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Quello di Juric non è calcio, è satanismo
11 gen 2022
Il tecnico si sta rivelando l'allievo più oscuro ed esoterico di Gasperini.
(articolo)
10 min
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Chi ieri ha visto Torino-Fiorentina può confermare di aver assistito a uno spettacolo violento. La Fiorentina non si è limitata a subire il Torino: è stata soffocata, brutalizzata, derubata dell’anima. Sembrava di vedere un’orda di unni depredare un villaggio di innocenti disarmati. La Fiorentina, che pure ha in panchina un allenatore d’avanguardia, sembrava ancorata a concetti calcistici naif, a desideri infantili: giocare la palla, controllarla, uscire dalla pressione. Non gli è riuscito niente di tutto questo, perché dall’altra parte c’erano undici demoni pronti a saltargli al collo.

In particolare nei primi trenta minuti è stato un massacro. Quando la Fiorentina provava a impostare col portiere Terracciano - uno dei più lucidi del campionato nella gestione della palla - il Torino portava quattro giocatori sul limite dell’area avversario, con i due esterni sui difensori più larghi.

L’intensità con cui i giocatori granata scalavano o accorciavano in avanti è stata semplicemente ingestibile per la Fiorentina. Dopo un po’ di tempo passato a cincischiare, i viola preparavano la verticalizzazione per Vlahovic, puntualmente mangiato da Gleison Bremer, il vero cavaliere dell’apocalisse di Juric. Guardate che barbarie quest’azione. La Fiorentina commette la leggerezza di tornare indietro, in questi casi si dice «Per attirare il pressing e giocargli alle spalle», ma col Torino di Juric non è una buona idea. È come attirare un lupo mannaro in una stanza.

Vlahovic ha passato tutta la partita a lamentarsi con l’arbitro dell’eccessiva ruvidezza di Bremer.

La Fiorentina ama uscire dal basso a sinistra, dal piede di Biraghi sempre sottovalutato per la capacità di giocare in verticale o in diagonale tagliando le linee. Ieri non ci è mai riuscita però. Ogni volta che la palla arrivava a Biraghi, Singo gli si parava davanti come l’angelo della morte, anche fino alla riga di fondo avversaria.

Ieri la Fiorentina ha completato meno dell’80% dei passaggi, gli era successo solo contro la Juventus, e il Verona, un’altra squadra fedele alla religione di Juric. Il Torino lancia molto - il portiere titolare, Vanja Milinkovic-Savic, sembra provare un piacere feticistico nel lanciare la palla - ma pressando in quel modo costringe anche a lanciare molto. E la palla finisce per stare più in aria che in terra. La Fiorentina non aveva mai perso tanti duelli aerei come ieri: 28, giocandone una cinquantina.

A un certo punto si è iniziato a giocare solo nella metà campo della Fiorentina e con pazienza, facendo giocare più palle possibili a Josip Brekalo, il Torino ha segnato, con un cross per la testa di Singo. Da lì il Torino ha dilagato. Prima un gol di Brekalo dopo un’azione solitaria di Lukic, passato con la durezza del diamante fra difensori molli e svagati; poi Brekalo che scippa un retropassaggio stanco di Callejon e segna. Callejon è sembrato semplicemente troppo anziano per una partita del genere, legato a un calcio antico che non può certo capire Ivan Juric.

Ci sono state azioni ben costruite, come quella del quarto gol, in cui il Torino ha attirato la Fiorentina sul lato sinistro del campo per poi infilarsi nei corridoi aperti con Mandragora, che ha rifinito con grande qualità su Sanabria.

Nell’intervista post-partita Juric ha inquadrato la prestazione in un narrazione di vendetta, o almeno di rivalsa. Dice che la partita d’andata è stata la peggiore finora del Torino, e che lui ha continuato a pensarci perché si era sentito «inferiore» come allenatore.

La risposta è stata una delle migliori performance stagionali del Torino di Juric, una squadra che rappresenta un’esperienza estetica unica in Europa oggi. Nessuno gioca come il Torino. Quando è in forma, riposato, i suoi giocatori sembrano indemoniati. Nessuno gioca con la loro intensità, con la loro ferocia.

Hail Seitan!

