Cambia todo cambia, persino il Real Madrid: cambia l’allenatore Zidane, incarnazione dei successi, dei valori e dell’estetica madridista, anche - se non soprattutto - in quella strana versione da Cincinnato vista negli ultimi due anni e mezzo; cambia l’uomo copertina della squadra, nonché miglior realizzatore della storia merengue (e che storia), Cristiano Ronaldo.
Caduti gli dei per loro volontà, nella dirigenza del Real devono aver pensato che invece di subire il cambiamento, bisognava dominarlo: e allora cambiare pelle, ma senza quasi toccare la squadra (arrivati solo Courtois, Odriozola e Mariano Díaz, inizialmente tutti in panchina - oltre a Vinicius Jr, diciottenne brasiliano per ora parte della squadra B), perché fiduciosi nel salto in avanti di chi in squadra già c’è, come Gareth Bale e Marco Asensio. Per riuscirci, è stato scelto un profilo particolare di allenatore, un architetto - cioè uno che ritiene prioritaria una specifica proposta di gioco - scambiandolo probabilmente per un amministratore.
Julen Lopetegui è una persona calma, forse troppo - questo potrebbe aver tratto in inganno la dirigenza madridista. Inoltre, nella storia del calcio il passaggio da allenatore architetto ad uno amministratore ha spesso funzionato (Michels - Kovacs, Sacchi - Capello, Van Gaal - Heynckes), ma è più difficile dire quale sia la tipologia di allenatore più adatta a succedere al miglior gestore possibile (Zidane, appunto). Lopetegui, quindi, ha iniziato a definire chiaramente il suo piano di costruzione: il Real non deve più magicamente ribaltare le partite inclinando a suo favore lo spaziotempo, affidandosi alla capacità dei giocatori di non uscire mai dalla partita, bensì imporre immediatamente il contesto. È il Real adesso a decidere come e dove si gioca, con che ritmi, con che mezzi: l’avversario è una comparsa che deve provare a uscire vincitore da questa gabbia. Un’idea estremamente ambiziosa, basata sulla filosofia, i principi e la metodologia del gioco di posizione: una visione quasi controculturale di Lopetegui, nel momento in cui persino i rivali del Barcellona sembrano essersi allontanati da quel sentiero.
Invece di gestire, quindi, l’ex selezionatore della Nazionale spagnola ha subito iniziato a ricostruire: ma per trasformare chili d'oro e pietre preziose in una corona ci vuole tempo, abilità e fortuna.
Il talento prima di tutto
Dominare il pallone, per controllare tempi e dinamiche della partita, ma anche per ordinare la squadra e disordinare il rivale: è da qui che è partito Lopetegui per trasformare la migliore jazz band al mondo in un’orchestra. A livello logico, la partenza di Ronaldo agevolava in qualche modo questo percorso di apprendimento: l’ultimo CR7 era ormai uno sparapalloni - ben il 7% dei suoi tocchi di palla nella passata stagione erano tiri verso la porta - poco coinvolto in fase di costruzione e ancora meno in fase di riaggressione (tra i giocatori con almeno 1200 minuti giocati, Ronaldo è stato quello ad aver pressato meno di tutti).
Tutti gli sforzi del Real di Zidane erano legati a mantenere un equilibrio minimo in una squadra con dei giocatori così particolari, cioè trovare la soluzione pratica a una squadra piena di squilibri e di falle: e l’elemento cardine di questo sistema di protezione era Casemiro.
Triangoli posizionali ovunque, cambi di campo continui, ma anche la difficoltà di servire Benzema in profondità.
Senza più CR7, e con la volontà di seguire una partitura comune, inizialmente Lopetegui ha provato la strada più ambiziosa per l’esecuzione ottimale: accumulare tutto il talento possibile in campo.
In questo sistema, Kroos è quindi il nuovo zar del centrocampo: massimo passatore della Liga, vero regista della squadra. Con un Real che domina il pallone, e passa con pazienza, Casemiro diventa inutile in possesso: e così all’esordio in Liga contro il Getafe, il triangolo di centrocampo era formato da Kroos come pivote, Isco e Ceballos da mezzali. In quella partita, circa l’80% di possesso palla per il Real, ma solo 1.2 xG creati, e soprattutto solo tre tiri nello specchio della porta. Le prime vere avvisaglie di qualcosa che non funzionava nel masterplan di Lopetegui.
Nella gestione del pallone, il Real di Zidane si divideva in verticale lungo due assi: quello sinistro, che aveva il compito di far uscire il pallone dalla propria trequarti, Ramos - Kroos - Marcelo, in ordine di altezza di ricezione; e quello destro, Varane - Modric - Carvajal, che aveva il compito soprattutto di occupare gli spazi. Il centro era svuotato dalla presenza-assenza di Casemiro, esplicitamente escluso da compiti di impostazione.
Con Lopetegui il lato forte della salita del pallone è rimasto quello sinistro, ma la palla adesso passa molto più dal centro, con Kroos spesso impegnato in una salida lavolpiana in mezzo ai centrali - mentre nel Real di Zidane il tedesco impostava quasi dalla linea laterale, per permettere a Marcelo di attaccare il mezzo spazio con un taglio esterno-interno.
Il cambio di campo ad attaccare il lato debole, oggi, serve per concludere l’azione, prima serviva per muovere l’avversario e poi tornare sul centro-sinistra e mandare al tiro CR7. In sostanza, il giropalla del Madrid di Lopetegui punta alla conclusione finale di Bale, o all’attacco di Carvajal con cross al centro.
I primi vagiti posizionali del Real di Lopetegui: Kroos si abbassa tra i centrali per la salida lavolpiana, mentre davanti provano ad occupare tutti i corridoi d’attacco, con il solo Bale però a dettare il passaggio dietro la linea avversaria.
Ma è soprattutto nei movimenti offensivi che il Real è cambiato molto. L’attacco del Real Madrid è una di quelle cose che rimanevano immutate: persino nei periodi di crisi nerissima in termini realizzativi di Benzema, e anche durante le crisette di CR7 nella prima fase del campionato, Zidane non toccava mai quella che è stata una delle migliori coppie di attaccanti della storia del calcio per complementarità.
Adesso, invece, nel Real todo cambia soprattutto lì davanti: i tre davanti si muovono moltissimo, scambiandosi spesso posizione. Bale e Benzema sembrano trovarsi meglio con Asensio, per fluidità nell’occupare le posizioni, ma occorre trovare posto a Isco: troppo squilibrante per la propria squadra da mezzala, meglio da trequartista o ala.
La fascia sinistra del Real di Zidane era anche la zona di creazione e attacco principale: nella passata Champions League, da quella zona provenivano ben il 42% degli attacchi, più persino della Roma di Kolarov regista occulto. E si capisce bene il perché: la coppia CR7 - Marcelo era in grado di ribaltare una difesa da sola.
Senza più CR7, come creare delle routine d’attacco?
Un Real che si sporca le mani
Nel sistema posizionale, attaccare bene è anche il miglior modo per difendere: far girare bene il pallone, occupare gli spazi in modo ottimale, affinché il recupero del pallone possa essere immediato. Il Real di Zidane non poteva pressare in alto, se non come temporaneo strumento da usare in alcune partite, per la difficoltà di coinvolgere i suoi migliori giocatori in questo sistema: sarebbe stato un suicidio. Cristiano ormai si stava sempre più liberando di ogni compito difensivo, e alla fine al Real andava bene usare come arma difensiva addirittura il tiro in porta del portoghese: scaricare un volume mostruoso di tiri, anche come conclusione dell’azione, permettendo così alla squadra di riposizionarsi e non subire transizioni.
Lopetegui invece vuole dominare il contesto della partita e quindi anche scegliere dove difendere, il più possibile nella metà campo avversaria.
Un passaggio laterale innesca la trappola del pressing merengue, con 4 giocatori a spingere il possesso del Leganés verso la fascia: ma dietro c’è il vuoto, la linea difensiva non sale e Casemiro tende ad abbassarsi per pulire le seconde palle generate da lanci lunghi.
Anche in questo caso l’interpretazione del ruolo di Casemiro rischiava di essere dannosa per il Real: non a suo agio con il pallone, e miglior elemento della squadra in difesa posizionale. Lopetegui però vorrebbe ridurre il più possibile quel tipo di fasi, minimizzando così l’importanza del brasiliano in entrambe le fasi.
Per rinunciare a un giocatore del genere, però, i "Blancos" dovrebbero arrivare all’esecuzione perfetta dei meccanismi di riaggressione: e alla fine, vuoi o non vuoi, Casemiro è tornato titolare. Nessuno ha la sua fisicità davanti alla difesa - gli avversari avevano cominciato a lanciare lungo per uscire dal pressing; e nessuno riesce ad aggiustare gli scompensi della squadra come lui.
In fase di pressione alta, i "Merengues" spingono l’avversario verso la fascia, sfruttandola come barriera; di solito la pressione viene portata dai tre giocatori d’attacco più uno tra Modric e Kroos (a volte da entrambi, se l’esterno d’attacco deve proteggere il lato debole); gli inneschi di pressing sono i classici passaggi all’indietro dei centrali e i passaggi laterali verso le fasce.
Al Real il pressing altissimo sembra riuscire bene, con circa il 4,8% di tutte le palle recuperate nell’ultimo quarto di campo: il problema è che una volta superata quella pressione, diventa troppo facile raggiungere la porta di Courtois, e così la maggior parte dei recuperi avviene invece nel primo quarto di campo, dentro la propria area.
La squadra non sembra ancora muoversi con compattezza, in particolare la distanza tra linea difensiva e prima linea di pressione è spesso troppo ampia, con i centrocampisti disperati in una terra di nessuno: ovvio poi che dall’esperienza preferiscano mantenersi più bassi, autoalimentando così il problema. Per recuperare il pallone in alto bisogna muoversi in armonia, ma bisogna soprattutto crederci.
Tutti i problemi del Real
Otto ore e un minuto: se al Museo di Arte Contemporanea di Barcellona avessero un po’ di ironia e faccia tosta, potrebbero realizzarne un’installazione temporanea appena prima del Clásico.
Otto ore e un minuto di Real Madrid senza segnare neppure un gol in campionato - un montaggio tipo The Clock, da poter visitare più volte durante diversi giorni per osservare ogni volta contro quale squadra non stanno segnando alcuni tra i migliori giocatori al mondo. 481 minuti senza segnare, seconda peggior striscia negativa nella storia del club. Solo in altre due occasioni i "Merengues" avevano disputato 4 partite intere senza segnare, e in entrambi i casi gli allenatori (Boskov e Amancio) erano stati esonerati.
Dalla striminzita vittoria del 22 settembre per 1-0 contro l’Espanyol, il Real aveva smesso di segnare, ma soprattutto di generare occasioni, come segnala il valore degli Expected Goals creati: 1,2 contro il Siviglia, 1,14 contro l’Atleti, 1,8 contro il CSKA, 1 contro l’Alavés.
La scarsa pericolosità offensiva è in realtà la vera cifra del nuovo Real di Lopetegui: negli ultimi 10 anni, i Blancos non avevano mai creato così poco in termini di xG nelle prime 10 partite stagionali (addirittura meno di 2 xG a partita in media).
Per risalire alle ragioni di una così grande siccità realizzativa, bisogna prendere in considerazione due aspetti: uno statistico, l’altro tattico. Per il principio del rasoio di Occam, la spiegazione a questo fenomeno è l’addio di Cristiano Ronaldo: da solo ha effettuato il 25% circa di tutti i tiri nella Liga della passata stagione, più del doppio di qualunque compagno, e addirittura il 36% di tutti i tiri del Real in Champions. In 438 partite giocate in maglia blanca, CR7 ha realizzato 451 gol, quasi il 40% delle reti dell’intero Real Madrid in quelle gare.
Non era ovviamente facile sostituire un calciatore del genere e, come accennato, la dirigenza madridista ha deciso direttamente di non farlo, responsabilizzando gli attaccanti in rosa, in particolare Gareth Bale: in questo inizio di stagione nella Liga il gallese ha effettuato in media due tiri in meno di Ronaldo ogni 90 minuti, è solo quinto nella classifica degli xG ed ha segnato appena 3 gol (uno in meno di Benzema). Forse è facile da dire, ma la scelta del Real di non sostituire la sua macchina sparapalloni non è stata la migliore, e si era intuito sin dall’estate.
Durante le prime amichevoli estive, infatti, Lopetegui aveva provato diverse soluzioni offensive, tra le quali anche Asensio falso nove. La naturale mobilità del giocatore maiorchino creava però dei vuoti nell’area avversaria: Asensio tende ad abbassarsi e a svariare sulle fasce. Il problema del tridente Bale - Benzema - Asensio è la loro naturale predisposizione a cercare il pallone: persino il gallese ha la tendenza ad attaccare gli spazi, ma sempre in transizione, quasi mai in attacchi posizionali.
Per questo Florentino ha deciso di riportare a casa l’attaccante dominicano Mariano Díaz negli ultimi giorni di mercato: predatore d’area, finalizzatore naturale, ottimo colpitore di testa, buon attacco della profondità ma comunque in grado di giocare anche in posizione più esterna. Buon giocatore mai sbocciato, ha giocato il suo primo campionato da titolare a 24 anni, nel Lione, segnando 18 gol in 34 partite di Ligue 1. Ha giocato la sua prima partita interna nella sconfitta interna con il Levante di pochi giorni fa, lui dovrebbe servire al Real per segnare i gol sporchi, che spalancano o aggiustano le partite, quelli che Cristiano segnava sempre. Non la più facile delle missioni.
Una partita in cui la Casa Blanca è stata letteralmente travolta: pochissime verticalizzazioni, con i passaggi all’indietro di Kroos a Ramos come percorso principale, e quasi nulle combinazioni tra i tre attaccanti. Una squadra che non sa più andare dritta.
Al di là delle statistiche, quello che si nota in campo è la mancanza di pattern di gioco offensivi: come vuole attaccare la profondità il Real, oltre alle transizioni in campo aperto? Non si capisce più chi dovrebbe garantire l’attacco alla profondità in fase posizionale, e la mancanza di profondità determina a sua volta che le due coppie Kroos-Modric e Ramos-Varane si sistemino più in basso di quanto dovrebbero, con il risultato di allungare troppo la squadra.
Il derby contro l'Atleti è la partita più indicativa dei problemi dei "Merengues" con la palla: l'ampiezza non crea grandi pericoli sulle fasce né permette di allargare la difesa avversaria per attaccare i mezzi spazi; l’unica vera risorsa del Real sono i cambi di campo (splendidi quelli di Sergio Ramos, così come le sue conduzioni palla al piede), che si concludono spesso con un cross (in media 26 a partita), un’arma statisticamente inoffensiva ma almeno utile come sbocco della manovra.
I corridoi di gioco sono occupati bene, ma con giocatori a caso: Benzema ha fatto un movimento ad uscire sulla fascia e sta andando incontro al pallone, occupando addirittura la zona di Odriozola che è fuori inquadratura; Bale si muove verso il pallone, così come Ceballos. Non si capisce chi dovrebbe attaccare la profondità, né come: l’Alavés così può salire comodamente verso il pallone, difendendo molti metri davanti alla propria area. Varane in possesso ha pochissime soluzioni, se non quella di servire Sergio Ramos. Fa effetto scriverlo, ma questo del Real Madrid è tiki-taka (gioco di posizione nell’accezione negativa): passarsi il pallone tanto per passarselo, senza riuscire a disordinare l’avversario.
La difficoltà nel determinare routine di gioco offensivo sta trascinando tutta la squadra, e in particolare i centrocampisti, in un vortice di orizzontalità - e si fanno sempre più forti i paragoni tra il Real di Lopetegui e la Spagna ai Mondiali. Gli Expected Assist di tutti i centrocampisti sono crollati, ma mentre Kroos rimane il perno del centrocampo, Modric sembra vagare per il campo senza idee. In un contesto così complicato, Isco può diventare un riferimento fondamentale: nella partita contro l’Athletic, ad esempio, la sua entrata ha permesso al Real di avere un punto di riferimento da servire dal centrocampo in su. Un riferimento necessario per indicare un porto sicuro, un giocatore che faccia respirare la squadra con il pallone e che sia garanzia di non perderlo. Ma sono solo modesti palliativi per una squadra che ha cominciato ad avvolgersi nel manto della sua stessa crisi.
In un crescendo quasi insensato di problemi autogenerati, nelle ultime partite Lopetegui ha cominciato a perdere la bussola, alternando moduli - dal rombo fino al 3-4-3 - e giocatori: il 4-4-2 contro l’Atletico di Simeone con Ceballos esterno sinistro, la chiusura della partita contro l’Alavés con Vinicius - Asensio - Mariano come tridente offensivo, per finire contro il Viktoria Plzen con Lucas Vázquez terzino destro. Persino l’alternanza Navas - Courtois sembra generare problemi, con l’errore del belga contro l’Alavés e una sensazione generale di insicurezza nelle ultime partite; e nel frattempo sono arrivati anche gli infortuni, in particolare quello di Marcelo, ormai vero riferimento offensivo della squadra. Il brasiliano era in campo solo nella sconfitta di Siviglia: è tornato contro il Levante per segnare il gol che ha interrotto l’incredibile striscia di astinenza, caricandosi sulle spalle anche il peso realizzativo (anche in Champions contro il Viktoria Plzen), oltre al solito creativo (la produzione di xG infatti è aumentata a ben 2,5, con addirittura 28 tiri verso la porta).
Capolavoro anti-difensivo di Marcelo, che prima sbaglia il passaggio con sufficienza, poi rimane fermo mentre ben due giocatori del Siviglia attaccano lo spazio alle sue spalle.
Allo stesso tempo, Marcelo rappresenta anche il più grande vulnus della fase difensiva del Real, tanto che, attaccando la profondità alle spalle del brasiliano, il Siviglia ha realizzato due gol su tre, l’Athletic ne ha segnato uno, il Girona uno, l’Atleti in Supercoppa Europea uno. Gli avversari infieriscono tutti da quel lato, ma la presenza di Marcelo è indispensabile sia per la creazione che per la riaggressione alta. Il problema è che se più niente funziona, i pregi dei singoli tendono a scomparire per mettere in mostra solo i (rari) difetti.
Se non ora quando?
La crisi madridista ormai si sta mangiando tutto il resto, creando una pericolosa spirale: le disattenzioni individuali stanno raggiungendo livelli comici (come l’assist di Kroos per il gol del CSKA, o lo spaesamento di Varane su un normale lancio lungo per il primo gol del Levante), determinando difficoltà ulteriori nella partita, e generando mancanza di convinzione della squadra. Non c’è più nessuno strumento tattico che aiuti la squadra a sentirsi comoda, neppure un lancio lungo, neppure i calci piazzati, in cui il Real degli ultimi anni ha sempre raggiunto livelli d’eccellenza.
Le voci di esonero di Lopetegui sono sempre più insistenti, e a questo punto potrebbe essere il Clásico del prossimo weekend a deciderne il futuro: per ora la sorte sembra averlo premiato con l’assenza di Messi, ma nel frattempo le voci sui suoi possibili sostituti non accennano a fermarsi. Tra i candidati, due profili opposti: da un lato Antonio Conte, che porterebbe in dote il suo gioco di posizione iperverticale - magari aiutando a risolvere l’eccessiva orizzontalità del gioco madridista - ma anche la sua esigenza di estremo lavoro tattico-fisico, a cui questa rosa non è mai stata abituata e che determinerebbe una probabile immediata sommossa; dall’altro, Santiago Solari, sostanzialmente la replica dello schema Zidane: si prende un allenatore normale, si creano le condizioni per il fallimento, lo si esonera per promuovere l’allenatore della squadra B, ex giocatore del Real Madrid dei Galacticos.
Ad occhio e croce sembrerebbe una mossa quasi cabalistica, ma è pur vero che il realismo magico madridista ci ha ormai abituati ad eventi e situazioni mai viste prima. La mossa più suggestiva sarebbe il ritorno di Guti dalla Turchia, dove al momento è vice allenatore del Besiktas: ma quest’estate ha abbandonato la "Casa Blanca" perché non sentiva più la fiducia del club, nonostante i suoi successi alla guida della squadra Juvenil A (la nostra Primavera).
La sensazione è che la fine di Lopetegui sia strettamente questione di tempo. Il tempo che la squadra di Zidane dominava come in un film di Hollywood, in cui l’eroe salva la Terra da un asteroide che sembra andare lento come una lumaca, in attesa appunto che si verifichi il salvataggio:negli ultimi 3 anni certe partite di Champions aspettavano solo di essere vinte dai "Merengues".
Con Lopetegui invece il Real sembra essere uscito dallo show ed essere incapace di inclinare il piano dalla sua parte. Forse il problema è proprio la mancanza di tempo: non ce n’è abbastanza per ricostruire tatticamente la Casa Blanca dalle fondamenta. Forse le grandi squadre saranno davvero sempre più un gruppo di grandi solisti tenuti insieme da relazioni deboli e da tattiche modellate semplicemente sulla base della singola partita: il calcio liquido di Zidane magari era davvero un'anticipazione del futuro. Un calcio dalle identità tattiche sempre meno forti, ma con accumuli di talento mai visti prima: persino il Barcellona sembra ormai andare in quella direzione.
Forse non è davvero tutta colpa di Lopetegui (soprannominato addirittura zombie dai vertici societari), ma ormai non c’è più tempo per scoprirlo: solo un grande Clásico può salvare un allenatore dal destino segnato.