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Quali sono le difficoltà nel percorso di una allenatrice
04 nov 2021
Ne abbiamo parlato con Patrizia Panico, allenatrice della Fiorentina Women.
(articolo)
7 min
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All’inizio di questa stagione della Serie A femminile le allenatrici erano quattro: Carolina Morace (Lazio Femminile), Manuela Tesse (Pomigliano), Rita Guarino (che in estate ha lasciato la Juventus Women per approdare all’Inter) e Patrizia Panico, che dopo aver lasciato il suo ruolo di vice della Nazionale maschile U21 è diventata l’allenatrice della Fiorentina Women.

4 allenatrici su 12 squadre – il 33,3% del totale – è un buon dato, se si considera che in Italia il calcio è considerato uno sport prettamente maschile. Era sembrata una ventata di ottimismo, ma non è durata: dopo la terza giornata Tesse è stata esonerata, seguita a ruota da Carolina Morace alla quinta. Non vi sorprenderà sapere che i sostituiti sono uomini: Domenico Panico al Pomigliano e Massimiliano Catini alla Lazio Femminile. Sono bastate cinque giornate di campionato e alcune sconfitte, peraltro di due squadre entrambe neopromosse e quindi forse anche un po’ giustificate nel ritardo tecnico e tattico messo in campo, per dimezzare la quota di allenatrici nel campionato italiano.

È interessante come le due società, al primo problema, abbiano pensato di sostituire una allenatrice con un allenatore. Sarebbe stato infatti più logico il contrario, per diversi motivi. Prima di tutto per spingere il cambiamento invece di ostacolarlo, in un momento storico in cui il calcio femminile viene gradualmente restituito alle donne. Nel mondo calcistico femminile infatti si sta affermando la tendenza che, oltre alle giocatrici, anche le squadre sono composte da manager donne, uffici stampa donne, staff composti da donne. A questo si aggiungono gli spalti gremiti di pubblico femminile, le terne arbitrali composte da donne e infine il giornalismo sportivo raccontato dalle donne.

Non si tratta certo di sessismo rivolto verso gli uomini, ma più semplicemente di lasciare la possibilità di uno spazio in cui far evolvere la carriera sportiva anche per le allenatrici, dato che al momento l’idea per una donna di allenare in un campionato maschile è ancora considerata una vera e propria eresia. Per le donne è quindi fondamentale riprendersi i propri spazi di azione per crescere come movimento, anche perché è a partire dalla burocrazia che per una donna è più difficile diventare allenatore.

A volte qualcuno vorrebbe lasciar intendere che, dato che i corsi per allenatori a Coverciano sono aperti a tutti e tutte, allora se le donne non vi partecipano la responsabilità, in un certo senso, è la loro. Ma è davvero così? Spesso questa visione – se vuoi, puoi – viene usata contro le istanze delle donne in maniera però imprecisa. Narrazioni sghembe che raccontano di possibilità aperte anche alle donne che per non hanno il coraggio o il reale desiderio di cogliere. Narrazioni poi smentite dai dati.

Il bando di ammissione al corso allenatori UEFA PRO di Coverciano riporta questi due punti:

  • Per poter accedere al corso, i candidati devono aver compiuto il 32esimo anno di età ed essere in possesso del diploma Allenatore di Base – UEFA A; chiaramente, qualora le richieste di partecipazione al corso fossero superiore ai posti disponibili, il Settore Tecnico, attraverso un’analisi dei titoli presentati – esplicitato nel Bando relativo al corso stesso -, provvede a stabilire una graduatoria di ammissione per la scelta dei partecipanti. Il costo è di 8.000 Euro.

  • I punti maturati da titoli sportivi quale calciatore possono essere fino ad un massimo di punti 35; quelli maturati con titoli sportivi come allenatore fino a 40 punti.

