Cara posta del cuore dell’Ultimo Uomo, ho 33 anni e non so per quale squadra tifare.
Sono nato a Treviso e dopo aver snobbato il calcio per una vita mi ritrovo oggi a leggere la Gazzetta ogni mattina e a partecipare ossessivamente al Fantacalcio con un gruppo di amici, il mio problema è che non so per quale squadra tifare.
Amici di UU, esistono dei criteri per scegliere la propria squadra del cuore in età adulta?
Comincio da capo: ho iniziato a seguire il calcio a 10 anni, era il 1994, avevo appena finito la 4a elementare e c'erano i mondiali negli Stati Uniti: nell'aria c'era un entusiasmo palpabile per la nazionale di Sacchi. Com’è finita ai mondiali lo sappiamo, ma io non mi ero fatto scoraggiare anzi, illuminato dal Roberto nazionale, avevo cominciato a tifare Juve. Proprio come il mio amico Davide e la quasi totalità della 5B della Scuola Elementare Carducci.
1996, io a sinistra con la maglia con cui la Juve aveva battuto l’Ajax in finale di Champions e il cappellino a ricordare la finale Intercontinentale vinta contro il River Plate.
Sono andato avanti così fino ai 16 anni, quando mi si sono attivati gli ormoni adolescenziali e il calcio è passato in secondo piano, finché non ho cominciato a snobbarlo per seguire gli studi, le ragazze e poi il lavoro. Dal 2000 facciamo un balzo temporale di 17 anni direttamente ad oggi, in cui da circa un anno mi ritrovo nuovamente con quella stessa fame di un tempo, ma con la terribile deficienza di non avere una squadra del cuore. Partendo dal fatto che, per come sono cresciuto, non potrei mai tornare a tifare Juventus o una delle due milanesi. La penso un po’ come Mihajlovic quando prima dell’ultimo derby ha detto che «Torino-Juventus è la sfida tra popolo e padroni».
Legami affettivi
Ho trascorso alcuni anni della mia vita a Palermo e a Roma, in cui simpatizzavo per le squadre di casa, soprattutto perché volevo condividere l’umore con gli amici del posto. Per il Palermo l’infatuazione è stata breve, tradito sul nascere dalla famosa intercettazione a Miccoli. Della Roma invece mi ero preso una vera e propria cotta. La domenica i miei amici romani mi portavano a vedere le partite a Le Mura di San Lorenzo, mi godevo le galoppate di Salah e condividevo la frustrazione del non vedere il Capitano in campo, prima con Garcia, poi con Spalletti. A farmi innamorare era stato soprattutto il rapporto tra i romani e il calcio, un rapporto ossessivo fatto di polemiche anche quando la squadra vinceva. Ma proprio quando cominciavo a diventare polemico anche io e mi si spezzava il cuore all’addio di Totti, sono stato costretto a lasciare la capitale.
Legami geografici (in KM)
Totti lascia la Roma e lo faccio anche io per tornarmene a Treviso. Il Treviso Calcio ha avuto un recente passato appassionante: nell'estate 2005, alla fine del campionato di Serie B, a seguito della revoca della promozione in Serie A del Genoa e del Torino, riesce ad ottenere d'ufficio la promozione in massima serie. Riesce a rimanerci solo un anno al termine del quale sprofonda nel fallimento della società, per militare oggi nella categoria Promozione.
Alcuni degli incredibili giocatori passati da Treviso.
Andando a pescare nelle dirette vicinanze della mia città natia ci sarebbe l’ottimo Venezia (26km) di Pippo Inzaghi, che grazie alla presidenza statunitense promette buoni anni a venire. Ma per chi è nato da queste parti sa che tra trevigiani e veneziani non scorre buon sangue. Allora diciamo di stringere il cerchio tra le squadre di Serie A, seguendo l’idea di un legame geografico, dovrei forse scegliere tra le due veronesi (110km)? In quel caso il Chievo visto che ho la rockstar Lucas Castro al Fantacalcio? Andando però a guardare le distanze effettive da Treviso dovrei forse scegliere le più vicine Spal (104km) che però sta in Emilia Romagna o Udinese (89km), che sta in Friuli?
L’anima gemella
Se invece immaginassi la scelta della squadra come un match con una ragazza, allora dovrei scegliere la tifoseria con cui avrei più interessi in comune e, se fosse carina, non guasterebbe. In questo caso quale scelta migliore del Napoli per me che sono goloso e che amo il calore del sud? Quale squadra con una tifoseria più popolare di quella partenopea? E poi, c’è squadra più bella nel gioco attualmente di quella allenata da Sarri? Scelta facile, direte voi, questo è l’anno del Napoli, perché non scegli il Benevento e soffri?
Tifosi del Napoli durante la partita contro il Cagliari.
Ecco dopo tutti questi ragionamenti mi sento ancora più confuso, si può scegliere così a tavolino la squadra del cuore? Non dovrebbe invece nascere da un legame più emotivo che razionale? Sarò per sempre costretto a rimanere single?
