Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Reggere alla pressione
15 giu 2016
Come l'Olimpia Milano ha vinto il 27° Scudetto della sua storia.
(articolo)
7 min
Dark mode
(ON)

«Cambia tutto vivere sotto pressione. Certe persone le spremi e si svegliano, altre crollano».

(John Milton – L'Avvocato del Diavolo)

Per tutta la durata dei playoff, la questione ricorrente tra molti tifosi e addetti ai lavori era: “Cosa si inventerà l'Olimpia Milano questa volta per complicarsi la vita e non conquistare uno Scudetto che pare già vinto?”. Non era solo una domanda ironica: il ricordo di tanti trofei che erano abbondantemente alla portata dell'EA7 e poi sfumati dopo prestazioni sotto tono era – ed in parte è – molto vivo. In più, questa versione di Milano ha vissuto una stagione di entusiasmanti alti e fragorosi bassi. La conquista dello Scudetto passava dunque dal modo in cui i meneghini avrebbero retto la pressione dell'essere favoriti, prima ancora che da un discorso tecnico o tattico.

In questo senso ci sono stati due passaggi fondamentali in questi playoff che, visti con il senno di poi, rappresentano il crocevia della corsa verso il 27esimo tricolore. Il primo è Gara-4 della semifinale contro Venezia.

Di quell’alieno di Rakim Sanders parliamo tra poco

Sotto 1-2 e in enorme difficoltà contro l’aggressività di Venezia, capace di far emergere tutti i limiti strutturali della difesa avversaria, l’EA7 si rimette sui binari giusti grazie a tre fattori:

  • il dominio a rimbalzo (26 per Venezia, 19 solo per la coppia Batista-McLean) che banalmente porta a giocare più possessi, ma soprattutto serve per tenere mentalmente in partita i due lunghi;

  • il talento serafico di Kruno Simon, che segna 17 punti tra secondo e terzo periodo sempre con l’aria di chi stia passando di lì per caso;

  • un Ale Gentile capace di reagire a tre quarti rivedibili con 11 punti e 3 rimbalzi nell’ultimo periodo, variando le tipologie di conclusioni senza accontentarsi del jumper. A tal proposito, preme sottolineare che “Milano-gioca-meglio-senza-Gentile” è una frase che ha decine di smentite; semmai, sarebbe più corretto dire che “Milano aumenta le proprie chance se Gentile non si intestardisce nel cercare il canestro con una sola soluzione”: state pensando a quanto abbia cercato il tiro dalla media in G3 e G4 di finale? Bravi.

Tradotto: Milano esce dall’impasse in cui l’aveva infilata la Reyer facendo affidamento sulle sue qualità migliori. Sotto pressione si è svegliata e non è crollata. Ed è la stessa cosa che accade nell’altro passaggio chiave della post season: Gara-5 della finale contro Reggio, sul 2-2 e con fantasmi svolazzanti sulla testa. L’avvio di gara al Forum è invece devastante: l’Olimpia passa sulla Grissin Bon con la forza di un uragano, rulla tutto e tutti, affronta il primo quarto con tutto l’arsenale di prepotenza fisica di cui è stracolma. Dopo una sontuosa Gara-2 e aver vissuto una relazione complicata con i ferri del PalaBigi, Gentile reagisce da leader testardo - nel senso buono del termine - e mette nella retina i primi 4 tiri. Neanche il coraggioso tentativo di rimonta reggiana sposta la convinzione di Milano di essersi ormai presa il posto che il pronostico le dava.

Valutazione dopo 10 minuti: 45 a -2.

Gara-6 che decide la serie è la partita più equilibrata delle finali. Lo è perché Reggio dà tutto quello che ha, costringe l’EA7 a un secondo quarto di errori e forzature, ma poi si deve arrendere alla stanchezza, all’impossibilità fisica di scalfire le certezze milanesi.

L’Olimpia conquista così il suo ventisettesimo scudetto probabilmente con la versione meno spettacolare, meno tecnica, meno “bella da vedere” della sua storia, ma tremendamente efficace nel reggere la pressione e nel sapere cosa fare quando la posta in palio si alza. Il tutto riassunto nell’MVP Rakim Sanders, che ha bissato il premio preso l’anno scorso con Sassari - anche se, senza nulla togliere al #21, chi scrive ha votato Mantas Kalnietis, equilibratore anche nei momenti di difficoltà e non a caso sempre in campo quando Milano ha costruito le basi per le sue vittorie. Sanders è uno che quando prende vita diventa a questi livelli un non-umano, uno che non ha un avversario capace di tenerlo 1 contro 1 quando parte verso il ferro, uno che nonostante sia stato tenuto fuori da Repesa in alcune gare di playoff non ha mai davvero perso il ritmo partita.

