Nel 2019, dopo aver vinto il dodicesimo Roland Garros, uno spot celebrativo della Nike omaggiava Rafael Nadal con la voce narrante di John McEnroe, una finta telecronaca del suo match di Amburgo del 2003 contro Carlos Moya, vinto quando ancora non aveva compiuto 17 anni. Dopo una sequenza di immagini che vedevano Nadal rincorrere qualsiasi tipo di palla e lungo tutto l’arco della sua carriera, alla fine di un punto fittizio creato ad arte con il montaggio McEnroe finge di stupirsi e si chiede in modo retorico, immaginandosi di essere catapultato oltre 16 anni prima: «Wow! Giocherà davvero ogni punto come questo?».
La risposta a questa domanda sembrava scontata già vedendolo giocare quando ancora era minorenne. Questo atteggiamento ferocemente combattivo Nadal è riuscito a portarselo appresso fino alle ultimissime partite prima di annunciare l’inevitabile ritiro, fino a quando si vedeva che ormai non ne aveva più per stare dove dovrebbe, fino al punto che continuare a giocare a tennis è parso perfino un atto autolesionistico.
La splendida vittoria contro Alex de Minaur a Madrid, forse l’ultimo grande incontro giocato da Nadal in carriera; il secondo set lottato fino all’ultimo al Roland Garros contro un Alexander Zverev in formissima; fino alla lotta di oltre 4 ore contro Mariano Navone a Bastad: sono questi soltanto gli ultimi esempi, estratti dalla sua ultima zoppicante stagione, di come Nadal abbia assunto lo status di più grande combattente nella storia dello sport tutto, non solo del tennis.
Se oggi è possibile sostenere che Novak Djokovic gli sia stato complessivamente superiore per numeri e trofei, Rafa Nadal resta con ogni probabilità lo zenit assoluto della mentalità sportiva, il giocatore che non ha perso praticamente mai – o quasi – un match in cui partiva favorito, che molto raramente ha fallito un colpo in un momento importante, che ancora più raramente ha sbagliato una scelta. Non ha mai nascosto e, anzi, ha sempre usato a proprio vantaggio i dubbi e le incertezze che ha sempre nutrito dentro se stesso, al punto da non sottovalutare alcun avversario e alcuna situazione possibile sul campo.
La forza mentale di Nadal è stata complessa e multidimensionale: non si è espressa solo, banalmente, nel dare tutto sul campo e nel rifiutare il più possibile la sconfitta, ma gli ha permesso di essere forse il primo tennista a mostrare al mondo cosa vuol dire davvero aggiustare il proprio livello di concentrazione, di lucidità, di auto-valutazione all'importanza delle partite e dei tornei.
È probabile che Djokovic, molto più altalenante di Nadal nelle prime fasi della sua carriera, si sia molto ispirato allo spagnolo sotto questo punto di vista, fino a diventare scientifico nella programmazione. Eppure, dei tre grandi supercampioni che ci hanno accompagnato nell’arco di questo glorioso ventennio tennistico, Nadal, complessivamente, si è rivelato essere il più affidabile per i propri tifosi, quello che ha deluso meno. Ciò non significa che abbia sempre giocato allo stesso livello e sempre con la stessa brillantezza: la sua mentalità, però, gli ha permesso di portare a casa molte partite che per svariati motivi – stato di forma o esperienza dell’avversario, superficie, problemi fisici, difficoltà di confermarsi – a un certo punto sembravano impossibili perfino per uno come lui.
È stato difficile selezionarne dieci ma ho comunque provato a racchiudere in questa lista le sfide in cui il fattore mentale di Nadal è parso materializzarsi con più forza sul campo, spostando dalla sua parte il peso dell’incontro e ricordandoci, forse come non mai, quanto l’incidenza del fattore psicologico sia preponderante in questo terribile sport.
Finale Roma 2005: Nadal batte Coria 6-4 3-6 6-3 4-6 7-6(8-6)
Dopo la vittoria della Coppa Davis 2004 sconfiggendo in finale Andy Roddick sulla terra di Siviglia, la primavera 2005 è il momento della definitiva esplosione ai piani alti del tennis mondiale di Rafa Nadal. Perde in rimonta la finale di Miami contro Federer, dopo essere stato avanti 2 set a zero, e poi vince il suo primo di 8 consecutivi tornei di Montecarlo, battendo in finale l’argentino Guillermo Coria per 6-3 6-1 0-6 7-5. Quello perso nell’ultimo atto nel Principato nel 2005 resterà uno dei soli tre set persi per 6-0 dallo spagnolo sulla terra battuta in tutta la sua carriera.
Coria è un giocatore dalle aperture ampie, tipiche dei terraioli latini, e che condivide con Nadal stesso. Dello spagnolo, però, non possiede la solidità mentale, come mostrato nella terribile sconfitta contro Gaston Gaudio nella finale del Roland Garros 2004. Ritrovatisi nuovamente uno contro l’altro sempre in finale a Roma, stavolta gli equilibri tra Nadal e Coria appaiono molto più incerti, dividendosi equamente i primi 4 set e arrivando al quinto e decisivo.
Nadal non ha ancora compiuto 19 anni ma fa già dei recuperi impressionanti. Nella sua famosa autobiografia intitolata Open, Andre Agassi racconta che nella finale che giocarono uno contro l’altro a Montréal qualche mese dopo pensò: «Non riesco a batterlo. Non lo capisco. Non ho mai visto nessuno muoversi in quel modo su un campo da tennis». Eppure non sembra ancora inscalfibile negli scambi lunghi, come sarebbe diventato già un anno più tardi: colpisce quasi sempre il dritto con la racchetta che gli finisce intorno alla spalla anziché intorno alla testa, produce top spin e velocità ma non ancora ai livelli di qualche tempo dopo. Sul rovescio non gira sempre perfettamente il corpo e la sua seconda di servizio sembra a tutti gli effetti una rimessa in gioco. Questo lo porta a volte a forzare delle soluzioni alternative, come palle corte e discese a rete in controtempo, talvolta avventate e inefficaci.
Nel quinto set Coria va avanti di due break: 3-0, servizio e 40-30. Nadal annulla la palla del 4-0 e, con una vistosa vescica alla mano, si riporta sul 3-3. Sul 4-4 lo spagnolo annulla anche una palla break con una smorzata da brividi. Si arriva al tiebreak: Nadal va avanti sul 6-5, serve per chiudere ma commette doppio fallo. Un istante dopo abbiamo un assaggio della mentalità di questo giovane ragazzo: si cambia campo e, come se nulla fosse, tira un dritto micidiale all’uscita dal servizio che lo riporta di nuovo a match point. Come un calcolatore elettronico infallibile, Nadal riesce a resettare improvvisamente il sistema cancellando le ultime operazioni fin lì compiute e ricominciando da capo. Un errore di Coria con la volée consegna a Nadal il secondo Masters Series – come venivano chiamati allora – della carriera.
Questo incontro può essere già uno dei primi turning point della storia tennistica di Rafa Nadal, un match che forse, se fosse stato perso, avrebbe potuto togliere alcune delle certezze che lo accompagnarono invece al sicuro trionfo del suo primo Roland Garros a 19 anni. O forse siamo noi a dare perfino troppa importanza a questi bivi, che per uno come Nadal bivi non erano.
Finale Madrid 2005: Nadal batte Ljubicic 3-6 2-6 6-4 6-3 7-6(7-3)
L’unico grande tallone d’Achille della carriera di Rafa Nadal è stato il tennis indoor. Sulla terra battuta, per lui, giocare al coperto non si è rivelato essere un problema: in Coppa Davis sul rosso non ha mai perso neanche una partita, quindi neanche nelle finali giocate sotto il tetto nel 2004, 2009 e 2011; lo stesso vale anche per la finale del Roland Garros 2020 dominata contro Djokovic sempre con il tetto chiuso. Il conto di Nadal nei tornei individuali giocati interamente indoor e vinti si ferma, invece, a uno: il Masters Series di Madrid 2005.
Un torneo che del resto, con la nuova formula in cui anche le finali si giocano al meglio dei 3 set anziché dei 5, avrebbe anch’esso virtualmente perso. In finale contro un Ivan Ljubicic all’apice della propria carriera, Nadal va subito sotto 2 set a zero. Non riesce a sfondare sul rovescio a una mano del croato, suo colpo migliore, e le condizioni indoor rendono molto più complicati i recuperi con cui solitamente fa la differenza. Nel quarto game del terzo set arriva però la svolta: Nadal si carica con un linguaggio del corpo per nulla consueto per un tennista che sta perdendo di brutto, il pubblico spagnolo entra ancora più in empatia con lui e capisce che la partita non è finita. Il giovane fenomeno conquista il break che gira l’inerzia dell’intero incontro.
Come a Roma il match arriva al tie-break decisivo. Ljubicic, ormai, è come se avesse praticamente un avversario e mezzo dall’altra parte della rete: il pubblico spinge fortissimo Rafa, e diventa un fattore incisivo. Un anno dopo aver vinto la finale di Coppa Davis in casa battendo Roddick, Nadal dimostra ancora di saper utilizzare al massimo le energie extra del tifo favorevole. Il contesto particolare lo esalta, permettendogli di tirare fuori quella brillantezza in più che in condizioni normali non sarebbe emersa, e senza la quale avrebbe probabilmente perso. Ljubicic è condizionato e commette qualche errore di troppo, consegnando al campione spagnolo un trionfo che resterà unico nel suo genere nella sua gloriosa carriera.
Finale Roma 2006: Nadal batte Federer 6-7(7-0) 7-6(7-5) 6-4 2-6 7-6(7-5)
La mitologia della rivalità tra Nadal e Federer va fuori dal tennis ed entra nella cultura popolare. Fino al 2016 il mancinismo di Nadal ha fatto terribilmente soffrire il rovescio di un Federer che, anche sul punto di vista emotivo e nervoso, non sempre si è rivelato all’altezza del suo rivale. Molti concordano sul fatto che fu proprio dalla finale di Roma 2006 che alcune dinamiche, negative per lo svizzero, sia siano in qualche modo cronicizzate.
Federer aveva già perso contro Nadal sulla terra in semifinale al Roland Garros nel 2005 e poi in finale a Montecarlo nel 2006. Nei due precedenti lo spagnolo aveva sempre vinto per 3 set a uno, ma stavolta le cose sembrano andare diversamente. Nadal è vestito sempre allo stesso modo, con maglia smanicata e pantaloni appena sotto al ginocchio, ma rispetto all’anno precedente ha affinato ancora di più la terribile "frullata" di dritto. Eppure per la prima volta contro Federer sulla terra va in svantaggio di un set ed è costretto al tiebreak anche nel secondo. Sul 5-5 lo svizzero sbaglia un comodo dritto in avanzamento: sarà soltanto il preludio di quello che avverrà qualche ora più avanti.
La forza mentale di Nadal condiziona l'avversario, lo forza verso errori solo apparentemente banali. Nei primi anni questo avveniva perché Nadal era per distacco il miglior difensore al mondo, nella seconda parte della sua vita tennistica – soprattutto sulla terra – perché la sua aura di invincibilità aveva ormai assunto connotati mistici. L’errore di Federer consegna di fatto il secondo set allo spagnolo, ma i due si dividono anche il terzo e il quarto, per cui Nadal è costretto a una nuova maratona romana dopo quella contro Coria dell’anno precedente.
Federer, all’apice della sua forma fisica, non cede di un millimetro. Nadal non riesce a vincere la partita sul piano della resistenza e il primo ad arrivare a match point, dopo 4 ore e 50 minuti, è lo svizzero. Ne ha due consecutivi nell’ultimo game di servizio di Nadal: in entrambi i casi lo spagnolo serve in modo abbastanza debole, ma Federer non ne approfitta sparando due dritti fuori dal campo, cercando di chiudere con troppa fretta lo scambio da fondo. Il tiebreak del quinto set è ormai soltanto l’ennesima sentenza imposta da Nadal, la certificazione definitiva che questo sport ha conosciuto una nuova frontiera delle possibilità di dominio psicologico su un campo da gioco. La sconfitta e soprattutto le sue modalità peseranno e non poco nella testa del numero 1 al mondo dell’epoca.
Finale Wimbledon 2008: Nadal batte Federer 6-4 6-4 6-7(7-5) 6-7(10-8) 9-7
Fino all’Australian Open 2009 compreso, la curva di rendimento della carriera di Nadal punta solo verso l’alto. A Melbourne conquista i primi quarti di finale nel 2007, la prima semifinale nel 2008 e poi il primo titolo proprio nel 2009; al Roland Garros vince per la prima volta il torneo senza perdere neanche un set nel 2008 – ci riuscirà anche nel 2010, nel 2017 e nel 2020. A Wimbledon perde al secondo turno nel 2005 e poi raggiunge due finali contro Federer: perde in 4 set nel 2006 e in 5 invece nel 2007, dopo aver sprecato delle chance proprio nel parziale decisivo. La rivincita del 2008 promette di essere un ulteriore step della carriera di Nadal, una sfida dove stavolta lo svizzero non pare più favorito.