Già da questi due elementi emergono due problemi. Il primo di carattere economico, e cioè che ci vogliono 8mila euro per partecipare a questo corso. Se la quota è uguale sia per le donne che per gli uomini, lo stesso non può dirsi degli ingaggi dei giocatori e delle giocatrici. Ipotizzando una simile carriera in serie A, infatti, a oggi una calciatrice donna è una dilettante e ha un tetto di guadagno che non può essere superato e che certamente non la fa arricchire, diversamente da quello che accade ai colleghi maschi. Investire una ingente somma di denaro in un percorso formativo in cui poi sarà probabilmente molto complesso avere uno sbocco non è una scelta che le ex calciatrici possono affrontare facilmente.

L’altro elemento che emerge dal bando è che i punti maturati per la graduatoria di accesso si basano principalmente sulla lunghezza della carriera del candidato o della candidata. È noto però che, in genere, una atleta donna ha una carriera molto più breve di quella di un uomo. Essendo una dilettante, non è raro che al termine degli studi universitari la carriera venga interrotta per accedere a un lavoro serio, oppure alla maternità. È vero quindi che ogni anno giocato vale lo stesso punteggio per un calciatore ed una calciatrice, ma se la carriera di un uomo è automaticamente messa in condizione di essere più lunga, questa equipollenza è reale o è di comodo?

Ho parlato di questi aspetti con Patrizia Panico, l’attuale allenatrice della Fiorentina Women. Il motivo per cui ho scelto di discuterne con lei è perché da un lato la sua carriera da giocatrice è stata eccezionalmente lunga (quasi trent'anni, dal 1988 al 2016) e proficua (Panico è stata una delle migliori attaccanti nella storia di questo gioco, con oltre 650 gol all'attivo e un palmares che servirebbe un articolo a parte per elencarlo); dall’altro perché è una delle rare eccezioni di allenatrici che ha avuto modo di sedere sia su una panchina maschile (Nazionale giovanile Under 15, Under 16 come prima allenatrice e nell’Under 21 come vice) sia su una femminile. Un caso più unico che raro nel mondo del calcio, ma di certo un esempio a cui ambire, se davvero prima o dopo si vorrà parlare in maniera credibile di equipollenza fra il calcio femminile e quello maschile.

Gabriele Maltinti/Getty Images

Quando hai deciso di diventare allenatrice hai semplicemente seguito una passione oppure hai prima fatto una riflessione sulle possibilità economiche, sullo spazio disponibile o più in generale sugli eventuali sviluppi in questa professione?

No, non mi sono fatta nessuna di queste domande. Magari avessi avuto un approccio diverso, un po’ più materialistico che passionale. Quando hai un approccio più materialistico ti fai trasportare meno dalle emozioni, dalle delusioni. Io sono legata al calcio fin da quando ero piccola e così ho seguito la mia passione senza fare calcoli in ordine di carriera o in termini economici. La mia riflessione è stata semplicemente quella di non voler più sottostare a insegnamenti calcistici superficiali. Volevo dare una professionalità a quello che è il ruolo dell’allenatore mettendo a disposizione le mie conoscenze da giocatrice, ma soprattutto cercando di approfondire qual è il punto di vista dell’allenatore. E quindi tutte quelle conoscenze che io non ho potuto avere da giocatrice le volevo avere da allenatrice.

Questo è dovuto al fatto che fino a qualche anno fa il calcio femminile aveva una struttura meno chiara e chi arrivava ad allenare o ai ruoli apicali aveva più un approccio arrembante che non una formazione?

Assolutamente sì. La motivazione che mi ha spinto a intraprendere questa strada è che non volevo vedere più figure poco professionali nel ruolo di allenatore nel calcio femminile.

Quando ti immaginavi come allenatrice, lo facevi pensandoti allenatrice di calcio maschile o di calcio femminile?

Mi immaginavo allenatrice e basta. Senza distinzione.

Che poi tu rappresenti un’eccezione. La tua carriera da allenatrice è iniziata in una squadra maschile, nel 2017 hai seguito la Nazionale giovanile Under 16 come vice. Sei riuscita ad abbattere un muro subito, appena uscita dal corso.

Sì, ho fatto un percorso che ritenevo più formativo rispetto a quello di entrare subito in comunicazione con le ragazze. Non volevo dare quello che avevo ricevuto io. E con questo intendo quelle poche conoscenze che avevo nel momento in cui avevo smesso di giocare.

