Ha chiuso l’anno in testa alla classifica con 36 punti, il maggior numero di vittorie a pari merito con la Fiorentina (undici), tre sole sconfitte (solo il Napoli ha fatto meglio, con due) e la miglior difesa, con undici gol subiti in diciassette partite. Con questo rendimento l’Inter rientra a pieno titolo nel novero delle pretendenti al titolo, nonostante un cammino che legittima qualche dubbio sulle reali ambizioni dei nerazzurri.
In pochi si sarebbero aspettati di vedere l’Inter chiudere l’anno in vetta al campionato. La squadra di Mancini non ha alle spalle quattro anni di scudetti come la Juventus, né ha costruito le fondamenta della propria candidatura al titolo su un gioco spumeggiante e moderno come Napoli e Fiorentina. La stessa Roma le era davanti ai nastri di partenza, se non per la qualità della rosa, almeno per i due secondi posti consecutivi che sulla carta la legittimavano come principale avversaria dei bianconeri, al netto del mercato di entrambe. Ma come la prima Juve di Conte, l’Inter ha il vantaggio di poter concentrare tutte le proprie energie sulla Serie A.
L’ottavo posto dello scorso anno ha privato l’Inter della partecipazione alle coppe europee. Se da un lato questo ha ridotto gli introiti, il rovescio della medaglia è la possibilità di avere, per gran parte dell’anno, tutta la settimana a disposizione per la preparazione della partita. Tra l’altro, al momento dell’insediamento di Mancini sulla panchina nerazzurra, il best case scenario era la qualificazione all’Europa League, che rispetto alla Champions League spartisce un piatto più povero alle partecipanti e costringe spesso a logoranti trasferte di migliaia di chilometri (Agdam vi dice nulla?).
Finora Mancini ha tratto vantaggio da questa situazione, studiando con cura l’avversario di turno e adattando moduli e sistemi di gioco, oltre che gli uomini, a seconda della partita. Il tecnico jesino finora ha utilizzato almeno cinque moduli di gioco (4-3-1-2, 4-3-3, 4-2-3-1, 3-5-2, 4-4-2) e attuato una rotazione quasi scientifica, proponendo diciassette formazioni diverse in diciassette partite, tanto che soltanto sei (Handanovic, Murillo, Medel, Miranda, Icardi e Perisic) dei ventiquattro calciatori schierati hanno giocato almeno mille minuti in campionato.
Adattarsi all’avversario: vantaggi e limiti
In compenso però, il settimanale adattamento all’avversario, mirato a sfruttarne i punti deboli e a limitarne i punti di forza, potrebbe aver compromesso un organico apprendimento e sviluppo di un proprio riconoscibile sistema di gioco. D’altronde Sarri, nella sua radicale riforma del gioco del Napoli, ha seguito la strategia opposta, giocando lo stesso calcio indipendentemente dall’avversario e rodando e consolidando i meccanismi tattici della sua idea di calcio limitando allo stretto indispensabile il turnover.
Entrambe le strategie hanno dato i propri frutti in termini di risultati, ma il gioco che latita potrebbe anche essere una fisiologica conseguenza dell’approccio di Mancini, non errato a prescindere, ma non esattamente comune in una squadra cosiddetta “grande”. Ed è proprio quello sulla consistenza del gioco il dubbio più significativo che grava sulle possibilità dei nerazzurri.
Fatiche di costruzione
Prima della gara con la Juventus avevamo già analizzato le difficoltà a livello tattico della formazione di Mancini e ci eravamo chiesti se quella fosse la vera Inter. Con dieci partite in più in archivio, la situazione non è cambiata più di tanto. L’Inter trova le stesse identiche difficoltà nella costruzione del gioco. La manovra, fin dalla fase di uscita, è lenta perché si cerca di rischiare il meno possibile e nessuno dei difensori centrali (che partecipano sempre attivamente alla manovra) o dei centrocampisti è particolarmente dotato tecnicamente o possiede una visione di gioco sopra la media.
A inizio azione i centrali si allargano notevolmente e, specie quando non c’è una pressione convinta da parte degli avversari, il mediano deputato a coadiuvare la costruzione del gioco non si abbassa in mezzo ai centrali, ma rimane leggermente più alto. In questo caso è Handanovic a proporsi come opzione di passaggio e trasmettere il pallone da un centrale all’altro, in un ruolo comunque ben lontano da quello del portiere-libero à la Neuer.
Quando il modulo prevede due centrocampisti centrali, come nelle partite più recenti, dove Mancini ha gradualmente virato verso un 4-2-3-1 che può diventare 4-4-2/4-2-4, la coppia di centrocampisti è formata da Melo e Medel. I due hanno praticamente le stesse caratteristiche e svolgono anche lo stesso ruolo: sostanzialmente ciclano e riciclano il possesso, fornendo supporto ai difensori centrali e smistando il gioco con passaggi corti.
Spesso si abbassano entrambi, sempre nell’ottica di garantire un possesso palla sicuro, ma finiscono per pestarsi i piedi, perché svolgono in due il compito che nella maggior parte delle squadre fa un solo giocatore oltre ad attirare il pressing avversario. In un centrocampo a due, questo loro comportamento può creare gravi scompensi tattici e rompere i collegamenti tra i reparti, già in partenza poco compatti.
L’Inter contro il Genoa si è schierata con un 4-4-2/4-2-4 con Melo e Medel coppia centrale. Entrambi si abbassavano spesso durante la costruzione bassa, allungando le distanze tra i reparti e di fatto spezzando la squadra in due tronconi, con il pallone che doveva passare forzatamente dai terzini. In questa situazione erano gli esterni Ljajic e soprattutto Biabiany a doversi accentrare nel tentativo, spesso vano, di ristabilire i collegamenti con il resto della squadra.
Giunti nella metà campo avversaria, il compito dei due mediani non cambia di molto e i due creano complessivamente un’occasione da gol ogni 90 minuti, esattamente 0,5 a testa: di fatto il loro contributo creativo è pressoché nullo. Non arrivano nemmeno spesso al tiro in prima persona, visto che Melo ne scocca 1,1 e Medel solo 0,4 ogni 90 minuti.
È il 23 settembre: Inter - Verona. Il movimento errato di Icardi e la mancanza di supporto in zona centrale, con i centrocampisti nemmeno nell’inquadratura, rende impossibile lo sviluppo dell’azione.
20 dicembre, Inter - Lazio. Tre mesi dopo le cose non sono cambiate. Biabiany dribbla verso l’interno del campo, ma non ha appoggi: i mediani Melo e Medel sono nuovamente fuori inquadratura, mentre Icardi e Jovetic sono passivi e facilmente marcabili dalla difesa avversaria. L’azione ricomincia da zero.
Tra le altre opzioni a disposizione di Mancini, nemmeno Guarín, Brozovic e Kondogbia (con rispettivamente 1,0 0,8 e 0,5 occasioni create per 90 minuti) sono giocatori particolarmente creativi, ma rispetto a Medel e Melo forniscono maggiore imprevedibilità e qualche soluzione offensiva in più anche in un centrocampo a due, vista la loro maggiore predisposizione all’inserimento e al dribbling.
Finora però Kondogbia non ha ripagato il prezzo del suo cartellino con prestazioni di proporzionale caratura: d’altronde nella sua breve carriera aveva dimostrato di dare il meglio di sé accanto a un regista (Toulalan) che a oggi manca alla rosa. Per quanto riguarda Guarín e Brozovic, nessuno dei due brilla per disciplina tattica, qualità quasi imprescindibile in questa versione dell’Inter.
La sensazione è che il centrocampo dell’Inter sia mal assortito: Melo e Medel sono quasi due doppioni, ma Mancini non prescinde da questa coppia, perché l’inserimento di uno degli altri tre pregiudicherebbe gli equilibri difensivi, fondamentali per una squadra che fa fatica a segnare e se vi riesce si chiude e specula sul vantaggio.
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L’Inter ha talmente tante difficoltà ad andare in vantaggio che quando vi riesce dimezza praticamente il numero delle conclusioni verso la porta avversaria. L’obiettivo è difendere il risultato, non chiudere la partita.
Inoltre, la mancanza di organizzazione e di una precisa struttura in possesso, oltre alla non particolare abilità nello smarcarsi dei centrocampisti, determina notevoli distanze tra i reparti indipendentemente dagli interpreti e dal numero dei centrocampisti.
Legati agli attaccanti
Il centrocampo a tre garantisce un compromesso tra stabilità difensiva e potenziale libertà offensiva per almeno uno dei tre centrocampisti, ma a quel punto a sedersi in panchina è uno tra Jovetic o Ljajic, se non Icardi: i primi due sono gli unici veri giocatori in grado di creare occasioni con continuità per sé e per gli altri e indipendentemente dall’avversario. L’argentino, pur poco servito e non particolarmente propenso a creare gioco in prima persona né ad aprire spazi per i compagni, ha pur sempre segnato quasi un terzo dei gol dell’Inter (7 su 23).
L’assortimento che manca a centrocampo è compensato da un reparto offensivo vario e maggiormente equilibrato. Ma la mancanza di una fonte di gioco più bassa, che l’Inter non compensa con l’organizzazione, impedisce di sfruttarne al massimo le potenzialità.
Di fatto l’Inter dipende dai propri giocatori offensivi per la creazione di occasioni da gol. Detto di Icardi, centravanti d’area più che di movimento, sono gli altri a dovergli fornire palloni giocabili, oppure a cercare di disorganizzare in dribbling le difese avversarie (solo i giocatori della Juventus tentano più dribbling dei nerazzurri). Ljajic sembra oggettivamente imprescindibile in questo momento: crea 3,8 occasioni ogni novanta minuti, in sostanza almeno il doppio di qualsiasi altro compagno, e spesso è proprio sulla sinistra, suo usuale lato di competenza, dove agisce anche Telles, che l’Inter si rende maggiormente pericolosa (il 38% delle azioni nerazzurre si sviluppa sulla corsia mancina).
Nemmeno Jovetic gioca così tanti passaggi chiave: con 2,2 per 90 minuti è più vicino a Palacio (terzo giocatore più creativo, con 2,1 passaggi chiave per 90 minuti) che al serbo. Biabiany e Perisic sono di più difficile collocazione. Il primo è più efficace in campo aperto, rispetto a quando ci sono da scardinare le difese chiuse che l’Inter si è spesso trovata ad affrontare. Il secondo è invece bravissimo negli inserimenti e nei tagli alle spalle della difesa, anche quando va a colpire di testa, ma ha bisogno di un compagno che lo rifornisca per dare il meglio di sé.
Proprio nel talento offensivo a disposizione di Mancini potrebbe risiedere la chiave del prosieguo della stagione dell’Inter. Se Mancini riuscisse a implementare un proprio stile di gioco in grado di esaltare le qualità dei singoli, ad esempio isolandoli con continuità in situazioni di uno contro uno o sfruttandone le peculiari abilità in un contesto maggiormente organizzato, l’Inter non dipenderebbe più dall’individuazione dei punti di forza e di debolezza dell’avversario di turno, ma potrebbe cominciare a esprimere un calcio proprio e maggiormente godibile, che, al di là dei limiti della rosa, è sicuramente nelle corde di questi giocatori.
Certezze difensive
Con il gioco che stenta, l’Inter ha costruito le sue fortune sulla solidità difensiva, che, dati alla mano, prima della partita con la Lazio era paragonabile a quella dell’Atlético Madrid, formazione oggettivamente più organizzata e rodata dei nerazzurri. Proprio dalla squadra di Simeone, l’Inter ha prelevato il centrale Miranda, che insieme all’altro nuovo acquisto Murillo forma una delle migliori coppie di centrali della Serie A. I due hanno trovato un’intesa eccellente e si completano alla perfezione: il brasiliano ha più consapevolezza tattica e senso della posizione, mentre il colombiano è più veloce ed esplosivo e cerca con maggiore frequenza l’anticipo sull’avversario. Comunque, i meriti del record difensivo dell’Inter vanno divisi anche con il resto della squadra, capace di difendere con invidiabile compattezza e con il portiere Handanovic che più volte ha salvato il risultato e i tre punti (l’Inter ha segnato più di un gol solo in tre occasioni su diciassette!).
