Nel 1996 id Software lancia sul mercato Quake, il primo di una lunga serie di videogiochi sparattutto in prima persona che in gergo vengono semplicemente chiamati FPS. Non è una novità assoluta: in realtà è il successore designato di Doom, uscito nel 1993, videogioco dello stesso genere ma diverso nelle ambientazioni e soprattutto evoluto nella grafica grazie al rendering in tempo reale in 3D. Non sono però la narrativa né le atmosfere gotiche e medievali, accentuate dal font utilizzato, e ispirate ai romanzi di H. P. Lovecraft, a rendere Quake un titolo di successo: è il multiplayer.
Doom aveva già aiutato il multiplayer a crescere e diffondersi grazie alla modalità Deathmatch. In un’epoca in cui una connessione internet non era ancora alla portata di tutti, né tantomeno di qualità, la via più semplice per sfidarsi e stabilire chi fosse il migliore erano gli eventi in LAN con i PC, portati da casa, collegati a una rete locale tra di loro. Nel 1995, proprio attraverso una connessione LAN, due dei futuri astri nascenti del gaming online si sfidano a Redmond, vicino Seattle, nella semifinale del Deathmatch 1995, un torneo nato come operazione di marketing di Microsoft. Come riporta Paul “Redeye” Chaloner nel suo libro This is esports (and how to spell it), durante l’evento fa capolino persino Bill Gates per mostrare quanto Windows 95 sia performante con i videogiochi. Fino a quel momento Windows aveva solamente Solitario come rappresentate della categoria: qualsiasi altro titolo videoludico doveva essere lanciato dal Dos (così come lo stesso Windows fino a poco tempo prima, d’altronde).
I due giocatori a sfidarsi sono l’adolescente californiano Dennis “Thresh” Fong e Ted “Merlock” Peterson, di Miami. In molti danno “Merlock” favorito, ma alla fine è “Thresh” a superare il turno con il punteggio di 10 uccisioni a 5 e una differenza di abilità notevole. Lo stesso avviene in finale, dove il suo nuovo avversario, “Stoney”, viene demolito 8-0. È la vittoria che gli consente di vincere il torneo con annesso ricco montepremi, ovvero una fornitura a vita dei giochi di id Software e una connessione al Dwango, il principale server su cui giocare online all’epoca.
“Thresh” non è conosciuto solo per essere il miglior giocatore di Doom. Con l’uscita di Quake, infatti, ne viene come catturato e non smette di vincere. La sua impressionante conoscenza del meta, delle possibili strategie, delle tempistiche di gioco, dell’utilizzo delle varie armi gli fanno guadagnare il soprannome di Thresh ESP, cioè Extra-Sensory Perception, dotato di poteri paranormali. “Thresh” scrive addirittura la sua “bibbia”, la Quake Bible, tuttora disponibile online qui, e da molti considerata come il punto di partenza per chi, anche nel 2021, voglia iniziare a giocare agli FPS. Ma la sua influenza va addirittura oltre: se oggi qualsiasi gioco FPS ha di default per muoversi i comandi della tastiera W, A, S, D, infatti, il merito (o la colpa, vedete voi) è sua. È stato proprio “Thresh” a introdurre questo nuovo utilizzo dei movimenti, in modo da concedere più spazio alla mano destra per muovere il mouse. Un nuovo metodo che si dimostra talmente efficiente e così diffuso che su Quake 2, in suo onore, le freccette direzionali non sono più i tasti predefiniti per muovere il personaggio.
Ma in quel momento “Thresh” è ancora solo il re della costa ovest degli Stati Uniti. D’altra parte, le connessioni online non permettono di giocare a grandi distanze con parità di ping. Eppure dall’altra parte degli States sulla costa Est, c’è un certo Tom “Entropy” Kimzey, che viene già chiamato il “Thresh dell’Est”. I due, però, per anni non si incontrano: Paul Chaloner scrive dell’attesa di questo incontro come: “Mayweather che evita Pacquiao per anni”. A risolvere la disputa ci pensa la stessa id Software che in occasione dell’E3 del 1997, il più importante expo di videogiochi al mondo, ad Atlanta propone il torneo Red Annihilation. Uno dei creatori di Quake, John Carmack, mette in palio la sua Ferrari 328 Gts. I partecipanti sono centinaia ma in finale arrivano ci arrivano proprio loro: “Thresh” e “Entropy”. La finale non fa altro che sancire il dominio del primo: finisce 14 a -1 (“Entropy” prende persino un punto di penalità per aver ucciso sé stesso).
La partita tra “Thresh” e “Entropy” al Red Annihilation.
Da quella partita sono passati ben 24 anni ma l’influenza di Quake non si è esaurita. Di sicuro attenuata, rimasta come un fiume carsico sotto l’esplosione del mondo degli esports contemporaneo, ma mai scomparsa. La rivista Rolling Stones nel 2016, in occasione dei vent’anni dall’uscita, ha definito Quake come il titolo che “ha cambiato i videogiochi per sempre”. Quake è stato il primo del suo genere realmente in 3D, ovvero costruito con dei poligoni, al contrario dei precedenti (ma anche molti dei successivi) titoli come Doom o Duke Nukem che descrivevano un ambiente in tre dimensioni ma che in realtà era strutturalmente costruito, a livello di design, in 2D. Questo è anche il motivo per cui Quake - il cui nome deriva da un personaggio del mondo creato dal già citato Carmack su Dungeons & Dragons, per ammissione di John Romero, designer del gioco - era stato progettato nel 1991 ma non era stato possibile realizzarlo concretamente perché mancava la tecnologia adatta.
Non solo: Quake è stato il primo gioco con mappe realizzate specificatamente per il multiplayer, aprendo le porte alla diffusione di servizi online di matchmaking e non solo. Se oggi usiamo Steam, Xbox Live e PlayStation Network, il merito delle origini risale proprio a Quake e alla necessità reclamata dai suoi giocatori di avere un servizio che permettesse loro di potersi sfidare e confrontarsi. Ha anche di fatto fondato il concetto di clan e di social play, ovvero le basi dell’esports, del giocare competitivo in compagnia. Non in via diretta, però: è stata la sua stessa community che in quel momento ha realizzato ciò di cui aveva bisogno, spingendo il publisher del videogioco a sostenerli. La stessa QuakeCon, la più importante convention dedicata a Quake giunta ormai alla sua 26esima edizione, nasce come un LAN party gratuito creato nel 1996 a Dallas da un gruppo di giocatori di Quake. Dall'edizione del 1999 è poi organizzato dalla stessa id Software.
Nonostante gli anni, Quake ha ancora un’influenza enorme in termini di eredità sul mondo del gaming: Tim Willits, oggi creative director di id Software e designer del primo gioco della serie, sempre su Rolling Stones nel 2016 affermava: «Credo che nonostante sia arrivato dopo, Quake è stato decisamente più influente di Doom nella storia del gaming». Doom, così come Duke Nukem, Wolfestein 3D, Descent o Freescape sono tutti titoli che hanno dato un contributo enorme al gaming ma nessuno di loro ha saputo resistere negli anni come Quake ha fatto, in particolare nella scena competitiva.
Basti pensare che quando “Thresh” compiva le sue imprese, mentre contestualmente Quake definiva e probabilmente creava il concetto di esports almeno nel mondo occidentale, l’ultimo campione del mondo di Quake Champions, versione riveduta e aggiornata del titolo id Software oggi pubblicato sotto Bethesda, non era ancora nato. La cosa più incredibile, dal nostro punto di vista, è che sia anche italiano: palermitano, per la precisione, classe 1999, oggi ventiduenne, si chiama Marco Ragusa, o “Vengeur” se volete.
Con la vittoria di qualche settimana fa, Ragusa ha raccolto un’eredità lontana nel tempo ma importante anche nel contesto del gaming italiano che affonda le sue radici nei primi anni duemila. È lui stesso a dirmelo quando ci sentiamo per questa intervista: «L’eredità italiana lasciata sugli FPS, Quake incluso, è di quelle più pesanti: Cocis, Bonehead, V1cious, Booms, Forrest e Stermy sono solo alcuni dei nomi che hanno fatto la storia in Italia e a livello internazionale su questo genere. Sapere che alcuni di loro erano lì, a guardarmi, a tifare per me mi ha dato la spinta necessaria per riuscire a raggiungere l'impresa che nessuno prima di me era riuscito a compiere».
Data l’età di Quake, la prima cosa che viene da chiedersi è: perché un ragazzo di 18 anni, l’età di quando ha iniziato a competere a Quake Champions, dovrebbe avvicinarsi a un titolo così “vecchio”? «Ho iniziato a giocare agli FPS Arena grazie ad un titolo chiamato 'Serious Sam'. Conoscevo già Quake ma solamente di sfuggita, non ci avevo mai giocato e non avevo idea di star giocando allo stesso genere. Era il 2012, avevo 13 anni ed erano i miei primi passi nel mondo del gaming online. Poi alcuni miei vecchi amici sono passati a Quake Live e anche io ho iniziato a fare qualche partita. All’inizio sembrava difficilissimo ma è stato proprio questo a farmi innamorare del gioco. Un giorno scrollando su Youtube mi cadde l'occhio su due video fragmovie [una video raccolta delle migliori frag, ovvero uccisioni, compiute da un giocatore durante le sue partite quotidiane, ad alta spettacolarità e con l’aggiunta di musica di sottofondo adatta alle giocate, nda]: uno di Cypher ed uno di Stermy. Da quel giorno fu amore totale perché avevo capito che il gameplay di un player ad alto livello era come un mix tra magia e arte».
Una partita di Stermy su Quake Live.
Dall’innamoramento al professionismo e al recente successo, però, la strada è stata ancora più lunga. «Non ho deciso da un giorno all’altro di diventare professionista. Giocare ai videogiochi è sempre stata una mia passione e anche se oggi il mio lavoro fosse un altro continuerei a giocare nel tempo libero. Ho iniziato a partecipare alle prime competizioni online di ESL nel 2017, sotto contratto per l’organizzazione britannica Comrade Gaming. Poi, grazie a diversi risultati, sono stato notato dai Myztro Gaming dove ho trovato come compagno di squadra Raisy, uno dei migliori giocatori al mondo di Quake. È stato un passaggio che mi ha fatto maturare come giocatore e come professionista: ho trovato un’infrastruttura competitiva, uno staff dedicato. Oltre all’avere accanto a me un giocatore con l’esperienza di Raisy che mi ha aiutato non poco negli allenamenti. Anche i miei genitori si sono ricreduti nel tempo. Ricordo che all'inizio erano totalmente increduli e poco fiduciosi ma mi hanno sempre aiutato nell’inseguire i miei sogni. Nella mia famiglia nessuno era a conoscenza di cosa fosse Quake o l'esports in generale mentre adesso forse guardano più partite loro della QuakeProLeague che me».
In realtà, Quake rappresenta un sottogenere degli FPS: è un FPS Arena, con i giocatori che competono tutti all’interno della stessa, piccola, mappa, sviluppata sia in altezza che in larghezza con grandi sale e stretti corridoi, sotterranei, ascensori e piattaforme per saltare. In giro per la mappa si materializzano di volta in volta armi, munizioni, armature e cure: conoscerne i tempi di respawn, come si dice in gergo, e il momento in cui conviene utilizzarli è decisivo nell’equilibrio del match. Anche per avere un vantaggio sull’avversario: sapere che il nemico ha bisogno di punti vita dopo essere stato ferito permette di capire esattamente in quale punto della mappa è possibile trovarlo e sorprenderlo.
Quake, insomma, rappresenta il massimo livello raggiungibile di duel, il classico uno contro uno che è l’essenza stessa della competizione, sia per lo spettacolo offerto che per l’adrenalina che contraddistingue l’esperienza dei giocatori che sanno di poter fare affidamento solo su sé stessi. «Ogni gioco ha le sue peculiarità ma continuo a pensare che l'1v1 sia l'apoteosi del competitive, così come su Starcraft o nei picchiaduro», mi dice “Vengeur” «Sapere che tutto quello che farai all'interno del gioco dipenderà solo da te è una responsabilità molto importante che riponi in te stesso e nessun altro. Non significa però che non mi piacerebbe giocare in team: ho anche avuto una parentesi sul 2v2 su Quake, veramente divertente e culminata con una Top5 al Dreamhack Winter del 2018. Se ritornassero quei tipi di tornei non mi dispiacerebbe alternarli all'1v1».
Nonostante il valore competitivo, l’influenza sugli altri giochi, alla base del movimento esports, e l’adorazione nei suoi confronti da parte della community, di Quake e dei suoi capitoli successivi oggi però si parla davvero poco. Forse perché paga la scarsa immediatezza, il molto tempo necessario per divertirsi, qualcosa che lo allontana da titoli come Fortnite o Call of Duty Warzone, che oggi spopolano. «Il problema è che Quake è un gioco difficile», mi dice Vengeur «Soprattutto all’inizio migliorare richiede tanto tempo, alimentando un tasso di abbandono significativo: i nuovi giocatori provano ad affacciarsi su Quake ma mollano presto, complice poi che livello competitivo il 90% dei giocatori professionisti ha già un’esperienza anche di dieci anni rispetto al nuovo player medio che arriva oggi». Poi aggiunge: «Ciò non significa che Quake non sia seguito, anzi: se mettiamo a paragone il numero di giocatori mensili e il numero degli spettatori, c'è molta più gente che guarda Quake rispetto a quella che lo gioca. Un dato che descrive come questo tipo di gioco con duelli ad alto livello abbiano il loro fascino e attirino gli spettatori nonostante il gioco in sé sia molto più difficile».