Dell’epicità della finale 2008 di Wimbledon è stato detto e scritto di tutto, a più riprese. Vale la pena allora soffermarsi sul passaggio davvero cruciale per delineare come la mentalità di Nadal abbia spostato il peso anche di questo incontro che ha solcato la storia di questo sport. Nella sua autobiografia intitolata Rafa. La mia storia lo spagnolo racconta di quando la partita fu interrotta per pioggia nel quinto game del quinto set, dopo le numerose occasioni sprecate per vincerla nel quarto: «Il volto di Toni [lo zio allenatore, nda] nello spogliatoio rivelava tutta la sua tensione (…) In seguito ammise che dopo l’arrivo della pioggia nel quinto set si era rassegnato alla mia sconfitta (…) attaccò con un discorsetto che avevo già sentito prima e in cui, come subito intuii, non credeva del tutto neppure lui».
In mezzo allo scoramento generale del suo team e della sua famiglia, Nadal racconta di essere rimasto il più lucido di tutti: «Più tardi, mio padre, mia madre e tutti gli altri confessarono che quando Toni tornò dallo spogliatoio furono molto sorpresi di sentire quanto fosse solare e costruttivo il mio umore. (…) Mi ero accorto, lanciando alcune occhiate alla mia famiglia, che erano tutti impietriti dalla paura, forse perché pensavano al 2007. Anch’io ci stavo pensando, ma cercavo di farlo in maniera costruttiva. Avevo imparato la lezione e mi sentivo in grado di metterla in pratica».
Nadal assorbì perfettamente la botta del quarto set perso con match point a favore, di cui uno con il proprio servizio; annullò con grande coraggio una palla break sul 4-3 Federer e lo breakkò sul 7-7, chiudendo poi per 9-7. Soprattutto nelle fasi iniziali non è stata la partita tecnicamente più bella della storia del tennis e nemmeno la più bella degli ultimi vent’anni, ma oggi è ricordata come la più grande, la più segnante sfida dell’epoca più gloriosa di questo sport. E molto del significato e della portata leggendaria di questo incontro sta dentro la mente di quello che, sotto questo aspetto, è stato con ogni probabilità il migliore di sempre.
Semifinale Madrid 2009: Nadal batte Djokovic 3-6 7-6(7-5) 7-6(11-9)
Se la rivalità contro Federer ha sublimato il contrasto dei loro stili estremi di gioco e delle loro personalità, affini per alcuni aspetti ma differenti per altri, le sfide tra Nadal e Djokovic hanno invece rappresentato la versione tennistica dei duelli più aspri nella storia dello sport. Non era difficile intuire che fin da subito Federer e Nadal, tutto sommato, si fossero piaciuti a livello personale; al contempo è stato subito chiaro che tra Nadal e Djokovic non potesse esserci feeling. Le acredini si sono protratte fino a soltanto pochi mesi prima del ritiro dello spagnolo, accolto con immenso rispetto e sincera stima dal serbo.
Sul campo certe scintille personali si sono tramutate in battaglie di stampo pugilistico, dalle quali entrambi sono sempre usciti prosciugati di ogni energia psico-fisica, spingendo al limite estremo il proprio gioco anche dal punto di vista tecnico. Sulla terra Djokovic ha minacciato concretamente Nadal nella semifinale di Amburgo del 2008: uno spareggio per il numero 2 del ranking in cui il serbo mise in mostra per gran parte dell’incontro tutte le caratteristiche che gli avrebbero permesso di avere ancora più successo contro lo spagnolo qualche anno più tardi. Persa quella sfida, Djokovic ci ha riprovato un anno dopo “in trasferta”, nel nuovo torneo di Madrid su terra.
In quelle settimane non sapevamo ancora che Nadal sarebbe andato incontro, di lì a poco, alla delusione più grande della sua carriera: la sconfitta al Roland Garros 2009 contro Robin Soderling. Eppure ne abbiamo ignorato i segnali, perché del Nadal straripante fisicamente del 2008 e di Melbourne 2009 era rimasto ben poco. Per motivi ancora non del tutto chiari, a livello di infortuni o di vicende personali, gran parte della massa muscolare lo stava abbandonando e con essa anche l’energia del suo gioco. Dopo aver portato lo spagnolo al terzo set già nella finale di Montecarlo, Djokovic a Madrid va a un passo dal successo: vince il primo set e perde soltanto per 7-5 al tiebreak il secondo. Regge però il contraccolpo e nel terzo set inizia un incontro leggendario.
Si va al tiebreak anche nel parziale decisivo: sul 5-5 Nadal commette un errore dopo uno scambio lungo e durissimo. Serve Djokovic sul 6-5, primo match point: Nadal riesce a far partire lo scambio e a un certo punto prende tutto il coraggio che ha per scagliare un dritto anomalo lungolinea vincente, prendendo la palla altissima e schiacciandola forte verso il basso, prolungando l’urlo dello sforzo in un’esultanza feroce. Sul 6-6 è Djokovic che sfonda con pazienza Nadal e si arriva sul 7-6. Secondo match point: Nadal serve, riesce a caricare una sequenza di colpi a catena e sfodera un altro dritto vincente. Il serbo ritorna di nuovo avanti nel punteggio sul 9-8. Terzo match point: stavolta allo spagnolo basta un servizio vincente.
Un dritto a uncino clamoroso consegna a Nadal il match point sul 10-9, capitalizzato in una bolgia. Si parla spesso in modo fin troppo retorico del concetto di rifiuto della sconfitta, ma forse è questa l’occasione in cui Nadal lo ha manifestato con più forza. Quella sensazione di trovarsi di fronte a un precipizio irrimediabile, di fronte a un potenziale rivale molto pericoloso anche sulla terra, gli ha permesso di trovare le soluzioni più audaci proprio sull’orlo del baratro. Ancora una volta Nadal ha piegato la tensione dei momenti più caldi a proprio vantaggio, usandola come energia positiva anziché distruttiva, forse mai in modo così eclatante come in questo caso.
Semifinale Roland Garros 2013: Nadal batte Djokovic 6-4 3-6 6-1 6-7(7-3) 9-7
Il livello di brutalità delle sfide tra Nadal e Djokovic è aumentato ancora nel 2011, quando il serbo è diventato più forte e resistente, al punto da riuscire a sfidare lo spagnolo alla pari su questo terreno. È così cominciata tutta la lunga seconda fase della carriera di Nadal, quella in cui si è forzato a rendere ancora più aggressivo il suo gioco per sfondare avversari che via via, con gli anni, sarebbero diventati più veloci e potenti di lui. Djokovic nel 2011 ha cominciato a sconfiggere Nadal sulla terra, ma gli mancava ancora il Roland Garros: perse contro Federer in semifinale nel 2011 e contro lo spagnolo in finale nel 2012.
Dopo lo stop per problemi al ginocchio nell’estate precedente, Nadal si ripresenta nel 2013 in gran forma. Ha 27 anni e non sappiamo ancora quanto sarebbero diventati longevi i tennisti della sua generazione, ma possiamo già dire che la prima fase della sua carriera si sia esaurita. Djokovic lo ha battuto a Montecarlo, interrompendo a 8 la serie di titoli consecutivi dello spagnolo – record assoluto. A Parigi il sorteggio li mette uno contro l’altro in semifinale, ma tutti sanno che è quella la vera finale del torneo.
Nadal vince il primo set, perde il secondo e domina il terzo. Tecnicamente e tatticamente è un giocatore ormai completamente maturo: qualche mese dopo dominerà la stagione sul cemento americano, battendo Djokovic sia a Montréal che nella finale dello US Open. Nel quarto set di Parigi strappa il servizio a favore di vento a Djokovic sul 5-5, ma sul 6-5 serve per il match controvento e si fa controbreakkare. In quel momento cambia l’inerzia della partita: Djokovic vince il tiebreak e si porta avanti 4-2 al quinto set. È uno di quei momenti in cui il serbo sembra premere un pulsante che genera automaticamente una catena industriale di colpi ritmati e precisi, quei momenti in cui, fondamentalmente, è un giocatore imbattibile.
Per spezzare questa continuità robotica, Nadal piazza un dritto lungolinea micidiale sul 4-3 e servizio per Djokovic, 30-30. Conquista la palla break, il serbo gliela annulla, prima di commettere la famosa invasione a campo spalancato facendosi controbreakkare. Di nuovo pari nei servizi, Djokovic serve per restare in partita sull’8-7: sbaglia uno smash abbastanza agevole, poi affretta una soluzione a rete e infine si scompone su due dritti. Nadal ha portato Nole all'esaurimento. Come un professore esigente davanti a uno studente molto preparato ma che, alla fine, viene colto in fallo sulle pochissime incertezze che ha. Il mito del Nadal invincibile al Roland Garros era già nato, ma è in questa partita che si consolida definitivamente fino alla fine della sua carriera.