Ecco, Repesa. Il coach croato non è tipo da mezze misure, da toni di grigio. Non si fa problemi a togliere Sanders dalle rotazioni o Gentile dal campo se pensa che sia la cosa giusta per la squadra. In più di un momento le sue scelte di turnover e di quintetti non hanno convinto, ma alla fine è innegabile che, vedendo il modo in cui la squadra ha reagito al peso dell’essere favorita, è anche merito del modus operandi di Repesa. Se il faccia a faccia post disastro in Eurocup a Berlino è stato indicato dal presidente Proli come il momento in cui la squadra ha ritrovato slancio, è anche per come Repesa l’ha gestito. Il personaggio non piace a tutti, in particolar modo ai tifosi Olimpia: ma se non basta aver vinto Coppa Italia e Scudetto per aumentarne la stima, diventa difficile pensare ad altro. Milano doveva vincere e ha vinto: ma proprio il modo in cui l’ha fatto, finendo anche spalle al muro ma svegliandosi e non crollando, ci insegna che nulla nello sport è scontato o dovuto.

Due parole anche sugli sconfitti. Per il secondo anno di fila la Pallacanestro Reggiana vede gli avversari della finale Scudetto festeggiare tra le mura amiche. Il PalaBigi, fortino praticamente inespugnabile per tutto l’anno, è caduto proprio all’ultimo appuntamento. Resta però la sensazione che il vero treno per il tricolore sia transitato la scorsa stagione piuttosto che in questa: il divario già presente tra i due club è stato acuito dall’impossibilità per gli emiliani di avere tutti a disposizione al 100% per tutta la serie. Gli acciacchi di Aradori, Silins e Lavrinovic e l’indisponibilità di Stefano Gentile hanno costretto ad extra sforzi tutti gli altri, con conseguente perdità di lucidità nelle esecuzioni e incapacità di reagire sul lungo periodo alle sfuriate milanesi. Passata la delusione, cosa resta a Reggio Emilia? Essere ormai nell’élite del basket nostrano è un risultato già di per sé notevole e niente affatto scontato. La sfida è rimanerci, continuare ad essere protagonista: avere un gruppetto di giocatori under 25 e buon appeal per gli stranieri sono elementi di base su cui poter costruire. E sgombriamo il campo dall’equivoco che Reggio abbia ottenuto risultati solo perché ha puntato sugli italiani: i biancorossi sono lì perché hanno puntato su giocatori di valore per la nostra A, che si integrano tra di loro, che sono in piena sintonia con coach Menetti e che sono in profonda simbiosi con la piazza e con i tifosi. Proprio in tal senso le lacrime a fine partita di Rimantas Kaukenas - che anche in questi playoff ha distribuito pillole di saggezza cestistica - sono più significative di quello che la retorica del caso può far apparire.

Ricordiamo che ad aprile questo signore ha compiuto 39 anni

L’anno scorso di questi tempi ci chiedevamo come si potesse chiedere basket di qualità migliore giocando ogni 48 ore, con semifinali e finale al meglio delle sette partite, in palazzetti spesso inadeguati per giocatori, tifosi e media. Dodici mesi dopo sono questioni ancora irrisolte. Non solo: gli evidenti limiti organizzativi di Lega e FIP sono emersi anche nella contemporaneità di Gara-6 con Italia-Belgio degli Europei di calcio. Pur sapendo - dando per scontato che qualcuno ci abbia effettivamente pensato a dare un’occhiata al calendario di Euro 2016, peraltro… - della possibile concomitanza da settimane, il planning delle Finali è rimasto immutato “nascondendo” mediaticamente la partita Scudetto. Inutile mettersi a parlare di come promuovere il "prodotto basket” se poi di fronte a cose elementari come queste si compiono scelte così autolesioniste. Reggio, interpellata all’ultimo su un possibile anticipo di orario, ha ragionato comprensibilmente pensato al proprio interesse: chi doveva/poteva intervenire dall’alto pensando all’interesse generale, ovvero la FIP, non l’ha fatto. Sarebbe interessante conoscere i dati di ascolto cumulativi di Rai e Sky della partita di lunedì, poterli paragonare con quelli delle altre gare di finale e capire quanti possibili spettatori il basket abbia perso per questa scelta sciagurata. Ma già solo con i dati della tv pubblica abbiamo un quadro piuttosto chiaro: Gara-5 è stata seguita da 188mila spettatori di media (0,9% di share), Gara-6 da 141mila (0,5% di share).

Non c’è sintesi migliore per raccontare la totale assenza di progettualità del basket italiano di quella che ha fatto Daniele Baiesi, italianissimo GM del Bamberg Campione di Germania con Andrea Trinchieri in panchina e Nicolò Melli in campo, a Backdoor Podcast: «Ho partecipato a una riunione in cui si parlava di cosa fare per il marketing del 2021; in Italia non sappiamo cosa facciamo alle 20 e 21 dello stesso giorno».

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura