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La trivela perfetta
27 giu 2018
Ricardo Quaresma ha segnato il suo primo gol in un Mondiale con il gesto tecnico che ha caratterizzato tutta la sua carriera.
(articolo)
9 min
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“Quaresma è un’ispirazione”. Paul Pogba

A quanto pare il 24 giugno 2018 ci sarebbe dovuta essere l’Apocalisse.

Finalmente.

Non è successo, ma due giorni dopo c’è stato qualcosa di (quasi) altrettanto eccezionale, solo che al posto di morte e disperazione ha portato un’aria fresca che sa di libertà. Ricardo Quaresma, 35 anni da compiere, uno dei tanti, troppi, talenti che “potevano essere ma”, ormai ricordato solo per quel gesto tecnico - un tiro ad effetto di collo esterno - chiamato trivela, ha effettivamente segnato un gol di trivela in una partita di Coppa del Mondo.

Finalmente.

Perché, proprio come l’Apocalisse è stata annunciata troppe volte ormai per immaginare che qualcuno si sia svegliato la mattina del 24 giugno 2018 pensando “ecco, oggi alle 15:52 finisce il mondo”, anche Quaresma ha provato la scudisciata di esterno destro troppe volte per pretendere di essere preso sul serio. Non è il primo gol che Quaresma segna con la trivela, ovviamente, altrimenti parleremmo sul serio di un caso clinico, ma non gli era mai riuscito su un palcoscenico così importante. Quando due anni fa Quaresma ha portato il Portogallo ai quarti dell’Europeo, segnando nei minuti di recupero della partita con la Croazia, lo ha fatto spingendo di testa nella porta vuota un tiro di Cristiano Ronaldo parato da Subasic. Il gol meno alla Quaresma possibile. Anzi, paradossalmente, in quell’occasione era stato Nani a servire Cristiano con un cross rasoterra di trivela.

Così, la trivela di Quaresma resta un gesto tecnico ambiguo, a metà strada tra i veri e propri numeri d’alta scuola, così rari e unici da aderire all’icona di alcuni grandissimi giocatori - la Cruyff turn, la roulette di Zidane - e il gesto velleitario di un ragazzino cresciuto poco, o male.

Adesso, però, Quaresma ha segnato di trivela in un Mondiale. La sua scudisciata di esterno è entrata a far parte della storia della Coppa del Mondo, in un capitolo diverso ma nello stesso libro dove compare il barrilete cosmico di Maradona.

Non ci sono cose nuove da scoprire sulla trivela di Quaresma. Forse neanche niente di interessante da sapere al riguardo, se già sapete che Quaresma ha detto di aver iniziato a calciare in questo modo perché da piccolo aveva i piedi storti (verso l’interno). Anzi, se volete una storia cronologica della trivela di Quaresma vi consiglio il lavoro straordinario di David Nguyen, che qualche mese fa ha guardato tutti i suoi gol, confrontato maglie, tagli di capelli, per risalire al primo gol di trivela di Quaresma - e che ne ha dato una bella definizione parlando di “una combinazione di artisticità e atletismo”. Io mi limiterò a dire un paio di cose sulla trivela, un gesto troppo spesso irriso irriso, demonizzato (ed è vero che nel contesto ipercompetitivo ed efficiente del calcio di questi anni un giocatore come Quaresma in un certo è quanto meno un antieroe, se non proprio un anticristo).

Tanto per cominciare, il gol di Quaresma segnato all’Iran è così speciale proprio perché le trivele riuscite - che non sono molte, sembrerebbero 8 in tutto, spalmate in 16 stagioni da professionista, 9 se volete contare lo splendido assist per Cristiano Ronaldo contro l’Estonia - è solo una piccola ricompensa per tutte quelle trivele che ci sono sembrate semplicemente senza senso. E che ci hanno fatto sembrare Quaresma un giocatore senza senso, ridicolo. E invece il fatto che il Portogallo si sia qualificato agli ottavi di finale grazie a una trivela di Quaresma ci mette di fronte al seguente dilemma: o la trivela ha sempre senso, oppure non ce l’ha mai. E in questo secondo caso, il gol segnato contro l’Iran di Queiroz (che quando allenava il Portogallo aveva creduto molto poco in Quaresma, e sembra pensare proprio a questo quando vede la sua trivela infilarsi alle spalle del suo portiere, a che razza di assurdo contrappasso gli è toccato) non ha niente di eccezionale. Vale come quei cross fortunati che entrano in porta e il giocatore magari neanche dice se era voluto oppure no.