Semifinale Coppa Davis 2019: F. Lopez/Nadal battono J. Murray/N. Skupski 7-6(7-3) 7-6(10-8)
Rafa Nadal ha portato in dote al suo Paese 5 Coppe Davis – compresa quella del 2008 in cui saltò la finale – e 2 ori olimpici: ci riuscì in singolare nel 2008 e con Marc Lopez in doppio nel 2016. Forse pochi ricordano che Nadal mostrò la sua forza proprio nel doppio già nel lontano US Open 2003, in cui raggiunse la semifinale in coppia con Tommy Robredo, battendo agli ottavi una coppia fortissima come Bhupathi/Mirnyi.
La competitività di Nadal in questa specialità non è stata data tanto dal servizio o dalla volée, e nemmeno più di tanto dalla risposta che è stato costretto a giocare da una posizione molto più avanzata di quella che ha ricoperto solitamente. L’intelligenza dello spagnolo nel muovere il gioco e soprattutto la potenza e la precisione dei passanti sono stati i suoi veri marchi di fabbrica in doppio. Così, quando il suo Paese ha bisogno del punto decisivo nella semifinale della prima edizione della Davis con la nuova formula, contro una Gran Bretagna che può schierare specialisti come Jamie Murray e Neal Skupski – entrambi erano stati o sarebbero diventati numeri 1 al mondo della specialità – serve il Nadal formato Grande Slam.
È una partita in cui i britannici, di solito disinvolti nei cambi e nelle entrate a rete, sembrano condizionati dall’energia di Nadal, ulteriormente fomentata da un ambiente esplosivo – del resto siamo a Madrid. Nel primo tiebreak il maiorchino gioca due punti straordinari alla risposta, quello per il 2-0 e quello che chiude il set, per precisione, gestione tattica e variazione della forza. Si prende anche la responsabilità di guidare emotivamente il suo compagno, Feliciano Lopez, più anziano di lui.
Il secondo set diventa una guerra totale. I britannici vanno avanti 6-5 e Nadal serve per restare nel set: sul 40-40 piazza un ace che accende la folla. Si va ancora al tiebreak e stavolta ad andare in vantaggio sono Murray e Skupski. Quest’ultimo serve per chiudere sul 6-5: Nadal, dopo la risposta, si inventa un pallonetto impossibile su Murray da molto vicino alla rete e con pochissimo spazio per scavalcarlo. Salva un altro set point con una bomba chirurgica che passa di nuovo Murray. Alla fine è Lopez a chiudere con un servizio vincente per il 10-8 finale: Nadal sarà trascinatore anche in finale con un altro match poderoso contro Denis Shapovalov.
La forza mentale dello spagnolo si è materializzata, in doppio, in modo diverso dal solito: Nadal si è adattato ancora meglio a una specialità in cui il tempo per pensare si riduce drasticamente, dove le scelte vanno fatte in modo molto più istintivo del singolare e dove l’esuberanza spesso prevale sulla riflessività. Non è solitamente questo il terreno nel quale Nadal ha espresso il suo meglio in carriera, ma la sua versatilità – spesso sottovalutata – gli ha consentito ancora una volta di adattarsi a un vestito inconsueto e di saperlo indossare con la stessa personalità di sempre. È per questo rapporto speciale che ha sempre avuto con la Spagna, che ha deciso di chiudere la sua carriera nel contesto della Coppa Davis.
Finale Australian Open 2022: Nadal batte Medvedev 2-6 6-7(7-5) 6-4 6-4 7-5
Contrariamente a tanti altri grandi campioni, che hanno avuto una traiettoria più lineare della sua, la carriera di Rafa Nadal sarebbe potuta finire in molti momenti. Ma fu forse quando Novak Djokovic sconfisse lo spagnolo a Parigi nel 2021 che divenne lecito pensare che, a 35 anni e con il problema al piede ormai in stato avanzato, le ultime cartucce fossero state già sparate.
Il modo in cui Nadal si ripresentò nella preseason 2022 fu una totale incognita. Col senno del poi, per come è andata successivamente, lo spagnolo è riuscito in realtà a scagliare le ultime frecce del suo arco oltre le scarsissime forze fisiche che gli erano rimaste. L’assenza di Djokovic dall’Australian Open 2022 era però certamente un’opportunità che diede a Nadal la convinzione di potercela fare ancora una volta. C’era in ballo il record di Slam, con i Big 3 appaiati a quota 20, e quando lo spagnolo arriva in finale contro Daniil Medvedev in molti pensano che possa essere l’ultima occasione per ergersi al di sopra di tutti in questa storica classifica degli Slam vinti.
