Prima della partita, nel corridoio che porta sul terreno da gioco, i giocatori dell’Atalanta guardano quelli del Real Madrid in modo non troppo diverso da quello in cui le mascotte che gli stanno vicino guardano i calciatori del Real Madrid. Dura poco, qualche istante, poi sembrano scrollarsi di dosso l’incredulità e tornano a muoversi, a sciogliere i muscoli e guardare davanti a loro. Quando De Roon prende in braccio l’Europa League, grande come un bambino di quattro o cinque anni, e la trasporta sul piedistallo a bordocampo, l’Atalanta sembra tornata pienamente in sé.
Molto passava dalla capacità della squadra di Gasperini di affrontare senza paura i più forti del mondo. Si trattava di rompere la barriera invisibile che separa i Djimsiti dai Vinicius Junior; un muro fatto di cose intangibili come talento, reputazione, conti in banca, ma anche di cose molto tangibili come velocità, potenza, tecnica. Per l’Atalanta si trattava della partita più importante e prestigiosa della propria storia, una specie di sogno ad occhi aperti; il Real Madrid di Ancelotti, invece,questo tipo di partite è abituato a vincerle in modo apparentemente scontato. La possibilità di vincere la sesta Supercoppa Europea era per loro poco più di un antipasto, contava quasi di più la presentazione di Kylian Mbappé con il numero 9 sulla schiena.
Come si compensa un divario così grande? Bastano l’organizzazione collettiva e il coraggio individuale? «Ero abbastanza fiducioso di fare una buona gara e metterli in difficoltà», ha detto Gasperini alla fine, con l’amarezza di chi ci ha creduto. «Resto orgoglioso, ma ci manca sempre una virgola». Per tutto il primo tempo e un pezzettino del secondo, l’Atalanta si è appoggiata sulle sue solite certezze, e sembrava potessero bastarle. Hien, Djimsiti e Kolasinac in campo aperto, uno contro uno, con Mbappé, Vini Jr e Rodrygo. De Roon a fare a spallate con Bellingham, Ederson con Valverde. Sembrerebbe una strategia squilibrata, se non suicida, e invece l’Atalanta ha ridotto il Real Madrid ai lanci lunghi di Courtois che Hien e Kolasinac intercettavano facilmente, costringendo gli attaccanti madridisti ad abbassarsi molto per ricevere palla sui piedi, seguiti ovunque dalle loro guardie del corpo, raddoppiati quando riuscivano ad andarsene.
Dopo quattro minuti e mezzo Valverde strappa su Pasalic e porta palla nella metà campo atalantina, poi scarica a Vinicius Junior che da dietro la trequarti di campo serve un filtrante per uno dei pochi tagli riusciti di Mbappé nel primo tempo. Mbappé riceve in area con Hien alle spalle, raddoppiato da Djimsiti e triplicato da De Roon. Mbappé, con una specie di numero suola-tacco, fa passare la palla sotto le gambe di De Roon, ma non serve a molto e per non perdere palla deve allungarsi e scaricare all’indietro su Mendy. Se è questo il tipo di superiorità che il Real Madrid, o Mbappé, riescono a mettere in campo, ben venga, l’Atalanta è pronta.
Al dodicesimo l’Atalanta recupera palla sulla trequarti di destra, su un fallo laterale per il Madrid. De Ketelaere - il più ispirato degli atalantini - tenta prima un tunnel su Rudiger per mandare Zappacosta sul fondo, poi quando la palla gli torna tra i piedi vede Pasalic al limite dell’area. Pasalic alza un pallone ambiguo in direzione di Lookman al limite dell’area, Militao ci mette la testa e spinge la palla in direzione di Rodrygo, che con qualche metro di vantaggio su Kolasinac riesce a stoppare il pallone e a girarsi. Mentre lo fa, però, Kolasinac lo aggredisce in avanti, Ederson stringe dal centro e Ruggeri dall’esterno: Rodrygo prova a forzare il dribbling, si butta in avanti come se si stesse infilando tra le porte di un ascensore che si chiudono, ma non ce la fa. Kolasinac recupera il pallone e lo passa a Lookman, che punta Militao e lo salta a sinistra, poi mette in area un cross teso che finisce direttamente tra le braccia di Courtois.
