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La maledizione di Stefan Schwoch
19 nov 2024
Qualcosa sembra sempre mettersi in mezzo tra gli attaccanti e il suo record di gol in Serie B.
(articolo)
10 min
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"Ma come fate ora a vivere e a morire senza qualcosa da inseguire?", si chiedeva Giorgio Gaber in 1981, riferendosi certamente a qualcosa di più grande rispetto a un banale record di gol. In Serie B, ormai dal 2008, c’è un uomo che guarda tutti dall’alto in basso: per scalzare Giovanni Costanzo ci erano voluti 60 anni, ma alla fine Stefan Schwoch era riuscito ad arrampicarsi oltre quei 130 gol segnati prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Lo aveva fatto con una pazienza certosina, mattoncino dopo mattoncino, senza avere davvero mai la chance per esprimersi al meglio in Serie A. Solo metà stagione a Venezia, dove aveva preso per mano la squadra l’anno prima nella cavalcata promozione, dopo essersi messo in mostra al Ravenna: resteremo per sempre con il dubbio, a chiederci cosa sarebbe stato Schwoch potendo avere al suo fianco Alvaro Recoba dal gennaio al giugno del 1999. E quindi Napoli, Torino, una vita al Vicenza, fino a quota 135 gol in Serie B.

L’assalto al primato adesso è guidato da Massimo Coda, la versione anni Dieci e Venti di quegli attaccanti specializzati nel guidare squadre protese verso la promozione in Serie A: ma su quel 135 incombe una maledizione e Coda, che inizia ad avere 36 anni sul groppone, non solo sembra intrappolato in una stagione altalenante della Sampdoria, ma sta anche facendo i conti con un infortunio muscolare che fa pensare che quel record possa essere davvero segnato dal destino. Con un lieve gusto sadico, a novembre di un anno fa, Schwoch si era lanciato in una profezia: «Sarei bugiardo a dire che non tengo al record. Se non dovesse batterlo Massimo, però, per me durerà altri 20 anni: per me lui è l’unico che può riuscirci», aveva detto a TMW Radio. Sono passati dodici mesi, a Coda mancano solo quattro gol. Facile? Chissà. Ma per fare il punto, alle spalle di Coda, tra i giocatori che attualmente militano in Serie B, il secondo è Leonardo Mancuso a quota 74.

È una vita strana, quella dei bomber di Serie B. Giocatori estremamente performanti a quel livello e spesso incapaci di incidere una volta fatto il salto. Esiste poi una categoria a parte, giocatori che spuntano qua e là nella top 20: attaccanti semplicemente troppo forti per rimanere confinati in B, e per questo non in grado di andare a scalzare Schwoch. E così al settimo posto troviamo Francesco Tavano (119 gol in 274 presenze), al nono Francesco Caputo (117 in 300), al decimo Dario Hübner (116 in 234), all'undicesimo Marco Ferrante (114 in 324), al sedicesimo Emanuele Calaiò (107 in 289), al diciannovesimo Igor Protti (100 in 263), tutta gente che nel peggiore dei casi vanta una quarantina di gol in Serie A.

Nell’immaginario collettivo, Schwoch è ancorato alla figura dell’attaccante di rapina, qualità che indubbiamente faceva parte del suo repertorio, ma è un ritratto parziale, riduttivo, persino ingeneroso. C’è molto altro da tenere in considerazione nel racconto dell’ex attaccante di Napoli e Vicenza. Dopo una prima parte di carriera spesa a smentire quelli che lo ritenevano inadatto al calcio professionistico, per via di una stazza decisamente distante dal concetto di numero 9 che si aveva negli anni Novanta (con tanto di mezza stagione giocata da terzino sinistro in C2), Schwoch aveva sviluppato un primo tocco sensibilissimo, che gli permetteva davvero di fare la differenza. Il controllo di palla del bolzanino era sempre orientato verso la porta, che servisse per allungare la corsa dopo aver attaccato la linea del fuorigioco o per girarsi dopo aver ricevuto spalle alla rete. Non a caso, uno dei riferimenti tecnici più abusati per descriverlo è quello di Romario, un altro centravanti totalmente atipico, dalla struttura fisica insignificante rispetto ai “nove” (e ai centrali difensivi) dell’epoca.

