All’inizio degli anni ’80, la NBA istituì un premio preso in prestito dalla NFL e chiamato “Comeback Player of the Year”. L’idea era di premiare un giocatore reduce da un brutto infortunio o da non meglio precisati “eventi fuori dal campo” (leggi: problemi di droga e/o alcol) che riusciva a rimettersi in sesto e a tornare ad avere impatto sul parquet. Il premio è durato solo sei stagioni prima di trasformarsi nell’attuale e più politicamente corretto “Most Improved Player”, ma se oggi esistesse ancora con la vecchia denominazione, il candidato principale alla vittoria sarebbe senza ombra di dubbio Nick Young.
Comincio questo pezzo facendo un mea culpa: dopo la passata stagione ero convinto che i giorni di Nick Young con la maglia dei Los Angeles Lakers fossero finiti, e che solamente un taglio avrebbe potuto risolvere la situazione per entrambe le parti. Anzi, lo stesso Young era convinto che sarebbe andata così. D’altronde la stagione 2015-16 era stata nettamente la peggiore della sua carriera, con il minimo di punti segnati (7.3), nelle percentuali dal campo (33.9%) e soprattutto da tre punti (32.5%). Per uno come lui — che deve il suo posto in NBA quasi esclusivamente alla capacità di fare la canestra, come direbbero in Toscana — quelle cifre rappresentano l’anticamera dell’oblio, aka il campionato cinese.
Qui la carriera di Nick Young che fa in-and-out dalla NBA.
Eppure nelle precedenti due stagioni ai Lakers non era andato così male, soprattutto nella prima in cui aveva viaggiato a 18 punti di media tirando col 38% su 5.5 triple a partita, superando per la prima volta la soglia del 50% di percentuale dal campo effettiva. Anche se la squadra faceva pietà, sembrava che Nick Young fosse riuscito a trasformarsi nel sesto-uomo-da-punti-istantanei che molti pensavano potesse diventare in uscita da Southern California, quando era stato scelto alla numero 16 dagli Washington Wizards. Solo che l’impatto con la vita dei pro e i soldi che ne conseguono era stato quantomeno complicato, soprattutto per la contemporanea presenza in spogliatoio di un losangeleno come Gilbert Arenas e un altro prankster come JaVale McGee, esattamente i due modelli di comportamento che non bisognerebbe affiancare a un 22enne spaesato con un IQ, diciamo così, non eccelso.
Eppure, anche impegnandosi, non si poteva volere male a Nick Young. O almeno non potevano farlo quelli che avevano visto Second Chance Season, il documentario sulla sua complicata storia familiare — un fratello maggiore ucciso per errore da un colpo di pistola e un altro con gravi problemi psichici dopo l’evento — e sul suo tentativo di diventare un giocatore di college con il nemico-amico Jordan Farmar. Per quel motivo il suo passaggio ai Los Angeles Clippers nel 2012 sembrava poter rappresentare il momento di svolta della sua carriera, avendo finalmente la possibilità di giocare nella sua città e per una squadra con ambizioni di titolo. Durò poco, il tempo di incastonare una memorabile rimonta in gara-1 sul campo dei Memphis Grizzlies prima di svanire sullo sfondo e ritrovarsi a fare i bagagli per una stagione sulla costa Est, agli ultimi Philadelphia 76ers pre-Hinkie.
19 punti con 6/9 dal campo e le triple decisive nel quarto quarto per inaugurare la sua seconda (e ultima) partecipazione ai playoff
Nell’estate del 2013, un po’ a sorpresa, tornarono a farsi vivi da L.A., questa volta sponda Lakers: i gialloviola erano appena rimasti scottati dall’addio di Dwight Howard e gli offrirono un minimo salariale e le luci di Hollywood. Dopo quella prima stagione di successo, nel momento in cui Nick si è guadagnato un contratto quadriennale ha smesso di essere un giocatore per trasformarsi in un meme su due gambe di nome SwaggyP. Tra le più grandi imprese del ritorno di Young in California spicca la storia con Iggy Azalea, rampante quanto abbondante cantante australiana della scena rap con cui, nel giugno del 2015, ha annunciato il fidanzamento ufficiale.
Più o meno in quello stesso istante, coincidenza oppure no, la sua carriera ha iniziato ad andare a rotoli, facendo emergere tutti i limiti di un giocatore innamoratissimo del suo jumper quanto incapace di leggere le situazioni in campo, tanto in difesa quanto in attacco. Nella scorsa stagione Young è stato sempre più impresentabile, prendendo la residenza nella cuccia di Byron Scott - con il quale ha avuto un rapporto burrascoso, tanto che suo padre (ok, non proprio il massimo dell’imparzialità) ha detto di non aver mai visto un coach voler vedere un ragazzo fallire come Scott con suo figlio - e non abbandonandola fino all’estate. Nel frattempo, per tenersi occupato, in una normale serata in albergo con D’Angelo Russell a parlare di donne ammise di aver tradito Iggy con un’altra in una serata in discoteca, senza sapere che il giovane rookie dei Lakers lo stava registrando e mettendo il video su Snapchat. E visto che Internet Non Perdona, dopo qualche mese degli utenti recuperarono quel video e lo pubblicarono, facendo scoppiare un caso durato qualche settimana. Ma uno che ha un cuore del genere e si fa chiamare SwaggyP non può, per definizione, prendersela a male per una cosa del genere - tanto è vero che tra lui e D’Angelo le cose sono tornate rapidamente al sereno.