La più brutta trivela mai segnata da Quaresma, contro il Catania, all’esordio in Serie A, è proprio un cross deviato sul primo palo, ed è anche il suo unico gol con la maglia dell’Inter. Non c’è peggiore ironia, per un gesto tecnico che richiede una consapevolezza così profonda di quanto sia difficile da realizzare compiutamente, che segnare di trivela per errore (anche se, in effetti, è coerente col fatto che Quaresma ha vinto il triplete con l’Inter al secondo anno senza quasi far parte di quella squadra). Perché Quaresma ha provato la trivela davvero ogni volta che ne ha avuto occasione. Più volte nel corso di una stessa partita. Fino a prova contraria, in ognuna delle 600 e passa partite giocate da professionista - non è importante il numero esatto: immaginate Quaresma provare la trivela più di 600 volte, diciamo 1000 volte: vi sembra una cosa normale, comune? Quaresma ci ha provato così tante volte che lo ha fatto diventare persino un gesto scontato, se non propriamente banale. Non si può dire che Quaresma non abbia dato agli spettatori quello che si aspettavano da lui, ma cosa stava cercando di dimostrare esattamente?

L’idea più comune su Quaresma sembra essere quella di un giocatore che vuole semplicemente attirare l’attenzione. Che non cerca di fare la cosa giusta, che si vuole distinguere per forza. E non ci piace chi cerca di distinguersi a tutti i costi. Quaresma è quello che si presenta all’Europeo con una foglia ossigenata scolpita nei capelli, con le lacrime tatuate sulla guancia (ora cancellate). Ma, magari, la sua ossessione per la trivela è solo una forma di perfezionismo, Quaresma potrebbe essere solo una persona stravagante, per carità, ma amante della bellezza, che ha dedicato una parte consistente di carriera ad affinare l’esecuzione di un gesto tecnico raffinato e poco utilizzato. Quante occasioni professionali avrà perso Quaresma perché gli allenatori, i dirigenti lo vedevano solo come quello della trivela? Quanto gli sarà pesato dover parlare della trivela con giornalisti, compagni, sconosciuti (immagino che Quaresma debba aver parlato moltissimo della trivela nella sua vita, ma magari mi sbaglio)?

Alcuni allenatori (non tutti, non Mourinho che voleva fargli perdere il vizio della trivela) sembrano aver visto un Quaresma diverso. Fernando Santos, l’attuale allenatore del Portogallo, quando gli chiesero cosa pensasse della foglia sulla nuca, ha detto di essersi congratulato con lui perché era “un’opera d’arte”. Jesualdo Ferreira, il suo ex allenatore al Porto, ha detto: «Non voglio che perda la sua personalità e la sua individualità, altrimenti diventerebbe un giocatore normale anziché giocare come il genio che è». E chi siamo noi per dire che, invece, Quaresma sarebbe stato un calciatore migliore se avesse insisto meno nel colpire la palla con l’esterno del piede.

Ogni trivela di Quaresma è formalmente diversa da un’altra, perché Quaresma è un formalista che della trivela ha esplorato quasi possibilità. Già dagli highlights della partita in cui per la prima volta Quaresma segna con una trivela (2005) è chiaro che si trattava per lui di un gesto familiare: il suo primo gol di trivela (7:18) è un tiro rasoterra, classico, da destra sul secondo palo, che aggira il portiere in massima estensione; ma prima di segnare l’ha provata anche da sinistra, per calciare con effetto a uscire sul secondo palo (al minuto 2:12). Con il Besiktas (2010) ha segnato con un trivela da posizione centrale, sul primo palo, quasi un tiro di collo pieno; simile a quella con cui con la maglia del Porto (2007) ha deciso un classico portoghese segnando a tu per tu con il portiere. In questi casi l’esterno del piede destra serve a Quaresma quasi solo a non usare il sinistro.

Le trivele più belle, però, sono quelle entrate a giro sul secondo palo. Quella con la maglia del Portogallo, del 2008, quando Quaresma prima controlla un passaggio di Cristiano Ronaldo usando un gesto tecnico iconico di Cristiano Ronaldo (chiamato internazionalmente Ronaldo chop), un cambio di direzione col tacco, e poi dall’angolo destro dell’area di rigore lascia partire una parabola lenta che gira larghissima ed entra in porta sgonfiandosi completamente, toccando la parte bassa del retino laterale. Quella del 2015, di nuovo con la maglia del Porto, con una parabola alta e tesa, invece, che tocca la traversa. Oppure quella dello scorso febbraio, in un derby di Istanbul tra Besiktas e Fenerbache, in cui Quaresma è quasi fermo dentro l’area di rigore e mira al palo più lontano.

L’apoteosi, la trivela migliore di tutte, è proprio quella segnata contro l’Iran (diventando il giocatore più anziano ad aver segnato alla sua prima presenza da titolare in un Mondiale, a 34 anni). Quaresma parte quasi dalla linea laterale, triangola con André Silva e arrivando in diagonale al limite dell’area, nel punto perfetto per la trivela, la esegue con la massima naturalezza, dandole una parabola lunga e a giro che scavalca Beiranvand (che poco dopo pararerà un rigore a Cristiano). La trivela perfetta.

C’è un dettaglio che per me rende la trivela di Quaresma un gesto unico. È il modo in cui Quaresma si inclina verso destra per colpire la palla dal basso verso l’alto con un effetto il più arrotato possibile, sbilanciandosi come un motociclista in curva con la saponetta che struscia l’asfalto, con la gamba sinistra che forma un angolo di 45° con il terreno. Il movimento delle spalle di Quaresma spesso anticipa la trivela, si capisce che sta per farla quando si sposta di lato, finendo fuori dal campo visivo del portiere, dietro al marcatore che gli copre la porta. Ed è vero anche che l’atletismo è l’altra componente fondamentale della trivela: se guardate il replay frontale si vede che Quaresma stringe i denti dallo sforzo mentre colpisce la palla, e il saltello che compie immediatamente serve a scaricare lo slancio della gamba destra.

Provate a guardare Quaresma come a un formalista che ha provato ad esplorare tutte le possibilità di un solo gesto. De destra, da sinistra, tesa, lenta, alta, bassa, più o meno a effetto, per calciare, per crossare, per cambiare campo, nell’eterno tentativo di trovare la trivela perfetta (come un surfista che aspetta tutta la vita che arrivi l’onda perfetta). La storia dell’arte è piena di artisti che hanno impegnato la parte fondamentale della propria ricerca in una forma geometrica, in un colore o in un metodo di lavoro. A nessuno che sappia di cosa sta parlando verrebbe in mente di criticare Rothko perché in fondo ha dipinto sempre gli stessi rettangoli.

Anche se Quaresma imprime al suo gesto tutta la forza che ha in corpo, nell’uso dell’esterno del piede c’è una sensibilità che è propria solo dei calciatori più dotati (in questo mondiale stiamo vedendo due altri maestri dell’esterno del piede, Modric e James Rodriguez). E le trivele più riuscite di Quaresma hanno un’armonia e un’unicità che ricordano i gesti di quei giocatori che in effetti un loro posto nella storia ce l’hanno: quella di febbraio ricorda il gol di punta di Ronaldinho contro il Chelsea, mentre quelle più improvvise e potenti rimandano al gol di Bergkamp contro l’Argentina nel ‘98, (forse già una trivela).

In una vecchia intervista Quaresma dice: «Provo sempre a essere me stesso, anche quando metto su la faccia seria e sorrido poco, non sono arrogante come dicono». E quando ricorda l’esperienza fallita al Barcellona di Rijkaard dice: «Ho provato a cambiare il mio stile per piacergli, ma finiva sempre allo stesso modo… in panchina o fuori dai convocati». Allora potremmo guardare alla trivela di Quaresma non come all’espressione volgare di un tamarro che prova a fare sempre la stessa cosa perché vuole che tutti lo guardino, ma come al gesto espressivo e personale di un tamarro che cerca di entrare nella storia del calcio nell’unico modo possibile.

Provando ad essere se stesso.

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