Pubblichiamo un estratto di "Quindici minuti sul ring. Anatomia di una lotta", libro di Christophe Granger appena edito da Einaudi. Se volete acquistare il libro potete farlo cliccando qui.
La scena è breve; si svolge allo stadio Buffalo nel quartiere della Vache-Noire di Montrouge, vicino alle fortificazioni di Parigi, il 24 settembre 1922.
È uno stadio nuovo di zecca, massiccio, disadorno, un grosso edificio incurvato su se stesso e composto, all’interno, da una bardatura di travi metalliche che s’intravede dalla strada. L’ingresso è da varchi aperti sulla facciata, sormontati dalla scritta ENTRARE ADAGIO. Dentro, lo spazio è studiato meticolosamente. Al centro esatto si trova il ring, e attorno, fradicio per la pioggia del giorno prima, il prato è coperto da lunghe assi, su cui sono piazzate file di sedie e panche. Quarantamila persone (due volte i cittadini di Montrouge) hanno preso possesso di quei luoghi. All’inizio sedute, si sarebbero poi alzate, per pigiarsi e ondeggiare vicino alle corde. Ai piedi del ring, sullo stretto bordo di legno, si affannano i massaggiatori, gli allenatori e i manager, ognuno col proprio compito, i primi in giacca e gli altri in completo, e un po’ più in là, in alto sopra la folla, una navicella affusolata accoglie una decina di giornalisti e fotografi oltre a una pesante cinepresa. Davanti, su una targa visibile da lontano, si leggono due parole tracciate in lettere spesse: CINEMATOGRAPHE PHOCEA.
I due pugili sono usciti dallo spogliatoio pochi attimi prima. Li accompagnano le acclamazioni del pubblico. Salgono, scivolano in mezzo alle corde e si piazzano sul ring. Siki prende in fretta posizione, in piedi nel suo angolo, circondato dai massaggiatori. Lo raggiunge Carpentier e il brusio raddoppia. Attraversa il ring per mettersi davanti all’avversario, e i due si colpiscono velocemente i guantoni in segno di saluto. Uno è nero, l’altro bianco. L’arbitro Bernstein, in maniche di camicia e con la cravatta mozzata a metà pancia, li invita ad avvicinarsi e con un gesto ampio e teatrale annuncia l’inizio dell’incontro.
Le prime due riprese sono piuttosto simili. All’inizio vivaci e combattuti, gli scambi si fanno presto monotoni e lenti, con i due pugili che smettono di lottare come impietriti in un reciproco osservarsi. Carpentier ha la meglio. Dritto e ben piantato a terra, occupa tutto lo spazio, si muove, saltella, rotea i pugni davanti a sé, e a intervalli regolari, sempre saltellando, sferra colpi estesi, svelti e sfuggenti, che colgono Siki di sorpresa e lo centrano bruscamente al mento o al torace. Dopodiché si rimette in posizione e ricomincia: sicuro, il viso calmo che incute soggezione. Quanto a Siki, sta curvo, si muove poco, tiene la distanza finché può, guardia alta e testa al riparo dai pugni, come se dall’alto potesse abbattersi su di lui qualcosa di enorme e violento, se solo avesse la tentazione di raddrizzarsi. Anche lui appoggia qualche colpo, rapido e inoffensivo, ma per la maggior parte subisce, incassa e appena può afferra il corpo di Carpentier e si aggrappa per avere un po’ di respiro. Per due volte poggia il ginocchio a terra.
Il terzo round segna una rottura. La boxe di Siki si fa a poco a poco più elusiva. È più vivace, nervoso, si sposta e attacca. Ai jab corti al viso fa seguire swing ampi e potenti che carica da dietro, all’altezza dell’anca, a tutta estensione, e che assesta scompostamente sull’avversario, torcendo il busto, uno dopo l’altro, con uno stesso movimento, come sotto l’effetto di una molla interna. Frastornato, Carpentier mostra segni di stanchezza. Si muove meno, smette di provocare l’avversario. Incassa, inciampa e fatica a riprendere fiato. La faccia comincia a gonfiarsi, l’occhio sinistro si chiude, da piccole lacerazioni sulle labbra gli esce del sangue, e stavolta è lui, sotto l’effetto di un colpo più appoggiato, a mettere il ginocchio a terra. Insomma, ormai è in difficoltà.
Le riprese successive accentuano questo capovolgimento. Siki impone il suo gioco. Appare calmo, si sposta con più tranquillità e sferra i colpi con precisione, senza fretta. Carpentier resiste. Stremato, impacciato nel gioco, moltiplica i corpo a corpo e s’impegna a mantenere le distanze, tanto che il combattimento diventa piatto e sconclusionato. Esita e si getta alla cieca sull’avversario. Cede a gesti non regolamentari, dà testate e colpisce sotto la cintura, attirandosi i ripetuti ammonimenti dell’arbitro e i fischi del pubblico. È sull’orlo della rottura.
