Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
I Toronto Raptors hanno smantellato Golden State
08 giu 2019
Con un secondo tempo perfetto e un Kawhi Leonard leggendario, i Raptors sono ora a una sola vittoria dal titolo NBA.
(articolo)
6 min
Dark mode
(ON)

I Toronto Raptors sono a una sola vittoria di distanza dal loro primo titolo NBA. E di match point ne hanno tre, di cui due tra le mura amiche. L’esito di gara-4 è fin troppo evidente nella sua nitidezza: i canadesi, in questo momento, ne hanno molto di più dei Golden State Warriors, incapaci di giocare al loro livello per un’intera partita. Neanche i recuperi di Klay Thompson e Kevon Looney sono stati in grado di bilanciare la serie: quanto stia mancando Kevin Durant è il principale tema in casa Warriors, ma di questo ci occuperemo più avanti.

Toronto è Kawhi Leonard, Kawhi Leonard è Toronto. Se c’erano ancora dubbi sul fatto che l’ex Spurs abbia portato tutta la squadra - e in generale tutta la franchigia - sulla propria lunghezza d’onda, basta il secondo tempo a chiarirli tutti. Golden State ha iniziato in maniera aggressiva, con un’intensità difensiva che non aveva avuto nei precedenti tre episodi, ed è andata sopra di 11 già nel primo quarto. Ma in tutto questo i Raptors sono stati esattamente come il loro leader: imperturbabili. Hanno tenuto egregiamente botta in un primo tempo complicato, nel quale l’attacco faticava e la difesa inseguiva con affanno; poi, nella ripresa, hanno eroso la roccia degli Warriors goccia dopo goccia, canestro dopo canestro, difesa dopo difesa. E quando si è trattato di dare il colpo di grazia ci ha pensato lui, l’uomo chiamato ad insegnare a tutti come si fa a vincere.

Kawhilights di una prestazione leggendaria: 36 punti, 12 rimbalzi, 2 assist (ma letture perfette e zero palle perse), 4 recuperi, una stoppata, 11/22 al tiro, 5/9 da tre e +13 di plus-minus.

L’illusorio primo tempo di Golden State

Eppure i segnali iniziali dati dai campioni in carica erano stati brillanti. Klay Thompson aveva ripreso da dove aveva lasciato, ovvero facendo ammattire chiunque provasse a fermarlo e dando a Steph Curry una solida spalla per non dover cantare e portare la croce come fatto in gara-3. Looney ha dimostrato subito che con lui in campo, le cose in difesa avrebbero potuto procedere in modo migliore rispetto a DeMarcus Cousins - disastroso il suo avvio: palle perse in modo goffo, costante ritardo sui cambi, qualche buon sprazzo in attacco ma non sufficiente a riabilitarlo - e Andrew Bogut. Altra cosa che ha funzionato benissimo nei primi 24 minuti è stato l’equilibrio tra l’andare a rimbalzo d’attacco e chiudere subito la possibilità di transizioni rapide a Toronto, che di fatto non è riuscita ad alzare il ritmo come desiderato. Più intensità, più fiducia, più lucidità: così gli Warriors hanno messo la testa avanti.

Azione esemplificativa di come nel primo tempo la capacità di lettura offensiva degli uomini di Steve Kerr sia stata degna dei loro standard. Looney riceve, scarica subito per Green e scende a portare un blocco per Curry. Contro il numero 5 degli Warriors c’è Leonard, il che è un bene per Toronto perché sul cambio può mandare il migliore dei suoi difensori sulle tracce di Curry. Il problema è che, con VanVleet impantanato sul gomito e Lowry che deve badare a Livingston, resta un’autostrada per Looney da rollante e Green la sfrutta a dovere.

La ripresa perfetta dei Toronto Raptors

Nonostante una supremazia per buoni tratti nettissima, il vantaggio degli Warriors all’intervallo era solo di 4 punti. Come mai? Il 2/13 dall’arco (con 0/5 di Curry), il 2/4 dalla lunetta (contro il 10/11 Raptors) e le 9 perse forniscono gran parte della spiegazione. Per il resto bisogna guardare al numero 2 biancorosso, che ha tenuto in piedi la baracca con 14 punti nel primo quarto quando il resto dei suoi compagni - fatta eccezione per Serge Ibaka - hanno visto il canestro come una chimera pur prendendosi spesso tiri ben costruiti. Ciò che ha dato uno scossone fortissimo alla serata sono state le due triple di Leonard in 15 secondi in apertura di terzo quarto: dando il primo vantaggio della partita ai Raptors, hanno costretto gli Warriors ad aprirsi di più lasciando più sguarnito il ferro, caricando mentalmente i canadesi che hanno visto ricompensate le loro buone soluzioni.