Insomma, la solita Atalanta aggressiva che sembra aver crackato il gioco del calcio. Evidentemente le marcature a tutto campo - organizzate però in modo finissimo, con scalate e scambi precisi che coinvolgono tutti, compresi Pasalic, De Ketelaere e Lookman - bastano a fermare anche una squadra come il Real Madrid. Certo, è un equilibrio sottile, che può rompersi da un momento all’altro. Anche nel primo tempo è successo: quando Ederson è scivolato e Valverde ha potuto allungare sul lato destro e crossare basso per Mbappé, che ha calciato su Hien; oppure nel primo minuto di recupero, quando Vinicius Junior ha pescato con un esterno geniale Rodrygo al centro dell’area, che ha poi calciato sulla parte alta della traversa.
Ma quella è stata l’unica occasione, in tutto il primo tempo, in cui il Real Madrid è sembrato fare qualcosa in più per aggirare gli accoppiamenti dell’Atalanta che trasformano ogni partita in una sadica gara di salsa baciata.
A un minuto dall’inizio del secondo tempo, poi, l’Atalanta ha avuto l’occasione per passare in vantaggio. Il cross perfetto (de Roon), il colpo di testa perfetto (Pasalic), la parata perfetta (Courtois). Avesse avuto le dita più corte o una minore mobilità della spalla, Courtois non ci sarebbe arrivato, la palla lo avrebbe scavalcato e sarebbe finita esattamente nell’incastro dei pali, con la precisione con cui una palla da basket si infila nel canestro. Ma i campioni servono a questo, no?
«Qualcosa ha fatto click», ha commentato Bellingham a fine partita. «Il primo tempo ci siamo adattati, nel secondo le cose hanno iniziato a funzionare e siamo stati eccezionali, è stato molto bello». Non è chiaro esattamente quando i vari pezzi del Madrid hanno iniziato a collimare ma, da un certo punto in poi, è diventato chiaro che non ci sarebbe stata organizzazione collettiva in grado di tenerli. Più che una “virgola”, forse a Gasperini sarebbe servita una seconda Atalanta, un altro Hien fresco fresco seduto in panchina, un De Roon di ricambio per stare dietro a Bellingham. Mentre l’Atalanta ha iniziato ad allungarsi, a faticare a rientrare sugli strappi profondi degli attaccanti madridisti, quelli sembravano aumentare la potenza delle loro corse, la frequenza delle giocate. Il Real Madrid sembrava avere un motore troppo più grosso.
Nei venti minuti centrali del secondo tempo, più o meno dal cinquantesimo al settantaseiesimo, la squadra di Ancelotti ha messo in campo un tipo di superiorità che non era solo individuale. Il gol di Valverde è nato dalla continuità nel pressing che il Madrid ha avuto dopo una precedente azione d’attacco. Carvajal ha recuperato palla su Lookman a ridosso della metà campo e Militao ha servito Bellingham che aveva compiuto un bel movimento in diagonale alle spalle della pressione bergamasca. Bellingham ha immediatamente lanciato Mbappé alle spalle di Kolasinac ma è arrivato Hien di gran carriera a chiuderlo. L’Atalanta però era affaticata, De Roon ha tentennato con la palla tra i piedi e Rodrygo ha sentito l’odore del sangue, pressando fino a Musso e costringendolo al lancio lungo.
Mendy vince il duello aereo in fascia e dopo pochi secondi Vinicius Junior si è ritrovato uno contro con Djimsiti sul vertice sinistro dell’area di rigore. Intorno al pallone l’Atalanta era addirittura in inferiorità: Zappacosta non ha recuperato e De Roon ha coperto l’interno, dove c’erano Bellingham e Rodrygo, lasciando scoperto il lungolinea alle spalle di Djimsiti. L’Atalanta era arrivata al suo punto di rottura: Hien, in chiusura su Vinicius, è scivolato a terra davanti mentre quello controllava con l’esterno il pallone, pensando forse che avrebbe crossato subito. Vinicius ha fatto un tocco in più, mettendo in mezzo con l’esterno non per Mbappé a centro area ma per Valverde che arrivava da dietro, completamente libero. L’Atalanta aveva perso quasi ogni riferimento.
Il motore del Real Madrid è stato anche, soprattutto, finalmente, il motore di Jude Bellingham. Tornato nella sua zona di campo naturale per fare spazio a Mbappé, ha potuto giocare una partita di duelli fisici, sfruttando le marcature atalantine per esaltare quella specie di calcio-rugby che sembra avere in mente, in cui è del tutto normale ricevere palla dentro la propria metà campo e partire palla al piede tra Pasalic ed Ederson (non esattamente un peso piuma) prendendoli a spallate fino alla metà campo avversaria. Un calcio che si adatta bene a quello di Mbappé che, subito dopo, fa una cosa simile a ma a modo suo, auto-lanciandosi alle spalle di Zappacosta e bruciandogli quattro o cinque metri su venti-trenta di sprint.
Bellingham è stato sontuoso ma la sua intesa con Mbappé è la più bella notizia per il Real Madrid. Nella seconda parte dello scorso anno Bellingham sembrava sacrificato sull’altare della connessione tra Rodrygo e Vinicius Junior, ma anche Mbappé doveva risolvere il più velocemente possibile il problema del suo inserimento, insieme sembrano aver trovato una soluzione che fa felice entrambi. Sul secondo gol sono intervenuti tutti e quattro insieme, mettendo a ferro e fuoco la trequarti dell’Atalanta. Rodrygo ha strappato il pallone dai piedi di Hien (forse sono queste le “virgole” a cui pensava Gasperini, ma sarebbe ingeneroso nei confronti dei suoi giocatori soffermarsi su queste sbavature), Vinicius Junior si è infilato in area alla velocità della luce e ha messo un pallone orizzontale su cui Mbappé non è andato, aspettandosi un passaggio all’indietro - perché in fin dei conti non è un centravanti - Bellingham ha recuperato palla e l’ha messa su un piatto d’argento per il primo gol di Kylian Mbappé. Che alla sua prima partita con il Madrid, ha vinto il suo primo trofeo internazionale con un club.
Dopo il secondo gol, con l’Atalanta ormai fuori partita, la superiorità di Bellingham è diventata quasi offensiva, violenta. Al 73esimo si è abbassato a centrocampo, ha gestito il possesso da fermo come se stesse giocando a ruba-bandiera, poi in un lampo ha chiuso un triangolo con Mbappé e si è lanciato da solo alle spalle della difesa. Non è arrivato in porta, ma quando si è fermato non si è fatto togliere palla. Bellingham in questa condizione è un bullo che ti ruba la merenda e te la tiene in alto sopra la testa tanto non ci arrivi neanche saltando a riprendertela.
Nel secondo tempo il Real Madrid ha aumentato la propria fluidità, gli scambi di posizione, Vinicius Junior è venuto più spesso a destra, mentre Rodrygo, Bellingham e Mbappé interpretavano con libertà gli spazi lasciati vuoti dalle marcature dell’Atalanta. Ma questa fluidità un po’ caotica è diventata efficace grazie al grande controllo tecnico e allo strapotere fisico dei singoli. L’organizzazione del Real Madrid è nata spontaneamente dal talento individuale dei suoi quattro giocatori offensivi. Ancelotti ne è consapevole: “Dobbiamo riuscire a giocare insieme”, ha commentato dopo una serata che sembra annunciare un’altra grande stagione.
L’Atalanta ha giocato insieme dal primo all’ultimo minuto, ma non è bastato. Retegui, Godfrey e persino i giovani esordienti o semi esordienti (bellissimo il controllo + filtrante di Manzoni al secondo pallone toccato, nei minuti di recupero) non hanno dato quello che mancava. Sarebbe cambiato qualcosa con Koopmeiners? Con Scamacca e Scalvini? Probabilmente no, ma di certo avrebbero aiutato. Gasperini dovrà trovare qualche nuovo coniglio nel cilindro del mercato, o dovrà trasformare in principe qualche ranocchio con la sua bacchetta magica. Lo scorso anno, in campionato, si era visto che il motore dell’Atalanta non era abbastanza potente per un’intera stagione ad altissimo livello, ieri il Real Madrid lo ha fatto fondere in novanta minuti.
L’orgoglio per il proprio cammino è più che legittimo, dopo una partita del genere. Così come la fiducia nei propri mezzi e nel proprio stile. L’Atalanta può spingersi oltre quello che di buono ha fatto in questi anni, almeno internamente. In Serie A, dopo tutto, non c’è neanche l’ombra di un Real Madrid.