Tutti si sacrificano in fase difensiva. Contro il Genoa, dopo l’espulsione di D’Ambrosio, Perisic va a fare il terzino mentre il resto della squadra si compatta di fronte all’area di rigore.
Grazie a una delle statistiche avanzate più popolari e usate anche a livello professionale, gli Expected Goals (xG), un metodo per misurare la qualità delle occasioni che una squadra crea (o concede) durante una partita, possiamo misurare l’efficienza difensiva dell’Inter.
Secondo il modello di Michael Caley, che periodicamente rilascia e aggiorna le statistiche per i cinque principali campionati europei, l’Inter ha finora concesso 15,4 xG, un dato che la colloca al nono posto in Serie A (Sassuolo e Torino, entrambe migliori dell’Inter, hanno giocato una partita in meno). Quindi, se dal punto di vista offensivo l’Inter ha segnato un numero di gol più o meno in linea con la qualità delle occasioni prodotte (23 gol contro 22,1 xG), da quello difensivo i nerazzurri stanno andando nettamente oltre la performance attesa.
Solitamente discrepanze così importanti tra gol effettivi e gol “attesi” sono destinate a una regressione che, nel caso dell’Inter, in parte sta già avvenendo: ciò non vuol dire che Mancini è destinato a veder crollare il suo record difensivo come un castello di carte, ma continuando a concedere xG a questo ritmo, è altamente probabile che l’Inter non possa continuare ad andare oltre le aspettative di efficienza difensiva.
L’atteggiamento dell’Inter è a volte fin troppo remissivo. Quando va in vantaggio di un gol si abbassa troppo e il 62% delle conclusioni sono degli avversari. Spesso difendendo nella propria trequarti, anche i centrocampisti si abbassano praticamente in linea con i difensori e ciò rende molto complicato portare pressione sul portatore di palla e lascia spazio per il tiro, spesso anche da posizioni pericolose (l’Inter ha concesso 72 tiri dalla danger zone: solo altre sette squadre di A hanno fatto peggio). Tra l’altro un baricentro così basso rende molto complicato ripartire in contropiede e agli avversari è spesso lasciato tutto il tempo di riorganizzarsi.
Mancini ha provato in qualche occasione a pressare alto gli avversari, ma i nerazzurri non hanno mai proposto un pressing organizzato: i giocatori compiono spesso movimenti poco coordinati e, con la difesa che rimane troppo bassa, è stato spesso fin troppo facile trovare spazio alle spalle della prima linea di pressione. Un pressing organizzato non si improvvisa: un punto in più che potrebbe consigliare a Mancini di lavorare su uno stile di gioco proprio. Con un coppia centrale ormai consolidata, l’Inter sembra in grado di poter gestire una difesa alta. Miranda non è un fulmine di guerra, Murillo è sicuramente veloce, ma la vera discriminante, come insegna l’esempio di Sarri al Napoli, è l’organizzazione: riproponendo la compattezza della fase difensiva anche nella fase offensiva, l’Inter potrebbe incrementare l’efficienza del proprio pressing e cominciare a difendere nella metà campo avversaria sfruttando al meglio tutta la fisicità di cui dispone.
La sconfitta con la Lazio ha avvicinato notevolmente le concorrenti al titolo—la Roma quinta è lontana appena quattro punti—e il calendario proporrà diverse trasferte insidiose nel girone di ritorno, con l’Inter che dovrà affrontare tutte le rivali al titolo, Napoli escluso, lontano dalle mura amiche. Considerate le stagioni travagliate da cui proviene, lo scudetto andrebbe ogni più rosea aspettativa del tifoso nerazzurro, ma anche il terzo posto, con la qualificazione Champions, sarebbe un successo.
Ma se l’Inter risolvesse l’enigma del gioco offensivo, il menzionato vantaggio dell’assenza di impegni internazionali assumerebbe ancora più importanza nel nuovo anno, con tutte le altre rivali impegnate nelle fasi calde del loro cammino europeo. E allora sì che gli interisti sarebbero autorizzati a sognare in grande.