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Quanto conta la preparazione atletica nel calcio?
26 dic 2024
Lo abbiamo chiesto a Luigi Febbrari, uno dei preparatori storici del calcio italiano.
(articolo)
11 min
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IMAGO / Buzzi
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Un milanese trapiantato nella provincia bresciana deve abituarsi a una buona dose di diffidenza se saluta, sorride o parla troppo. Un milanese trapiantato nella provincia bresciana deve imparare una cosa: non si va in giro a fare domande. Non si scende mai troppo sul personale.

Così è con un po' di preoccupazione che mi avvicino alla villetta circondata da un giardino curato di un compaesano – acquisito – illustrissimo: Luigi Febbrari. Per tutti è Gigi, ma soprattutto uno dei preparatori atletici che hanno fatto la storia di questo mestiere. Napoli, dalla C alla conquista dell'Europa, Hajduk Spalato, Lazio, Roma e Atalanta le sue esperienze più importanti, fino alla nazionale albanese e all'Ungheria. Un curriculum che lo ha portato a girare il mondo e a conoscere anche modi diversi di fare calcio. Sempre o quasi al seguito di un decano degli allenatori come Edi Reja.

Superato il cancellino di metallo mi viene incontro sul vialetto affiancato da un cagnolino bianco candido. Ha poco più di settant'anni, ma le spalle ampie e la schiena dritta. Ha dedicato la vita alla cura del corpo degli altri e sa bene che non ci si può mai lasciare andare. L'età non è una scusa.

Non faccio in tempo ad avvicinare la tazzina alla bocca che Gigi comincia a parlare. Inizia riempiendo di elogi Corrado Orrico, un allenatore che tutti o quasi ricordano solo per la sfortunata e a tratti tragicomica esperienza all'Inter. Lo vede come una sorta di guru e lo ha sorpreso per cultura, conoscenza del gioco e originalità delle idee.

I ritmi degli allenamenti di Orrico, incrociato al Brescia nel 1983/84, non avevano eguali e la sua capacità di incidere sulle prestazioni dei giocatori attraverso il lavoro settimanale era di primissimo livello, ma ciò che più colpiva Gigi, e ancora oggi lo ribadisce, è la statura umana del personaggio.

«La chiamata del Brescia per me è stata l'emozione più grande di tutta la carriera. Un orgoglio incredibile per un bresciano come me. Da ragazzo mi avevano chiamato per giocare nelle giovanili ma poi non se n'era fatto nulla e la cosa mi rodeva da allora. Andarci da preparatore è stato una sorta di risarcimento e ho avuto la fortuna di apprendere tantissime cose che mi hanno permesso di costruirmi una professione che all'epoca era qualcosa di sicuramente innovativo».

Gigi è stato uno dei primi preparatori atletici del mondo del calcio, una figura che fino all'inizio degli anni Ottanta non esisteva. Faceva tutto l'allenatore, almeno sulla carta, ma lui è stato tra i primi a impegnarsi affinché la professione venisse riconosciuta a livello ufficiale.

Quali sono le diverse scuole di pensiero nella preparazione atletica?
In sintesi, ci sono due diversi modi di vedere la preparazione atletica di una squadra di calcio. Ci sono quelli che ritengono che l'unica strada sia allenarsi con il pallone. La scuola dei Guardiola, in parole povere, che ha più volte ha ribadito che la preparazione atletica non serve a nulla e bisogna privilegiare le situazioni di gioco. Anche Mourinho in passato ha sostenuto che se dovesse allenare un pianista non lo farebbe girare intorno allo strumento. Un'immagine che conferma questo stesso punto di vista.

Dall'altro lato c'è chi come me considera indispensabile il cosiddetto lavoro “a secco” ovvero un certo tipo di esercizi e allenamenti senza palla che accompagnino il lavoro tecnico-tattico.

