«Perciò noi suoi sostenitori senza condizioni siamo capaci di sopportare sconfitte, ma non una squadra che somigli alle altre o sia meccanica o porti in sé delle paure, perché a questo punto della vita i tradimenti non si sopportano. Della vita propria e della vita più lunga del Real Madrid».
(Javier Marías, Selvaggi e sentimentali. Parole di calcio, Einaudi, 2002)
Come molti altri allenatori, anche Rafael Benítez Maudes ha iniziato la sua carriera in panchina dopo aver mancato l’accesso al calcio d’élite da giocatore. A 13 anni entra nel settore giovanile del Real Madrid e arriva fino alla terza squadra: il suo scarso dinamismo lo spinge a diventare pivote davanti alla difesa, con alcune comparsate da libero.
E proprio come è stato per molti altri allenatori, un infortunio lo ha spinto fuori dal campo da gioco, per sedersi in panchina: alle Universiadi del 1979, in Messico, il 19enne Rafa gioca per la selezione spagnola contro il Canada. Una brutta entrata da dietro lo mette ko (anche se continua a giocare): rottura del legamento interno della gamba destra. A causa della difficoltà nel recupero, non riesce a passare al Castilla, la squadra B del Real, e alla fine viene spedito in prestito in giro per la Spagna. A 26 anni, il calciatore Rafa Benítez non esiste più, e forse non è davvero mai esistito: troppo cerebrale, poco talentuoso (lui dice addirittura che non aveva «le condizioni genetiche per arrivare a un grande livello»).
Benítez giovane allenatore del Real Madrid Juvenil, in finale di coppa contro il Barça: ha i capelli, è magro, ma è sempre un rompiscatole.
«Si entrenas es porque no puedes jugar», se alleni è perché non puoi giocare, è così che Benítez giustifica la sua carriera da allenatore. Ma è una menzogna, perché l’allenatore nato e cresciuto a Madrid, nel quartiere Aluche, nasce stratega, studioso e pignolo: gli riesce naturale. Si sforza di essere anche atleta, calciatore, ma l’infortunio è solo l’evento che permette al suo vero grande talento, quello tattico, di sbocciare. A 13 anni già studiava compagni e avversari, annotando persino gli esercizi dell’allenamento in un quaderno di appunti; da giocatore professionista arriva addirittura all’auto-videoanalisi, studiando i propri movimenti e quelli della squadra su VHS (ma anche su Betamax: siamo ancora a inizio anni ’80); a 22 anni si è già laureato all’INEF (l’equivalente del nostro ex ISEF); a 29 ha già il patentino da allenatore; è forse uno dei primi al mondo a usare i personal computer (Commodore 64 e ZX Spectrum) per elaborare dati sulle squadre.
Il giovane allenatore in seconda Rafa Benítez al Parco dei Principi in un quarto di finale di Coppa delle Coppe: è lui a dare indicazioni, del Bosque proprio non si vede. Invita un giocatore a salire o forse chiama uno schema. E su quel calcio d’angolo il Real passa in vantaggio.
La sua seconda vita comincia dallo stesso punto della prima: nel 1986 smette di giocare e torna al Real Madrid, ma da allenatore.
Dai 26 anni in poi scala tutto il sistema delle giovanili (anche grazie a numerosi successi) e nel 1993 diventa allenatore del Castilla, dove non riuscì mai ad arrivare da giocatore. Non finisce la stagione, ma è per un buon motivo: il 7 marzo 1994 il disastroso Benito Floro viene esonerato e la prima squadra è affidata alla conduzione tecnica di due traghettatori provenienti dalle giovanili. L’allenatore è Vicente del Bosque, leggenda da giocatore dei "Blancos", in quegli anni supervisore della cantera; il suo vice è proprio Rafael Benítez.
Due persone agli antipodi: il primo placido e attento alla gestione dello spogliatoio; il secondo freddo e maniaco della tattica. In quegli anni nelle giovanili, la passione di Rafa per il Milan di Sacchi (che aveva sconvolto culturalmente il calcio spagnolo con quel 5-0 rifilato alla "Quinta del Buitre") era emersa pienamente, con le metodologie sacchiane di allenamento riproposte anche nella squadra B madridista: per questo era stato soprannominato Arrigo Benítez.