Grazie, Matteo
Risponde Daniele Manusia
Ciao Matteo, grazie per la bella domanda lunga e personale, il genere di domande che quando abbiamo deciso di aprirci verso i nostri lettori con questa rubrica speravamo di ricevere. Devo però cominciare rifiutando il tuo approccio al tifo. Più avanti starò al gioco e ti risponderò su ogni punto - alla fine arriverò anche ad una conclusione, suggerendoti una squadra, semplicemente perché, oh, quando mi ricapita di poter influenzare un aspetto così importante della vita di qualcuno che neanche conosco - ma non posso non cominciare dicendoti che la passione per una squadra non è un fatto razionale.
Il tifo si eredita, la maggior parte delle volte, e non ci si può fare niente. Puoi nascere laziale in una classe di romanisti, finire isolato e preso in giro quando la tua squadra perde, ancora più isolato quando su di te si riversa il rancore della maggioranza sconfitta, ma non cambi squadra. Il tifo non ha a che fare solo con il territorio, ma con la casa. È una forma di parentela che ti unisce a degli sconosciuti e che spesso parte dalla parentela vera e propria. Io personalmente avevo un padre laziale ma il resto della famiglia romanista, non saprei neanche dirti perché alla fine ho tradito mio padre ma ricordo i sensi di colpa e le difficoltà a parlare di calcio, l’argomento di cui volevo più parlare da piccolo, con la persona con cui volevo passare più tempo possibile. Eppure non ho mai avuto un cedimento, pur non condividendo, per forza di cose, l’esplicita aggressività con cui molti vivono la rivalità cittadina.
Per questo Matteo devo mettere il dito nella più grossa piaga della tua domanda, nel buco intorno a cui hai costruito la narrazione del tuo rapporto con il tifo: dov’era la tua famiglia quando indossavi maglia e cappellino della Juve? Che squadra si tifava nel tuo salotto? Di che colori avevate il calendario nel tinello? Non voglio chiederti che rapporto avevi con tuo padre, tuo zio, tuo nonno, ma credo che dovresti ragionare anche su questo.
Daniele Manusia con il padre laziale e sciarpa della Roma infilata nel piumino.
Ok magari la tua è una di quelle famiglie, ammesso che esistano in Italia, in cui non si segue molto il calcio (e magari in Veneto ci sono altri sport da seguire e praticare più salutari per il corpo e la mente). Allora però potevi restare della Juve, no? Anche qui c’è un buco nella tua narrazione. Come è andata, un giorno ti sei svegliato e ti sei detto che non era possibile tifare “la squadra dei padroni”?
Mi dispiace ma non posso farti passare neanche questa cosa, primo perché non è vera, secondo perché non c’entra niente con il tifo. Non si tifano i proprietari, né i dirigenti di una squadra; non si tifano neanche i giocatori in sé, perché quelli poi cambiano squadra. La retorica del “tifiamo solo la maglia” in realtà si basa sulla sottrazione di tutto ciò che c’è di superfluo in una squadra. Togli tutti gli orpelli restano davvero solo i colori, il nome, lo stemma. Certo, capisco che dei fatti extra-calcistici possano deluderci al punto da perdere la passione nei confronti della nostra squadra del cuore, ma a quel punto magari ti allontani dal calcio in generale, o te lo godi così, laicamente, non è che ti cerchi un’altra squadra. Anche perché se dovessimo indagare l’etica di dirigenti e presidenti, di oggi o passati, credo che resteremmo con poche possibilità di scelta.
Tocchi un tasto dolente, in questo caso, perché negli ultimi anni di vita, in cui mio padre era malato, si è allontanato dal calcio e non ho potuto parlare con lui della cosa che mi appassiona di più, del mio lavoro. Per lui il calcio era corrotto, come il resto delle attività umane, Lotito non gli piaceva e la Lazio era sempre scarsa, anche quando vinceva e venivano fuori giocatori interessanti. Per provare a rivitalizzare la sua passione sono quasi diventato laziale io, gli descrivevo le partite che non vedeva, esaltavo i giocatori che pensavo sarebbero potuti piacergli. Ma non funzionava, c’era sempre qualcosa che non gli piaceva, che non andava bene. Il calcio è pieno di problemi e difetti, ma è il modo in cui tu lo vivi che importa. Il calcio e il tifo di una squadra devono parlare alla parte più vitale dentro di te. A quella in grado di amare pur vivendo in un mondo difficile e complicato. Di amare e odiare al tempo stesso.
Fabrizio Miccoli triste per aver fatto perdere un tifoso, e chissà quanti simpatizzanti, al Palermo.
Lo stesso ovviamente vale per la storia di Miccoli e del Palermo. Un vero tifoso è in grado di esultare anche al gol di un calciatore che disprezza. In definitiva, Matteo, credo che a te non manchi una squadra per cui tifare ma un’idea vera e piena di calcio. Non voglio fartene una colpa o psicanalizzarti oltre, e non sono neanche la persona migliore per insegnarti cosa significhi perdere veramente la testa per una squadra, sacrificarsi per lei, nutrire e venire nutriti da una passione che al tempo stesso ti divora, che ti fa sentire qualcosa di più rispetto a quello che saresti senza quella specie di consapevolezza profonda, intima partecipazione a un destino che condividi con chissà quante altre persone. Però, insomma, il tifo è un’altra cosa.