Paolo Bruno/Getty Images

Discriminare te in ambito calcistico è complesso data la tua carriera da calciatrice. Ma durante il corso, oppure a carriera iniziata, hai avuto la sensazione che qualcuno non ti prendesse sul serio perché sei una donna?

Sì, ce l’ho avuta. Certo, il curriculum da giocatrice ha abbattuto un po’ di muri di diffidenza. Però quello serve inizialmente, se non hai contenuti diventa complicato. Ad un certo punto bisogna tirare fuori anche qualcosa di più. In un primo momento l’approccio è sempre stato di curiosità più che di fiducia. Non voglio usare la parola ostruzionismo, ma ho percepito un po’ di diffidenza. E non faccio riferimento al corso allenatori. Parlo della diffidenza che si ha in quasi tutti gli ambienti lavorativi dove ci sono le donne. Questa diffidenza l’ho avuta e certamente continuerò a doverci fare i conti; ma credo anche che sia un po’ più legata all’aspetto culturale che non all’aspetto reale. È dovuta alla paura degli uomini di perdere quelli che sono i loro fortini.

Quante donne c’erano con te al corso per allenatori UEFA A PRO?

Nel PRO ero solo io.

Quali deterrenti raccontano le tue ex colleghe, o allenatrici di livello inferiore, che decidono di non compiere il passo definitivo di accedere al corso di Coverciano?

La forte difficoltà è più dovuta alle questioni che riguardano l’accesso al corso. I punteggi vengono conteggiati in maniera totalmente diversa fra il maschile e il femminile. La principale barriera è dovuta a questo e non tanto al risvolto economico o di opportunità successive. Questi sono aspetti antecedenti rispetto al fatto di scegliere o meno di accedere al corso allenatori. La verità è che per le donne ci sono più ostacoli che agevolazioni.

Il bando prevede un accesso al corso che si basa sui punteggi maturati soprattutto negli anni di carriera come giocatore/giocatrice. Eppure è noto che, eccettuati rari casi come il tuo, la carriera di una donna nel calcio è di regola più breve di quella di un uomo. Insomma, quello che apparentemente sembrerebbe equipollente, in realtà non lo è.

C’è purtroppo anche un’aggravante: il punteggio maturato grazie alle presenze in Nazionale viene contato in maniera diversa. Lo stesso vale per il punteggio che è stato maturato a seguito degli anni giocati nella Serie A maschile e in quella femminile. I miei anni di carriera sono stati tanti e io sono riuscita ad ottenerlo grazie a questo. La mia carriera infatti non solo è stata lunga nei club ma anche in Nazionale e poi anche la partecipazione al Mondiale (USA 1999, nda) mi ha dato punteggio e sono stata fortunata. Ma per una donna è difficile arrivare a maturare questi numeri. In più ci metterei anche un altro aspetto, che non è per niente banale: quando un calciatore arriva a fine carriera i guadagni che ha ottenuto sono molto maggiori rispetto a quelli di una donna e andare a fare il corso UEFA PRO, che ha dei costi elevati, senza sapere cosa accadrà dopo, credo che possa incidere nella scelta di farlo o non farlo.

Per allenare le donne in Serie A basta il titolo UEFA A mentre per gli uomini ci vuole il titolo UEFA A PRO. Anche questo è un retaggio del fatto che nell’immaginario comune il calcio maschile è migliore, più tattico, più complicato e quindi bisogna studiare di più?

No, io credo che sia più dovuto ad un percorso di crescita che sta facendo il calcio femminile. È da due anni che è vincolante il corso UEFA A; prima bastava solo l’UEFA B. Può essere visto come un percorso di crescita che sta attraversando il calcio femminile in generale. Mi auguro che a breve ci sia l’opportunità di poterlo estendere all’UEFA PRO, ma con l’equipollenza dei punteggi anche per le donne in modo da poterle far accedere ai corsi.

Un dato importante emerge dagli accessi al corso UEFA A PRO per il 2021/2022: ci sono 23 iscritti, di cui 22 sono uomini e uno è donna, Selena Mazzantini. Mi pare che rispetto a quando tu hai fatto il corso (2017, nda) non è cambiato nulla. Questo cambiamento in atto delle donne nel calcio di cui si parla è una cosa che sta accadendo davvero oppure è una cosa che ci piace raccontarci?

