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Quando Sarri e Conte non riuscirono a salvare l'Arezzo
03 set 2018
Storia dell'incredibile stagione 2006-07 dell'Arezzo in Serie B, che si concluse con la retrocessione all'ultima giornata.
(articolo)
23 min
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Quand'è che su un piano inclinato le cose iniziano a precipitare? Per l'Arezzo il momentaccio inizia il 14 maggio 2005, quando gli amaranto di Pasquale Marino compiono uno scatto fondamentale per la propria salvezza in Serie B, battendo la Salernitana per 1-0 con un gol dopo dieci minuti di Gionatha Spinesi. La circostanza più rilevante della partita, però, è un'altra: nel secondo tempo, per due volte, l'assistente Stefano Titomanlio decide di integrare la direzione di gara dell'arbitro Dattilo, alzando la bandierina e segnalando due falli in attacco alla Salernitana in caccia del pareggio. Messi giù così sembrano due episodi veniali, di quelli che accadono a decine in ogni partita e fanno parte dell'abituale dialettica tra arbitro e guardalinee: ma sono precisamente i due episodi a cui fa riferimento la sentenza d'appello del processo Calciopoli (pagine da 219 a 221), che inserisce le due sbandierate di Titomanlio in un piano criminale più ampio, un disegno a tutela delle squadre toscane, portato avanti nella fatidica primavera del 2005 dal sulfureo vicepresidente federale Innocenzo Mazzini. Morale della favola: nella torrida estate 2006, pur senza coinvolgimento diretto di alcun dirigente, anche l'Arezzo rimane incastrato nelle maglie di Calciopoli e riceve sei punti di penalizzazione, da scontarsi nel campionato 2006-2007.

Ma in quella rete, com'è noto, sono finiti in trappola pesci ben più grossi. Nell'estate 2006, mentre la Nazionale di Lippi sta realizzando il suo pensiero stupendo, Antonio Conte ha deciso di mettersi in proprio. La stagione precedente, vissuta come vice di Gigi De Canio in un Siena stracolmo di ex juventini, è stata molto utile e soddisfacente: Conte ha avuto libertà di parola e di movimento, spesso convincendo il suo superiore a metodi più moderni di allenamento e di preparazione tattica, su tutti la video-analisi di cui è un fervente sostenitore. Il trapianto di capelli in Canada arriverà soltanto l'anno dopo: il cranio di Antonio è ancora virilmente rasato e si imperla di sudore mentre è chino sui libri del Supercorso di Coverciano, superato insieme ad altri 28 compagni di corso, tra cui il suo futuro vice al Chelsea Paolo Vanoli. “Considerazioni sul 4-3-1-2 e uso didattico del video”, è la tesi finale di 38 pagine, tuttora conservata negli scaffali della Biblioteca di Coverciano.

L'estate di Conte è vivace e agitata, e vola di pensiero in pensiero. Con sua grande sorpresa, ha scoperto che un sacco di gente lo credeva malato terminale: «Andavo a Roma, salivo su un taxi e si ripeteva sempre la stessa scena: a dottò, ma lei non stava per morire? Mi avevano attribuito le malattie più terribili, il cancro, la distrofia muscolare. Raccontavano di avermi visto paralizzato in aeroporto, su una sedia a rotelle. Ho cercato di scoprire come sia nata la cosa, niente da fare». Si ritaglia anche un momento per andare a trovare in ospedale Gianluca Pessotto, che si sta faticosamente rendendo conto di aver evitato un brutto guaio: è la mattina del 5 luglio ed è proprio l'amico Antonio a dargli la bella notizia che, la sera prima, l'Italia ha battuto 2-0 la Germania ed è in finale Mondiale. Assiste con malinconia ai guai della sua ex squadra, ormai condannata alla Serie B, ma sotto sotto spera che arrivi quella telefonata che lo farebbe correre al capezzale del suo amore calcistico in piena notte: la Juventus la allenerebbe anche nei Dilettanti. E così un bel giorno, mentre sta accompagnando la compagna Elisabetta all'Ikea (neanche Antonio Conte riesce a sfuggire alle torture del maschio italico) squilla il cellulare. Il numero è sconosciuto, il battito accelera. Pronto, Torino?

Arezzo

Ignaro che la scure della giustizia sportiva sta per piombargli tra capo e collo, l'Arezzo ha disputato una splendida stagione 2005-2006. Guidato in panchina da Elio Gustinetti ha conquistato un settimo posto che alla fine suona persino beffardo: a parità di punti (66) e di scontri diretti con il Cesena, i play-off sono sfumati per un solo gol di differenza reti (+12 contro +11). Deluso e appesantito dallo sforzo economico, il presidente Piero Mancini non sa se iscrivere la squadra al campionato e riflette su una possibile smobilitazione, mentre in città si rincorrono voci grottesche su una possibile vendita della società persino a Vittorio Cecchi Gori. Alla fine decide di sì, ma Gustinetti nel frattempo, stufo di aspettare, si è già accasato a Crotone. Dopo un tentativo andato a vuoto con Fernando Orsi, vice di Roberto Mancini all'Inter, il direttore sportivo Ermanno Pieroni compone il numero di telefono di Conte: «Mister, abbiamo un amico in comune e io degli amici mi fido. Vorrei incontrarla». L'amico è Gianluca Petrachi, salentino come Conte, che ha lavorato con Pieroni nella mitologica, fantozziana stagione ad Ancona nel 2003-2004. A due giorni dal ritiro, gli spiega, non hanno ancora scelto l'allenatore. Conte ha dovuto ingoiare il boccone amaro: da Torino hanno deciso di affidare la risalita a Didier Deschamps, e a lui hanno offerto al massimo un posto da allenatore in seconda, orgogliosamente declinato. Incurante della possibile penalizzazione, Antonio non se lo fa dire due volte: il 15 luglio firma e vola in ritiro a Norcia, senza conoscere neanche un giocatore. A ben vedere, qualche grosso in nome prospettiva c'è: in difesa il leader Moris Carrozzieri è passato all'Atalanta, ma al suo posto c'è un pennellone di oltre un metro e novanta, diciotto anni, secco come un giunco, che risponde al bizzarro cognome di Ranocchia. In attacco è rimasto il napoletano Floro Flores, 22 anni, 14 gol l'anno precedente, che su richiesta di Conte sarà raggiunto da Rey Volpato, ex promessa della Primavera juventina con un crociato da ricostruire.

Alla sua prima estate da allenatore vero Conte non ha certezze a cui aggrapparsi, ma solo granitici desideri. Valuta la possibilità di un ambizioso 4-3-1-2 e nel frattempo lavora sul corpo e sullo spirito, ribellandosi a quel clima da supermercato in cui ogni mattina non sa quanti giocatori si ritroveranno in offerta speciale. Chiede il marine Ventrone come preparatore atletico, ma la società gli offre Costantino Coratti, con cui si troverà tanto bene da portarselo anche in Nazionale. Pretende controllo assoluto sull'alimentazione, dirige le sessioni d'allenamento col megafono come certi video anni Ottanta del suo guru Sacchi, per non stressare delle corde vocali non particolarmente robuste. Supera alla grande tre turni di coppa Italia: elimina ai rigori il Perugia, vince a Venezia ai supplementari e al terzo turno fa fuori addirittura l'Udinese, sempre ai rigori, regalandosi uno storico ottavo di finale. Il 1° settembre, in amichevole, quasi batte la Fiorentina, che pareggia con Reginaldo solo allo scadere. In spogliatoio Conte si produce in un memorabile cazziatone che lascia allibiti i suoi, convinti di meritare i complimenti per aver fatto 2-2 contro una squadra da Champions: «Se l'avversario barcolla, voi lo dovete buttare giù».

Prime 9 giornate

Il campionato dell'Arezzo inizia di venerdì sera, in casa contro il Mantova, che nella precedente stagione ha sfiorato la promozione in A. La differenza, però, non si vede, anche perché Conte ha momentaneamente accantonato i propositi di grandezza per un 4-4-1-1 da battaglia in cui i centrali di centrocampo sono gli incontristi Bricca e Di Donato e l'unica punta è Floro Flores, assistito dal talentuoso brasiliano Rafael Bondi. Finisce 1-1 con il primo sinistro presagio di un autunno da dimenticare, all'insegna dei rigori sbagliati. Floro Flores ne aveva fallito uno contro l'Udinese e allora lascia calciare Vigna, che sbaglia pure lui: evaporano i primi due punti di una lunga serie. La settimana successiva, in trasferta a Frosinone, l'Arezzo domina a tal punto che il direttore generale dei laziali profetizza: «Ci è andata bene. Conte entro pochi anni lo vedo sulla panchina di una grande». Ma è solo 0-0, per colpa di un altro rigore sbagliato, ancora dal tremebondo Floro Flores. La futura carriera di Conte sarà ricca di partite spettacolari, ma per ora l'Arezzo non segna neanche con le mani: seguono altri due 0-0 contro il Napoli e l'Albinoleffe e poi la prima sconfitta, in casa contro il Bari, con Bondi che spreca l'ennesimo tiro dal dischetto.

La settimana successiva viene preso a pallate a Marassi dallo spumeggiante Genoa di Gasperini, destinato alla promozione diretta, che calcia 24 volte verso la porta. Il 21 ottobre torna Volpato, finalmente recuperato, e va subito in gol contro lo Spezia, ovviamente ribadendo in rete un rigore sbagliato: ma arrivano solamente un 1-1 e un misero punticino. E così il 28 ottobre, al culmine di una magrissima alternanza tra pareggi e sconfitte che sta tenendo l'Arezzo ancora sotto zero, arriva un brutto rovescio a Cesena e, di conseguenza, l'esonero. A far suonare le campane a morto è un corregionale di Conte che tante estati dopo vivrà il momento più alto della carriera proprio grazie a lui: un ragazzo di 21 anni di San Cesario che si chiama Graziano Pellé. Dopo nove giornate l'Arezzo è ancora a -1 e viaggia alla media non molto confortante di un gol al mese. La dirigenza lo esonera crudelmente il 31 ottobre, quando sembrava certa l'ultima prova d'appello contro il suo Lecce. Come spesso succede, alle macerie tecniche si accompagnano anche quelle umane: il rapporto con senatori dello spogliatoio come Galeoto e Mirko Conte è deteriorato, così come quello con Pieroni. Per non parlare delle tv e della stampa, soprattutto locali, usate spesso e volentieri come sfogatoio – un difetto che Conte si porterà a spasso quasi dappertutto. Da “Testa, cuore e gambe”, l'autobiografia del 2013: «Sono consapevole di aver commesso degli errori, ma anche arrabbiato: mi sono buttato con grinta in un mare di difficoltà, dovendo fare i conti con una rosa non all'altezza e con la penalizzazione. Delusi e arrabbiati, io ed Elisabetta torniamo a Torino. Ho peccato d'inesperienza? Ok, migliorerò. Tornerò più forte».

La voce senza tempo di Salvatore Biazzo ci accompagna come Virgilio nell'inferno quotidiano della serie B: un minuto di highlights di Arezzo-Napoli e neanche un'occasione da gol degna di questo nome.

Maurizio Sarri

Torniamo indietro di quattro mesi. Negli stessi giorni in cui l'Italia di Lippi suda tra Australia e Ucraina per assicurarsi il suo posto al sole, Maurizio Sarri fuma pacchetti su pacchetti e medita lo strappo. La stagione a Pescara è stata lusinghiera: dopo due retrocessioni consecutive seguite da altrettanti ripescaggi in B, i tifosi hanno vissuto finalmente un'annata tranquilla, senza mai rischiare di retrocedere, apprezzando un calcio propositivo, non troppo distante dalle mitiche vette galeoniane.

È un uomo di 47 anni, probabilmente fuori tempo massimo per essere un top manager, del quale i giornali hanno iniziato a scrivere con le dinamiche e i luoghi comuni sopravvissuti fino a oggi: il passato da consulente finanziario, il lavoro mollato per allenare in C2, le sigarette, il padre ciclista, le scaramanzie, i 33 schemi su palla inattiva. “Il mio Pescara nato in banca” si intitola la prima intervista concessa alla Gazzetta dello Sport nel novembre 2005, in cui racconta della presentazione a Pescara avvenuta via chat e dell'abitudine-ossessione per il colore nero, fino a spruzzare uno spray apposito sulle scarpe multicolore dei suoi giocatori. Ma il 26 giugno si espone in prima persona per annunciare l'addio, con un comunicato inviato ai principali giornali abruzzesi, senza il minimo accenno polemico.

Nato a Vaggio, al confine tra le province di Firenze e Arezzo, la panchina degli amaranto è un ritorno a casa, per lui che si era messo in luce nella cavalcata in tre anni dall'Eccellenza alla C2 della piccola squadra di Monte San Savino, 8mila abitanti nella Val di Chiana, terra di grandi bistecche. Stia, Faellese, Caviglia, Antella, Valderna, Tegoleto, Sansovino, Sangiovannese: la sua carriera sembra il percorso di un treno regionale della Toscana.

La prima foto ufficiale di Sarri da allenatore dell'Arezzo, con il foulard annodato come fosse una cravattona, dice molto anche sul pirotecnico presidente Piero Mancini (foto di Alessandro Falsetti / LaPresse).

Arrivato con baldanzosi propositi di 4-2-3-1, anche Sarri scopre l'evidenza di una classifica disperata. Inizia subito perdendo 0-1 in casa nel derby dei tabagisti contro il Lecce di Zeman, replicando lo stesso punteggio a Bologna, ma si può anche peggiorare: 0-2 a domicilio dal Brescia di Hamsik, 0-2 in trasferta a Vicenza. A fine novembre i gol all'attivo sono sempre due e i punti sempre -1, con il quartultimo posto distante già dodici lunghezze. Ma in mezzo arriva a sorpresa un passaggio del turno in coppa Italia sul Livorno, a ridare all'ambiente fiducia ed entusiasmo per uno storico quarto di finale contro il Milan, da disputare a gennaio. E così sparisce finalmente quel trattino davanti al numero di punti: il 3 dicembre, in soli 90 minuti l'Arezzo segna il doppio dei gol segnati nelle 13 partite precedenti. La vittima è proprio il Pescara: la deviazione di tacco di Volpato che modifica la traiettoria di un tiraccio di Bricca è la scintilla che spezza un'astinenza di 476 minuti, portando ai gol successivi ancora di Volpato, di Capelli e di Floro Flores. E come reazione alla sentenza dell'arbitrato del CONI che conferma i sei punti di penalizzazione, due settimane dopo arriva anche la prima vittoria in trasferta, pesantissima, in casa dell'Hellas Verona invischiato nei bassifondi: l'Arezzo gioca in 10 quasi tutto il secondo tempo ma ha la forza di vincerla in contropiede con un colpo di testa di Floro Flores al 94', in un Bentegodi lugubre e ululante contro la squadra e la proprietà. Ora l'Arezzo gioca, ha personalità e sangue nelle vene: tutto è apparecchiato per la favola di Natale che i ragazzi di Sarri vivono il 22 dicembre.