«Romario è il calcio, perché il calcio è soprattutto inganno e nessuno inganna meglio di Romario», disse Jorge Valdano. Una citazione che può essere usata perfettamente anche per Schwoch, che con i suoi controlli faceva sparire e riapparire il pallone tra le gambe di difensori banalmente troppo legnosi per contenerlo. Baricentro basso e capacità di trovare la porta con conclusioni quasi mai potenti ma sempre pensate, ragionate, Schwoch è stato un’icona anche sotto il profilo estetico: il capello lungo, indomabile, tenuto insieme soltanto da un misero elastico, la barba a volte incolta a volte assente, un’apparente sciatteria che lo rendeva in realtà irresistibile. Viene da pensare che in Serie A, se andiamo oltre quelle 14 presenze col Venezia, sarebbe stato davvero fuori dalla sua zona di comfort: quel vantaggio che riusciva a creare in B, contro difensori non del suo livello, sarebbe stato difficile da riprodurre nell’epoca d’oro del calcio italiano, al cospetto dei vari Cannavaro, Nesta, Thuram, Maldini e via dicendo.

Per sopravvivere ad alti livelli anche in Serie B, però, Schwoch doveva fare mediamente più fatica rispetto agli attaccanti più fisici. Ogni gol era un’invenzione, il frutto di qualcosa di complesso, che fosse la scelta di tempo per mettere il piede su un cross rasoterra o una corsa in profondità per cogliere alle spalle i centrali. Anche per questo, la sua media gol è comunque la più bassa della top 10 della classifica dei migliori realizzatori della Serie B, con l’unica eccezione di Dionisi (0,36 contro 0,31).

Soltanto nell’anno di Napoli, stagione 1999-00, si è inerpicato sopra quota 20 gol: non a caso, era un gruppo progettato per fare un campionato di vertice, pur essendo salito in A quasi all’ultimo respiro. Al suo fianco, una punta più fisica come Stellone in una squadra che poteva contare anche su un guastatore come Bellucci, su un’ala raffinatissima per la categoria come Turrini, su qualche sprazzo crepuscolare di "Spadino" Robbiati e Antonino Asta. Senza avere gli occhi di tutti addosso, Schwoch aveva giocato una stagione sulle nuvole, leggerissimo, idolatrato dal pubblico azzurro che lo aveva eletto a nuovo re.

Suo il gol promozione a Pistoia: la corsa sotto il settore ospiti traboccante, l’abbraccio con Miceli. Nemmeno dopo una stagione del genere si era guadagnato la chance di giocare al piano di sopra: prima un anno al Toro, poi la storia d’amore col Vicenza, sette stagioni e 74 gol in B, quelli necessari per raggiungere il record ma non a riportare i biancorossi in A. «Mi sono domandato tante volte perché non abbia mai avuto un’occasione reale in A, se non quei quattro mesi a Venezia. Ogni volta che vincevo un campionato, mi chiamavano per comunicarmi che era arrivata una richiesta per me, che l’offerta era troppo buona. Io non ho mai messo i bastoni tra le ruote, non mi piaceva rimanere da indesiderato: se una società ti vuole tenere, non ti dice neanche che ci sono offerte per te, le rifiuta e basta», ha confessato a Football & Life con un pizzico di malinconia.

Schwoch che racconta il suo anno e mezzo a Napoli accarezzando ogni tanto la splendida maglia Nike dell’anno della promozione.

La maledizione

Il record di Schwoch sembrava destinato a cadere nel 2018, sotto un fuoco incrociato, quello di Daniele Cacia, nella differenza di efficacia tra Serie A e Serie B forse il più puro erede del bolzanino, e di Andrea Caracciolo, esemplare decisamente diverso dagli altri due, uno che avrebbe divorato questa classifica se avesse speso i suoi anni migliori in cadetteria. Sono esattamente le due tipologie indicate in precedenza.

Nella stagione 2017/18, il sorpasso per Cacia sembrava una formalità: era arrivato a Cesena con quattro gol da recuperare su Schwoch e ne aveva segnati due a metà settembre, lasciando pensare che si trattasse davvero di una questione di settimane. Una lesione al polpaccio lo aveva frenato sul più bello e allora era scattata la maledizione: un solo gol nella seconda metà di stagione, lasciandolo così fermo a -1. Quando era arrivato a 133 gol, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, aveva spiazzato tutti, quasi più di quando aveva deciso di rinunciare ad avere un procuratore: «Questo mondo non mi piace più. Il calcio è stata la fortuna della mia vita, ma alcune cose sono poco apprezzabili. C’è troppa ipocrisia tra calciatori, dirigenti e procuratori. Per carità, sono nel giro da 18 anni e ci sono saputo stare. Ma alla lunga fatichi a sopportare tanta falsità. […] Nel calcio, se dici al 90% quello che pensi, non vai bene».

A differenza di Schwoch, le occasioni in A per Cacia non erano mancate, anche se gli infortuni traumatici ne avevano segnato la carriera: il perone fratturato a 19 anni quando era in prestito alla Ternana, il malleolo rotto nel 2007 dopo aver segnato 32 gol in poco meno di due stagioni a Piacenza in B, con tanto di chiamata della Fiorentina; di nuovo la frattura del perone alla sua seconda esperienza in A, con il Lecce. Da quel momento, Cacia aveva iniziato il suo peregrinare: Reggina, Piacenza, Padova, Verona (dove vinse la classifica dei cannonieri), Bologna, Ascoli, quasi sempre in doppia cifra di gol, garanzia di qualità per chi voleva fare una Serie B ambiziosa. Dopo Cesena, a 36 anni, si era ritrovato a ripartire dalla Serie C, dal Novara, senza avere l’opportunità di un ultimo giro di giostra per restare nella storia.

Anche il mancato aggancio di Caracciolo a Schwoch ha un qualcosa di misterioso, di inafferrabile. Abbastanza tecnico nonostante la stazza imponente, dopo un inizio di carriera da difensore centrale era stato spostato in attacco e non aveva più smesso di fare gol. La prima doppietta in A a soli 21 anni, un prestito infruttuoso a Perugia prima di tornare alla base e scoprirsi attaccante da doppia cifra, prima con Baggio a girargli attorno, poi con tanti compagni di ventura incapaci di tenere "le Rondinelle" in Serie A. Quindi Palermo, undici gol in stagione, l’Europa, infine un amore mai sbocciato del tutto con Guidolin.

Fino al gennaio del 2008, Caracciolo non mette mai piede in Serie B. Lo fa quando, dopo sei mesi negativi alla Sampdoria, arriva, di nuovo, la chiamata dell’amato Brescia. Otto gol in cinque mesi, poi 15, poi 25. Il mito di Caracciolo in Serie B nasce in queste stagioni. Riconquista la A, ci rimane un anno col Brescia e uno a metà tra Genova e Novara. Ma Brescia è casa, nell’estate 2012 è di nuovo lì, a lavorare per cercare di riportare i lombardi in Serie A. Si aggira tra le difese della cadetteria con il suo corpo fuori misura, le braccia spalancate a riportare alla mente il volo dell’airone dopo ogni gol. Sono altre sei stagioni in doppia cifra, sfidando anche l’incombere del tempo che passa. A 37 anni, Massimo Cellino, diventato patron del club, con il contratto in scadenza gli offre un’alternativa: «Lascia il calcio, diventa il nostro Nedved». Ma Caracciolo non si sente ancora pronto a smettere e inizia a guardarsi altrove.

Un uomo ossessionato dal record di Schwoch prenderebbe tempo con l’obiettivo di rimediare un ingaggio in Serie B, forte dei 13 gol dell’anno precedente. Caracciolo se ne frega, scende in Serie C, alla Feralpisalò: «Quando avevo 14 anni e giocavo nell’Alcione, ambivo ad arrivare in Serie C: non avrei mai pensato di fare la carriera che ho fatto. Giocavo difensore, poi al San Colombano, Paolo Sollier mi guardò e mi disse che con quelle gambe da fenicottero dovevo per forza fare il centravanti», disse all’epoca in un’intervista al sito di Gianluca Di Marzio, in cui dichiarava di avere comunque il record di Schwoch nel mirino. Non avrebbe più giocato un minuto in Serie B. Oggi è presidente del Lumezzane.

Non resta che Massimo Coda, dunque, per insidiare Stefan Schwoch. Lui sì, che al record ci pensa. Lui sì che ha quella spinta che lo alimenta. Quando gli mancavano 33 reti per raggiungerlo, era già pronto con le tabelle: era appena arrivato al Genoa, reduce da 42 gol in due anni a Lecce, e si diceva convinto di poter ultimare il sorpasso in due anni. A Genova, però, di reti ne erano arrivate solamente dieci, e allora aveva rilanciato a Cremona: «La vivo serenamente, sono consapevole di poterci arrivare ma non deve diventare un chiodo fisso, bensì uno stimolo per fare bene», aveva detto a Sky.

Adesso, con la Samp lontana dalla vetta e un mese da dover passare ai box per un problema muscolare, forse i fantasmi della maledizione di Schwoch sono arrivati ad agitare anche le sue notti.

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