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Raheem Sterling, una vita sotto il ricatto del razzismo
15 nov 2019
L'attaccante del City non ha mai potuto fare solo il calciatore.
(articolo)
16 min
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L’8 dicembre del 2017 Raheem Sterling subisce abusi razziali da parte dei tifosi del Chelsea, non certo una tifoseria nota per le proprie posizioni progressiste. È andata più o meno così: Sterling si avvicina alla bandierina di Stanford Bridge per battere un calcio d’angolo e dagli spalti qualcuno gli dice “f—ing black c—”. Un argomento che si usa spesso per giustificare questa violenza è che, in realtà, non è vero razzismo. È solo il modo che i tifosi avversari hanno trovato un modo per deconcentrare i giocatori che temono di più, “altrimenti non si spiegherebbe perché fischiano alcuni e altri no”. Un ragionamento che dà per scontato, quindi, che usare il colore della pelle per insultare un essere umano sia più o meno okay (che dipende dalle motivazioni). Sterling intercetta il loro sguardo: «Il modo in cui mi stavano guardando, ho dovuto vedere da dove veniva tutta quella rabbia».

Il Chelsea annuncia che rivedrà i filmati per individuare gli autori degli insulti razzisti e che prenderà provvedimenti: nove mesi dopo un tifoso riceverà un ban a vita mentre altri saranno esclusi da Stanford Bridge per un periodo che va da uno a due anni.

Il video fa impressione per la ferocia delle persone che si sporgono dalle transenne per sbraitare in faccia a Sterling. Mi chiedo cosa abbia pensato il ragazzo nero che era proprio lì, tra il pubblico.

Dopo la partita, Sterling decide di prendere possesso della narrazione. Ne ha abbastanza e a livello culturale comincia ad esserci una sensibilità diversa. Non si unisce al coro di condanna unanime del tifoso - che in fondo sarebbe al massimo una sterile assunzione di realtà - ma pubblica l’immagine di due articoli del Daily Mail di quei giorni. Entrambi sono dedicati a due giovani inglesi del Manchester City che hanno comprato una casa particolarmente costosa per i propri genitori. Ma i due giovani non sono messi sotto la stessa luce. Il primo, Tosin Adarabioyo, viene accusato di aver “sperperato” 2,25 milioni di euro per una casa “pur non avendo mai esordito in prima squadra”; il secondo, Phil Foden, l’ha semplicemente comprata “per sua mamma”. Uno viene quindi presentato come un ragazzino viziato; il secondo come un figlio amorevole. La differenza tra Adarabioyo e Foden, il motivo cioè per cui i loro gesti sono stati presentati sotto una luce diversa, è solo che uno è nero e l’altro è bianco.

Sterling trasforma quindi una questione individuale in una culturale, e quando dice - riferendosi ai fatti dello Stanford Bridge - «non mi aspettavo niente di diverso» vuole sottolineare una consequenzialità diretta tra il modo in cui i media alimentano il razzismo e i comportamenti razzisti che poi troviamo allo stadio. «Per tutti i giornali che non capiscono perché le persone possono essere razziste al giorno d’oggi, tutto quello che ho da dire è che devono riflettere bene sui temi dell’equa rappresentazione». È una posizione non conformista, che rifiuta il discorso comune delle “poche mele marce”, che quindi vorrebbe spiegare il razzismo come l’estemporaneo comportamento incivile di pochi reietti anti-sociali. È un punto di vista che invece invita a riflettere sui meccanismi mediatici che rendono il razzismo un fatto sociale.

Viziato, arraffone, inguaribilmente povero

È stato sorprendente che un post così sensibile e coraggioso sia venuto da Sterling, a cui per anni è stata appiccicata l’immagine del calciatore viziato, innamorato del denaro e disinteressato a ciò a cui diamo valore nel calcio: i trofei, la moralità, l’amore dei tifosi. Un’immagine che noi avevamo introiettato e ormai accettato come vera, ma che in realtà era stata costruita in anni di sottili persecuzioni razziali dei media. Si trattava per questo di un meccanismo che Sterling conosceva bene e che aveva finalmente deciso di metterci davanti agli occhi.

La storia degli abusi razziali dei giornali nei confronti dell’attaccante inglese vengono da lontano, cominciano quando non è ancora maggiorenne e il Mirror gli chiedeva: “Don’t be so greedy!” - cioè «non essere così avido”. Sterling aveva già esordito col Liverpool e con la Nazionale inglese confermando il senso di predestinazione che lo circondava e voleva massimizzare i frutti col suo primo contratto: “Il Liverpool offre 20k a settimana, Sterling ne vuole 50k!”, si scriveva.

Ad aprile del 2015 esce una sua foto mentre fuma narghilè, i cui effetti vengono definiti dal Mirror “più forti di 200 sigarette”, ovviamente non è vero. «L’immagine scioccherà i compagni, i parenti e i giovani che lo idolatrano», si diceva nell'articolo. Su di lui è stato scritto persino in maniera critica del fatto, per una fare la voce strana su una storia di Instagram, ha aspirato elio dai palloncini! Va menzionata anche la leggenda, legata allo stereotipo sull’attività sessuale dissennata dei neri, che Sterling avrebbe otto figli, sparsi per l’Inghilterra e non riconosciuti.

Sempre nel 2015, poco dopo aver vinto il premio Golden Boy, ammette di aver rifiutato un contratto da 100k sterline a settimana con il Liverpool per firmare con il Manchester City. I giornali lo trattano come un mercenario, lo definiscono “un serpente”, i tifosi gli augurano di “fare la fine di Muamba”, colto da un arresto cardiaco in campo. Un editoriale del Telegraph lamenta che i giovani inglesi guadagnano troppo, e troppo presto, e sono il sintomo di un movimento in crisi. Sterling rilascia un’intervista alla BBC in cui dice una frase che gli rimarrà poi appiccata con ironia: «I’m not a money grabber», non sono un arraffone, specificando che il suo trasferimento al City è motivato dalla ricerca di trofei e non di denaro.

Nel 2016 il Sun - forse il giornale che più ha massacrato Sterling in questi anni, e che infatti ha dovuto rispondere pubblicamente al post su Instagram dopo la partita col Chelsea - notava che Sterling aveva toccato “un nuovo punto più basso”. La sua colpa era di aver comprato una casa troppo lussuosa - non menzionando peraltro che non era una casa per lui ma per sua madre. “Obscene Raheem” dice il Sun, collegando l’insuccesso agli Europei dell’Inghilterra all’acquisto della casa. Un’operazione che proseguirà negli anni e che ha un messaggio chiaro: non vince niente, non fa niente per la gente, ma vive nel lusso. Il titolo in prima pagina diceva: “Il fallimento inglese scende dall’aereo, insulta i tifosi e gli sbatte in faccia la sua casa lussuosa”.

La correlazione tra Sterling e il denaro sui media è ossessiva, e si lega in modo indiretto anche al fatto che in inglese ‘Sterling’ indica qualcosa di valore provato, autentico e non appariscente. Il sarcasmo dei giornali sul significato della parola è presente in sottofondo a tutti gli articoli su Sterling, che a volte prendono pieghe paradossali. Qualsiasi uso del denaro di Sterling è oggetto di discussione: quando si comporta da ricco è “osceno”, un affronto alla gente; quando invece fa delle scelte di vita normali emerge la sua ipocrisia, o anche peggio un’avidità che lo porta a contarsi gli scellini nella vita di tutti i giorni: ha una Mercedes da 50k ma non la pulisce, scrive indispettito il Daily Star; “nonostante uno stipendio da 180k sterline a settimana si rifà il guardaroba da Primark” nota avvelenato il Daily Mirror; “Ha pagato una casa 3,1 milioni di sterline ma gli piacciono i panini di Greggs” ancora sorpreso il Daily Star; “Ha una Bentley da 500k sterline ma compra gli aggeggi a 1 sterlina da Poundworld” scrive risentito il Mail Online. Non contento, “Vola con Easyjet” nota il Daily Star. Sterling, insomma, dei soldi non sa che farci, non sa davvero vivere da ricco perché non è come noi. Quello che ha, allora, non se lo merita.

Bersaglio

Non c’è trattamento mediatico peggiore, però, di quello riservato ai calciatori inglesi che escono sconfitti da una competizione internazionale. Dopo l’eliminazione agli Europei francesi, mentre Roy Hodgson veniva lasciato tranquillo, i tabloid si concentravano sugli atleti neri: Dele Alli, Kyle Walker e ovviamente Sterling. Dopo l’eliminazione dell’Inghilterra da Euro 2016 è stata rilanciata dai giornali una storia su Snapchat in cui Sterling, poco dopo essere atterrato a Londra, si divertiva con i suoi amici. Nell’articolo si scrive: «Il video mostra Sterling che sfoggia le sue auto costose, il suo cinema casalingo e un lavandino tempestato di cristalli nella sua costosissima casa del Cheshire».

Prima dei Mondiali c’è stato forse l’episodio più grave e al contempo surreale della saga mediatica di Sterling. In ritiro con l’Inghilterra spunta il suo nuovo tatuaggio sul polpaccio: un AK47. Il Sun titola “Sterling si spara su una gamba” e definisce il tatuaggio “malato”. Sterling ha spiegato che si tratterebbe di un tributo al padre, a cui hanno sparato quando il giocatore aveva due anni e viveva con la sua famiglia a Kingston. Ha promesso a suo padre che non avrebbe mai toccato un’arma da fuoco, che invece sarebbe solo il suo piede destro, quello con cui calcia. Una spiegazione, bisogna ammettere, dalla logica strampalata ma che andrebbe quanto meno rispettata.

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Shark team 🦈👀 @benmendy23

Un post condiviso da Raheem Sterling x 😇 (@sterling7) in data: 25 Lug 2019 alle ore 11:20 PDT

Sterling, orfano di padre, nei suoi primi anni di vita è cresciuto con la nonna in Giamaica, visto che la madre nel frattempo aveva deciso di lasciare lui e la sorella a Kingston mentre provava a costruire per é e per loro una vita migliore in Inghilterra. A cinque anni ha seguito la madre a Londra. Queste cose Sterling le ha raccontate in un pezzo scritto su The Player’s Tribune, intitolato “It was all a dream” come un famoso verso di Notorious B.I.G.. Il pezzo di B.I.G., Juicy, si apre con una dedica agli insegnanti che non credevano in lui e alle persone che lo hanno denunciato mentre spacciava di fronte ai palazzi “per dare da mangiare a mio figlio”.

Sterling ricorda di quando si alzava presto la mattina per aiutare la madre a pulire i bagni degli hotel in cui lavorava. Scrive (o comunque fa scrivere per lui): «Se cresci nello stesso modo in cui sono cresciuto io non devi guardare cosa dicono i tabloid di te. Vogliono solo rubarti la gioia. Vogliono tirarti in basso». In un’altra occasione ha commentato il tutto con una frase di amarezza esistenziale: «Odiano quello che neanche conoscono». I media calcistici hanno un bisogno continuo di storie di emancipazione dalla povertà, ma al contempo non accettano davvero questa emancipazione e mettono in piedi un apparato persecutorio per rimettere al loro posto i poveri che ce l’hanno fatta. Non rispettano davvero il successo di Sterling, o il fatto che abbia usato questo potere per far sentire la propria voce in modo consapevole: «Non c’è alcuna nobiltà nella povertà. Io sono stato un uomo ricco e sono stato un uomo povero, e scelgo la ricchezza tutta la vita!» ci ha tenuto a ricordare.

L’etichetta di ragazzo povero e viziato che vuole dimostrare di avercela fatta attraverso i gioielli e le auto di lusso gli è stata appiccicata ancor prima che potesse guidare. In questo ovviamente non c’entra solo il fatto che fosse povero ma soprattutto il fatto che fosse nero: «È per quello, al mille percento» ha detto in un’intervista profilo al New York Times.

In uno studio sul racconto degli atleti neri nei media americani, Cinthya Frisby notava come ci fosse un gran numero di articoli oscuri e negativi dedicati agli atleti di colore - storie di violenza e abusi domestici, per esempio. Dall’altra parte invece il racconto degli sportivi bianchi era ricco di storie moralmente positive. Per Frisby «il 66.7 percento delle storie [dedicate ai neri ndr] avevano uno sfondo criminale - comparate al 22% delle storie dedicate ai bianchi. Per quanto riguarda la violenza domestica il 70% era dedicato agli atleti neri e il 17% ai bianchi». Se il conteggio riguarda invece le storie positive, di riscatto morale, lo squilibrio è ancora più forte: 83% per i bianchi, appena l’8% per i neri.

Anche quando i media vogliono parlare positivamente di un atleta nero finiscono per ricalcare degli stereotipi. Nel suo libro The Black Migrant Athlete: Media, Race, And The Diaspora In Sports, Munene Franjo Mwaniki racconta, attraverso la storia di atleti di successo come Hakeem Olajuwon o Dicembre Mutombo, come gli atleti neri vengono descritti attraverso degli stereotipi razziali sedimentati col tempo. Chi vuole minimizzare la gravità di questi episodi, o chi vuole sottolineare una specie di isteria da politically correct, sposta l’attenzione e dice - magari anche in buona fede - che dovremmo concentrarci sulle discriminazioni che subiscono i migranti e la povera gente. A chi fa questo discorso però sfugge che è anche nello sport ad alti livelli che la nostra cultura negozia il significato dei propri valori. Esiste una relazione diretta fra le discriminazioni subite da Sterling e il razzismo quotidiano nella società.

Come scritto in un pezzo su GQ, nel razzismo contro Sterling non bisogna concentrarsi sulle grandi storie - quella del tatuaggio, o quando lo hanno trovato a dover pagare una prostituta mentre sua moglie era a casa incinta - perché quelle lo possono accomunare a qualsiasi calciatore inglese sotto i riflettori, a Wayne Rooney o a David Beckham. Le persecuzioni razziali contro Sterling hanno invece a che fare con le grottesche, piccole storie che abbiamo elencato prima. I panini da Greggs, la spesa da Poundland, i voli low cost. Come se non ci potesse essere niente che ontologicamente possa considerarsi normale in Sterling.

Stand up

La storia degli abusi razziali subiti da Sterling ricorda quella di Mario Balotelli, un altro giocatore nero che ha indossato la maglia di una Nazionale che vuole considerarsi bianca (e che ha subìto da parte dei giornali, inglesi e italiani, un trattamento simile). Se Balotelli col tempo però ha finito per chiudersi sempre di più in sé stesso, cercando una propria via alla serenità (persa da quando è tornato in Italia), Sterling ha avuto la forza per affrontare direttamente l’opinione pubblica. Non ha più subito passivamente il razzismo ma si è messo in prima linea per affrontarlo.

Lo ha fatto a cominciare dal post su Instagram di cui abbiamo parlato sopra, ma poi ha continuato ad alzare la voce per scagliarsi contro gli abusi razzisti che non hanno mai smesso di seguirlo. A marzo ha ricevuto ululati nella partita della Nazionale inglese contro il Montenegro; non solo lui ma anche i suo compagni, Rose e Hudson-Odoi. Sterling ha risposto segnando, guardando il settore dei tifosi razzisti e mimando una scimmia: «Volevo fargli sapere che devono fare di più di dirmi che somiglio a una scimmia per disturbarmi. Quella cosa non funziona. Questo era il messaggio». Poi ha invocato punizioni esemplari per il Montenegro, di nuovo non facendone un problema di poche mele marce: «Il Montenegro dovrebbe giocare le prossime partite a porte chiuse». Qualche mese fa ha twittato contro Bonucci, che aveva sminuito gli insulti razzisti ricevuti da Moise Kean a Cagliari: «Non ci resta che ridere». Dopo la partita contro la Bulgaria, circondata dall’ennesimo caso di ululati del pubblico, ha twittato: «Mi dispiace che la Bulgaria sia rappresentata da certi idioti allo stadio. Comunque, 6-0 e ce ne torniamo a casa: almeno abbiamo fatto il nostro lavoro. Buon ritorno ai nostri tifosi: siete stati grandi».

In breve tempo Raheem Sterling è diventato un simbolo della lotta al razzismo. Il Times lo ha definito “più che uno sportivo”, la BBC un “role model” (cioè un esempio, un modello) e “lo sportivo più influente in Inghilterra in questo momento”. Guardiola ha parlato di lui con termini che raramente si associano a un calciatore: «È un incredibile essere umano». Sterling probabilmente non avrebbe alzato la voce senza l'esempio di Serena Williams, LeBron James e soprattutto di Colin Kaepernick, la cui battaglia in Italia è stata minimizzata ma che ha avuto il merito di introdurre il discorso Black Lives Matters in un mondo chiuso ai temi politici come quello dello sport professionistico. Forse è anche grazie a Sterling che oggi siamo arrivati a un momento cruciale della lotta al razzismo negli stadi, con i club che sembrano impegnarsi in azioni sempre più decise e molti calciatori hanno iniziato a schierarsi non più con parole di circostanza ma con prese di posizione complesse e profonde.

