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Quasi leggenda: il Genoa 1991-92
05 feb 2021
Quando il "Grifone" sconfisse il Liverpool e arrivò in semifinale di Coppa UEFA.
(articolo)
23 min
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Una stagione, una squadra, un piccolo sobbalzo del cuore. In un viaggio dall’annata 1988-89 ai giorni nostri, ripercorriamo la cavalcata di una formazione per ogni campionato di Serie A, con un solo paletto: nessun trofeo alzato alla fine dell’anno. Squadre che hanno entusiasmato chi le sosteneva sugli spalti senza vincere nulla, semplicemente perché la vittoria non era alla portata. Salvezze raggiunte con le unghie, qualificazioni europee inattese, attimi di puro e semplice spettacolo. Per scoprire che possono essere oneste anche le fotografie in cui siamo bellissimi e perdenti.

Nell’Italia che si accinge a vivere gli ultimi squilli della Prima Repubblica, non c’è nessuno di più normale di Osvaldo Bagnoli. Schivo fino alla ritrosia e allo stesso tempo tutt’altro che scontroso, pronto a dire la sua quando le circostanze lo richiedono. Schietto, quello sì: «Non è vero che parlassi poco perché fossi timido: semplicemente, aprivo bocca solo quando avevo qualcosa da dire». Quando arriva sulla panchina del Genoa, forse non è ancora pronto. Non perché non sia un grande allenatore, ma perché è uscito in maniera turbolenta dall’amore che ne ha segnato vita e carriera. Ha trascorso nove anni a Verona, con il capolavoro della stagione 1984-85 a lasciare un solco leggendario nella storia dell’Hellas e del calcio italiano. Uno scudetto epico e irripetibile, la voglia di restare in gialloblù contro tutto e tutti. Bagnoli non capisce il momento in cui andare via, pur comprendendo in anticipo i problemi di una società sull’orlo del dissesto economico. Non si sfila via quando tutto sta per crollare, nell’estate del 1989, e accetta di restare con una squadra messa insieme alla bell’e meglio, andando comunque a un passo dalla salvezza nell’ultima gara stagionale con il Cesena, sette giorni dopo aver tolto lo scudetto al Milan di Sacchi nella seconda edizione della fatal Verona.

Ha la testa dura, Osvaldo. Vorrebbe restare ancora, programmare il ritorno in A del Verona, ma le due strade si separano. Ne approfitta Aldo Spinelli, che nell’estate del 1990 gli consegna il Genoa. Già dalle parole del raduno, però, si capisce che Bagnoli ha la testa altrove. «Verona resterà la mia città, non sono stato io a venire via, mi hanno fatto capire che non servivo più. Con tutto il rispetto per il Genoa, una società importante e una piazza che sicuramente stimola, non sarei mai venuto via. La Serie B? Non ho mai fatto problemi di categoria però non potevo pretendere di restare in paradiso a dispetto dei santi». Per i giornalisti al seguito, Bagnoli è una cascata di camomilla dopo le vampate di Scoglio. Predica calma, parla di salvezza. Sembra scontroso, la prima parte di stagione lo vede alle prese con qualche ostacolo di troppo. C’è un momento preciso in cui la storia di Bagnoli al Genoa cambia. È il 21 novembre 1990, il "Grifone" è stato appena sbattuto fuori dalla Coppa Italia dalla Roma e al tecnico non va giù la reazione del pubblico. Segue uno sfogo fermo, pacato eppure durissimo. Sono tre minuti che ci aiutano a capire una persona capace ma ancora lontana dal suo nuovo ambiente. Non accetta la contestazione, attacca frontalmente il cuore pulsante della tifoseria genoana.

«Non ho niente da vergognarmi e non ho paura di nessuno. Se uno viene e mi dà un cazzotto sulle spalle può darmelo, se viene davanti è difficile che me lo dia. Non ho paura, sono una persona corretta, onesta e posso andare in giro a testa alta. […] Io devo difendere la mia squadra e i colori rossoblù, anche se forse sulla pelle ho ancora quelli gialloblù».

Mancano pochi giorni al derby, quello di Bagnoli è un petardo lanciato in una piazza già calda. «Il Genoa non vince il derby da dieci anni, non vedo perché dovrebbe vincerlo proprio domenica. Non se lo meritano neanche, se lo meritano soltanto i giocatori». E alla fine, il Genoa lo vince, quel derby. Con una punizione telecomandata di Branco a un quarto d’ora dal novantesimo e la tensione che si scioglie al fischio finale. Dobbiamo partire da qui, dallo sfogo e dalla rinascita, per capire la lenta e faticosa costruzione del secondo amore della vita di Osvaldo Bagnoli. Il Genoa chiude quarto in classifica nell’anno dello scudetto dei cugini blucerchiati, guadagnando un piazzamento UEFA mai centrato prima nella storia del club. È tutto pronto per la campagna europea 1991-92, esaltante contro ogni pronostico.

Il mercato

Spinelli vorrebbe stravolgere l’ossatura della squadra. Sente le sirene delle grandi intorno ai suoi gioielli ed è pronto a monetizzare, confidando anche nelle qualità di Bagnoli. Milan e Juventus vogliono Stefano Eranio, il patron rossoblù spara grosso: a Berlusconi chiede 15 miliardi, ai bianconeri soltanto 10 con le aggiunte di due tra Tacconi, Galia e De Marchi. La Roma punta Torrente, Spinelli è disposto a scambiarlo alla pari con Desideri. Alla fine non se ne fa nulla, perché imperversa un altro caso.

Il presidente vuole fare fuori Carlos Aguilera, 15 gol nella stagione passata e un’intesa sublime con il lunghissimo Skuhravy. Ha già pronta l’alternativa, il sovietico Dobrowolski, meno attaccante e più rifinitore. «Da sei mesi scrivete che vuole cacciarmi per Dobrowolski e nessuno ha mai smentito queste voci. Mi sono convinto che la verità è questa, sono amareggiato, in due anni credo di avere dato molto al Genoa. Ma Spinelli non si illuda: ho un contratto che scade nel 1992 e intendo farlo rispettare. Non accetterò la cessione, voglio rimanere al Genoa», tuona l’uruguaiano. Dobrowolski è già in orbita Genoa, che lo ha parcheggiato al Castellon tra relazioni esaltanti degli osservatori. Quando il Genoa si raduna, i tifosi sono tutti per Aguilera. «Pato Aguilera, c’è solo Pato Aguilera», cantano aggrappati alle reti di Pegli. Ma a preoccupare Spinelli c’è il processo che attende l’attaccante, arrestato a maggio e previsto alla sbarra per uso, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti e per favoreggiamento della prostituzione. A metà luglio sembra tutto fatto con il Monaco, il Genoa inizia a trattare con il Torino per l’arrivo di Bresciani, ma l’affare sfuma. Ai blocchi di partenza, c’è una squadra praticamente identica a quella dell’anno precedente. A Spinelli il merito di aver respinto un assalto del Marsiglia di Tapie per Skuhravy – si parla di 26 miliardi – e di aver rinnovato i contratti praticamente di tutta la rosa, tolto il braccio di ferro con Eranio, che avrebbe gradito il passaggio al Milan. L’undici tipo, quindi, sarà lo stesso dell’anno precedente, anche se Fiorin troverà molto spazio per i problemi fisici di Onorati e, con la sua duttilità, si mostrerà in grado di rimpiazzare anche Branco. Collovati e Ferroni sono le prime riserve nel pacchetto arretrato, Iorio il backup dei due attaccanti.

La stagione alle porte preoccupa un po’ Bagnoli, convinto che il Genoa sia approdato in Europa saltando qualche tappa di troppo: «Per la responsabilità che abbiamo verso i nostri tifosi, che ci chiedono di più, è l’anno più difficile. Non vogliamo ripetere il quarto posto né piazzarci al terzo. Possiamo anche arrivare dodicesimi ma l’obiettivo è migliorare la qualità del nostro calcio. Confidiamo che Eranio non abbia ancora toccato il massimo delle sue capacità come Ruotolo, Torrente, Fiorin e Skuhravy. Una cosa ho imparato dall’esperienza veronese: le coppe vanno affrontate senza ossessione. Siamo arrivati in Europa troppo presto, sarebbe stato meglio aspettare due anni».

La Coppa UEFA

L’esordio europeo del Genoa arriva dopo una buona partenza in campionato: vittorie interne con Cremonese e Ascoli, sconfitta a Firenze. È un avvio di stagione particolare, con Skuhravy non al meglio e Branco rientrato in gruppo solo nel finale del match con i bianconeri. I rossoblù giocano benissimo contro la formazione di De Sisti, ma sprecano tantissimo. L’urna europea ha riservato al Genoa un’altra matricola, l’Oviedo. Nelle edizioni locali dei quotidiani, in quei giorni, il debutto della squadra di Bagnoli (e della Sampdoria in Coppa dei Campioni) passa in secondo piano: i tagli alti sono tutti per un comico genovese che sta per tornare in Rai dopo qualche anno di esilio. Si chiama Giuseppe Piero Grillo, ha pagato a caro prezzo una raffica di battute sul Partito Socialista, ma ora tira l’aria giusta per tornare in pianta stabile, dopo un paio di comparsate sanremesi a fine anni ’80.

Al seguito del Genoa in terra spagnola c’è una fiumana di cuori rossoblù. Sono settemila i tifosi che seguono Signorini e compagni, Spinelli è raggiante, Bagnoli teme i rivali: «Dietro giocano con cinque difensori e prendono pochi gol, noi giocheremo come se fosse una trasferta di campionato ma il sapore è diverso». Il match tra le due matricole del torneo scorre nel segno dell’equilibrio, Bagnoli non vuole mettere in campo una squadra troppo scoperta e al posto dell’assente Branco sceglie Ferroni, piazzando Caricola a uomo sull’ex viola Lacatus. Una dormita su calcio d’angolo, in avvio di ripresa, permette a Bango di segnare il gol del definitivo 1-0. A Marassi, senza aver segnato in trasferta, il Genoa ha già le spalle al muro, e non può rilassarsi in campionato: c’è in vista un miniciclo terribile, con la doppia trasferta Roma-Milan prima del ritorno e la Juventus subito dopo. Il "Grifone" ne esce bene, con due punti.

Rispetto all’andata, Bagnoli ritrova Branco ma perde Eranio. C’è chi immagina l’inserimento di Fiorin, chi addirittura un Genoa a tre punte, con Pacione in aggiunta al duo Aguilera-Skuhravy. Bagnoli, uomo saggio, non ci pensa proprio. «Se non ci saremo come squadra, sarà dura fare i due o tre gol che ci servono. Sento dire che secondo alcuni miei giocatori certi incontri si vincono prima nello spogliatoio. Non credo che un gruppo unito da quattro anni abbia bisogno dell’Oviedo per accorgersene». Dentro Fiorin, ma per Onorati, messo ko da Collovati nella rifinitura: la maglia numero 4 di Eranio tocca a Ferroni, anche Pacione ai box per un problema fisico. Dopo 37 minuti di partita, la UEFA del Genoa sembra già finita. Al vantaggio di Skuhravy ha risposto Carlos, che ha sfruttato un disastro del duo Braglia-Signorini. La strada è in salita ma ci pensa Lacatus a riaprire tutto, facendosi cacciare per un fallo di reazione e provocando anche una seconda rissa con Branco. Torrente rischia a sua volta il rosso e Bagnoli si tutela richiamandolo in panchina per il giovanissimo Andrea Fortunato. Caricola riporta avanti i suoi con un destro sotto la traversa, le lancette scorrono fino al cross di Ruotolo per la testa di Skuhravy, che usa il difensore avversario, impegnato a trattenerlo, come un pilastro cui appoggiarsi per piazzare l’incornata della qualificazione. La gioia del gigante di Přerov nad Labem è bambinesca, corre con le braccia al cielo dopo la consueta capriola, lancia baci verso la tribuna, vaga senza meta mentre sugli spalti è il delirio. Alla fine arriva da Braglia e lo abbraccia. È un primo turno di Coppa UEFA, ma a Skuhravy e il Genoa sembra il paradiso.

