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Quanto vale Roberto Gagliardini
09 gen 2017
Sarà Gagliardini a valorizzare l'Inter o sta a Pioli tirare fuori il meglio da un giocatore ancora acerbo?
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Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con NOW TV.

Un anno fa di questi tempi Roberto Gagliardini tornava all’Atalanta dopo il mediocre prestito al Vicenza. Era la sua terza squadra in Serie B dopo Cesena e Spezia e aveva raccolto poche presenze ovunque. Ritornato a Bergamo non gli è andata meglio ed è riuscito ad avere un esordio di consolazione in Serie A solo a maggio, nell’ultima partita di campionato.

Pochi mesi dopo Gagliardini non è solo un punto fermo dell’Atalanta e uno dei giovani rivelazione del nostro campionato, ma ha già guadagnato una convocazione in Nazionale e si parla di un trasferimento all’Inter con la formula di un prestito per due milioni di euro e un riscatto di 25. Una cifra che molti considerano esagerata. Gagliardini fa parte di quel gruppo di giovani dell’Atalanta esplosi quest’anno ancor prima che potessimo inquadrarli nel loro valore tecnico. Oltre a lui c'è Mattia Caldara, stessa età e identica trafila giovanile, è passato alla Juventus qualche giorno fa per 20 milioni di euro. In molti si stanno sforzando di stabilire se è stata l’Atalanta a vendere bene o gli altri a muoversi prima

Siamo abituati a dare quasi per scontato che la valutazione economica e quella tecnica di un calciatore tendano a coincidere, anche per questo casi come quello di Caldara e Gagliardini - dove nel loro prezzo sicuramente entrano in gioco fattori più intangibili come l’ “italianità” o la “futuribilità” - sono così discussi. Il modo in cui si è sviluppata la trattativa è di per sé significativo. Secondo una ricostruzione di Libero (che non saprei come dimostrare), la Juventus aveva già un accordo di massima con l’Atalanta per una cifra intorno ai 20 milioni, a quel punto Ausilio è riuscito a convincere Suning a superare l’offerta, vendendo agli investitori l’idea che Gagliardini sia il futuro del calcio italiano.

È di per sé significativo che un’etichetta simile sia stata appiccicata non su un numero “10”, di quelli che hanno scandito le nostre ultime ere calcistiche, né su un numero “9”. Ma su una mezzala che fa della fase difensiva il proprio punto di forza. Un segno abbastanza inequivocabile di cosa sia diventato più prezioso nel calcio contemporaneo. Siamo sicuri che Suning non si aspetti un nuovo Totti o un nuovo Baggio?

Oltre alle questioni più generali ci sono quelle che riguardano l’affidabilità del talento di Gagliardini nello specifico. Gagliardini è partito titolare in Serie A in appena otto partite. Basta così poco per riuscire a valutare le qualità di un giocatore? Quanto è stato facilitato Gagliardini dal sistema dell’Atalanta?

La peculiarità di Gagliardini

Di Gagliardini se ne è parlato talmente tanto negli ultimi mesi che solo qui su Ultimo Uomo gli abbiamo dedicato due pezzi in appena due mesi (questo dopo la sua convocazione in Nazionale, e questo dopo la grande prestazione contro la Roma). Il che spiega con il fatto che, in fondo, non abbiamo ancora capito del tutto di che giocatori si tratti.

La stampa ha alimentato fraintendimenti vagamente surreali, quando ad esempio due mesi fa la Gazzetta ha inventato il virgolettato “Io il Pogba bianco”, sbagliato su vari livelli. Eppure il paragone con Pogba, per quanto ai limiti della provocazione, aiuta a dare la misura dell’unicità di Gagliardini nel contesto della Serie A. Se ha dichiarato di “ispirarsi” a Pogba non è tanto per le qualità più appariscenti del fuoriclasse francese (la tecnica al velcro, il tiro da fuori), quanto per la modernità nella sua interpretazione del ruolo di mezzala.

Come richiesto a un centrocampista moderno, Gagliardini non ha particolari punti deboli. Anche se non sa fare niente in modo abbastanza speciale da spiccare in campo (a differenza ad esempio del compagno di squadra Kessié). Su questo è bene sgombrare il campo da subito.

Il suo controllo palla è pulito ma elementare; il suo gioco di passaggi, sul corto e sul lungo, non ha né la visione del “10” né la precisione del “6”. Usa bene entrambi i piedi ma li usa per mettere mattoni, non per dipingere cattedrali. Il suo maggior pregio è non forzare questi limiti giocando in maniera estremamente lineare. Le migliori qualità di Gagliardini sono quelle meno visibili: le letture e i tempi delle sue giocate, l’aggressività verticale con cui rende efficace la semplicità del proprio gioco.

In questo senso Gagliardini è un giocatore intelligente ma non cerebrale. Non è l’architetto attorno a cui ruota la progettazione del gioco, ma è molto bravo a scegliere sempre la soluzione giusta quando è chiamato a decidere in tempi stretti. Gagliardini ha l’intelligenza rapida e diretta del computer, non quella lenta e vasta dell’artista. Non è bravo a creare il proprio contesto di gioco, ma si esalta quando la squadra gli permette di giocare alle sue condizioni. Per questo nelle peggiori partite dell’Atalanta Gagliardini è apparso poco brillante, mentre nelle migliori ha regalato una sensazione di assoluto dominio (contro la Roma o contro il Sassuolo).

Per giocatori come lui fino a qualche tempo fa esisteva la definizione di centrocampista box-to-box. Se non fosse che Gagliardini non spicca nelle due situazioni che definiscono, almeno nell’immaginario comune, un centrocampista box-to-box: contrastare e segnare. Non è abbastanza dinamico per dare una sensazione di strapotere fisico e il suo tiro in porta non ha nessuna naturalezza: può contare su poca potenza e precisione e viene utilizzato solo quando la situazione tattica lo reclama.

Gagliardini, al contrario, eccelle in tutte quelle pieghe del gioco fondamentali nel calcio contemporaneo: preferisce l’intercetto al tackle, il pressing ai limiti dell’area all’assist. Anche per questo le sue statistiche non sono all’altezza dell’hype che lo circonda. Nonostante le classifiche statistiche non lo vedano nei primissimi posti per tackle e intercetti, Gagliardini è uno dei migliori recuperatori palla del nostro campionato. Ma non lo è nel modo in cui lo è, ad esempio, Nainggollan: una biscia elettrica della difesa all’indietro.

Se si è fatto sfuggire il tempo dell’intervento e deve rincorrere, Gagliardini soffre gli strappi in velocità (in questo senso è un buon esempio della differenza tra velocità e dinamismo). Non sempre ha la forza delle gambe neanche per assorbire bene la corsa degli avversari nei corridoi centrali. Al contrario, è bravissimo a difendere in avanti, a leggere il gioco e a tagliare le linee di passaggio con un tempismo da samurai. Gagliardini è uno dei migliori esempi che la qualità delle palle recuperate è spesso più importante della quantità (come dimostra questa mappa di Wyscout). Si possono contare almeno tre esempi di gol dell’Atalanta nati dal suo recupero di una seconda palla.

Il bisogno di verticalità

Il suo contributo diventa allora fondamentale per una squadra che vuole difendere con un atteggiamento proattivo come l’Atalanta di Gasperini. Gagliardini è tra i primi ad alzarsi in pressing sull’uscita degli esterni bassi o sul regista avversari, a raddoppiare sulle punte e ad attaccare le seconde palle.

Quest’ultimo aspetto è quello in cui Gagliardini riesce davvero a spiccare, sia per tempismo che per fisicità, e coincide con una delle situazioni più determinanti del calcio attuale. La visione del calcio di Gagliardini è sempre ottimista: mira a strozzare sul nascere gli spazi e i tempi avversari. In questo è stato senz’altro plasmato dal suo attuale allenatore. In un’intervista recente ha detto: «Gasperini ti insegna il calcio: come smarcarti, come aggredire, come rubar palla».

Nella stessa intervista sintetizza quello che gli richiede Gasperini col pallone: «In attacco, semplificando, la prima cosa è verticalizzare per gli attaccanti». Un’essenzialità che ben si adatta ai limiti tecnici di Gagliardini, che pur non avendo molte dimensioni di gioco, è bravo a non perdere tempo ed è sempre tempestivo a visualizzare lo spazio da servire in profondità. Ecco una giocata in cui la raffinatezza della sua lettura e del suo tempo di gioco compensano un’esecuzione un po’ ruvida.

Davanti alla difesa Gagliardini è limitato da un bagaglio tecnico non troppo profondo: il suo gioco lungo è spesso impreciso e sotto pressione può andare in confusione. A volte tende anche a ragionare in modo troppo offensivo e a rischiare giocate in zone pericolose del campo.

Il suo primo controllo è buono ma non completamente affidabile, e alterna grandi giocate a errori sanguinosi. Come se il suo livello tecnico fosse proporzionale all’intensità delle partite. Gagliardini sembra un giocatore con un grande bisogno di correre e non di pensare: più i ritmi sono alti più le sue esecuzioni sono pulite, più deve ragionare la giocata e più va in difficoltà.

Non ruba l’occhio, ma il calcio italiano raramente ha prodotto un calciatore con l’intensità e la verticalità di Gagliardini (Reja lo ha paragonato a Dino Baggio). Per quanto sia stato interpretato come un colpo mediatico, sono proprio queste caratteristiche, così marcate e rare, a renderlo un giocatore molto interessante da mettere nelle mani di Stefano Pioli.

Un giocatore verticale per un’Inter verticale?

Nonostante fosse stato presentato come un “normalizzatore”, Pioli è uno degli allenatori più moderni e radicali della scuola italiana. Come è stato evidente già dalle prime partite, la sua idea di calcio prevede un gioco a ritmi molto alti e dalla tensione spiccatamente verticale, tanto nella proposta offensiva quanto nell’atteggiamento difensivo. Questo anche a costo di compromettere gli equilibri generali di squadra. Un’idea ambiziosa che finora ha pagato a fasi alterne anche a causa dell’inadeguatezza di alcuni interpreti.

Con Gagliardini Pioli troverà finalmente un giocatore bravissimo a chiamare i tempi del pressing in avanti e a far restare alto il baricentro di squadra. Quello che in sostanza faceva molto bene Biglia nella sua Lazio e che non riesce a fare ora Kondogbia, sempre troppo in apprensione nel tenere la posizione davanti la difesa.

Verosimilmente, Gagliardini prenderà proprio il posto occupato dal francese nel 4-2-3-1 (un posto che dopo l’infortunio di Medel è così vacante da essere stato occupato addirittura da Felipe Melo - nel frattempo ceduto in Brasile - contro il Sassuolo). In quella posizione sarà chiamato ad applicarsi nel primo pressing e a riciclare velocemente il primo possesso verso i giocatori più creativi che lo circondano. Non gli si possono chiedere geometrie e andrà messo in condizione di esprimere le proprie migliori caratteristiche: l’istinto al pressing, l’attacco delle seconde palle, l’inserimento in area, dove non ha grandi tempi ma un’ottima presenza fisica. Una delle cose mancate all’Inter degli ultimi mesi.

Sono caratteristiche più da mezzala, ma anche quando si è trovato a giocare in un centrocampo a due, Gagliardini non ha fatto sfoggio di prudenza nello spingersi in avanti, tanto in pressing quanto nelle conduzioni palla al piede. In fondo contano le distanze complessive di squadra più che la posizione individuale. Spesso l’Atalanta di Gasperini fa salire la difesa in pressing fino alla trequarti avversaria e con distanze così ravvicinate Gagliardini può preoccuparsi di spingere in verticale: attaccare l’area e fare da calamita per le seconde palle.

L’esplosione di Gagliardini sembra legata a doppio filo con questo sistema iper-strutturato dell’Atalanta, la cui verticalità è il fertilizzante più efficace per esaltare i suoi pregi e limitarne i difetti. L’Inter di Pioli invece è ancora intrappolata nella propria ambiguità. Nei suoi momenti peggiori è una squadra spezzata a metà: con l’attacco che segue lo spartito di pressing e baricentro alto, e una difesa che non accompagna adeguatamente, aprendo uno spazio di mezzo in cui squadre come il Napoli sono risultate devastanti.

Fino a che non dimostrerà in modo chiaro il suo valore, si discuterà molto del costo di Gagliardini, che possiamo spiegarci scegliendo fra due teorie. Si può pensare che l’Inter ha pagato 27 milioni la rarità delle caratteristiche di Gagliardini, e dovremmo quindi forse abituarci a un universo in cui la funzionalità tattica vale più del talento naturale. Oppure dovremmo pensare che l’Inter ha pagato l’italianità e la gioventù di Gagliardini, merce pregiata in tempi in cui le squadre (vedi il Milan con Romagnoli e con la grande fiducia riposta in Locatelli e Donnarumma; la strategia della Juventus da molti anni ormai) sembrano volersi rifondare a partire dai ragazzi della porta accanto. Che l'Inter abbia deciso di investire nell'idea che gli italiani siano più affidabili.

Di sicuro Gagliardini è il primo tassello che Pioli ha in mente per disegnare la sua Inter, ma è altrettanto certo che non è uno di quei tasselli in grado di modificare da solo il contesto di una squadra che ha ancora bisogno di trovare tanti equilibri. Sarà anche loro responsabilità, di Pioli e dei dirigenti dell'Inter, valorizzare un giocatore interessante per la sua modernità, ma i cui limiti e margini di miglioramento restano tutti da scoprire.

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