Detto questo, non sapevo che il Treviso fosse finito in Promozione. Avendo giocato in Promozione, posso dirti che un po’ di pubblico fa sempre comodo e che qualche bella partita, non solo dal punto di vista agonistico, rischi di vederla. Però capisco che se ti consigliassi di diventare tifoso del Treviso in Promozione, senza che tu abbia mai sentito un legame forte con la squadra della tua città, rischierei di contraddire le mie stesse premesse. Non puoi essere tifoso del Treviso, come non puoi essere tifoso del Chievo né tantomeno del Venezia, perché il legame territoriale non funziona per semplice prossimità. Non sei un politico, questa cosa o la fai per te o non ha senso.
Infine, non puoi neanche tifare Napoli. Non puoi metterti a tifare Napoli, oggi, perché sarebbe di cattivo gusto. Puoi apprezzarla senza evirarti della tua passione calcistica, come puoi godere della compagnia della splendida moglie del tuo migliore amico, o del marito bellissimo di tuo fratello (a seconda del tuo orientamento), senza varcare la linea dell’intimità. Ma soprattutto, non puoi tifare Napoli perché da quello che mi scrivi te e Napoli non avete nulla a che spartire. Non so se la foto del tifoso con babà l’hai scattata te ma in ogni caso, anche se fossi stato allo stadio e avessi respirato quell’atmosfera lì, non sarebbe abbastanza. Sarebbe appropriazione culturale, o al massimo turismo. Anche io adoro la città e penso che i babà siano il dolce adatto per qualsiasi pasto e occasione speciale, adoro la squadra di Sarri e sarei felice se vincessero qualcosa, ma non la sentirei come una vittoria “mia”.
Secondo me, Matteo, da quello che tu stesso scrivi, la sola squadra che puoi tifare è la Roma. Perché hai vissuto la città e la squadra, perché se specifichi che stavi diventando polemico significa che hai sentito e capito l’importanza di uno degli oli essenziali che profumano i tinelli romani. Adesso che sei lontano da Roma potrai fare “il romanista in esilio”, come tutti i romanisti costretti all’estero o a Milano per motivi di lavoro. Potrai andare nel Roma Club più vicino o, se non c’è, fondarne uno tuo in cui attirare altri tifosi e simpatizzante (per questo è fondamentale che sia in un locale pubblico, le case non valgono). Potrai contagiare veneti innocenti di quel romanismo appiccicoso e oscuro, un po’ da gita aziendale, che solo i romanisti lontani dalla Roma conoscono. Ho vissuto a Parigi per tre anni e ti dico che hai di fronte a te la porta di accesso a una forma di romanismo estremamente autentica, che equivale a quella di chi ogni domenica fa la fila ai tornelli sotto all’obelisco del duce.
I romanisti sono ovunque.
Ho fatto una velocissima ricerca è ho trovato un Roma Club Treviso e secondo me dovresti iscriverti subito e andare lì a vedere il derby. Credimi, non lo dico solo perché mi è stata data l’occasione, pressoché irrinunciabile, di aumentare la comunità dei tifosi della mia stessa squadra. Se cogli quest’occasione, Matteo, potrai struggerti per la mancanza di Roma e della Roma, amare nella malinconia, nella nostalgia da eterno infelice.
Potrai parlare con accento romano nei pressi del Roma Club, parcheggiare male apposta solo in occasione delle partite della Roma, cantare insieme ai tuoi fratelli e sorelli lupacchiotte, tutta gente dall’aria cordiale e integrata nella nostra società, cori da stadio, Dammi Tre Punti, Nel cervello soltanto la Roma. Potrai collezionare paccottiglia giallorossa e decorarci casa per insegnare i valori del romanismo ai tuoi figli 100% veneti. Potrai giocare a calcetto con la maglia di Giannini o Totti nel freddo del nord, oppure con quella di De Rossi per reagire male ai brutti falli e farti esplodere la faccia per la rabbia del momento. Potrai fare la carbonara ai tuoi amici e un giorno, chi lo sa, sarai così fortunato da essere conosciuto in tutti i tuoi giri come “quello che tifa la Roma”.
Poi, quando ci sarà qualcosa da festeggiare, se mai un giorno ci sarà di nuovo qualcosa da festeggiare, ti sarai meritato il tanto sognato viaggio al Circo Massimo. Potrai venire a mischiarti tra la tua gente, rinunciare alla tua identità per scioglierti nella gioia comune.
Insomma Matteo, io ti ho detto la mia. Poi fai come ti pare. Puoi anche goderti il calcio appassionandoti agli allenatori o ai giocatori. Oppure a squadre estere. Non c’è niente di male anche a cominciare una nuova fare della tua vita da zero. L’importante Matteo, è che accetti la responsabilità che si accompagna alla passione.