Il calendario prevede un improbabile Juventus-Arezzo. I bianconeri di Deschamps si sono già mangiati i 9 punti di penalità e sono prossimi a dominare la classifica dopo la contestatissima vittoria di Bologna, arrivata grazie a un gol fantasma di Zalayeta. Sarri si presenta all'Olimpico con il consueto 4-2-3-1 con Bremec in porta, Capelli e Ranocchia difensori centrali, Terra e Barbagli terzini, Rosselli e Di Donato mediani, Bondi, Volpato e Croce (suo futuro pupillo a Empoli) alle spalle di Floro Flores. Contro di loro ci sono quasi tutti i big: Buffon, Chiellini, Marchisio, Del Piero, Trezeguet – mancano solo l'infortunato Camoranesi e Pavel Nedved, che sta scontando una squalifica di cinque giornate per un pestone all'arbitro Farina in Genoa-Juventus. Tutto procede secondo un copione scontato: la Juve soffre per un tempo ma sblocca il risultato in avvio di ripresa con il classico gol alla Trezeguet di Trezeguet, quel suo calcio secco, letale e inappellabile da qualsiasi punto dell'area di rigore, come se il pallone, una volta colpito da Trezeguet perdesse di colpo il libero arbitrio. Poi il 2-0 di Raffaele Palladino, in quel momento accolto da sorprendente benevolenza dai suoi tifosi, fino a essere ribattezzato “Aladino”. Subito dopo Sarri sostituisce una punta con un'altra punta, Volpato con Martinetti, dando la sensazione della bandiera bianca. La mossa sembra funzionare: prima Chiellini si fa estirpare palla da Martinetti poi Boumsong stende Floro Flores, regalando all'Arezzo il rigore che riapre la partita, trasformato sempre da Martinetti. L'inaudito si realizza tre minuti dopo, all'83', quando un gran cross di Croce da destra viene spedito alle spalle di Buffon ancora da Daniele Martinetti, di testa in tuffo. Una doppietta alla Juventus in Serie B è qualcosa da raccontare ai nipoti.

«A fine partita nello spogliatoio ci siamo guardati e ci siamo messi tutti a ridere: l'abbiamo fatta grossa stavolta». Nel tono di voce e nel linguaggio che dissacra la retorica da allenatore, il Sarri del 2007 è simile in modo familiare a quello del 2018.

I risultati di gennaio fanno capire che quella partita non è stato un fuoco di paglia. Arrivano un clamoroso 4-1 interno al lanciatissimo Rimini e un buon pareggio a Modena, grazie anche ai quattro pali colpiti dagli emiliani. In attacco la squadra si è sbloccata, trascinata dallo scatenato Bondi che, arrivato in estate rasato a zero, ha deciso di non tagliarsi più i capelli perché porta bene. Gli amaranto affrontano a viso aperto ogni ostacolo, ripetendo il 2-2 in trasferta anche in casa del Napoli, nel primo memorabile viaggio al San Paolo di Maurizio Sarri, che nonostante l'accento è partenopeo per carta d'identità. Due volte in vantaggio con Bucchi e Sosa, il Napoli di Reja si fanno raggiungere da una splendida punizione di Bondi e – al 92' – da Volpato, ispirato dal napoletano Floro Flores. L'Arezzo è sempre ultimo da solo, ma il trend è positivo e ora il quartultimo posto che vale il play-out è distante solo sei punti. Il gran momento dei toscani prosegue con una vittoria sull'Albinoleffe, un buon pareggio a Bari e un ottimo 0-0 in casa contro il Genoa in piena corsa promozione.

Come eravamo: Napoli-Arezzo in un San Paolo deserto, come gran parte degli stadi italiani nelle settimane immediatamente successive alla morte dell'ispettore Raciti in Catania-Palermo.

E poi c'è l'avventura in coppa Italia contro il Milan, il “viaggio a Disneyland” per usare le parole di Sarri, che merita di essere raccontata. I rossoneri sono reduci da una tournée a Malta che nella storia del club si rivelerà fondamentale, perché ha ricompattato un gruppo sfilacciato da un autunno terribile e ha gettato le basi per la clamorosa settima Coppa dei Campioni del maggio successivo. L'andata a San Siro finisce 2-0, gol di Gilardino e Inzaghi, con l'Arezzo che non riesce a esibire niente di più che l'ammirevole rifiuto di ogni tipo di barricata e una rigorosa e molto anni 90 trappola del fuorigioco (che scatta per ben dieci volte). Ma al ritorno, in un Comunale strapieno, gli amaranto approfittano di un Milan in pantofole e giocano la partita della vita: a inizio ripresa Floro Flores fa fare brutta figura a Bonera e Costacurta, e segna il gol dell'1-0; poco dopo Goretti spaventa un impacciatissimo Dida con un pallonetto che sbatte contro la traversa. I giornali del giorno dopo sono tutti d'accordo: come diavolo fa quest'Arezzo a essere ultimo in Serie B?

Ma i sogni muoiono all'alba. Il 13 marzo l'Arezzo riassapora l'amarezza della sconfitta, perdendo 2-0 a Trieste contro la Triestina, dopo una prestazione inspiegabile, la peggiore degli ultimi tre mesi. In un impeto di realismo, il presidente Mancini guarda la classifica e a quindici partite dalla fine trova la sua squadra sempre ultima, a -8 dal quartultimo posto. Volge poi lo sguardo verso i suoi collaboratori, che non sanno spiegarsi alcune scelte di formazione: Bondi in panchina, Volpato addirittura in tribuna, Sussi – tra i migliori contro il Genoa – lasciato fuori per far giocare Barbagli, tra i peggiori. Serpeggia la sgradevole sensazione che la squadra abbia voluto far fuori l'allenatore di proposito. Così poche ore dopo Maurizio Sarri viene esonerato: d'altra parte, il numero di telefono del suo sostituto è ancora in rubrica. In un'intervista a Repubblica del 2017, Piero Mancini racconterà: «Ricordo le sue manie, il sale sparso in campo o la moglie fuori dal ritiro perché in albergo non poteva entrare nessuno. L'ho cacciato perché i giocatori erano legati al precedente allenatore, e gli hanno fatto la pelle».

Antonio Conte - Bis

Già, cosa sta facendo nel frattempo Antonio Conte? Ha viaggiato, insieme a Elisabetta. In Olanda, per esempio: un giorno decide di passare dal centro d'allenamento dell'AZ Alkmaar e scopre che la seduta è a porte aperte. Una certa timidezza gli impedisce di avvicinare Louis Van Gaal; torna il giorno dopo, si mette a sbirciare ma viene respinto con perdite dagli addetti alla sicurezza: «“I'm not spy... player, old player”, dico mimando con la mano gli anni che mi sono lasciato alle spalle. “Juventus!”, concludo, non vedendo in lui nessuna reazione». Dopo qualche settimana spesa a fare corsi d'aggiornamento sui campi della serie D, arriva la seconda chiamata da Arezzo, sempre da Pieroni. La decisione di tornare sul luogo del delitto, Antonio Conte l'ha sempre motivata così: provare a salvare una squadra da 4 vittorie in 27 partite, a 8 punti dalla salvezza, è una sfida talmente impossibile da non potersi rifiutare mai nella vita.

Senza nulla da perdere, condizione chiarissima a ognuno degli attori in causa, Conte stravolge tutto e va all-in con quello che diventerà la sua prima ragione di vita da allenatore, un 4-2-4 con esterni d'attacco all'altezza delle due punte. Si parte, naturalmente, con due sconfitte: la prima nello scontro diretto a La Spezia, con Conte che si fa espellere per proteste; la seconda nel derby del cuore al Via del Mare di Lecce. Ma il lavoro psicologico sul gruppo dà i primi frutti: alla vigilia di Arezzo-Bologna porta tutta la squadra al cinema a vedere “300” e il giorno dopo i suoi replicano una prestazione parimenti orgogliosa, bloccando sull'1-1 i rossoblù in zona promozione.

Ma dannazione, servirebbero delle vittorie. Invece a Brescia arriva un'altra sconfitta, gol di Hamsik su rigore, e Conte si fa nuovamente cacciare dall'arbitro, forse nel disperato tentativo di dare una scossa ai suoi. A fine partita è inviperito contro la classe arbitrale: «Non discuto gli episodi, ma l'arroganza di un direttore di gara che non accetta il dialogo. Certi arbitri diventano presuntuosi dopo due partite in Serie C. Di sicuro non parteciperò più a quelle riunioni-farsa dove invocano la nostra collaborazione». La salvezza è a dieci punti a undici giornate dalla fine. Se c'è bisogno di un miracolo, questo è il momento giusto. Prima del Vicenza, Conte illustra ai suoi la situazione con un sottile eufemismo: «Se non vinciamo, siamo morti».

E allora eccoci. 2-1 al Vicenza, 2-1 in trasferta a Pescara, 1-0 a Piacenza. Tre vittorie consecutive, il gruppo è tutto con Conte, simboleggiato da Floro Flores che nella vittoria contro gli emiliani è dipinto sulla Gazzetta con toni che sarebbero suonati eccessivi anche nel 1938: «Una specie di Enrico Toti che, con le gambe spezzate, continua a correre per tutto il campo e a dare fastidio, da solo, a una muraglia di difensori avversari». Altre due vittorie in casa, uno spettacolare 3-0 al Cesena e un 3-1 al Verona, riportano la speranza: la zona play-out ora è a soli tre punti. In particolare, merita di essere raccontata la vittoria contro l'Hellas, allenato da Giampiero Ventura e schierato con il 4-2-2-2. In equilibrio fino a quattro minuti dalla fine, la partita volge a favore dell'Arezzo grazie a un pezzo di bravura di Ranocchia che tiene in campo un pallone impossibile, favorendo la deviazione vincente di Capelli. A tempo scaduto lo scatenato Bondi si procura il rigore scaraventato in rete da Martinetti: ora dagli undici metri l'Arezzo non trema più.

Mai troppo restio all'autocelebrazione, Conte inizia a levarsi i primi sassolini, esaltato dal supporto del tennista aretino (e juventino) Daniele Bracciali che al Foro Italico scende in campo con la maglietta di Floro Flores: «La prima volta che mi hanno mandato via, ai giocatori ho detto solo una cosa: il tempo sarà galantuomo. Mi sembra di aver dimostrato che ho le qualità per allenare anche squadre importanti». Il 12 maggio arrivano un altro scontro diretto, a Crotone, e un'altra vittoria, firmata da Ranocchia e Martinetti. I playout sono a tre punti, ma subito sopra c'è un gruppone a +5. Inizia la settimana più importante della stagione, almeno per i tifosi amaranto: quella che porta al 19 maggio, il giorno di Arezzo-Juventus.

Conte nella sala stampa dell'Ezio Scida dopo la vittoria di Crotone. Al minuto 3:45 non resiste alla tentazione dell'auto-elogio.

Le due società sono amiche, tanto che il primo nome del sodalizio toscano fondato nel 1923 era proprio Juventus Foot Ball Club. Lo dimostrano tre giorni prima, presenziando insieme alla cerimonia che intitola il piazzale antistante lo stadio Comunale a Roberto Lorentini, un medico aretino travolto a 31 anni all'Heysel da una carica di hooligans del Liverpool mentre praticava la respirazione bocca a bocca su un bambino ferito. Quanto ai due allenatori, Conte e Deschamps erano compagni di stanza ai tempi della Juventus. «Lui entrava e diceva: Il letto è la più bella invenzione del mondo! Due parole, poi si girava da una parte: “Buonanotte Antonio”». Ancora una volta, interrogato sul tema, Conte non fa professione di umiltà: «Un giorno la panchina della Juventus sarà mia, è solo questione di tempo», dice alla Gazzetta dello Sport. Sul campo però festeggia solo la Juve, che al Comunale trova i tre punti che le mancano per porre fine all'incubo della serie B. Il 5-1 finale fotografa la distanza tra gli sprechi degli uomini di Conte (otto tiri verso Buffon e appena una rete) e il cinismo da categoria superiore dei bianconeri, che hanno servito la manita con appena sette tiri nello specchio. Contemporaneamente, poi, il Verona ha vinto a Mantova e la situazione torna disperata: a tre giornate dalla fine, i punti da recuperare sono di nuovo quattro.