Per gli amanti del genere, la versione integrale della sfida di ritorno, telecronaca di Ennio Vitanza e Aldo Agroppi. A 23:21 il primo gol di Skuhravy, a 39:40 la frittata difensiva (evidenti i vaffa tra Braglia e Signorini) dell’1-1, a 1:17:25 il capolavoro di Caricola, a 1:32:55 l’azione del 3-1. La rete decisiva di Skuhravy sembra uno di quei punti di Federer di puro polso: a differenza dello svizzero, il numero 10 del Genoa costruisce il gol con una frustata nata dalla forza del collo e delle spalle.

Ancora carichi per l’impresa, i ragazzi di Bagnoli battono anche la Juventus in campionato, ribaltando il vantaggio di Corini con i gol di Aguilera e Bortolazzi. Le notti europee fanno sorridere Spinelli, che batte il record d’incasso fatto registrare con l’Oviedo già al secondo turno: c’è la Dinamo Bucarest al Ferraris, il presidente conta 1 miliardo e 430 milioni di lire di botteghino. La prima sfida è con vista sul derby, il Genoa si presenterà alla stracittadina avanti di un punto sui campioni d’Italia: «I ragazzi non penseranno alla Sampdoria: giochiamo in UEFA per la prima volta nella nostra storia, faremmo torto ai nostri tifosi». Manca Torrente squalificato, torna Eranio. Aguilera (doppietta) e Branco danno spettacolo, soltanto l’autogol di Signorini tiene aperto il discorso per il ritorno. Il derby finisce 0-0 ed è un risultato che sta bene anche a Boskov, sull’orlo del burrone vista la crisi dei campioni in carica.

A Bucarest si gioca alle 13.30 locali, il presidente Ianul promette ai suoi cinquemila dollari di premio qualificazione a testa ma non bastano, perché il Genoa torna a casa con un 2-2 che vale il passaggio del turno. Bagnoli è comunque furioso con i suoi: «Tra andata e ritorno avremmo potuto segnare venti gol, qualcosa non va. Non mi piace come è maturato questo 2-2, la Dinamo è stata una delusione. Adesso spero di incontrare il Real Madrid, almeno sapremo da subito di dover lottare dall’inizio alla fine». Il sorteggio di Ginevra è un thriller che per poco non riserva al Genoa il derby italiano con il Torino, ma i rossoblù vengono pescati da Johansson con la Steaua, quando nell’urna rimanevano soltanto i romeni e i granata, poi abbinati all’AEK. Il DS Landini scherza: «A saperlo, saremmo rimasti a Bucarest». In ogni caso, non è più la squadra stellare di fine anni ’80, in campionato langue al terzo posto, a distanza siderale dalla Dinamo.

Nel frattempo, forse per la scarsa abitudine al doppio palcoscenico, nelle sfide di Serie A il Genoa inizia a traballare. Sconfitta interna con l’Atalanta, ko esterno con l’Hellas tanto caro a Bagnoli, sudatissimo pareggio con il Cagliari a Marassi. Il tecnico è in difficoltà come la sua squadra, temporeggia in campo per allenare i panchinari, si presenta ai giornalisti dopo due ore, difende la scelta di giocare a uomo anche contro una squadra che schierava una sola punta di ruolo, l’imprendibile Fonseca. Parla Spinelli per tutti, e va giù duro: «Questa è stata la partita casalinga più brutta del campionato, stiamo pagando il noviziato in Europa. Sono deluso sul piano del gioco, l’unica cosa positiva è il risultato, è evidente che ci sono alcuni giocatori che non reggono i 90 minuti ravvicinati».

Per il match di Bucarest, Bagnoli non ha a disposizione il portiere Braglia, assente per infortunio, e lo squalificato Signorini. Dentro il giovane Berti e il veterano Collovati, Branco recupera in extremis. Il Genoa deve infrangere un tabù che dura dal 1939: è da una trasferta in Coppa Europa, in Cecoslovacchia, che non ottiene un successo all’estero in gare ufficiali. Il mercoledì continentale ringalluzzisce gli animi rossoblù, spazzando il venticello di crisi con un gol del solito Skuhravy. Per una volta, il numero 10 va a segno “alla Aguilera”, sfruttando un clamoroso buco difensivo per battere Stingaciu. Il successo rianima la squadra anche in campionato, Signorini e compagni risalgono in fretta al quarto posto. «Sarà dura, la Steaua non avrà niente da perdere e noi non siamo capaci né di perdere tempo, né di difenderci», avvisa Bagnoli. Rientrano Braglia e Signorini, escono Branco e Caricola: confermato Collovati, ripescato Fiorin a sinistra. Il Genoa soffre per un tempo, Dumitrescu è imprendibile ma la Steaua non sfonda e paga al quarto d’ora della ripresa, con Aguilera che riceve da Fiorin sul filo del fuorigioco per l’1-0, epilogo logico in un secondo tempo che aveva visto i padroni di casa arrembanti.

Sono rimaste otto squadre: colossi come Real Madrid, Ajax e Liverpool e club più morbidi come il Bk Copenaghen, il Gent e il Sigma Olomouc. L’Italia, oltre al Genoa, porta avanti anche il Torino di Emiliano Mondonico, che accoglie con un sorriso l’abbinamento con i danesi del Bk. Quando viene estratto il Liverpool, nel mucchio rimangono soltanto tre squadre: il Genoa, l’Ajax e il Gent. La pesca non è miracolosa, sarà Genoa-Liverpool. Souness, tecnico dei Reds, si presenta sugli spalti a inizio gennaio per la sfida tra i rossoblù e il Toro. Non rimane particolarmente colpito dalla formazione di Bagnoli: «Se dovessi giudicare per questa partita, dovrei dire che il Torino è molto più forte del Genoa». L’inizio del 1992 affossa il "Grifone" in classifica: tre KO in fila con Foggia, Napoli e Cremonese rendono la zona UEFA un miraggio e l’Europa si trasforma nel palcoscenico principale mentre infuria il caso Aguilera, ancora senza rinnovo di contratto e libero di andare via in estate dietro il pagamento di 2.5 miliardi di lire. Non se la passa meglio il Liverpool, aggrappato alla UEFA e alla FA Cup per salvare la stagione. Il Genoa saluta anche la Coppa Italia nei quarti di finale (passa il Parma, che vincerà il torneo), il nome di Bagnoli è sempre più chiacchierato: l’esperimento Orrico è esploso in mano a Ernesto Pellegrini e l’Osvaldo pare il favorito per la panchina nerazzurra.

In città la tensione è altissima per l’arrivo dei tifosi del Liverpool, il pericolo hooligans è il solito spauracchio sventolato dalla stampa italiana. Souness, che in Italia aveva vestito la maglia della Sampdoria, porta i suoi a Rapallo per preparare al meglio la sfida. Bagnoli non crede alla marea di assenze annunciate dagli inglesi e manda qualche occhio indiscreto al “Macera” per avere notizie fresche sulla rifinitura: «Alla UEFA ci tengo, è inutile nasconderlo: ci giochiamo tutto. Passare il turno sarebbe un’impresa storica». Il Liverpool deve risolvere la solita grana stranieri: ne ha in rosa una dozzina, contando gallesi e scozzesi, e a Genova se ne presentano sei, ma in campo potranno andarne solamente quattro. Grobbelaar, Nicol, Houghton, Whelan, Molby e Saunders si giocano i posti a disposizione, anche se Whelan è al rientro dopo mesi di stop. Souness opta per una scelta di rottura: fuori Grobbelaar, dentro Hooper, nessun portiere in panchina. Marassi fa venire i brividi, il gigantesco “We are Genoa” che accoglie i 22 in campo vale quasi letteralmente un ruggito. Mancano Caricola e Onorati, spazio a Collovati e al solito Fiorin, preziosissimo jolly a disposizione di Bagnoli.

La prima svolta la imprime lui, al 40’ di una notte sensazionale. Su un lancio lungo dalle retrovie, Skuhravy giganteggia come al solito. Il pallone schizza verso Aguilera che prova ad addomesticarlo con il tacco, la sfera si impenna, in area a rimorchio c’è Fiorin. Non ci pensa due volte, mancino al volo, o la va o la spacca. «Dopo il gol ho sentito un boato allucinante, per un paio di minuti non capivo neanche più dove fossi». Il vantaggio scioglie tutte le ansie dei ragazzi di Bagnoli, che sfiorano il raddoppio in almeno tre occasioni nella ripresa. Si gioca a un’intensità folle per l’epoca, con il Liverpool sbilanciato alla ricerca del pareggio e il Genoa sempre pronto a ribaltare l’azione. Quando Skuhravy colpisce la traversa a porta sguarnita dopo un miracolo di Hooper su Ruotolo, il pubblico del Ferraris può giustamente imprecare. Si scivola verso il novantesimo sull’1-0, e sarebbe già un punteggio importante in vista del ritorno. A due minuti dalla fine, proprio Ruotolo viene messo giù ai 30 metri. Sarebbe la classica mattonella per un destro, ma il Genoa ha un mancino speciale. Claudio Branco è abituato a calciare le punizioni con le “tre dita”, così abituato da portarsi dietro l’appellativo di “tres dedos”. «È una sventolaaaa!», urla nel microfono Bruno Pizzul mentre il pallone sparato in porta dal brasiliano gonfia la rete e fa palpitare i cuori di 35mila anime. Dopo il gol, Branco corre verso Bagnoli, evitando tutti gli ostacoli. «Gli devo tutto. Come allenatore è il massimo e non avete idea dell’uomo. Mi ha aspettato, dato fiducia, ricaricato. Chi vuole bene al Genoa, deve volerne moltissimo a Bagnoli e augurarsi che resti». Il tecnico è tramortito da tanto affetto: «Questi ragazzi hanno capito i miei sfoghi, i miei silenzi».

Alla vigilia del ritorno, però, difendere il 2-0 ad Anfield sembra comunque un’impresa difficile, anche considerando l’infernale clima che attenderà i ragazzi di Bagnoli. Nessuna squadra italiana ha mai vinto nel tempio dei “Reds”.

Bruno Pizzul perde il controllo sulla punizione di Branco. Qui il riassunto del match completo con la splendida rete di Fiorin.

Le due settimane che passano prima della sfida di ritorno durano mesi, anni. In mezzo c’è un derby che interessa poco a entrambe le squadre: il Genoa aspetta l’appuntamento con la storia, la Sampdoria sta vivendo un campionato deludente ma è ancora in corsa in Coppa dei Campioni. In Europa Anfield è inviolato dal 6 novembre 1973: la Stella Rossa è stata l’ultima a passare, prima della squadra di Belgrado soltanto Ferencvaros e Leeds. Stadio ovviamente tutto esaurito, Souness ritrova Barnes e Rush. Branco prova a fare il pompiere: «Ragazzi, è una partita di calcio, mica la Guerra del Golfo».

Bagnoli rimette in campo Onorati al posto di Fiorin, l’andamento è ben lontano da quello di Marassi. Il Liverpool bombarda la porta del Genoa, Braglia alza il muro sperando in tempi migliori, che arrivano al 27esimo. Campanile alzato dalle parti di Ruotolo, il suo cross sfila sul secondo palo dopo una deviazione di Burrows. Aguilera è solo, sornione come un avvoltoio. Stoppa, calcia, balla. Il Genoa è avanti ad Anfield e "Pato" abbozza un passo di danza, quasi fosse la cosa più normale del mondo. Rush ristabilisce la parità in avvio di secondo tempo ma il gap è tale da non spaventare il "Grifone", nonostante gli assalti respinti a più riprese da Braglia.

Minuto 72, contropiede da manuale. Skuhravy per Eranio che può correre in campo aperto, alzare la testa e servire Aguilera a centro area. Tocco di prima a porta vuota, il Liverpool non c’è più, c’è solo la festa del Genoa. «Dobbiamo credere alla possibilità di arrivare in finale, al punto in cui siamo sarebbe come andare a Roma e non vedere il Papa», dice Braglia in preda all’euforia. Il portiere è uno dei più richiesti dopo l’impresa: «Non so reclamizzarmi, a fine partita stacco, non passo in sala stampa, non mi offro alle sirene televisive. Mi giudicano per quello che non dico e non per quello che faccio». La squadra torna a Genova in piena notte e trova circa seicento tifosi in estasi. Cori per Bagnoli, per Braglia, per Aguilera. «Abbiamo vinto soltanto una battaglia e non la Guerra dei due mondi, come sento dire. In semifinale gradirei l’Ajax», afferma un esausto Bagnoli. E sarà proprio Ajax per la semifinale, mentre il Torino attende il Real Madrid.

Dopo aver eliminato il Liverpool, il Genoa si sente già in finale. Bagnoli annusa l’aria rancida e cerca di mettere tutti in guardia: «Non mi piace questo clima, si vede che i tifosi hanno fatto il callo ai grandi appuntamenti. La squadra è concentrata al punto giusto, ma con il Liverpool c’era ben altra attesa. Dobbiamo stare attenti, Bergkamp è un fuoriclasse, l’Ajax è ben disposto in campo e al meglio della condizione. I nostri successi li abbiamo sempre costruiti a Marassi, abbiamo il 40% di possibilità di passare il turno». Checché ne dica Bagnoli, a inquinare il clima ci pensano anche i suoi ragazzi. Alla vigilia della partita d’andata, scoppia il caso dei premi.

Qualcuno passa ai giornalisti una velina folle, in cui si millantano sei miliardi di premi partita già versati alla squadra. Dopo centocinque minuti di assemblea, il gruppo rossoblù risponde con un comunicato: «Le cifre non sono assolutamente vere: agli elementi della rosa, 17, le quattro gare casalinghe hanno fruttato un miliardo e 100 milioni netti». Nella nota, firmata in maniera essenziale “la squadra”, si precisa anche che l’offerta pre Ajax non è soddisfacente «considerando il cammino percorso e l’impresa storica realizzata. Documenteremo che la nostra richiesta rispettava una normalità diffusa nel calcio. Normalità che, evidentemente, non fa parte del Genoa, non ancora pronto per traguardi così gloriosi. Dimostreremo il nostro attaccamento giocando con il solito impegno per i nostri tifosi». Invece di tenere la testa sulla partita, Spinelli contrattacca: un miliardo e 700 milioni già versati per la qualificazione UEFA l’anno precedente, 2 miliardi e 400 milioni stanziati per l’attuale marcia.

In una situazione del genere, il Genoa si fa del male da solo. Pettersson sigla il vantaggio ospite dopo solo un minuto su imbeccata di Van’t Schip, Roy raddoppia, a nulla serve la doppietta di Aguilera visto che al novantesimo è Winter a fissare il 2-3. Al ritorno, senza Torrente e Aguilera squalificati, il Genoa non ha speranze. Bagnoli sa che è finita: «Avevo sognato di arrivare sino in fondo, pazienza. Ringrazio i tifosi, sono stati meravigliosi». Spinelli ha gli occhi fuori dalle orbite per la questione dei premi e aggiunge tensione su tensione, richiamando di prepotenza in gruppo Marco Pacione, ceduto al Venezia in autunno prima della bocciatura della commissione medica del Veneto, che gli aveva diagnosticato una coxartrosi alle anche. Il presidente lo vuole in campo ad Amsterdam per metterlo in vetrina in vista di una nuova cessione, Bagnoli declina: «Mi fa piacere sul piano umano ma la terza punta del Genoa è Iorio». Pacione diventa un caso: «Mi sono sempre allenato, ho girato l’Italia con i miei avvocati per annullare la sentenza della commissione medica del Veneto. Ho già il nullaosta rilasciato dall’analoga commissione ligure. In Italia forse non posso giocare, ma all’estero sì». L’attaccante è convinto di essere al centro di un complotto: «Ho la netta sensazione che la società abbia cambiato idea perché si è accorta di avere fatto il passo più lungo della gamba». Il patron del Venezia, secondo Pacione, avrebbe fatto marcia indietro prima di versare i 2 miliardi e 200 milioni per il cartellino e di siglare il triennale da 1 miliardo e 800 milioni. Il presidente del Venezia, per la cronaca, in quel momento è Maurizio Zamparini.