Il punto è che non in molti conoscono queste difficoltà per le donne nell’accedere al corso UEFA PRO. Non so se Selena avesse il punteggio oppure sia stata invitata, perché è possibile se sei tesserato con la Federazione (Selena Mazzantini è assistente allenatrice della Nazionale Under 23 femminile, nda). Io non ho avuto bisogno di questa agevolazione perché riuscivo ad arrivare al punteggio necessario già con i miei titoli, ma è una possibilità. La federazione ha due inviti: Federico Guidi, che stava nelle giovanili, non avrebbe mai potuto fare il corso UEFA PRO perché non sarebbe arrivato al punteggio necessario, ma essendo allenatore dell’Under 19 maschile ha potuto accedere al corso su invito. Se Selena ha l’opportunità di partecipare a questo corso è anche grazie alla Federazione che sta cercando di fare tanto per il calcio femminile, però la sensazione è che tutto ciò che si sta mettendo in atto sia ancora abbastanza poco rispetto a quello che si potrebbe fare.

Giampiero Sposito/Getty Images

All’inizio della stagione calcistica di Serie A femminile 2021/2022 per la prima volta c’erano quattro allenatrici donne, dopo la quinta giornata erano dimezzate. Mi domando se, anche qui, c’entri il fatto che sono donne.

Non so dirti se l’esonero di Carolina e Manuela sia dovuto al fatto che sono donne. Questo forse sarebbe più comodo e semplice chiederlo a loro. Quello che so io è che sono due allenatrici molto valide, le conosco entrambe molto bene, oltretutto entrambe hanno il patentino UEFA PRO. Bisognerebbe vedere quanti UEFA PRO ci sono nel campionato di Serie A femminile e quanti UEFA PRO ci sono nel campionato di Serie B femminile. Da qui potrebbero emergere altri dati indicativi.

Il fatto che siano state immediatamente sostituite con degli uomini mi fa pensare che forse in Italia l’allenatore uomo rappresenta ancora un po’ la sicurezza. Magari sia alla Lazio che a Pomigliano sarebbe stato logico e sensato continuare sul percorso iniziato con le allenatrici donne; e invece entrambe le squadre hanno preferito rientrare in sicurezza e hanno preso allenatori uomini. Tu come la vedi?

Io credo che ci sia un po’ questa tendenza. Non mi piace molto il concetto di “fallimento” ma tuttavia quando i risultati di una allenatrice donna tardano a arrivare, questo ritardo si tende ad attribuirlo al fallimento dovuto al genere e non al fallimento della persona. Però quando fallisce un allenatore, può essere succeduto da una donna o da un uomo. Invece per esperienza ho notato che tutte le volte in cui c’è una successione di una panchina di una donna, quello che viene dopo è sempre, automaticamente, un allenatore uomo. Quindi mi sembra che ci sia un po’ la tendenza ad attribuire il fallimento di una allenatrice donna a tutto il genere quando in realtà è chiaro che le cose non stanno così.

Si parla molto delle fantomatiche differenze di fronte alle quali si trovano un allenatore o una allenatrice quando hanno a che fare con squadre maschili o femminili. Dato che tu hai alla mano entrambe le esperienze, mi piacerebbe sapere se c’è una versione diversa di Patrizia Panico quando alleni l’una o l’altra categoria.

In me non è mai scattato niente di diverso. Quello a cui io credo e che a me è sempre piaciuto da giocatrice era trovare un allenatore che fosse trasparente, leale, schietto. Queste caratteristiche erano già un punto di partenza molto importante. Di conseguenza se alleno gli uomini o alleno le donne, io sono sempre me stessa, con i miei difetti ed i miei pregi. Però ci credo molto nell’essere trasparente, nell’essere me stessa perché poi anche se la donna magari ha differenze di vedute ed approcci diversi, ha anche modi diversi di affrontare le sconfitte e le vittorie. Ma al di là di tutto questo sono convinta che un allenatore debba in maniera assoluta e prioritaria instaurare con la squadra un rapporto di trasparenza.

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