La strana coppia non riesce a risollevare il Real e a fine stagione deve abbandonare la panchina: Rafa torna ad allenare la squadra B, dove nel frattempo è arrivato anche un diciassettenne Raúl González Blanco. Nella stagione successiva arriva ottavo in Segunda División e decide che ormai è tempo di andarsene dalla Casa Blanca. Il 16 giugno 1995 è la sua ultima da allenatore nel mondo del Real Madrid.
Sono passati 20 anni da quell’ultima partita da allenatore della squadra B e il 3 giugno 2015, per comunicare il suo ingaggio e spiegarlo a un’opinione pubblica sorpresa, il Real Madrid ha puntato solo sul suo madridismo: “Un producto de La Fábrica”, con un gioco di parole (La Fábrica è il soprannome del settore giovanile dei "Blancos"). Tutti i suoi successi all’improvviso non contano più: per diventare davvero un allenatore da leggenda, Benítez deve vincere con il Real Madrid, il club più esigente del mondo.
Il problema di un nerd
Nascere e crescere a Madrid non sembra essere un valore aggiunto per chi siede sulla panchina dei "Merengues": Benítez è solo il terzo allenatore madrileno in 113 anni. Nella storia recente del Real hanno vinto tecnici italiani, portoghesi, tedeschi, ma l’unico spagnolo a farcela è stato Vicente del Bosque. Un uomo tranquillo, che ritiene fondamentale instaurare un buon rapporto con i giocatori, “una sintonia personale”.
In questa conferenza stampa di gennaio 2009, Benítez si scaglia contro Sir Alex Ferguson leggendo da un fogliettino, con la voce quasi tremante. Qualche anno dopo Gerrard dichiarò di essersi sentito in imbarazzo per il modo in cui Benítez si stava umiliando pubblicamente.
Sul versante opposto c’è la teoria di Benítez, che in Inghilterra parlava continuamente dei suoi giocatori come professionisti e che aveva stabilito un regime quasi da catena di montaggio. Nella sua autobiografia, Gerrard sostiene che per l’allenatore spagnolo i giocatori sono solo ingranaggi di una macchina e lo descrive come un uomo freddo, autoritario e con derive paranoiche. Anche altri aneddoti d’altronde sembrano supportare questa tesi: Carragher sostiene di non aver mai parlato con Benítez di argomenti diversi dal calcio; Torres ricorda che dopo la nascita di sua figlia, il suo allenatore si congratulò con lui per aver ben eseguito uno schema su calcio d’angolo invece che per essere diventato padre. Il giudizio più tranchant è di Bellamy, che nella sua autobiografia GoodFella ricorda la gestione Benítez al Liverpool come un’epoca buia: «Rafa non prova sentimenti, non è interessato alle capacità relazionali».
In Italia non è andata molto meglio, basti pensare ai suoi pessimi rapporti con lo spogliatoio dell’Inter (da Maicon a Materazzi) e all’emarginazione del capitano Paolo Cannavaro al Napoli.
Non dico di farsi un selfie con Benítez, ma postare una foto con Ancelotti la dice lunga sul feeling tra Cristiano Ronaldo e il suo nuovo allenatore.
Se c’è un’abilità che un tecnico del Real Madrid deve possedere è quella di saper gestire anche psicologicamente una squadra piena di grandi talenti, con tutto il loro bagaglio di narcisismo ed egoismo. Si può essere dei domatori di leoni stile Mourinho o dei grandi equilibratori tipo del Bosque e Ancelotti, ma bisogna avere i giocatori dalla propria parte.
In meno di 5 mesi di lavoro con la squadra, Rafa Benítez ha già raccolto un ampio fronte di malcontento. A partire dagli insulti in allenamento per un semplice gol annullato, con Cristiano Ronaldo il rapporto sembra davvero quello tra due professionisti e niente più: e infatti il portoghese ha cominciato a non scartare ipotesi di trasferimento all’estero, anche in modo esplicito, tanto da spingere Florentino Pérez a chiedere spiegazioni.
A giudicare dal sorriso di Blanc, Ronaldo deve aver detto «dal tuo presidente mi farò pagare in trilioni di dollari».
Le cose non vanno meglio con il nuovo capitano, Sergio Ramos, che già aveva accolto l’allenatore madrileno con freddezza. Da allora la loro relazione non è migliorata: Benítez ha accusato pubblicamente Ramos per un errore contro l’Atlético Madrid e il difensore ha risposto parlando dei cambi sbagliati del suo allenatore.
Anche con Benzema il rapporto è diventato subito difficile: è il giocatore più sostituito del Real nonostante le ottime prestazioni. Alla prevedibile delusione pubblica dell’attaccante francese, Benítez ha risposto suggerendogli di segnare due gol nella partita successiva.
In questo momento a tenere banco è l’enigmatico caso di James Rodríguez: una lesione muscolare a inizio settembre in una partita della Nazionale lo ha tenuto fuori dal campo per molto tempo. Benítez ha detto che James non è ancora pronto fisicamente, poi il colombiano ha giocato 90 minuti e segnato con la sua Nazionale, dedicando una frase dura in conferenza stampa all’allenatore del Real.
Il calcio è fatto da essere umani, ma a Benítez non sembra importare: contano preparazione e studio continuo, alla ricerca di una perfezione semplicemente impossibile da raggiungere e che gli rende difficile persino elogiare i suoi stessi giocatori.
Cambio forzato
Il progetto tattico di Benítez era chiaro sin dal suo arrivo: classico 4-2-3-1 con Bale dietro la punta centrale Benzema, James largo sulla destra e Cristiano Ronaldo sulla sinistra per attaccare lo spazio creato dai movimenti continui della punta francese. Questo piano prevedeva probabilmente un graduale passaggio di consegne da Ronaldo a Bale: il gallese doveva diventare il vero ago della bilancia della squadra, l’uomo capace di dare velocità alle transizioni offensive, pericolosità tra le linee avversarie e velocità su tutto il fronte d’attacco. Kroos e Modric dovevano dividersi il centrocampo, in un doble pivote forse poco equilibrato, all’interno di una squadra che avrebbe preferito difendersi in avanti, per recuperare palla sulla trequarti avversaria e mantenere il dominio della partita.
Questo progetto, però, finora è rimasto nelle fantasie del tecnico madrileno: si è visto praticamente solo in due partite (il 5-0 contro il Betis e il 4-0 contro lo Shakhtar) a causa di una sequenza impressionante di infortuni prolungati (Bale, ovviamente, ma anche James, Danilo, Benzema, Pepe, Carvajal, adesso Isco, Ramos, Marcelo e Navas).
Lentamente sono entrati in scena altri protagonisti e Benítez ha dovuto cambiare identità alla sua squadra già diverse volte. Il nome nuovo del Real, quello che dal punto di vista tattico ne definisce la forma e gli equilibri, è Casemiro. Il centrocampista brasiliano, di ritorno dal prestito al Porto, è l’incontrista perfetto per Benítez: ottimo senso della posizione, capacità di proteggere sempre la difesa in zona centrale e di chiudere lo spazio tra le linee, abilità nella distribuzione del gioco, ottimo tiro dalla distanza.
Il disastro del doble pivote: Modric arranca, Kroos è troppo lontano e la squadra è spaccata in due, con una voragine tra le linee e senza copertura in zona centrale. Ecco perché gioca Casemiro.
Con il graduale ingresso in squadra del brasiliano è cambiato anche il modulo: adesso il Real si sistema spesso con il più affidabile 4-3-3 e difende molto di più nella propria metà campo (anche i dati lo confermano). Per un Casemiro protagonista c’è un Kroos smarrito: prima nel doble pivote non sembrava a suo agio nell’interpretazione dei compiti difensivi; dopo c’è stato un tentativo, miseramente fallito, di schierarlo centrocampista centrale contro il Malaga; da quel momento il tedesco continua a vagare per il campo senza una collocazione precisa.
Nelle ultime partite è stato schierato da interno sinistro con libertà di avanzare, perché Benítez vuole sfruttarne le qualità di passaggio e di tiro: eppure Kroos sembra ancora fuori dal gioco, in una posizione che ne limita il numero di palloni da giocare (rimane Modric, anche da interno destro, il vero regista dei "Blancos") e in un sistema che ne riduce la pericolosità sulla trequarti (a volte è costretto a giocare addirittura spalle alla porta).
Il tedesco sembra limitarsi a giocate normali, indeciso sui tempi di inserimento in fase offensiva; in aggiunta, la richiesta di farsi trovare più spesso in zona pericolosa crea un vuoto alle sue spalle.
Kroos diventa l’uomo più avanzato e, con Ronaldo, è completamente scollegato dal resto della squadra: il Real si chiude a riccio al Bernabéu per difendere l’1-0...
… e non è una questione di fase difensiva: qui parte il contropiede del Real con Vázquez sulla destra e Kroos in posizione di centravanti che attacca la profondità.
Un altro dei protagonisti a sorpresa di questo Real è il portiere costaricano Keylor Navas, che dopo la vittoria in casa contro il PSG è diventato il primo nella storia dei "Blancos" a non subire neppure un gol in 9 partite casalinghe consecutive. Destinato al Manchester United nello scambio dell’ultimo minuto con de Gea, saltato per la goffaggine burocratica delle due squadre, è diventato titolare per caso. Forse liberato da ogni pressione, Navas si è dimostrato il miglior portiere d’Europa in questo inizio di stagione: sempre reattivo, molto abile con i piedi, ha fatto della crescita costante un suo punto di forza (e forse avrebbe dovuto essere il titolare già nella passata stagione).
https://www.dailymotion.com/video/x3d8yg7_keylor-navas-hero-2015-16-crazy-saves-hd_sport
È come se le parate di Navas non fossero discontinue, ma parte di uno stesso prolungato movimento felino. In più para persino due rigori, uno nel derby contro l’Atlético.
Navas è fuori per un infortunio all’adduttore della gamba destra (ma dovrebbe essere disponibile per il Clásico), e per capire i timori della tifoseria madridista basta dire che con lui il Real ha incassato 3 gol in 13 partite (coppe comprese): con il secondo portiere Kiko Casilla, i gol subiti sono stati 4 in 2 partite.
Ci sono 9 giocatori del Real contro 5 del PSG: eppure il cross di Maxwell trova tutti impreparati (Casemiro sulla fascia, Danilo a metà strada, Modric in ritardo). I due centrali guardano solo la palla e si fanno bucare alle spalle da Cavani e Ibra, che solo per millimetri non riescono a segnare.
Lo stato di forma di Navas ha coperto a lungo le difficoltà difensive del Real Madrid e soprattutto sembra aver creato il mito della squadra che difende molto bene. A seguito degli infortuni e del cambio di prospettiva tattica, il Real ha cominciato ad aspettare l’avversario nella propria metà campo. In questo modo, però, il Real va incontro a due grandi problemi: indecisioni in fase di difesa posizionale e la ridotta capacità di transizioni veloci, con Isco sulla destra e Ronaldo scollegato dal gioco.
Il vuoto a centrocampo del Real e il problema dell’attacco scollegato: le distanze tra i giocatori rendono impossibile una manovra fluida in fase offensiva.
I due centrali di difesa sono ben assortiti, ma a volte disattenti se difendono con un blocco basso. Entrambi invece preferirebbero difendere in zone di campo molto più avanzate: Ramos per la capacità di far salire la difesa e Varane per l’abilità nel coprire la profondità.
Il Real al momento è una squadra solida difensivamente, ma che al di là dei pochi gol subiti (7 in 15 partite) non sa difendere bene in modo posizionale: è decimo per numeri di tiri subiti e solo tre squadre nella Liga hanno subito più tiri in zona pericolosa, dove la probabilità di segnare è più alta. Subisce pochi tiri da azione di contropiede, ma è molto fragile con la difesa schierata: solo il Levante ha subito più tiri da azioni di possesso consolidato degli avversari.
La sconfitta contro il Siviglia per 3-2 sembra per la prima volta aver scoperchiato il problema anche mediaticamente: accusato inizialmente di essere un difensivista, adesso Benítez è costretto a difendersi da accuse anche sull’organizzazione difensiva.
Que el blanco sea blanco
Il Real Madrid è una squadra con diversi problemi, ma non è affatto in cattive condizioni: secondo in campionato con il miglior attacco, è primo in scioltezza nel suo girone di Champions League (dove ironicamente ha la miglior difesa—nessun gol subito finora). È una squadra che sta vivendo una transizione tattica e oltre alle criticità ci sono molti aspetti positivi.
La perfetta organizzazione tattica del Real al Parco dei Principi: grande compattezza nella zona del pallone; pressing alto sull’inizio azione parigino, con Isco sempre a coprire la verticalizzazione centrale di Motta, e poi c’è Casemiro, che garantisce compattezza tra le linee e scherma la ricezione di Ibra. Il video è tratto dal sito di analisi francese Premièretouche (che su Twitter trovate qui)
La linea difensiva, ad esempio, sembra trovarsi molto bene nei movimenti in campo aperto, anche nella sincronia per il fuorigioco. I due terzini, Danilo a destra e Marcelo a sinistra, si stanno dimostrando più disciplinati di quanto si potesse immaginare e permettono alla squadra di occupare bene il campo in ampiezza, oltre a garantire sempre sovrapposizioni e superiorità numerica sulle fasce.
A centrocampo il giro palla è spesso molto fluido, grazie soprattutto al solito fenomenale Modric, che riesce sempre a trovare il lato debole dell’avversario e ad associarsi a un giocatore della catena di fascia (a volte Marcelo, a volte Isco, a volte Jesé): l’inizio azione è al sicuro anche contro squadre come Atlético e Celta.
Il Real tende a non dominare la partita in modo continuativo, ma è molto flessibile tatticamente e sembra sempre avere un piano di gara migliore dell’avversario. Il rendimento però è ancora altalenante: finora l’unica dimostrazione di gioco collettivo, con le fasi di gioco ben coordinate, è stata quella di Parigi contro il PSG. Una partita da vero sacchiano per Benítez: una linea difensiva molto alta che è riuscita a mandare in fuorigioco ben 7 volte i parigini.
Arrigo Benítez: quando il PSG supera la prima linea di pressing, il Real si risistema con una linea difensiva molto alta per mandare in fuorigioco i tagli di Di María e Cavani. Il ruolo di Jesé e Vázquez è fondamentale nel 4-4-2 senza palla di Benítez: è grazie a loro che il Real è sempre in superiorità sulle fasce. Anche questo video viene dal sito Premièretouche.
Quella partita fa crescere il sospetto che il Real potrebbe trovarsi meglio difendendo in avanti e con giocatori più disciplinati tatticamente. Per ora Benítez si mantiene in una sorta di limbo che permette al Real di usare soluzioni di gioco differenti.
Ronaldo esce dall’isolamento, si abbassa tra le linee e crea superiorità numerica sul centro-sinistra: serve il taglio di Vázquez da destra e sinistra e attacca a sua volta la profondità alle spalle della linea difensiva avversaria. Se lasci spazio al Real non hai scampo.
La fase offensiva del Real ha per ora avuto un solo punto di riferimento, Cristiano Ronaldo. L’infortunio di Benzema ha costretto il portoghese a giocare da punta centrale del tridente, con risultati poco soddisfacenti: la mancanza di un apriscatole come il centravanti francese gli ha impedito di godere degli spazi che abitualmente sfrutta partendo da sinistra, oltre a slegarlo completamente dalla squadra e a intristirlo in corse solitarie nel vuoto.
La solitudine di Ronaldo: un’immagine che giustifica tutte le sue lamentele e quelle del Bernabéu, uno stadio in cui vincere non basta affatto.
In ogni caso, difendere contro il Real è sempre molto difficile: nella Liga è la squadra che tira di più verso la porta; è prima anche per tiri effettuati in zona pericolosa; attacca bene anche in ampiezza; è prima per tiri da fuori area; è la squadra che arriva di più al tiro da azione di contropiede, ma è anche seconda per numero di tiri da azione di possesso palla consolidato (dietro solo al Celta Vigo).
Ai "Blancos" sembra mancare una direzione precisa da seguire, un equilibrio definitivo che renda ogni partita un episodio di una serie e non una storia a sé. Gli infortuni in serie forniscono una valida giustificazione, che non può essere eterna.
Sul piano tattico c’è la certezza che Benítez continuerà a dare il massimo, probabilmente risolvendo i vari problemi, ma il vero grande dubbio riguarda la sua capacità di gestire il lavoro calcistico più difficile al mondo: allenare il Real Madrid significa tante cose diverse e non solo studiare bene l’avversario.
Anche in questo caso, la sua visione della filosofia dei "Merengues" sembra mancare di sensibilità: non è vero che al Real Madrid la prima regola è vincere. Al Bernabéu bisogna anche e soprattutto convincere, e se l’avesse chiesto al suo mentore del Bosque, esonerato dopo aver vinto la Liga, ne avrebbe ottenuto un racconto in prima persona.
L’isolamento di Benítez è la chiave del suo futuro madrileno: da un lato, aggrapparsi all’addestramento tattico ossessivo potrebbe in qualche modo proteggerlo da un ambiente incline al pettegolezzo e al retroscena 24 ore su 24; dall’altro, la sua incapacità di stabilire relazioni di empatia con un gruppo di stelle e la difficoltà nell’organizzare un gioco più fluido potrebbero spingerlo presto sull’orlo del baratro.