
Prima di questa stagione, mai il Real Betis aveva partecipato alle semifinali di una coppa europea. Gli andalusi, al massimo, avevano raggiunto i quarti di finale della vecchia Coppa delle Coppe (nel ’78 contro la Dinamo Mosca e nel ’98 contro il Chelsea). Per il resto, qualche comparsata agli ottavi, tra cui quella contro il Bologna nella Coppa Uefa 1997/98, un po’ come se quella fase rappresentasse le Colonne d’Ercole per il Betis in Europa.
Il curriculum europeo del Betis, insomma, non è poi così brillante. Negli ultimi anni le eliminazioni sono state piuttosto nette, sia contro avversari più forti (Manchester United), sia contro avversari di pari livello (Eintracht), sia contro squadre più deboli (Rennes e Dinamo Zagabria). L’unica volta in cui il Betis è stato sul punto di superare gli ottavi di finale, ha coinciso con la sconfitta più dolorosa.
Nel 2014 l’urna di Nyon, per gli ottavi di finale, aveva riservato al Betis proprio l’unica partita che i tifosi di qualsiasi squadra vorrebbero evitare in una coppa: il derby. Il Siviglia poteva già contare in bacheca due Coppa UEFA e il Betis ci arrivava da ultima in classifica in Liga. Incredibilmente, però, all’andata, al Sánchez-Pizjuán, i “verdiblancos” erano riusciti a imporsi per 0-2. A posteriori sarebbe stato meglio perdere subito. Al Benito Villamarín, nella gara di ritorno, il Siviglia avrebbe ribaltato il risultato fino a raggiungere i calci di rigore. Se conoscete un minimo la storia dell’Europa League – e se state leggendo questo articolo è probabile che la conosciate – saprete già com’è andata a finire. Ciò che è peggio è che non solo il Betis sarebbe stato eliminato per mano dei rivali cittadini – spianando definitivamente loro la strada per il ciclo di vittorie che li avrebbe trasformati nei Signori dell’Europa League – ma alla fine di quella stagione sarebbe persino retrocesso. Probabilmente, lo scenario più tragico che possa immaginare chiunque abbia una squadra del cuore e una rivalità.
A posteriori, toccare il punto più basso è servito a qualcosa. Dopo essere tornati velocemente in Liga, infatti, il Betis ha vissuto alcune stagioni d’assestamento prima di intraprendere un percorso di crescita costante che lo ha portato a diventare una squadra da competizioni europee: risultato per nulla scontato visto la storia del club e il ricambio che c'è in Liga nelle posizioni alle spalle di Real Madrid, Atlético e Barcellona.
Il primo tentativo di impennata nelle ambizioni risale alla stagione 2017/18. È da allora che, nella costruzione della rosa, il Betis sembra seguire un principio chiaro: privilegiare la scelta di giocatori dalla grande qualità, spesso talenti caduti in disgrazia, o comunque mai del tutto sbocciati, costruire un contesto coerente con le loro caratteristiche per nasconderne i difetti e garantirsi un tasso tecnico sempre elevato.
Dapprima furono Guardado e Boudebouz, che trovarono in rosa Joaquín e il giovane Fabián Ruiz. Quella squadra venne messa in mano ad un tecnico dalla forte impronta posizionale come Quique Setién: se già al primo anno arrivò la qualificazione in Europa League, al secondo, nonostante gli acquisti di Lo Celso e Canales, arrivarono le difficoltà dovute al modello di gioco, alla rosa troppo squilibrata e alla gestione del doppio impegno che posero fine al progetto di Quique Setién. Nemmeno Rubi, allenatore dalle idee simili al suo predecessore, seppe trovare la quadra l’anno successivo. Il Betis, nonostante una rosa di ottimo livello, in cui aveva sostituito Lo Celso con Fekir, sembrava tornato a una mediocre sopravvivenza. Nel 2019/20, complice il COVID, chiuse la Liga con un mesto quindicesimo posto.
Poteva sembrare il segno di come il club dovesse ridimensionare le proprie mire, destinato a rimanere una squadra di media bassa classifica. Poi, però, è arrivato Juan Manuel Pellegrini a trovare un senso a tutto quanto, alle ambizioni della società e all’ammasso di talento accumulato in quegli anni.
Sono passate cinque stagioni da allora, annate in cui Pellegrini ha sempre centrato la qualificazione alle coppe europee e non è mai sceso sotto il settimo posto. Nel frattempo, l’”ingegnere” ha fatto in tempo a diventare l’allenatore con più panchine nella storia della Liga, nonché, da una settimana, il tecnico con più vittorie della storia del Betis. La più importante è senza dubbio quella del 23 aprile 2022 contro il Valencia, ai rigori, che ha portato alla terza Copa del Rey della storia del club – l’ultimo titolo, proprio la Copa del Rey, risaliva al 2004/05, quando a trascinare la squadra c’erano Ricardo Oliveira e Joaquín.
È incredibile la longevità di Pellegrini a questi livelli. Soprattutto perché la proposta del tecnico cileno, a 71 anni, ha mantenuto comunque le stesse premesse di quando vent’anni fa si era presentato al calcio europeo. Quello di Pellegrini è un calcio d’autore, non nel senso classico dell’allenatore abituato a dotare le sue squadre di strutture riconoscibili: la firma di Pellegrini compare in controluce nel momento in cui le sue squadre iniziano a muoversi allo stesso respiro dei giocatori più tecnici: da Riquelme e poi Cazorla nel Villarreal, a Joaquín e Isco – due nomi ricorrenti di questo articolo – nel Málaga, fino ad arrivare alla sua esperienza al Betis.
Per un racconto approfondito delle squadre di Pellegrini e del suo modo di vedere il calcio, vi rimando al bellissimo articolo scritto da Valentino Tola su queste pagine ormai dodici anni fa: solo se si guarda alla storia del tecnico cileno si capisce il motivo del suo successo al Betis. La libertà di esprimersi concessa al talento è stata il filo conduttore della carriera di Pellegrini. Va da sé che un allenatore del genere fosse la figura giusta a cui affidare i tanti numeri dieci più o meno incompiuti intorno a cui il club biancoverde ha costruito la squadra in questi anni: prima Fekir e Canales e adesso Isco, esiliato senza remore dai cugini del Siviglia, accusato di non riuscire a mantenere un peso degno di un professionista, e da due anni non solo faro offensivo del Betis, ma anche primo giocatore a ripiegare in fase difensiva.
La parabola di Isco è una sorta di sintesi delle differenze, anche nel gusto calcistico, tra le due squadre della capitale andalusa. Il Betis, con la sua sequela di giocatori tecnici e decadenti, è un po’ come se attraverso il mercato degli ultimi anni avesse costruito la sua identità in opposizione al vigore e alla verticalità che hanno caratterizzato il Siviglia nei suoi momenti migliori.
Riuscire a ottenere costanza da giocatori tanto particolari non era scontato ma è ciò che, alla lunga, ha reso sostenibile il progetto del Betis. Pellegrini, in questo senso, era l’uomo giusto al momento giusto, dato che dal suo punto di vista «il 90% del lavoro di un allenatore dipende dalla conduzione del gruppo e dalla qualità dei giocatori». Nonostante, per questioni di salute economica, di anno in anno abbia dovuto rinunciare a diversi titolari, è anche grazie alla presenza di un allenatore così se la società ha potuto continuare a lavorare con coerenza, sempre attenta a pescare tra quei giocatori all’apparenza in declino.
L’ultimo caso è quello di Antony, reietto al Manchester United e tra i migliori giocatori della Liga dal momento del suo arrivo. Un acquisto che, come ha spiegato il DS Manu Fajardo, il Betis aveva programmato da mesi: «Teniamo sempre d’occhio i giocatori svalutati. Siamo soliti analizzare con i dati giocatori che, come valore di mercato, avevano raggiunto picchi molto importanti ma che negli ultimi 12 o 18 mesi, per differenti motivi, hanno vissuto un calo. Ordiniamo tutte le informazioni, ci occupiamo della situazione del giocatore, di cosa sta passando a livello personale e professionale, del perché non sta rendendo. Su Antony c’era stato tutto un lavoro precedente all’acquisto».
Antony è stato la scintilla nel 2025 del Betis. Il suo arrivo, insieme a pochi altri fattori, è ciò che ha trasformato quella che sembrava essere la peggior stagione dell’Ingegnere in Andalusia in quella che rischia di diventare l’annata migliore del suo ciclo: il Betis non solo è in semifinale di Conference League, ma si trova anche ad un punto dal quinto posto, che quest’anno per le squadre della Liga varrà la qualificazione in Champions, dove il Betis manca dal 2005/06.
La cavalcata dei “verdiblancos” è stata notevole. A gennaio, dopo aver perso prima contro il Valladolid ultimo in classifica e poi in casa contro il Deportivo Alaves, il Betis languiva al dodicesimo posto. Poi, però, l’arrivo di Antony, ha tirato su il morale della squadra, che ha cominciato a ritrovare certezze. Il ritorno alla miglior condizione di Bartra e Isco (che era stato fuori fino a dicembre per un infortunio al perone) e l’intuizione di arretrare Pablo Fornals a centrocampo, infine, hanno portato su un altro livello il rendimento del Betis, che oltre ad aver raggiunto le semifinali di Conference nelle ultime 10 giornate di Liga ha raccolto un pareggio (in casa del Barcellona senza Isco squalificato) e una sconfitta a fronte di 8 vittorie, tra cui quelle contro il Real Madrid e nel "Gran Derby" contro il Siviglia. Insomma, come stato di forma la Fiorentina non poteva trovare di peggio.
Sarà una sfida interessante non solo perché si incontrano due delle migliori squadre del torneo, ma anche per l’incastro tattico: il Betis, col suo controllo tecnico, costringerà la Fiorentina a dei problemi che non è abituata ad affrontare in campionato. D’altra parte, gli andalusi non sono abituati a un sistema di marcatura a uomo come quello di Palladino – nonostante la Fiorentina lo applichi spesso rimanendo bassa. Chi avrà la meglio? La Fiorentina saprà essere così spigolosa da ritorcere contro il Betis la sua volontà di controllare il pallone?
Di certo, sia che mantenga un blocco un po’ più alto, sia che aspetti a ridosso della metà campo, la squadra di Palladino dovrà rimanere attiva, perché il Betis, delle due, è la squadra con più talento.
Pellegrini ama che la sua squadra abbia il pallone, ma non vuole che il possesso resti per troppo tempo tra i piedi dei suoi difensori. Per questo, di solito, in costruzione cerca di usare pochi passaggi, in modo da far arrivare subito la palla ai giocatori migliori. È un concetto che aveva spiegato bene Javi Venta, onesto terzino del Villarreal con cui raggiunse le semifinali di Champions League nel 2005/06: «Prima di una partita mi disse: “la palla nella tua metà campo tu la devi tenere il meno possibile, ci sono giocatori con piedi migliori dei tuoi”. Allora avevamo Senna, Cazorla, Bruno Soriano… Era una squadra molto forte».
È quest’idea, di far toccare più palloni possibile a quelli bravi, che deve averlo spinto ad abbassare tra i mediani del suo 4-2-3-1 Pablo Fornals, altro nobile decaduto che fino a quest’anno aveva giocato solo da trequartista. Lui e Johnny Cardoso sembrano essere la coppia a cui Pellegrini vuole affidarsi in questo finale di stagione, nonostante Sergi Altimira abbia disputato un’ottima annata e sia molto di più di una semplice alternativa. Né Altimira né Johnny, però, hanno la qualità di Fornals con la palla: se Pellegrini dovesse rinunciare all’ex West Ham sarebbe solo per mantenere un undici più equilibrato. A quel punto, tutte le responsabilità di tessitura del gioco ricadrebbero su Isco.
Come faceva Riquelme nel Villarreal di Pellegrini, e per la verità come faceva Isco stesso nel Real Madrid di Zidane, l’andaluso è libero di abbassarsi per toccare da subito il pallone e muovere la squadra a proprio piacimento, anche quando in mediana c’è Fornals. Isco incarna tutta la libertà che Pellegrini è solito concedere ai suoi giocatori migliori. Può abbassarsi sul fianco dei mediani oppure aspettare tra le linee. Partendo da numero dieci, quindi, Isco non si occupa solo di rifinire, ma è il vero e proprio organizzatore della manovra.
Il Betis, ad esempio, fa un largo uso delle aperture da un lato all’altro (secondo FBref il Betis è quarto in Liga in questa particolare voce) e, quando non sono Bartra o Fornals a cercare direttamente il cambio gioco, Isco spesso è il check point per passare da sinistra verso destra o viceversa: riceve, si sfila dalla pressione, conduce, dribbla o si associa con un compagno e poi ribalta il lato.
È la strada principale battuta dal Betis per attivare le catene laterali, formate dal mediano, dal terzino e dall’ala, a cui poi Isco è libero di avvicinarsi. Soprattutto, è un modo per far arrivare in maniera pulita la palla a Jesús Rodríguez e ad Antony, i due esterni.
Jesús Rodríguez e Antony sono due giocatori molto diversi, con la palla e senza. Il primo, classe 2005, è l’ultimo erede della fenomenale scuola di ali andaluse (Reyes, Jesús Navas e, per quel che riguarda il Betis, Joaquín). Jesús ama ricevere in ampiezza per poi puntare l’uomo: destrorso, gioca a piede invertito, ma può sia rientrare che puntare il fondo: l’assenza all’andata di un terzino abile in uno contro uno come Dodô potrebbe essere un grave problema per la Fiorentina.
Il gioco di Antony, invece, è molto più arzigogolato. Questa volta, il brasiliano non solo si sta dimostrando un ottimo dribblatore, ma sta mostrando anche il lato più associativo del suo gioco. Ama infatti allontanarsi dalla fascia destra per posizionarsi tra le linee e, se possibile, ricevere da Isco o dai centrocampisti. In più, si è visto anche qualche movimento verticale dietro la difesa
Un altro giocatore, insomma, che sta approfittando della libertà concessa da Pellegrini e dalla sua volontà di addensare il talento.
Sia che costruisca per vie centrali, sia che lo faccia sulle catene laterali, il Betis demanda molto alla vena dei giocatori del fronte offensivo: non è un caso che si tratti della quarta squadra in per dribbling riusciti ogni 90’ (8,27). Le iniziative individuali, la capacità di avvicinarsi intorno alla palla, con giocatori come Isco e Antony liberi di cambiare lato, sono tutti tratti distintivi del Betis
Interessante per la Fiorentina, in questo senso, l’assenza di una punta abile a svariare come il Cucho Hernández: il colombiano è arrivato a gennaio e non è potuto entrare nella lista Conference, per questo al suo posto dovrebbe esserci l’esperto Bakambu, per ora vice capocannoniere del torneo alle spalle della leggenda Afimico Pululu: Bakambu è più verticale rispetto al Cucho, ma non ha la sua stessa qualità in appoggio. Contro gli avversari incontrati fino ad ora in Conference League (Gent, Vitória Guimarães, Jagiellonia) è bastato, ma contro il gioco spalle alla porta imposto dai difensori della Fiorentina il Betis potrebbe sentire l’assenza di un centravanti abile a partecipare al gioco.
Oltretutto, il fatto di avvicinarsi in maniera spontanea intorno alla palla, magari con Johnny che si alza per supportare la manovra e i terzini alti – scelta che non aggiunge granché visto il mediocre livello dei terzini del Betis di quest’anno – delle volte impedisce al Betis di avere una buona transizione difensiva. La Fiorentina dovrà rendere scomode le ricezioni per poi ripartire e approfittarne. Così come, con Gosens, dovrà approfittare del mismatch col terzino destro: che sia Sabaly o Ruibal, entrambi gli rendono una decina di centimetri d’altezza e nessuno dei due ha attitudine difensiva.
Costringere il Betis a correre all'indietro - magari dopo aver trovato la ricezione sui fianchi degli interpreti del loro 4-4-2 a zona - e costringerli a difendersi nella propria area di rigore, potrebbe essere decisivo per la Fiorentina. La controindicazione nel modo in cui viene costruita la rosa del Betis, infatti, è che se in attacco trovano posto giocatori di grande talento, in difesa c'è uno strano fetish per ex difensori di medio-basso livello della Serie A. Per dire, nelle scorse stagioni il miglior centrale era stato Luiz Felipe, tutt'altro che impeccabile alla Lazio. Quest'anno accanto a Bartra si era stabilizzato Diego Llorente, che però sarà assente, almeno all'andata. Al suo posto ci sarà Natan, epurato da Conte quasi prima di poterlo conoscere.
In generale, Bartra, Natan e Diego Llorente sono tutti difensori non sempre puntuali nella propria area e labili nei duelli: Kean nel corpo a corpo con loro potrebbe divertirsi, anche a campo aperto. Le debolezze da sfruttare, quindi, ci sono tutte.
D'altra parte, per la Fiorentina il fatto di uscire in maniera marcata sull'uomo potrebbe aprire spazi pericolosi se uno dei talenti biancoverdi dovesse liberarsi del diretto avversario.
Il Betis, quindi, dovrebbe partire leggermente favorito visto il maggio tasso tecnico e visto lo stato di forma dei principali interpreti: difatti, l'unico talento a non essersi integrato quest'anno sembra essere Lo Celso. Tornato in estate, ad uno con la sua qualità, comunque, basta una giocata per decidere partite del genere. Insomma, anche a livello di panchina il Betis dovrebbe avere alternative valide.
Certo, la Fiorentina ha dalla sua l’esperienza degli ultimi due anni nel torneo, mentre per gli spagnoli, come detto, questa è la prima stagione dal rendimento notevole in Europa.
Di competizioni continentali, però, Manuel Pellegrini se ne intende. Negli anni non ha conquistato solo una Premier League e ottimi piazzamenti, ma è riuscito anche ad approdare due volte in semifinale di Champions League (con Villarreal e Manchester City, che prima di lui non avevano mai raggiunto quel livello della competizione; e sarebbero state tre senza il furto del Westfalenstadion con cui il Borussia Dortmund di Klopp aveva eliminato il suo Málaga ai quarti di finale dell’edizione 2012/13). Nonostante la Fiorentina abbia giocato due finali di fila di Conference League, quindi, il Betis ha dalla propria parte qualcuno abituato a navigare a questa distanza dalla costa.