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“ Amo minha raça, luto pela cor, o que quer que eu faça é por nós, por amor... “ Jamais irei me calar diante de um ato tão desumano e desprezível ! Minhas lágrimas foram de indignação, de repúdio e de impotência, impotência por não poder fazer nada naquele momento ! Mas somos ensinados desde muito cedo a sermos fortes e a lutar ! Lutar pelos nossos direitos e por igualdade ! O meu papel é lutar , bater no peito , erguer a cabeça e seguir lutando sempre ! ✊🏿 Em uma sociedade racista, não basta não ser racista, precisamos ser antirracista ! O futebol precisa de mais respeito, o mundo precisa de mais respeito ! Obrigada a todos pelas mensagens de apoio ! Seguimos a luta ...✊🏿 Net rasizmu

Un post condiviso da Taison Barcellos Freda (@taisonfreda7) in data: 10 Nov 2019 alle ore 1:44 PST

Qualche giorno fa Taison è stato insultato da alcuni tifosi razzisti della Dinamo Kiev. Ha tirato il pallone verso il loro settore e ha mostrato il dito medio, poi è stato espulso ma a fine partita ha postato un testo toccante, che culmina con la dichiarazione «In un mondo in cui c'è il razzismo non basta essere non razzisti, bisogna essere anti-razzisti».

A Sterling negli ultimi due anni è però successa un’altra cosa impossibile da ignorare, è diventato cioè uno dei calciatori più forti del mondo. Dall’inizio della stagione 2017/18 ha segnato 62 gol e servito 27 assist in 111 presenze. Non male per uno che ogni settimana finiva nei titoli degli articoli ironici sui gol sbagliati, e su cui circolava la battuta: «Se avesse avuto tre colpi da sparare a John Lennon oggi John Lennon sarebbe vivo». A livello di produzione offensiva oggi Sterling è il miglior giocatore al mondo dopo Messi e Ronaldo, e i paragoni con i due mostri sacri in queste settimane è sempre più pressante (gli inglesi ci avevano già provato con Harry Kane) e Guardiola ha dovuto dire che «nessuno può essere paragonato a Messi e Ronaldo».

C'è da dire che a partire dallo scorso anno solo Lewandowski, Messi e Mbappé hanno segnato più di Sterling nei cinque maggiori campionati europei. Merito ovviamente di Guardiola, che ha creato un impianto di gioco incredibilmente produttivo sul piano offensivo, ma anche di Sterling che ha lavorato duramente sui propri limiti. Nelle ultime tre stagioni è riuscito a realizzare più gol di quanti le sue occasioni gli avrebbero permesso, stando al modello degli Expected Goals. Sterling ha migliorato i suoi smarcamenti e la sua finalizzazione, rispondendo a chi quindi sottolineava i suoi limiti cancellandoli, diventando quasi perfetto.

Diventare inattaccabile sul piano sportivo è il modo in cui Sterling si è protetto dall’apparato di micro-aggressioni e aperta discriminazione nei suoi confronti. Da una posizione di forza ha manipolato l’immagine che i media hanno provato a cucirgli addosso usandola come uno strumento di lotta contro di loro. Bisognerebbe allora domandarsi se la sua voce, sui temi del razzismo e dei diritti, avrebbe avuto lo stesso peso se non fosse diventato un’atleta dal successo incontestabile, che sta disputando stagioni dai contorni storici. Per scrollarsi di dosso l’etichetta del ragazzo "flashy" e materialista Sterling ha dovuto fare più di quanto sia richiesto agli atleti bianchi. Ha dovuto diventare un influencer dei diritti civili, uno dei migliori giocatori al mondo, un ambasciatore della “blackness” (come è stato anche ufficialmente riconosciuto). La trasformazione di Sterling è stata impressionante e bellissima da osservare: vorremmo più calciatori prendere posizione in modo coraggioso e intelligente nel dibattito pubblico, ma per Sterling - guardando la sua parabola da fuori - questa è sembrata più una necessità che una scelta.

Quando lo celebriamo per la sua sensibilità e il suo attivismo dovremmo ricordarci anche del rovescio della medaglia, e cioè che a Sterling non è stato permesso di essere solo un calciatore.

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