Deve averlo pensato forse anche lui stesso, emozionandosi, quando, dopo una rimonta epica – da 2 set a zero sotto – figlia di lungimiranza, gestione delle forze e concentrazione costante e inattaccabile, cede il servizio proprio quando sta per chiudere il match sul 5-4 al quinto, per colpa anche di un doppio fallo. Nadal è ormai lontano parente di quello che nel 2005 correva su ogni palla senza sosta: ha migliorato il servizio, gioca molti più rovesci tagliati perché arriva più spesso in ritardo, è costretto a tirare più lungolinea. Nadal è ormai un giocatore fragile sugli scambi lunghi, costretto a prepararsi l’accelerazione anziché confidente di poterli prolungare e manovrare il più possibile.
La sua capacità di modificare il suo gioco non solo tecnicamente, ma soprattutto tatticamente, è stato il vero segreto della sua longevità. Già nel 2019 aveva battuto Medvedev in finale allo US Open in modo assolutamente inconsueto, ricorrendo a serve and volley ripetuti e palle corte in molti punti decisivi. La finale di Melbourne 2022 è però diversa: il pubblico, di matrice soprattutto federerista, ha ormai interiorizzato così tanto l’amore e il rispetto verso il suo rivale storico da essere passato dall’altra parte della barricata. Gli australiani tifano Nadal, tifano per il nuovo record del Fedal: questo intimidisce Medvedev che perde lucidità, oltre che essere sfiancato a lungo dal gioco dello spagnolo.
Il russo perde i due set di vantaggio, spreca tre palle break consecutive nel terzo set, va in svantaggio di un break anche nel quinto ma reagisce riportandosi sul 5-5. In un attimo Nadal si ricompone, sfrutta la pressione che di nuovo è tornata su Medvedev, approfitta di qualche scelta sbagliata del russo e gli strappa il servizio nuovamente, stavolta senza fallire il game in cui serve per il titolo. È lo Slam meno atteso, l’ultimo fuori dalla terra battuta, un capolavoro non solo di tenacia ma anche di visione a lungo termine, di capacità di credere nel proprio gioco e nella propria ragnatela senza scomporsi quando – e forse lo abbiamo pensato tutti – la partita sembrava ampiamente chiusa. Sono state altre le prestazioni perfette della carriera di Nadal, ma questa resta probabilmente la sua vittoria più impossibile.
Quarti di finale Roland Garros 2022: Nadal batte Djokovic 6-2 4-6 6-2 7-6(7-4)
Dopo aver vinto tre tornei consecutivi sul cemento – il 250 di Melbourne, Australian Open e Acapulco – Nadal si fa male al costato a Indian Wells. Si ferma per un mese e mezzo senza poter fare nulla. Torna a Madrid con una condizione fisica e tecnica discreta ma lontana dai massimi livelli. Si fa ancora male al piede a Roma contro Shapovalov e la sua presenza al Roland Garros è a rischio. Partecipa allo Slam preferito ma al primo ostacolo - gli ottavi contro Felix Auger-Aliassime - emerge da una maratona che poteva essere compresa in questa lista di partite. Ai quarti di finale affronta Djokovic che lo ha già battuto l’anno prima.
Chi mai avrebbe potuto pensare che, in queste condizioni, Nadal avesse anche solo il 20% di probabilità di vincere? Sono state tante le occasioni in cui contro il serbo, a Parigi, partiva forse sfavorito ma ha sovvertito il pronostico – soprattutto nel 2014 e nel 2020 – grazie alla capacità ormai proverbiale di trasformare il Philippe Chatrier in un videogame in cui poteva controllare più o meno liberamente tempi e spazi, in cui poteva manipolare la realtà e far pesare il suo nome e la sua storia all’avversario come se all’improvviso un bug del sistema entrasse in gioco a modificare l’inerzia degli incontri. Nel primo set dei quarti di finale del 2022 questo fattore è però emerso come mai prima.
Nadal si ritrova in un lampo a condurre 6-2 3-0 con due break di vantaggio anche nel secondo set. Un’ora di tennis in cui lo spagnolo riesce a fare completa pulizia nella sua testa e a spazzare via, in un attimo, tutte le incertezze e i dolori delle ultime settimane. Si concentra semplicemente a giocare un tennis fantastico, simile a quello della finale di due anni prima. Ma la realtà puoi piegarla fino a un certo punto: Djokovic rimonta e vince 6-4 il secondo set, dando l’illusione di aver soltanto ritardato il suo trionfo.
In un attimo Nadal riesce però a cancellare la delusione del secondo parziale e strappa il servizio al serbo in apertura di terzo, vincendolo. Nel finale del quarto, breakka di nuovo Djokovic e porta la partita al tiebreak. La differenza di mobilità tra i due sembra essere ormai evidente, ma è come se Nadal si affidasse alla memoria muscolare, ai fotogrammi interiorizzati su quel campo in tanti anni di dominio. Non perde lucidità e controlla il tiebreak vincendolo 7-4, chiudendolo con quello che è probabilmente il colpo meno sicuro: un rovescio lungolinea vincente.
Vincerà il suo ultimo Roland Garros, il quattordicesimo, e il suo ultimo Slam, il ventiduesimo, non senza aver compiuto un altro miracolo: la vittoria al tiebreak nel primo set in semifinale contro Sascha Zverev dopo aver annullato 4 set point consecutivi, il penultimo dei quali con un passante impossibile di dritto in corsa. A fine torneo rivelerà di aver giocato tutte le partite con due iniezioni di antidolorifico al piede sinistro: sarà l’ultima volta che questa impresa, quella di giocare sopra il dolore che ha caratterizzato tutta la sua carriera, lo porterà ad aggiudicarsi un titolo.
Quarti di finale Wimbledon 2022: Nadal batte Fritz 3-6 7-5 3-6 7-5 7-6(10-4)
Nel tennis, a livello iconografico – per lo spirito guerriero e la possente muscolatura – nessuno più di Rafa Nadal ha incarnato la moderna riedizione dell’antico eroe omerico. La realtà è però più cruda dei poemi epici: Achille aveva nel tallone il suo unico punto debole a livello fisico, Nadal ha invece sofferto al piede sinistro della sindrome di Müller-Weiss che, curata con delle speciali solette, ha provocato scompensi posturali che a loro volta hanno generato altri infortuni in tutte le zone del suo corpo.
Wimbledon 2022 è stata la volta dello strappo addominale, un problema che – spostato in zone più o meno limitrofe del suo corpo – è sembrato tormentare Nadal fino al suo ultimo giorno sul campo. Lo spagnolo aveva però per la prima volta in carriera vinto i primi due Slam dell’anno e, probabilmente, si era messo in testa quantomeno di provare a mettere a segno il Grande Slam, sapendo che Djokovic sarebbe mancato anche allo US Open. Giocando tutto il torneo con un cerotto all’addome, Nadal arriva al match dei quarti contro Taylor Fritz dove, nel primo set, il suo infortunio si aggrava.
Dalle tribune la sua famiglia gli intima di ritirarsi, ma lui non ne vuole sapere. Riesce a giocare sopra il dolore scaldando il suo corpo: nel primo set gioca praticamente da fermo e lo perde, ma nel secondo piazza il break nell’ultimo game per chiudere 7-5. Nadal fa una fatica incredibile a girare il busto nel movimento del servizio: da quel momento in poi la sua battuta non sarà più efficace come nei giorni migliori. Soprattutto, però, riesce per l’ennesima volta a dominare con la mente i pensieri negativi e i dolori corporei, attraverso un atto che da un lato presuppone un’immensa forza psicologica, ma dall’altro rischia di sconfinare nel masochismo.
Si arriva al tiebreak del quinto set: Nadal gioca alla sua maniera i punti decisivi, facendo pesare la sua presenza e riuscendo a sforzare il suo corpo solo di pura adrenalina. Domina il tiebreak per 10-4, secondo la nuova regola, nel tripudio generale di un pubblico che per l’ennesima volta dimostra di averlo adottato come alleato e non più come nemico di Federer. Si ritirerà senza giocare la semifinale contro Nick Kyrgios, forse proprio per il timore di non poter disputare lo US Open nel quale Djokovic sarebbe mancato. A New York riuscirà a partecipare ma non a vincere, venendo sconfitto da Tiafoe: quella contro Fritz a Wimbledon resterà l’ultima grande partita giocata negli Slam da Rafa Nadal.
Una storia infinita e indimenticabile si è conclusa nel modo solo apparentemente meno nobile: con il dolore fisico incessante, irreparabile. La sua abilità di utilizzare la mente gli ha permesso di utilizzare il corpo anche oltre il limite di quello che avrebbe potuto, fino alle ultimissime prestazioni nelle quali è apparso molto più anziano di quanto in realtà sia. Più che la classe e i successi, alla fine, la sfrenata passione per la competizione è l’eredità più pura e più grande che ci lascia Rafa Nadal, oggi che è già un ex giocatore di tennis, e non siamo ancora abituati a considerarlo tale.