Quando la popolarità di Cobolli Gigli e Jean-Claude Blanc era alle stelle.

Conte invita la squadra a una lunga apnea. La settimana dopo l'Arezzo si riprende i tre punti lasciati il sabato precedente, vincendo a Rimini con una doppietta di Floro Flores e approfittando della sconfitta del Verona contro il Napoli. Invece una settimana dopo l'avversaria su cui fare la corsa diventa a sorpresa uno Spezia in caduta libera, che perde in casa contro il Treviso: ma l'Arezzo non va oltre un vibrante 0-0 casalingo contro il Modena. A 90 minuti dalla fine il quartultimo posto è distante un punto solo: Spezia 43, Arezzo 42, e come nel più prevedibile dei thriller l'ultima giornata dice Treviso-Arezzo e, udite udite, Juventus-Spezia.

La Juventus non perde in casa da due anni, eppure i bianconeri hanno totalmente staccato la spina dopo le polemiche dimissioni di Deschamps, a immediato ridosso della promozione di Arezzo. Alla corsa per la successione si sono iscritti in tanti, naturalmente anche Conte (la spunterà Claudio Ranieri), ma l'allenatore salentino non riuscirà a frenare la lingua al momento di commentare l'incredibile score dell'Olimpico: Juventus 2, Spezia 3. È successo che i liguri hanno tirato dodici volte verso la porta di Mirante, secondo portiere schierato per la passerella finale, l'ultima delle quali sul 2-2 al minuto 44'32” con Nicola Padoin, completamente dimenticato a centro area da Boumsong. La Juventus non ha vissuto che di fiammate individuali come quella di Trezeguet, smanioso di segnare il suo 15° gol stagionale prima di salutare la dirigenza in tribuna con plateali gesti delle mani (e invece rimarrà fino al 2010). Mentre a Treviso l'Arezzo centra l'inutile ottava vittoria nelle ultime 11 partite, Conte si mangia il cappello per le notizie che arrivano via radio. E alla fine sbotta: «Contro di noi la Juventus sembrava in finale di Champions League... Si parla di calcio pulito, poi succedono queste cose. Nel calcio sono tutti bravi a parlare, sembrava che i cattivi fossero fuori. E allora evviva il calcio pulito...».

Il commento di Caressa al gol di Padoin.

Chi pensa che Conte sia già con le valigie in mano la sera stessa ne sottovaluta l'orgoglio: sentendosi il vincitore morale di una stagione inconcepibile - che si concluderà con la beffa del TAR del Lazio che, dopo mille rinvii, conferma i sei punti della penalizzazione post-Calciopoli - Conte va da Mancini e gli propone un progetto di rilancio: due anni di contratto, 200 mila euro all'anno, con lista dei primi acquisti per la pronta risalita. Ha già il sì dell'amministratore delegato Cappietti, ma Mancini non se la sente: preferirà affidare la panchina a un altro debuttante meno ingombrante, l'ex centrocampista di Lazio e Brescia, Luciano De Paola, e sarà una pessima idea. Da quell'indimenticabile primavera del 2007, mentre Conte e Sarri si sono rincorsi spesso e sempre più in alto, fino a darsi il cambio sulla panchina del Chelsea, ad Arezzo le giornate e le stagioni di calcio si succedono sempre uguali, nonostante due fallimenti e una retrocessione in D a cui è stato posto rimedio solo nel 2014, e solo grazie a un ripescaggio.

Chissà se i ricorsi e i ricordi hanno pesato nella scelta del nuovo allenatore, Alessandro Dal Canto, proveniente dalla Primavera della Juventus, con cui ha giocato anche tre partite in Serie A. Una sola da titolare, a Brescia nel 1993 da terzino sinistro, accanto a un ragazzo con la maglia numero 7, di nome Antonio Conte.

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