Discorso che vale anche per un altro titolo, anch’esso vecchio e oggettivamente più difficile rispetto a quelli presenti oggi: Starcraft. Il destino ha voluto che nello stesso anno due italiani trionfassero come campioni del mondo proprio su questi giochi: "Vengeur" su Quake Champions, appunto, e "Reynor", cioè Riccardo Romiti, su Starcraft II, con cui avevamo parlato qualche tempo fa. Entrambi giovanissimi, nessuno dei due era nato quando il videogioco di cui sono diventati campioni del mondo era stato pubblicato nella sua versione originale: in questo momento sono i maggiori rappresentanti dell’Italia nel mondo esports. «Seguo Riccardo e ho visto la sua impresa all'IEM Katowice di quest'anno. L'ho conosciuto a quel torneo nel 2020 ed è veramente un ragazzo in gamba. Le nostre carriere sono veramente molto simili e anche la curiosa statistica del competere in un gioco che è al mondo da prima di noi è qualcosa che sicuramente mi fa venire la pelle d’oca ma allo stesso tempo mi fa sorridere. Gli auguro una carriera lunga di successi come quelli che sta già ottenendo».
Con l’uscita di Quake Champions quattro anni fa, il capitolo più recente della serie, Bethesda ha dichiarato apertamente di voler riportare Quake ai fasti del passato, costruendo una scena esports moderna e professionistica, lontana da quella nata dalla community e per la community vent’anni prima. Marco Ragusa, in questo senso, è stato tra i primi a prendere parte alla Quake Pro League, la competizione annunciata nel 2019 e lanciata alla Quakecon dello stesso anno, grazie ai risultati maturati nei mesi precedenti. Attraverso varie tappe e tornei intermedi, la stagione della Quake Pro League dura un anno intero. Nella prima edizione Marco Ragusa aveva conquistato il terzo posto, rimandando di un anno la vittoria mondiale, arrivata tra l’altro senza aver mai vinto un solo torneo del circuito principale. Una lunga serie di podi, culminata con la conquista della cintura da campione del mondo. E adesso che è arrivato all’apice, cosa si aspetta? «Al momento abbiamo appena concluso la seconda stagione e aspettiamo notizie per il futuro. Siamo fiduciosi ma sappiamo anche che Quake è un esports di nicchia. Noi professionisti viviamo in una scena precaria: dobbiamo sperare che il circuito continui anche perché sarebbe un peccato smettere adesso: con tutte le storyline e i giocatori che ne fanno parte, ogni domenica (il giorno delle sfide, nda) è sempre uno spettacolo garantito».
Vengeur con la Championship’s Belt di Quake Champions.
E se un giorno la Quake Pro League dovesse chiudere, eventualità non così improbabile considerando che si tratta di competizioni in mano ad aziende private, cosa farebbe il campione del mondo di Quake Champions? «Conoscendomi continuerei a giocare a un titolo FPS. Quale, però, non ne ho la più pallida idea. Me ne piacciono molti ma sono tutti videogiochi a squadre, quindi dovrei quasi ripartire da zero imparando altre meccaniche di gioco. Apex Legends per esempio è un titolo che a me piace molto giocare ma che a livello competitivo richiederebbe un approccio completamente diverso rispetto a quello a cui sono abituato. Counter-Strike e Valorant invece amo guardarli e sarebbe curioso vedere come le abilità acquisite su Quake si possano trasferire su un FPS Tattico. Sono anche curioso di vedere l'uscita del nuovo Halo e la progressione di Spligate (altro FPS, nda) durante i prossimi mesi». Per adesso, però, “Vengeur” rimane una realtà tangibile, come lo è Quake d’altra parte. E anche se oggi ci sembra improbabile che questo videogioco possa sopravvivere ancora a lungo considerando quanta storia si porta sulle spalle, perché dovremmo pensare il contrario? Se Quake è uscito indenne all’esplosione di internet, e poi dell’online gaming e infine dell’esports competitivo - anzi, ne sembra uscito quasi rafforzato, per quanto possa apparire incredibile - non mi stupirebbe se lo stesso avvenisse anche con quello che ci aspetta da qui ai prossimi 24 anni. Chissà che un giorno non ricorderemo “Vengeur” come oggi ricordiamo “Thresh”.