L’incontro, in quel momento, si è ridotto a un lento disordine. Si vedono due corpi curvi, aggrappati l’uno all’altro, che disegnano sul ring sinuosi volteggi durante i quali sembra che non debba accadere niente, interrotti di tanto in tanto da un attacco floscio, come al ralenti. Poco prima della pausa, Carpentier coglie Siki alla sprovvista. Chiudendolo alle corde, assesta una raffica di colpi che prolunga fino a dopo il rintocco del gong. L’arbitro interviene e Carpentier si fa da parte.
Alla sesta ripresa la situazione precipita. La pausa non è ancora finita che Carpentier lascia il suo angolo per lanciarsi verso quello di Siki e lo attacca senza aspettare. «È corso verso il mio sgabello e mi ha colpito che ero ancora seduto, – dirà Siki. – Così sono saltato su come un pazzo e ho cercato di mandarlo al tappeto». Siki risponde mettendo Carpentier alle strette, lo colpisce al viso, gli gira attorno, lo colpisce ancora alla pancia, al torace e d’un tratto affonda una serie di swing rabbiosi e concatenati. Carpentier, schiena alle corde, si copre, avanza, afferra l’avversario alle braccia e lo respinge come può. Siki non molla. Gran parte dei colpi si smorza contro i guantoni di Carpentier. Indietreggia, indietreggia ancora, e all’improvviso, torcendo il busto e caricando lontano dietro di sé, sferra un violento uppercut che va a impattare contro il mento di Carpentier, subito seguito da un altro, meno fluido. Da bordo ring si sente urlare: «Uccidilo», «Ce l’hai in pugno», «Finiscilo».
Arrivato al capo opposto del ring, Siki prende definitivamente il sopravvento; colpisce l’avversario sulle spalle, lo tira a sé con una leggera rotazione facendogli perdere l’equilibrio di modo che curvi in avanti; con una rincorsa appena attutita dalla posizione sbilenca del corpo, gli piazza un violento diretto alla mascella che subito lo manda al tappeto. Carpentier crolla, visibilmente malmesso, fa una smorfia di dolore e rotola sulla schiena da una parte all’altra tenendosi la gamba, mentre sopra di lui, portando a termine il suo gesto, quasi rimasto in sospeso a causa della caduta imprevista, Siki, in piedi, gli urla qualcosa d’indistinto che si perde nel frastuono e nel finale inatteso.
L’arbitro non li ha mai persi di vista. Afferra Siki per spingerlo nel suo angolo e raggiunge Carpentier. Dopodiché torna indietro e alzando il braccio squalifica Siki. La scena è confusa; si parla di «sgambetto». Il pubblico, ora in piedi, si addossa al ring come per prenderlo d’assalto e si sente gridare: «Siki vincitore! Siki vincitore!» Il presidente della Federazione e i tre giudici salgono sul ring per discutere con l’arbitro. Carpentier è ancora a terra; lo fanno sedere e lo portano nel suo angolo, la testa avvolta in un asciugamano. Siki si batte il torace, scalpita descrivendo piccoli cerchi febbrili e poi urla in direzione della folla. Per calmare gli animi si monta alla svelta un altro incontro, il tempo che i funzionari prendano una decisione. Niente è dato sapere su che cosa si dicono. Ma dopo qualche istante, con aria grave e solenne, uno di loro sale sul ring e, provvisto di un megafono che gli copre la faccia, annuncia la vittoria di Siki; che cosí diventa il campione del mondo dei pesi mediomassimi.
L’azione che mi interessa si interrompe qui. Nelle settimane a seguire un dibattito intenso circonda l’incontro. La sconfitta del campione bianco alimenta un’interpretazione razzialista e coloniale. Alcuni la vedono come un colpo al do- minio bianco e altri come la prova che la boxe, non essendo che violenza bruta, dà un vantaggio naturale ai neri. Altri, poi, come il futuro Ho Chi-minh, ci leggono il fermento di una ribellione dei popoli sottomessi all’Impero francese. Ma in realtà ci s’interroga soprattutto su due punti, che a ben vedere sono lo stesso: che l’incontro fosse truccato e che i pugili recitassero. A maggior ragione perché Siki dichiara di lí a poco che tutto, a cominciare dalla sua sconfitta, era stato concordato prima. La Federazione apre un’inchiesta, s’interessa anche la Camera dei deputati. Fatto sta che questi seguiti non sono più quello che m’interessa. Certo, faranno nascere molte voci sul combattimento, fissandone il racconto, drammatizzandolo e dandogli il respiro della «civiltà». Ma sono già un’altra cosa.
Sul ring del Buffalo quel giorno l’azione è durata quindici minuti; solo quei minuti, e nient’altro, sono al centro di questo libro.
© 2024 anamosa
© 2025 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
This edition is published by arrangement with Anamosa in conjunction with its duly appointed agents Books And More Agency #BAM, Paris, France, and Anna Spadolini Agency, Milano, Italy. All rights reserved.