto che parliamo del campione olimpico uscente, ma non abbiamo avuto nessun dubbio».

«Sono uno che non imbroglia ed è già tanto».

Alex Schwazer dovrebbe difendere il titolo conquistato quattro anni prima a Pechino, dove la sua stella si è accesa conquistando gli appassionati e pure molta gente comune, col suo volto pulito di ragazzo venuto dalla montagna, trionfatore gentile della specialità più massacrante di tutta l’atletica. Ai mondiali di Helsinki 2005, Schwazer ha vinto il bronzo nella marcia, così come a Osaka (2007). Agli Europei di Barcellona 2010, invece, nei 20 km si è aggiudicato l’argento. Da Schwazer, infatti, ci si aspetta una medaglia di metallo pregiato, non certo l’onta di un’esclusione che getta discredito su tutto il movimento italiano.

Per la cronaca la 50 km a Londra viene vinta dal russo Sergej Kirdjapkin, che fa segnare anche il nuovo record olimpico di 3h35’59’’, strappato proprio a Schwazer. Medaglia d’oro revocata il 26 marzo scorso dal Tas di Losanna su richiesta della WADA a causa di gravi irregolarità sul passaporto biologico dell’atleta. Per lui significa la perdita di tutti i risultati dal 2009 al 2012, compresi due titoli mondiali. In questo modo, ad oggi, il detentore dell’alloro olimpico londinese è l’australiano Jared Tallent, colui che da Schwazer venne sconfitto nell’afa di Pechino.

Sono passati molti anni. Il ragazzo che vinceva le Olimpiadi a 23 anni non c’è più, al suo posto c’è un uomo che ha vissuto molte cose, diverse delle quali accadute per errori di valutazione. Sono cose che gli sono successe anche in strada. Perché se da una parte esiste uno Schwazer molto lucido nell’analizzare anche a caldo le proprie vicende (unito, va detto, ad un certo senso del tragico tutto mitteleuropeo), dall’altra c’è l’Alex che fa marchiani errori strategici. A causa di questi errori ha perso medaglie, vedi Osaka 2007 dove era nettamente il più forte in gara, tutti lo sapevano tranne lui, e fu soltanto terzo.

Ha anche rischiato di buttare via una carriera intera. Ora non ha più tempo di sbagliare nulla, il poco di carriera rimasta si chiama Rio 2016, al massimo i mondiali del 2017. A quanto pare fiato e gambe ci sono, serve la testa del fuoriclasse. A Schwazer serve la voglia di vincere.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura