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Reazione d'orgoglio
09 giu 2016
Riponete le scope, i Cleveland Cavaliers sono ancora vivi.
(articolo)
11 min
(copertina)
Foto di Jason Miller/Getty Images
(copertina) Foto di Jason Miller/Getty Images
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La notizia più importante di gara-3 è che i Cleveland Cavaliers sono ancora vivi. Pur con un colpevole ritardo di due partite, LeBron James e compagni hanno ribaltato il blowout di gara-2 con una delle migliori partite della stagione, facendo registrare la più grossa variazione nel risultato finale tra due gare consecutive nella storia delle Finali NBA: 63 punti.

Il miglior quarto della stagione

Data l’assenza per commozione cerebrale di Kevin Love, Cleveland è stata costretta a mischiare le carte in tavola inserendo Richard Jefferson in quintetto e preparando l’imboscata perfetta per gli Warriors. Nei primi 12 minuti di gioco Cleveland ha espresso il miglior gioco finora espresso contro Golden State: è andata in vantaggio di 20 punti, ha costretto Steph Curry a uscire per problemi di falli con nemmeno un canestro fatto e, in generale, ha funzionato alla grande tutto quello che Tyronn Lue ha provato a mettere in campo per ribaltare la serie.

I Cavs sono partiti subito con un’intensità e una ferocia che avevano mostrato raramente in questa post season (anche perché non ne avevano avuto grosso bisogno). Come analizzato nelle precedenti duegare, il piano difensivo di Cleveland c’era, ma non era eseguito a dovere; i Cavs invece in gara-3 hanno iniziato a ruotare sui blocchi con la bava alla bocca, sono usciti fortissimo sugli scarichi avversari e in men che non si dica 4/5 del quintetto avversario si è ritrovato fuori ritmo e fuori dalla gara.

LeBron James, dopo due prestazioni difensive ai limiti dell’indecenza, ha cambiato completamente atteggiamento e ha agito da allenatore in campo: più volte durante la partita si poteva sentire la voce di James chiamare i blocchi ai compagni, e lui per primo si è espresso su livelli difensivi che non toccava da tempo.

Tutta la difesa dei Cavs mantiene attentamente le distanze e il contatto diretto con l’uomo, tranne James, usato come “libero” vicino al pitturato nell’occasione. Appena Iggy effettua il passaggio giusto per Green, LeBron sprinta come non aveva fatto nelle partite precedenti. Se il tuo leader compie sacrifici del genere in difesa, il resto della squadra è costretta a fare altrettanto.

Ma oltre a presentarsi con un quintetto e un linguaggio del corpo completamente diverso, Lue ha preparato la partita in maniera sorprendente. Durante il primo quarto Cleveland ha offerto una varietà di soluzioni in attacco senza che Golden State potesse trovare una risposta valida: Bogut si è ritrovato spesso a dover mettere una pezza, ma le sue condizioni fisiche (precarie da un paio di mesi, oltre ai limiti di mobilità intrinsechi del suo corpaccione) ne hanno fatto la vittima sacrificale.

A questo si aggiunge una serata ispirata al tiro di Kyrie Irving, un JR Smith che aspetta la partita prima di forzare i tiri contestati che sono il suo marchio di fabbrica, e un Tristan Thompson rinvigorito e in versioni Finali 2015. Tutta la partita è ruotata attorno al primo quarto, a differenza delle precedenti due dove i Cavs avevano provato solo a restare a contatto, ma senza dare l’impressione di aver imposto il loro gioco.

L’intensità dimostrata nel primo periodo è però calata vistosamente nel resto della partita: già nei successivi 12 minuti Kyrie e LeBron hanno combinato per un imbarazzante 2/17 dal campo — ma ormai la partita era già indirizzata e ai Cavs è bastato gestirla mantenendo un buon livello di intensità.

Fermare l’MVP

Non avendo le risorse difensive per arginare Curry in difesa, Lue ha provato a somministrargli la stessa dose di veleno che il MVP ha usato per scherzare Kyrie nei primi due round della finale: tutti gli attacchi dei Cavs si sono basati sul puntare Curry, nessuno escluso — dai tagli backdoor ai blocchi sulla palla fino al portarlo in post appena provava a cambiare su un blocco. Non c’era modo di nascondere Curry in nessuna parte del campo e su nessuna marcatura: i Cavs mandavano sistematicamente il giocatore difeso da Curry al centro dell’azione, riuscendo a segnare a ripetizione nonostante un attacco non così immaginativo.

Kyrie attacca Curry non appena Cleveland parte dalla propria area. In seguito aspetta i due blocchi di Tristan Thompson nel pick and roll per creare abbastanza separazione. Il doppio blocco in oggetto è stata una soluzione adottata numerose volte in gara-3.

Risultato: Curry è apparso estremamente stanco e poco lucido sin dai primi minuti di gioco (0 canestri fatti nella prima frazione di gara), innervosito per tutti i canestri subiti “in faccia” (chiude con 6 palle perse, ma tutti gli Warriors ne hanno collezionate 18, la maggior parte dei quali non erano nemmeno forzate), ed è stato costretto ad uscire per falli. Lue ha approfittato dell’assenza dell’MVP per far riprendere fiato a LeBron e ha fatto attaccare Kyrie con maggior insistenza, consapevole che difficilmente gli Warriors avrebbero potuto stanarlo in difesa. In questo modo Curry è uscito dalla partita e non vi è rientrato fino al terzo quarto, quando però il disavanzo era già ampiamente in doppia cifra. Sorte simile è toccata a Klay Thompson, azzannato da LeBron ad ogni occasione e da un ritrovato JR Smith.

Quando Kerr ha schierato il Death Lineup a 7:36 rimasti sul cronometro del 3° periodo, si poteva percepire che qualcosa non andava. Fino a quel momento Steph aveva il doppio delle palle perse rispetto ai punti segnati, nessuno dei Warriors sembrava particolarmente ispirato e gli avversari non sembravano andare nel panico alla ricerca della contromossa da fare. Dopo i primi 4 possessi offensivi della DL (terminati con un canestro segnato e 3 palle perse), anche Kerr ha alzato bandiera bianca inserendo Varejao e concedendo minuti di riposo via via a tutti i titolari, sfumando pian piano nel garbage time del quarto periodo.

TT, RJ, JR: non gli eroi che volevate, ma quelli di cui i Cavs avevano bisogno

La svolta per Cleveland è arrivata anche da un’altra brillante intuizione di Lue: a differenza delle precedenti partite i Cavs non hanno giocato per mettere in ritmo le loro stelle, ma per inserire nella serie tutti gli altri. LeBron e Kyrie sono due giocatori favolosi in isolamento, e sebbene LeBron sia un passatore fenomenale e oltremodo altruista, quello non era il modo per far accendere i compagni. Gli Warriors hanno aspettato per due gare filate uno scarico di LeBron verso l’esterno, dove Barnes, Green e Thompson potevano recuperare velocemente e chiudere ogni via verso il canestro — perciò i Cavs in questa partita hanno giocato nel modo opposto.

Thompson è tornato ai livelli dell’anno scorso semplicemente modificando la sua posizione in campo. Il suo posizionamento molto lontano da canestro ha sortito due effetti rilevanti:

  • Ha allontanato Bogut da sotto il canestro di quei due passi in più e, dati i suoi acciacchi, ha vanificato ogni suo tentativo di aiuto in area. I Cavs sono riusciti a tirare con il 59% in area a differenza del 46% della scorsa partita e del 53% che in media gli Warriors concedono in quella posizione.

  • Ha permesso a Thompson di andare a caccia di rimbalzi offensivi partendo da lontano invece che in posizione statica, dove pecca di forza nella parte inferiore del corpo. Numerose volte nella partita abbiamo visto LeBron e Kyrie attaccare il ferro non allontanandosi dall’aiuto come sarebbe logico fare, ma andandoci incontro, quasi volendolo cercarlo. Quelli che all’apparenza sembravano tiri orribili si sono rivelati una trappola ben posizionata.

Non appena Green lascia il contatto visivo con TT per andare ad aiutare su LeBron, Thompson si insinua nello spazio lasciato libero tagliando fuori due giocatori avversari, raccogliendo il rimbalzo in posizione privilegiata, segnando e subendo il fallo. TT ha chiuso con 7 rimbalzi offensivi e 17 opportunità di rimbalzo in attacco, numeri eccellenti.

Dall’altra parte, JR Smith è uno dei giocatori più inconsistenti che la pallacanestro abbia mai visto: ci sono partite in cui fa più danni della grandine e in linea di massima non vorresti mai affidarti alle sue lune in una Finale NBA.

Per dire, questo è il suo grafico di punti segnati in stagione per ogni partita: quando si dice la continuità di rendimento.

Però ieri JR era semplicemente in serata di grazia. Al di là dei numeri messi a referto (20 punti col 53% dal campo e 5/10 da 3), JR è stato il secondo miglior difensore sull’uomo dopo LeBron, ha aspettato il suo momento per forzare i tiri e una volta entrato in ritmo è stato una rogna in più per la difesa di Golden State. Nel terzo quarto, quando per Cleveland si era accesa la spia rossa della benzina, JR è entrato in ritmo sparando due triple consecutive che hanno spento sul nascere la rimonta Warriors e hanno riportato il vantaggio verso i 20 punti invece che verso i 10. Kyrie è sicuramente un distributore di gioco insufficiente, ma per non si sa bene quale congiunzione astrale la sua intesa con Smith è eccellente.

Richard Jefferson ha invece confermato le precedenti buone prestazioni, rivelandosi il 4 tattico di cui le squadre di LeBron hanno tremendamente bisogno. RJ non sarà mai Shane Battier perché non è così affidabile al tiro così come non ha minimamente la versatilità dell’ex Miami in difesa, ma si sta dimostrando attento in difesa e risponde pronto ogni volta che arriva uno scarico per lui.

Golden State cambia le sue lune difensive a seconda di quanto Green riesca a dimenticarsi del diretto marcatore per stare vicino all’area, ma finora Jefferson gli ha sempre fatto pagare queste leggerezze: anche se ieri ha tirato “solo” 1/3 da dietro l’arco, ma la sua presenza si è sentita un po’ ovunque.

E adesso possiamo pure raccontare ai nipoti di aver visto Jefferson schiacciare nelle finali NBA del 2016

Gioco di scacchi

Dopo aver visto i suoi pedoni mangiati uno dopo l’altro nelle prime due partite, Lue ha ribaltato tatticamente la gara e Kerr deve pesare attentamente le sue mosse. Gara-4 sarà un crocevia fondamentale per queste Finali: se i Cavs dovessero vincere anche quella si tornerebbe a Oakland con tutte le pressioni sui campioni in carica e l’inerzia pesantemente in favore del Prescelto e il popolo del lago. Se invece gli Warriors dovessero vincere, per i Cavs si aprirebbe uno scenario disastroso: obbligati a vincere 3 gare di fila contro gli Warriors, di cui due in trasferta — tra cui gara-7.

I Cavs hanno tenuto Steph, Klay e Green a 35 punti totali, il minimo in stagione per i Big Three dei campioni in carica e come scritto in precedenza non è stata una semplice serata storta al tiro. Ma nonostante la pesante sconfitta, ci sono numerose indicazioni che possono far tornare il pronostico pesantemente a favore della Dub Nation. L’effort di Cleveland nel primo quarto è finito molto in fretta, facendo tornare sulla terra le percentuali di tutti e facendo avvicinare gli Warriors per un paio di volte in singola cifra nel risultato. Inoltre, sebbene questa sia stata la prima partita di LeBron oltre il 50% in finale contro Golden State, la presenza di Green da 5 lo ha tormentato a tal punto da farlo desistere e tornare a sfruttare il suo tiro in sospensione, che ieri sera ha funzionato ma che è tremendamente incostante ormai da qualche anno. Se la scelta spettasse a Golden State, scommetterebbero grossi soldi contro il jumper di LeBron piuttosto che contro la sua capacità di concludere al ferro.

È però giunto probabilmente per Kerr il momento di muovere la regina al centro della scacchiera, togliendo Bogut dal quintetto titolare (fisicamente sembrava davvero un pesce fuor d’acqua) e inserendo Iguodala. L’anno scorso in gara-4 Kerr fece esattamente la stessa cosa e gli valse un titolo NBA: sarà molto probabile vederlo già a partire dalla prossima partita, perché ora non si scherza più.

Il quintetto titolare di Cleveland ieri ha fatto quello che voleva: 124 di rating offensivo e 82 di difensivo (!), riuscendo a surclassare gli Warriors di 42 punti per 100 possessi. Ma il Death Lineup sin da subito può pareggiare l’intensità di Cleveland a inizio gara e trovare aggiustamenti e incastri perfetti. Green e Iguodala possono prendersi stabilmente LeBron, negandogli l’area e sfidandolo continuamente al tiro; Tristan Thompson avrebbe più difficoltà a sfruttare gli spazi a rimbalzo perché Harrison Barnes si è spesso trovato in situazioni di taglia fuori contro giocatori più grossi e più bravi di lui (Zach Randolph, per fare un esempio) uscendone da vincitore; e la presenza di Iguodala in campo rende immediatamente più complesso qualunque tentativo di isolamento in attacco, oltre alla minaccia di veder prendere ritmo agli Splash Brothers partendo lontani dalla palla, che non continueranno a essere così silenti per sempre.

Tyronn Lue non si è dimostrato il galoppino del Prescelto o un figurante come molti lo hanno apostrofato dopo le prime due gare, ma per un coach con nemmeno un anno di esperienza ha saputo mischiare quintetti e strategie in modo sorprendente. D’altro canto però, le frecce nella sua faretra stanno finendo in fretta: sebbene l’assenza di Love gli abbia semplificato il compito degli aggiustamenti — ma non per questo i Cavs “giocano meglio” o “sono più forti”: senza Love sono semplicemente più adatti a difendere contro questi avversari perché danno meno punti di riferimento e sono più mobili e reattivi sui cambi e sui palloni vaganti, ma perdono di variazione offensiva — adesso i Cavaliers sono costretti a spremere ogni goccia di sudore dal resto del roster, non ultima una panchina da zero punti nei primi tre quarti. Ma se non altro la partita di ieri ha dimostrato che questi Cavs sono vivi e sono in grado di rimanere in campo — e queste sono due notizie a cui i Cavs devono aggrapparsi con le unghie per affrontare e battere di nuovo la miglior squadra del pianeta già in una gara-4 che segnerà la serie in un modo o nell’altro.

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