Ci sono allenatori che fanno vomitare i giocatori durante la preparazione estiva – celebre anche il famoso “secchio per il vomito” che Zeman forniva ai suoi giocatori durante i famigerati esercizi sui gradoni – e altri come il già citato Guardiola che privilegiano la tecnica. Cosa cambia tra una scelta e l'altra?
Parlando di intensità nella preparazione atletica, devo citare un'altra volta Corrado Orrico, faceva davvero una preparazione durissima, con un'intensità che non ho mai più ritrovato nella mia carriera. C'è chi ritiene sia indispensabile allenarsi molto e chi poco. Chi pensa che la partita sia il momento allenante per antonomasia e chi invece punta tutto sul lavoro settimanale. Come sempre, è banale dirlo, ma è vero che in medio stat virtus. Io sono dell'idea che esagerare non è mai la strada migliore ma esagerare cosa significa? Il troppo cos'è? Immagino che per Conte la normalità sia raggiungere una certa soglia di sforzo, per altri no. Durante una partita in Portogallo qualche anno fa mi era capitato di parlare con il preparatore avversario a proposito dei suoi metodi di lavoro e lui mi aveva spiegato che quando cominciavano la stagione portavano il pallone in campo e da quel momento in poi lavoravano sempre e solo con quello. Il lavoro “a secco” era qualcosa di inimmaginabile per loro. Paco Seirulo, preparatore storico del Barcellona e della nazionale spagnola, sosteneva in un articolo che la preparazione fisica “non esiste”. Quando ci siamo visti mi ha chiesto “Perché fate sgobbare i giocatori come somari se poi in campo contro di noi non si vede?”. Dal mio punto di vista penso che allenarsi tutti allo stesso modo non abbia molto senso. Ognuno ha un suo motore che viaggia a una potenza diversa da quello del compagno, il compito più difficile per un preparatore è trovare qualcosa di allenante per tutti.

Quindi è meglio concentrarsi soprattutto sul pallone, sulla corsa o sulla palestra?
Per me la cosa più importante è lavorare in campo tenendo bene a mente il proprio scopo. I sistemi di allenamento dovrebbero rispecchiare ciò che poi andrai a fare in campo. Negli anni Novanta hanno scoperto i neuroni a specchio, una classe di neuroni motori che si attiva quando eseguiamo un azione specifica a un fine. Quindi, tornando alla pratica, se in palestra faccio esercizi per le gambe sulla pressa, io col tempo diventerò molto bravo a sprigionare la mia forza in quei contesti, ma in campo quando avrò bisogno di attivare quei neuroni specifici non potrò riprodurre esattamente il contesto per cui li ho allenati, quindi il lavoro fatto sarà meno efficace. Io cerco sempre di prendere in considerazione un parametro che si chiama “indice di correlazione”, ovvero la compatibilità tra il lavoro in allenamento e ciò che andrà a fare in campo ogni giocatore. Per potenziare l'accelerazione, ad esempio, uso dei traini, che da questo punto di vista hanno un ottimo indice di correlazione.

Il Sacro Graal, da questo punto di vista, sarebbe riprodurre in allenamento le situazioni di campo. Torniamo da capo, non basta giocare a calcio?
Non è così semplice. Ci sono studi che hanno quantificato nel 10-11% l'incidenza del preparatore atletico sul lavoro globale nel micro ciclo settimanale, una percentuale minima ma che può fare la differenza. La fisiologia dei giocatori, ovvero i loro corpi, ci danno delle informazioni che vanno utilizzate in modo corretto, altrimenti si va incontro a problemi. La partita, come dicevo, è il momento allenante per antonomasia ma ha un grande limite: non può essere considerata un test valido perché non può essere standardizzata. Ogni volta produce risposte differenti sul fisico dei giocatori perché dipende da variabili imprevedibili. Noi preparatori siamo tra coloro che sostengono si giochi troppo, ma innanzitutto perché non vengono più rispettati i giusti tempi di riposo. Tra una gara e l'altra una volta si diceva che dovessero passare settantadue ore, oggi sono scese a quarantotto. Se superi certi limiti prima o poi ti fai male. In sintesi: giocare può essere un allenamento fantastico, ma bisogna poter recuperare e giocando e basta i rischi di infortunarsi sono molto più alti.

Quali strumenti utilizzate per aiutarvi nel vostro lavoro e raccogliere dati?
Uno degli strumenti più importanti è senza dubbio il GPS. Prima usavamo metodi primitivi, come il cronometro o il metro, ma con il GPS la preparazione atletica ha potuto disporre di un'enorme quantità di dati in più, almeno per quanto riguarda il carico esterno. Grazie al GPS possiamo misurare parametri utili come il numero di accelerazioni, di decelerazioni, la potenza espressa, la velocità in situazioni di gioco, le distanze percorse e il costo energetico, così da tarare la preparazione in modo più puntuale e specifico. Grazie a questi dati ho potuto capire quanto sia importante che ogni giocatore sia preparato ad hoc in base al suo ruolo in campo. Gli esterni bassi hanno bisogno di allenare un certo tipo di corsa sugli spazi lunghi. Difensori centrali e centravanti si impegnano più spesso negli scatti brevi. I centrocampisti vanno allenati in modo specifico in base al tipo di compito svolto in campo, al loro dispendio energetico. Come accaduto per la divisione dei compiti tra un allenatore che si occupa della fase difensiva e uno di quella offensiva, anche un preparatore deve avere ben chiara in testa l'idea che in base al ruolo in campo un giocatore può fare uno sport diverso da quello del compagno che occupa zone di campo differenti.

Come mai per anni si è sostenuto che le squadre inglesi avessero più intensità di quelle italiane? Cosa cambia da un punto di vista di preparazione atletica?
Premetto che io non ho mai lavorato per un club inglese, quindi parlo per sentito dire, ma molti colleghi mi hanno spiegato che in Inghilterra – parlando da un punto di vista generale – gli allenamenti sono decisamente meno tattici. Lavorano con grande intensità in campo aperto, con situazioni di gioco e allenamenti su campo intero, mentre in Italia si privilegiano spesso i campi ridotti e un lavoro tecnico e tattico preponderante. Loro fanno sicuramente più agonismo e privilegiano l'intensità.

Si racconta di giocatori negli anni Ottanta/Novanta che fumavano, bevevano birra e mangiavano in modo sregolato, mentre ora sgarrare sembra impossibile. Le prestazioni atletiche sono molto migliorate nel corso degli anni? Il calcio degli anni ottanta era davvero più “lento”?
Le linee guida sull'alimentazione sono state introdotte già negli anni ottanta, ma ieri come oggi puoi intervenire al massimo nelle due o tre ore in cui il calciatore è sotto la tua diretta supervisione, per il resto del tempo ti devi fidare. L'intensità di alcuni giocatori negli anni ottanta, penso a Oriali, o Tardelli, era già altissima, comparabile se non superiore a quella dei migliori interpreti odierni, ma se una volta ci si poteva permettere il fantasista che correva a minore intensità, oggi non è più così e tutti vanno allenati affinché raggiungano il loro massimo potenziale fisico. Tutti e undici i giocatori in campo devono avere un'intensità molto alta, che va sostenuta in un certo modo e con un certo tipo di scelte. Anche alimentari.

È possibile prevenire gli infortuni con la preparazione atletica?
È possibile ma non c'è davvero nessuna garanzia. Pur utilizzando gli stessi metodi di allenamento io stesso ho avuto stagioni in cui i giocatori che seguivo si sono infortunati pochissimo e altri dove le cose sono andate meno bene. Il lavoro era lo stesso ma la risposta del fisico dei giocatori era completamente diversa. Le variabili sono infinite e ancora non si è trovata una soluzione efficace per tutti. Il problema dell'infortunio muscolare ha origini che ancora non sono state chiarite, nonostante l'ampia letteratura.

Come mai oggi i giocatori di oggi hanno tutti questi muscoli anche su braccia e torso? Per il rendimento in campo sono utili?
Sicuramente un calciatore è un atleta e per costruirlo bisogna lavorare sulla forza. Gli attaccanti di struttura, per esempio, devono avere un impatto molto forte sugli avversari e, così come i difensori centrali, sono spesso soggetti a scontri e traumi molto intensi. Il calcio è uno sport di contatto e bisogna innanzitutto essere dei grandi atleti per praticarlo a un certo livello, ma un calciatore non è un body builder, soprattutto con la muscolatura delle gambe bisogna muoversi con molta cautela. È più importante non perdere velocità, agilità e destrezza che non possono essere allenati in palestra.

Come ci si comporta con un giocatore che deve recuperare da un brutto infortunio?
Se è infortunato passa dall'area medica poi c'è una fase di interregno dove lavora con il fisioterapista e il preparatore, poi comincia a lavorare solo con il preparatore quindi, d'accordo con il medico che supervisiona ogni fase, rientra in gruppo. Questa è la deontologia, ma è importante che sia seguito anche da un nutrizionista, poiché se non brucia la stessa quantità di calorie tarare l'alimentazione è fondamentale, e molte volte anche da uno psicologo. Quando sei fuori cominci a pensare che non ti riprenderai, che perderai il posto e possono subentrare dinamiche dannose che si riflettono sul rendimento del calciatore. La preparazione è solo un pezzo del lavoro complessivo sul giocatore.

Come ci si allena durante le vacanze di Natale?
Sia a Natale che durante l'estate bisogna partire per le vacanze con programma di allenamento dettato dal preparatore e soprattutto con una dieta mirata. Io spingo sempre perché i miei giocatori lavorino sulla forza, che ha una caduta quasi verticale. Il muscolo, con poco allenamento, ha un calo di tono repentino ma basta una mezz'ora di lavoro al giorno per mantenere un livello accettabile. Per quanto riguarda la componente metabolica, ovvero la corsa, è sufficiente tenere il motore in movimento, perché da questo punto di vista si recupera facilmente.

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