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Alla fine la magia del Bernabeu è svanita
17 apr 2025
L'Arsenal ha rotto l'incatesimo, riportando il calcio alla realtà.
(articolo)
7 min
(copertina)
IMAGO / DeFodi Images
(copertina) IMAGO / DeFodi Images
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Le provocazioni erano partite da lontano. Qualche ora prima della partita il profilo ufficiale del Real Madrid aveva pubblicato un piccolo video in cui davanti ai nostri occhi scorrevano, tradotte in tutte le lingue del mondo, le seguenti parole: «90 minuti al Bernabeu sono molto lunghi». Il destinatario di quel messaggio era chiaro: i giocatori dell’Arsenal dovevano scendere in campo pieni di terrore. La vittoria per 3-0 dell’andata doveva trasformarsi in un problema. Si sarebbero pentiti, avrebbero rimpianto di aver segnato quei tre gol di vantaggio, perché contro il Real Madrid più vantaggio accumuli, più sarà dolorosa la rimonta subita. Per tutta la settimana si è voluto far credere all’Arsenal di vivere dentro questo paesaggio mentale stravolto, allucinato.

Su TikTok circolava un video dell’intervista di Ancelotti dopo la partita d’andata. Quando il giornalista pronunciava la parola “rimonta” il sopracciglio di Carletto scattava verso l’alto, assecondando un riflesso pavloviano, mostrando la maledizione che si portava dentro. Leggenda vuole che quando il Real Madrid sta perdendo ad Ancelotti basti sollevare il sopracciglio sinistro per far partire la rimonta - i gol di Vinicius e Bellingham come l’arrivo della cavalleria napoleonica. Prima della partita i tifosi avevano scortato il pullman in mezzo a sciarpe e fumogeni.

Jude Bellingham ai microfoni aveva detto che la parola più pronunciata nello spogliatoio del Real Madrid era “remuntada”. Girava, ironicamente, la foto di una gamba insanguinata di Federico Valverde e la caption: “hanno già cominciato con i rituali”. Cosa stava cucinando lo stregone nero Ancelotti? In quale modo il Real Madrid sarebbe riuscito a ribaltare questi tre gol? O in che modo l’Arsenal avrebbe trovato il modo di farsi eliminare? I "Gunners" sono per molti versi la nemesi di questo Real Madrid: una squadra che deve farcela non grazie alla storia ma contro la storia, che l’ha vista spesso bella e perdente.

A un certo punto ci sembrava che stesse succedendo. Eravamo di nuovo finiti dentro al mondo del Real Madrid, quando al 13’ Bukayo Saka aveva sbagliato il suo rigore con quella esecuzione incerta e piena di paura. Quella specie di cucchiaio abortito, un piatto aperto verso la figura già stesa di Courtois. Come ha scritto Barney Ronay, uno di quei momenti in cui puoi sparare un colpo di pistola al super cattivo e ucciderlo per sempre. Mettere una pietra sopra alla tensione. Però, così facendo, non ci sarebbe più il film.

Courtois aveva gridato verso il popolo madridista, Jude Bellingham era arrivato per fare petto a petto, nel tripudio più assoluto di maschi alpha che si ripetono di essere i migliori. Nessuno è più chad dei giocatori del Real Madrid nelle notti di Champions. Vogliono intimidirti, vogliono bullizzarti, vogliono prendere la tua paura in mano, soppesarla, e mostrartela e farti credere che non migliorerai mai: che tu sei la tua paura, e che loro sono il Real Madrid ed esistono per giustiziare tutti i deboli di questo mondo. Bukayo Saka aveva sbagliato un rigore nella finale degli Europei con l’Inghilterra: ora sarebbe diventato la faccia anche di questa eliminazione pirotecnica dell’Arsenal? Questo bravissimo ragazzo, questo fortissimo giocatore.

Nel mondo del Real Madrid le cose belle che ti succedono sono pronte a rigirarsi contro di te. La manifestazione ontologica del calcio come sport cinico e beffardo. Vinci 3-0, e allora perderai 4-0; hai un rigore generoso a favore, e allora il tuo miglior giocatore lo sbaglierà e quello sarà l’inizio della tua fine. Il calcio d’angolo successivo al rigore Martin Odegaard lo calcia direttamente fuori. L’Arsenal si era rotto? Il Bernabeu ruggiva.

I minuti hanno cominciato a passare, però, e in campo il bullismo del Real Madrid, la straordinaria convinzione nei propri mezzi, non trovavano nessuna traduzione calcistica. Non so come altra mettervela, ma è stato come essersi ripresi dopo aver assunto droghe inconsapevolmente: la realtà ci appare molto più comprensibile e l’energia magica che l’animava sparisce.

Il Real Madrid era apparso all’improvviso per quello che è oggi: una squadra disfunzionale, piena di problemi, in cui undici giocatori incredibilmente talentuosi non riescono a diventare una squadra. L’Arsenal ha giocato la sua onesta e disciplinata partita senza palla. Dopo il gol non ha perso calma. A proprio agio nel suo 4-5-1 di legno costruito da Arteta. Timber, Saka, Odegaard e Saliba si spendevano nell’imbrigliare le iniziative individuali di Vinicius. I compagni non approfittavano degli spazi conseguenti; il brasiliano diventava sempre più frustrato e testardo. La palla usciva dalla difesa del Real Madrid scolastica, e passava per il centrocampo come dentro un tubo neutro che la traportava sugli esterni. Nel mezzo non c’era nessuna idea, nessuna brillantezza, nessuna creatività. Dov’è finito quel senso di libertà, quel gusto per toccare il pallone, quell’armonia nel giocare insieme che il Real Madrid ci ha mostrato nelle sue migliori notti di Champions? Dov’è finita quella capacità di rendere il campo un palco per l’esibizione del proprio genio?

Oggi si parla molto di Kylian Mbappé ed è inevitabile. C’è sempre un momento nella storia del Real Madrid in cui questo desiderio di accumulazione di talento diventa esagerato, il suo salto dello squalo. Quando il Real Madrid nel 2003 decise di sostituire Makélélé con Beckham, Zidane commentò: «Perché mettere un altro strato di vernice d’oro sulla Bentley se stai perdendo l’intero motore?».

Non è colpa di Kylian Mbappé se il Real Madrid ha smesso di funzionare con lui in campo. Se lui ha rappresentato il passaggio da una fase barocca ma iper-competitiva a una dissoluta e da fine impero. Non è colpa sua, che ci ha voluto ricordare in un’intervista che non è stato semplice scegliere tra i soldi e il Real Madrid - forse cercando di farci credere che lì giochi gratis, non per 31,25 milioni di euro in un anno. Non è colpa sua, che è stato fischiato dai tifosi ma che potrà rinfacciarci sempre il numero di gol segnati quest'anno (siamo a 33). Non è colpa di nessuno forse, se non del Real Madrid stesso, che accumula giocatori forti come fanno i collezionisti d’arte.

Di certo però un equilibrio si è rotto e nemmeno Ancelotti, con le sue doti alchemiche, è riuscito a trovare la formula giusta per tenere in piedi tutte le variabili. È finita quella forma del Real Madrid. Quella forma con Bellingham attaccante ombra, Kroos e Modric a manipolare tempi e spazi del palleggio, Valverde a fare il mezzofondo a destra, Vinicius o dilagare per il campo. Ieri c’era questo banale 4-3-3 spaccato in due, tra i giocatori di quantità e quelli di qualità, come una squadra degli anni ’90. Quando si era visto un centrocampo del Real Madrid così rigido col pallone?

È stata significativa la dichiarazione di Thibaut Courtois a fine partita: «Abbiamo fatto tanti cross ma quest’anno non abbiamo un attaccante come Joselu». Compri Mbappé e finisci per rimpiangere Joselu: è fin troppo didascalico cosa vuole insegnarci questa storia.

Non è tanto il fatto che il Real Madrid ha perso equilibrio, ma che ne ha trovato uno mediocre. La versione di ieri, con Tchouameni e Valverde mediani, e Bellingham a fare le vasche fra centrocampo e attacco, è una squadra prevedibile, qualitativamente mediocre, che ha perso il proprio rapporto speciale col pallone. Contro l’Arsenal non c’era più la leggerezza geniale di certe notti di Champions, era rimasta solo una violenza vuota - nelle sgasate di Vinicius, in certe ricerche testarde della conclusione di Mbappé, nei dribbling esangui di Rodrygo. Il Real Madrid sembrava dover vincere per coercizione - o per diritto divino -, e meno ci riusciva e più perdeva la testa. Lo abbiamo visto in piccoli gesti di frustrazione, entrate un po’ troppo dure, in ritardo, in certi sguardi offesi lanciati ai giocatori dell’Arsenal.

È sembrato di assistere a uno di quei film, tipo Nightmare, in cui il cattivo svanisce una volta che smetti di credere al suo potere. Il gol di Saka, a pallonetto, al termine di una transizione rifinita dal sottovalutassimo Mikel Merino, è stato il paletto nel cuore del vampiro. Le facce incazzate dei giocatori del Real sono stati gli schizzi di sangue. Saka ha esultato portandosi l'indice sulla bocca, come fece Thierry Henry.

Un tweet estremamente elegante per rimandare indietro la provocazione.

In questi anni, nelle notti di Champions, Il Real Madrid ha cercato di plasmare un mondo in cui il pensiero magico e simbolico è più importante di quello razionale. Un mondo determinista, in cui la storia si ripete sempre, in cui le maglie vincono le partite da sole; in cui il potere intimidatorio dei campioni può trasmettersi nell’aria attraverso sottili vibrazioni, entrare nelle ossa e nelle vene degli avversari. Farli sentire piccoli ed esposti alla brutalità del mondo. Ieri voleva fare la stessa cosa, ma non ci è riuscito, ed è sembrata una di quelle rockstar in declino che salgono sul palco un po’ spente, che cantano i vecchi pezzi senza trasmettere niente, facendoti sentire solo il vuoto che le circonda.

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