Ivan Juric è un noto amante del metal, e in qualche modo sembra averne incorporato lo spirito distruttivo e devastatore nello stile di gioco delle sue squadre. L’impianto tattico, i principi, sono quelli di Gasperini, lo sappiamo: il 3-4-3, le marcature a uomo a tutto campo, l’uso offensivo dei “braccetti” della difesa a tre. Nelle squadre di Juric c’è però un supplemento di distruttività, di aggressività, di satanismo. Dove per satanismo si intende la pratica di una teologia negativa, del rovesciamento del bene nel male, la croce di San Pietro ribaltata, amato da una certa forma di metal. Dove invece il bene è l’idea canonica del gioco del calcio come espressione creativa di un essere umano attraverso un pallone. Da una parte un istinto di vita, dall’altra un istinto di morte. (Serve forse dire che stiamo parlando di categorie estetiche e non morali, e si fa sempre per ridere).

Come scrive qui Claudio Kulesko, uno dei precetti della filosofia black metal è il metodo apofatico, che ricorre alla negazione del discorso di Dio. Kulesko cita il teologo medievale Maestro Eckhart:«E se [Dio] non è né bontà, né essere, né verità, né Uno, che cos’è dunque? È il nulla».

Il nulla è anche Singo che ti viene a mangiare le gambe col sangue alla bocca.

La contrapposizione tra bene e male, di cristianesimo e satanismo, può essere una buona griglia ideologica per leggere il conflitto fra le due grandi scuole tattiche del calcio contemporaneo, quella olandese-catalana e quella tedesca. Da una parte il gioco di posizione, col suo istinto vitale alla costruzione, all’edificazione di architetture di gioco complesse. Il calcio come inno alla capacità di undici esseri umani di creare associazioni creative attorno al pallone. Ma anche il calcio sudamericano come paradigma del rapporto dolce e sensuale con l’oggetto sferico. «Il pallone va trattato bene» dice un sacerdote del calcio del bene, come Juan Roman Riquelme. Dall’altra parte c’è la scuola tedesca, che ha estremizzato il lato più oscuro del sacchismo, e che nelle sue correnti più esoteriche e radicali - il primo Rangnick, Roger Schmidt - predica un calcio in cui la palla è invece nemica. «Il pressing è il miglior playmaker» provoca col riso del pazzo Jurgen Klopp.

La palla non è più il sole attorno a cui far ruotare calciatori e posizioni, ma un agente del caos da masticare e far esplodere nella sua imprevedibilità. Se il calcio di posizione prolifera nella ricerca dell’armonia e della razionalità, nell’illusione che tutto possa essere controllato, il calcio tedesco, nella sua versione più estrema, si nutre di errori, disordine, istinto di sopraffazione, violenza, nichilismo. Non per questo non è esaltante, ma lo è di certo in modo diverso. Se guardare una squadra di Guardiola è un’esperienza simile ad ascoltare una rilassante ballata dei Beatles, una squadra Red Bull di qualche anno fa, o l’attuale Torino, sembrano un pezzo degli Obituary in cui la chitarra, spinta a velocità arcane, dipinge un inferno freddo e senza speranza.

Questo ovviamente non significa che il Torino giochi a caso. Come ricordano le teorie matematiche del caos, caso e caos non sono la stessa cosa: esiste comunque un ordine empiricamente dimostrabile all’interno di un sistema caotico. E di certo non si può dire che il gioco di Juric manchi di organizzazione e di pattern studiati per generare un’evoluzione che è casuale solo all’apparenza.

Ultraviolenza

Il calcio di Juric si iscrive chiaramente al filone di ispirazione tedesca, in cui il gioco senza palla è privilegato rispetto a quello col pallone. Un calcio dominato dal perfezionamento della transizione difensiva. Il gioco di Juric però si differenzia da quello della scuola tedesca per il ricorso alle marcature a uomo, nella trasformazione del campo in un territorio survivalista di duelli individuali. Basta guardare le statistiche del suo Torino. È ultimo per PPDA, cioè per numeri di passaggi permessi alle squadre avversarie prima di perdere palla; è la seconda squadra del campionato per altezza del baricentro, la prima per dominio territoriale, la seconda per recuperi palla offensivi, la prima per percentuale di duelli vinti, la seconda per altezza media degli interventi difensivi.

A colpire di più, però, sono le statistiche che riguardano il controllo del pallone e la perizia tecnica con cui questo viene trattato. Se il suo maestro, Gasperini, fa ricorso agli strumenti del gioco di posizione in controllo della palla, Juric propone principi molto più scarni, che riducono la complessità all’osso (forse anche per andare incontro alle caratteristiche della sua rosa). Il Torino è solo quattordicesimo per precisione dei passaggi, il primo per lanci lunghi sbagliati, il primo per duelli aerei giocati. Il lancio lungo è uno degli strumenti privilegiati di satana, il mezzo per perpetrare il caos e causare errori. Roger Schmidt era un grande amante del lancio lungo: allenava i suoi giocatori a sbagliare i lanci apposta, per recuperare palla in zone pericolose di campo. Che cos’è, se non una teologia negativa, l’idea di sbagliare apposta un lancio, commettere appositamente un errore, per causare un altro errore e approfittarne. Trionfare per essere i più affamati sotto a un cielo nero e maligno.

Ma la statistica più satanica del Torino è che è primo per falli commessi. Primo e neanche di poco: commette tre falli in più a partita rispetto al Verona (squadra in cui «si respira Juric nei muri», come ha detto Tudor, associando involontariamente Juric al demonio che si incastra fra le pareti) e quasi quattro in più rispetto alla prima squadra “normale”. Come ha scritto Dario Saltari: «Se l’obiettivo è rischiare il meno possibile, il fallo diventa l’ultima spiaggia per non far saltare il sistema di marcature a uomo. E se si viene saltati da un avversario, è di sicuro meglio commettere fallo sulla trequarti avversaria o a centrocampo che nei pressi della propria area di rigore».

Il fallo come tampone estremo al sabotaggio del sistema di marcature a uomo, ma anche come strumento di prevaricazione fisica e psicologica sugli avversari. Nel conflitto eterno nel calcio fra spazio e pallone, Juric punta decisamente a controllare lo spazio, ma dire questo è riduttivo. Oltre al territorio, Juric cerca anche di controllare le gerarchie primitive tra i corpi in campo. Le sue squadre vogliono sempre mettere in chiaro chi comanda a livello fisico. I duelli individuali delle sue squadre trasformano il calcio in uno sport in cui la violenza muscolare arriva a soffocare qualsiasi istinto vitale degli avversari. Il Torino a volte sembra voler strozzare gli avversari.

Un fallo di pura Intimidazione. No mercy from Djidji.

In questa ultraviolenza non mancano spunti tecnici, rappresentati soprattutto dalle corse pazze dei suoi trequartisti (Zaccagni al Verona, Brekalo al Torino), al lavoro di cucitura e rifinitura di alcuni trequartisti-torri (Barak al Verona) o agli atolli di razionalismo che sono i suoi registi (Veloso, Mandragora). Spicca però un’atletismo cieco e fuori scala, soprattutto in un campionato compassato e speculativo come quello italiano.

Il Torino di Juric dimostra che giocare il pallone, saper manipolare il pallone, per una squadra con poche risorse tecniche, è la cosa più difficile. Il problema è che la tecnica non si può insegnare, o almeno lo si può fare fino a un certo punto. Certo, ci sono esempi di squadre che, pur con risorse modeste, hanno provato a praticare un gioco di controllo del pallone: l’Empoli di Sarri e questo di Andreazzoli, il Las Palmas di Quique Setièn di qualche anno fa, il Sassuolo o il Foggia di De Zerbi. Si può però scegliere una strada più semplice se in rosa le doti atletiche superano di gran lunga quelle tecniche: la corsa, l’intensità, il ritmo, l’applicazione tattica, sono tutte cose su cui un allenatore ha grande margine di lavoro e miglioramento. Oggi il Torino è la terza miglior difesa del campionato, e c'è qualcosa di controculturale nel dimostrare, nel campionato delle difese, che il modo più efficace di difendersi può essere farlo a ridosso dell'area avversaria.

Fino a qualche anno fa Gasperini era il solo a praticare questo stile di gioco, poi è arrivato Juric, e ora anche Tudor. Nelle chat più esoteriche si vocifera di eredi di Gasperini sparsi nelle serie inferiori, a nutrirsi dei cadaveri della disorganizzazione del calcio di categoria. 3-4-3, marcature a uomo a tutto campo, gioco sulle catene laterali. Formule eterne buone per giocatori di qualsiasi livello e ambizione, come quelle dei versetti satanici. Stanno arrivando come le orde di orchi in cammino verso Minas Tirith. Chissà se qualcuno di loro riuscirà a estremizzare il lato distruttivo e arcano ancora più di Ivan Juric. Come recita una canzone dei Napalm Death, una delle sue band preferite: «Non ha senso combattere, la tua vita è già persa / Prova a scappare: sei inchiodato alla croce».

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