Al tempo non poteva saperlo, ma quel video è stata la miglior cosa che gli potesse succedere dal punto di vista cestistico — tanto che *TEORIA DEL COMPLOTTO ALERT* viene da chiedersi se i due non lo avessero fatto apposta. La rottura del fidanzamento con Azalea (complice anche un ritorno di fiamma con annessa gravidanza con la ex fidanzata e madre del primo figlio…) e, paradossalmente, la nascita di un rapporto ancora più stretto con D’Angelo Russell (che oggi sembra il suo miglior amico tra i Lakers… !) gli ha aperto uno spiraglio nelle porte dello spogliatoio di L.A., che nel frattempo è stato occupato dal nuovo allenatore Luke Walton.
Non saprei indicare precisamente l’inizio del processo di normalizzazione di Nick Young, ma di sicuro c’entra il figlio del grande Bill: fin da subito Walton gli ha concesso una equa possibilità di guadagnarsi il suo posto in campo durante il training camp, toccando chissà quali corde recondite del suo inconscio. Chissà, magari dopo aver dovuto tenere a bada Draymond Green nello spogliatoio degli Warriors, avere a che fare con Nick gli sarà sembrato facile. Fatto sta che Young, a 31 anni compiuti, da anatroccolo sparapalloni si è trasformato in un cigno con un senso, aggiungendo la lettera D al 3 che già indubitabilmente possedeva. Il segreto sta nel fatto che Young in realtà ha sempre avuto i mezzi fisici per poter diventare un 3&D — anche perché, per essere una guardia, ha quasi sempre un vantaggio di centimetri e chili sui suoi avversari con il corpaccione di due metri per 100 chili che si porta appresso — e una discreta mano anche dalla media, da cui sta tirando col 57% in stagione, il che gli permette di far saltare il difensore, fare uno o due palleggi e tirare mettendosi in ritmo col palleggio. Un movimento mandato a memoria negli anni di USC con coach Tim Floyd.
Quello che mancava era un allenatore che lo indirizzasse nella giusta direzione, che gli dicesse quando e come fare quelle due-cose-due che servivano ad una squadra già piena di guardie che avevano bisogno del pallone, ma che allo stesso tempo gli desse carta bianca per sparare quando se ne presentava l’opportunità (Young tira 9 triple su 36 minuti, solo Curry ne tenta di più tra i titolari). Di fatto, Walton gli ha proposto un accordo che suona più o meno così: “In attacco stai nel tuo angolo e aspetta il pallone: se ti arriva, hai libertà di tirare tutto quello che ti pare. In cambio però nella nostra metà campo mi dai tutto quello che hai. In questo modo, ti prometto che a fine anno avrai il miglior contratto della tua carriera, perché non ci sono così tanti 3&D tanta quanta è la richiesta”. È più o meno lo stesso discorso che LeBron James aveva in testa quando ha chiesto al GM David Griffin di affidargli J.R. Smith, convinto che con i suoi scarichi lo avrebbe fatto diventare nel giocatore che era stato solo per brevissimi tratti nella sua carriera. Però, così come per Young, la domanda resta attuale: chi se lo sarebbe mai aspettato?
E così si arriva a ieri notte, quando Young ha completato il suo processo di J.R.Smith-izzazione segnando il canestro della vittoria contro gli Oklahoma City Thunder, ovviamente a modo suo: cercando in tutti i modi di ricevere il pallone anche a costo di muoversi a caso, ritrovandosi per caso sulla traiettoria del passaggio diretto verso Lou Williams e sparando senza coscienza (dopo una passeggiata di quattro o cinque passi), lasciando cinque secondi sul cronometro. Più o meno tutto quello che non bisognerebbe fare, ma chi siamo noi per giudicare un canestro della vittoria?
Post-partita: “In passato ho visto tanti Laker segnare canestri della vittoria: Kobe, Fisher, Horry. Il mio è abbastanza unico perché l’ho rubato a un mio compagno. Non era disegnato per me, ma rimarrà nei libri di storia”. Peak SwaggyP.
Dopodiché, esultando con i compagni, si è indicato il braccio per festeggiare come il compagno D’Angelo Russell, fuori per un problema al ginocchio, mettendo la parola fine alla loro “faida”. Forse, se oggi Nick Young si è redento e ha trovato il suo senso in NBA, il merito è anche di quel video che poteva concludere la sua carriera.