Nonostante le sparate di Spinelli, Pacione non parte neanche con la squadra. Tocca a Iorio, scongelato dopo qualche mese di panchina. È proprio lui a illudere tutto il pubblico genoano con il gol del momentaneo 0-1 in chiusura di primo tempo, mentre il Torino si sbarazza del Real Madrid e va in finale. Il Genoa vive una partita all’insegna del paradosso: ha bisogno di una vittoria con due gol di scarto, eppure non si scopre. È un calcolo delicatissimo, sembra funzionare, finché Bergkamp non mette in porta una corta respinta di Braglia su tiro di Jonk e regala ai suoi l’ultimo atto con il Toro. Una doppia sfida che sarà leggendaria e, per i tifosi granata, particolarmente amara.

Il Genoa esce dalla Coppa UEFA tra gli applausi, mastica amaro per quell’avvio scellerato nella semifinale di andata. Il finale di campionato è una picchiata senza freni, con Bagnoli già promesso sposo dell’Inter. I rossoblù perdono con Bari, Parma, Inter, Torino, Foggia e Napoli, chiudendo mestamente quattordicesimi. Prima dell’1-1 di Amsterdam, con sei gare da giocare, erano ancora aggrappati al treno UEFA, a sole tre lunghezze dal quinto posto. Volano gli stracci, come si dice: la squadra viene addirittura minacciata da qualche pseudo tifoso. «Li vorrei vedere in faccia, quelli che hanno minacciato di tirare fuori i coltelli», dichiara Bagnoli dopo il ko con l’Inter. Spuntano striscioni contro squadra e tecnico lì dove il Genoa si allena tutti i giorni, Aguilera annuncia la firma con il Torino. È lui, insieme a Eranio, di fatto già ceduto al Milan, il bersaglio principale delle monetine lanciate ai giocatori dopo lo 0-2 con il Foggia, ultima gara casalinga della stagione.

C’è chi sostiene che la vita sia un percorso circolare, e Osvaldo Bagnoli dalla Bovisa, innamorato dell’Hellas e sedotto per qualche mese anche dal Genoa, deve scappare da Marassi da una porta di servizio, dove trova un amico con una Y10 pronto ad accoglierlo: «Dovrei ridire le stesse cose di due anni fa, dopo l’ormai famosa partita di Coppa Italia con la Roma. Con tifosi del genere è davvero difficile vincere qualcosa». Nella ricerca del momento in cui il giocattolo Genoa si è rotto, Bagnoli va a cercare molto prima dell’impresa di Anfield. Dalla partita di andata in casa della Steaua - «Già lì mi accorsi che qualcosa non quadrava e ne parlai con i giocatori» - alla sconfitta di Cremona di inizio girone di ritorno. «Fu lì», confessa Bagnoli, «che capii che la mia avventura genovese era finita. Rimasi negli spogliatoi a parlare per un’ora e mezza con i calciatori e lì si chiarirono molte cose».

Per tornare ad assaggiare l’Europa, il Genoa dovrà attendere l’era di Gian Piero Gasperini. Osvaldo Bagnoli andrà all’Inter, chiuderà secondo il suo primo anno e anzitempo il secondo, silurato a febbraio: secondo esonero della sua vita, dopo quello nella stagione di esordio, ai tempi della Solbiatese. Toccato nel profondo, lascerà il mestiere di allenatore a 59 anni, da esonero a esonero in un percorso perfettamente circolare, covando ancora quell’amore per l’Hellas troppo forte per svanire del tutto. Eppure, anche se solo per una manciata di mesi, tra lui e il Genoa aveva funzionato tutto.

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