Già il canestro successivo alle due triple è significativo di come siano nate delle crepe nella fin lì più che buona difesa di Golden State. Nel primo tempo i raddoppi con tempi e spazi corretti su Siakam avevano portato ad alcune forzature del camerunense; qui invece Green arriva in modo non corretto e così Toronto può innescare una circolazione di palla neanche troppo rapida ma comunque sufficiente per portare Gasol a tirare da tre metri da solo. Da notare come Curry arrivi trotterellando su Leonard.

Da quel momento in poi sulla Oracle Arena si è abbattuta una mareggiata che ha visto coinvolte le braccia di tutti (Danny Green, ad esempio, ha segnato una sola tripla ma ha difeso in maniera splendida), due in particolare sopra quelli degli altri: Kawhi Leonard e Serge Ibaka. Insieme nel terzo periodo i due hanno combinato per 24 punti con 8/11 al tiro, mentre tutta Golden State ha chiuso con 21 punti e 7/20. La partita dello spagnolo del Congo è stata impressionante per solidità fisica e capacità tecnica: i numeri dicono già tanto - 20 punti con il 75% dal campo, 4 rimbalzi, +11 di plus/minus, 95.6 di defensive rating - ma poi conta anche quando sono stati realizzati. Otto punti sono arrivati nel secondo quarto, specialmente nel momento in cui Leonard è andato a sedersi e i Raptors rischiavano un’imbarcata; l’unica tripla segnata, quella del 64-61, è arrivata a 4 minuti dalla fine del terzo quarto, segnando il vantaggio che poi i Raptors hanno mantenuto fino alla sirena; la magistrale protezione del ferro ha permesso agli esterni di essere famelici su Curry e Thompson.

Ecco, per tutte queste cose Ibaka meriterebbe il premio di MVP se non ci fosse quell’altro, che ha messo la ciliegina a dei playoff già annoverabili tra i migliori nella storia del gioco guidando la squadra a un secondo tempo da 140 (1-4-0!) di rating offensivo. Un dominio testimoniato anche solo da questo dato: con lui in campo i Raptors nel secondo tempo hanno tirato con il 75% di percentuale effettiva e l’84% di percentuale reale mantenendo un ritmo giudizioso e bassissimo (92 di pace) per cucinare gli Warriors a fuoco lento fino a farli crollare.

Il crollo dell’impero degli Warriors

«Sono stato dalla parte sbagliata di una rimonta del genere. Perché non potremmo fare la storia noi, stavolta?». Nelle parole a fine gara di Draymond Green c’è tutto l’orgoglio dei campioni feriti, moribondi, con la spia della riserva definitivamente accesa ma non ancora defunti. Tanti indizi dicono, anzi urlano, che la serie è finita, che non c’è possibilità di vincerne tre su tre, che i titoli di coda della dinastia stanno per scorrere. Soprattutto il crollo difensivo della ripresa, sia fisico che mentale, è parso la pietra tombale su qualsiasi discorso. L’assenza di Kevin Durant è un fardello enorme da sopportare, soprattutto perché nessuno del supporting cast - vuoi per lacune tecniche, vuoi perché non in forma, vuoi perché non è quello il compito per cui sono stati presi - è riuscito minimamente a compensare la mancanza dei canestri di KD che servirebbero come il pane anche solo per far faticare di più una difesa che ormai ha capito quali sono i pattern offensivi di Golden State e li ha metabolizzati.

Leonard colpisce senza pietà una difesa ormai allo sbando, che ha perso ogni riferimento e che è evidentemente sulle gambe. Non c’è una singola cosa fatta bene dagli Warriors in quest’azione, non c’è una singola cosa fatta male dai Raptors.

Eppure gli Warriors non sono ancora spenti. Credere che gara-5 possa essere una passeggiata per Toronto sarebbe un grave errore. C’è da scommettere che Golden State darà tutto, ben conscia che potrebbe anche non bastare e che le gambe possono non viaggiare sugli stessi binari del cuore. Anche perché lo status di Kevin Durant per la serie è ormai definitivamente in dubbio, e la sua assenza sembra aver avuto un impatto mentale sui campioni in carica grande almeno quanto quello tecnico-tattico.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura