Al di là dei rispettivi esiti sul campo, uno dei problemi comuni a molti dei grandi colpi di mercato del Barcellona negli ultimi anni (Henry, Ibrahimovic, Fàbregas, Alexis Sánchez) è stato quello di non poter limitarsi a trasportare tutta la propria storia nel nuovo contesto, e così affermarsi con naturalezza. Ogni storia, per quanto grande, andava invece continuamente riadattata per incontrare i gusti del pubblico del Camp Nou. Figuriamoci poi se uno, oltre alla storia, si porta dietro una filosofia.
Come tutti i concetti veramente di successo oggigiorno, l’ "Ardaturanismo" non si sa bene cosa sia, però suona bene. In una prospettiva psicologica oltre che tecnica, la storia di Arda Turan all’Atlético suggerisce sia prospettive incoraggianti che dubbi in merito al suo adattamento al Barça.
Perdere l’identità?
Occorre partire dalla premessa che l’affermazione del talento turco è avvenuta in un contesto non proprio pensato per le sue caratteristiche. Infatti, dopo l’infruttuoso tentativo di Manzano (calcio di possesso e un rombo a centrocampo che avrebbero dovuto esaltare il centrocampista offensivo turco, in una posizione di mezzala con ampia libertà di incrociare col trequartista Diego) l’arrivo di Simeone ha privilegiato una ferrea disciplina in fase di non possesso, in grado di occupare la stragrande maggioranza delle gambe, e soprattutto della testa, dei giocatori, lasciando in secondo piano la ricerca del possesso del pallone.
La testa forse spiega ancora di più che le gambe: immaginate quanto possa essere stato difficile per uno che arrivava con lo status di maggior talento del calcio turco (il giocatore che in patria doveva stare possibilmente fresco e rimanere nella posizione più comoda per giocare il pallone il maggior tempo possibile e nelle migliori condizioni) adattarsi a vivere senza il pallone, e toglietevi il cappello.
Se si può dare un senso all’ "Ardaturanismo" forse è proprio quello di sacrificio, ma con stile. E si arriva al paradosso che proprio in queste condizioni estreme il calcio di Arda Turan abbia potuto risaltare tanto da affermarlo ai vertici del calcio europeo.
Qui sta la potenziale ambivalenza del suo approdo a Barcellona: non c’è dubbio infatti che il nuovo contesto sia quello da sempre prediletto dal giocatore—pallone, pallone, pallone fino ad annoiarsi e fino a esimere da, o in certi casi a nascondere i limiti nello sforzo e nell’applicazione dei concetti difensivi sulla fascia—ma ciò che rendeva speciale l’Arda Turan dell’Atlético per forza di cose verrà meno nel nuovo contesto.
Arda nell’Atlético ha imparato che proprio perché disponibile in quantità limitate, il pallone è un bene così prezioso da non poter essere mai sprecato; e a partire da questa consapevolezza esce fuori l’Arda capace di attrarre masse di seguaci, il saggio con la barba lunga che scende dalla montagna per farci capire che quaggiù siamo tutti matti a farci prendere da quest’ansia. Lo spettacolo dell’Arda colchonero è tutto qui: tenere palla.
Il primo ricordo personale che ho di Arda Turan è una partita dell’Europeo Under-19 del 2006 contro la Spagna di Piqué e Mata: c’era questo turco che ogni volta partiva e dribblava tutti, col capello un po’ più lungo e senza nemmeno un accenno di barba. Da allora di acqua ne è passata parecchia sotto i ponti, perché la superiorità che l’Arda Turan dell’Atlético crea è raramente diretta, via dribbling o accelerazione improvvisa (è raro vederlo cambiare velocità, quando avanza dà l’impressione di farlo camminando composto mentre gli avversari si agitano e si contorcono nel tentativo di sottrargli la sfera), ma tende a favorire più in generale un controllo della partita da parte della propria squadra: non cerca il duello diretto, ma attira avversari per fargli perdere concentrazione, ordine tattico e continuità di gioco.
Questa capacità di Arda spiega in parte il miracolo competitivo dell’Atlético di Simeone, una squadra per limiti di velocità quasi sprovvista di contropiede e però costretta a difendere col baricentro basso e a cercare quindi altre vie per prendere aria nella metà campo avversaria. E questa capacità di Arda risaltava nel mentre che non gli veniva chiesto un particolare contributo in fase non solo conclusiva, ma nemmeno di ultimo passaggio, fondamentali nei quali non è che spicchi particolarmente (specie la prima, si inserisce solo se costretto e la botta da fuori non ce l’ha proprio nelle corde. In questo è molto Xaviniesta). Volendo, il contributo più sensibile offerto da Arda alla fabbricazione dei gol dell’Atlético stava nell’aver guadagnato, proprio tenendo palla e forzando l’avversario, la punizione o il calcio d’angolo da cui poi scaturivano le infallibili coreografie preparate da Simeone.
Il tenere palla per tenerla è insomma ciò che ha consacrato il turco giocatore eccezionale in quell’Atlético, ma proprio in quanto eccezione. Ora, non è che passando al Barça possa trovarsi meglio, ma paradossalmente perdere grandezza, non essere più quel tocco in più, ma soltanto uno dei tanti tocchi, inteso letteralmente nel caso del sistema di gioco culé?
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Il tenere palla nell’Atlético è completamente diverso dal tenere palla nel Barça. Il tenere palla nel Barça non è un diversivo, non è una discontinuità, ma deve essere inserito in un circuito di gioco. Non puoi semplicemente giocare col tempo e con gli avversari, ma devi dare una direzione alla manovra.
Congelatore o socio
Il Barça ha perso il suo direttore, Xavi, e non ha trovato un sostituto diretto, e forse non aspira nemmeno a trovarlo. Non è Arda quel giocatore che si abbassa per partecipare continuamente all’inizio dell’azione e dettare i tempi. E questo è perfettamente logico in un Barça in cui chi dirige il gioco ormai è esclusivamente Messi, e Arda può inserirsi interpretando due ruoli potenzialmente utili: 1) il “congelatore”; 2) il “socio”.
Nella prima veste Arda può sì raccogliere l’eredità di Xavi, ma solo dell’ultimissimo Xavi, quello che Luis Enrique allontanava il più possibile da Messi (la leggenda di Terrassa quando giocava lo faceva quasi sempre sul centro-sinistra) per non ostacolare le intenzioni “verticali” dell’argentino, ma che poteva tornare sempre utile in quelle fasi in cui serviva tenere di più palla perché il Barça del trio Messi-Suárez-Neymar tendeva ad allungare la squadra con la sua profondità immediata e il centrocampo, ormai relegato a una semplice funzione di supporto al tridente, non riusciva a controllare i ritmi della partita.
Pensare ad Arda in questo semplice ruolo può essere limitante, ma la verità è che il turco può esercitarlo senza essere relegato a “dodicesimo uomo” e senza abdicare all’altro, più sostanzioso, ruolo di “socio”.
Per socio si intende sostanzialmente un punto d’appoggio privilegiato per Messi o Neymar. L’anno scorso, nel Messi-sistema, è stato importantissimo il ruolo di Alves, sottratto alla fascia e riaccentrato come ai tempi del Sevilla per aiutare Messi a superare le linee avversarie uscendo in palleggio. Arda calza perfettamente in un ruolo simile, e più che in una fascia destra che rischierebbe di rimanere ingolfata di palleggiatori (il contributo fondamentale di Rakitic come mezzala in quel lato è levarsi di mezzo ogni volta che prendeva palla Messi, tracciando una diagonale dentro-fuori molto profonda e lasciando più campo possibile all’argentino che convergeva dalla destra) sembrerebbe il compagno di giochi di Neymar sulla sinistra, il socio riflessivo mentre Jordi Alba fa quello che attacca la profondità.
Il lato potenzialmente positivo dell’innesto di Arda è che si tratta di un giocatore che può aumentare il controllo del gioco blaugrana anche soltanto da zone periferiche del campo, senza portare alcuna insidia alla dittatura di Messi in tutta l’area centrale del campo e senza nemmeno sovrapporsi alle divagazioni sulla trequarti di Neymar. Siamo ben lontani dal caso di Ibrahimovic, un giocatore già non troppo a suo agio con le logiche del gioco di squadra e per di più portato a coprire la stessa zona di Messi, e sembrano distanti anche le difficoltà incontrate nel far coesistere Messi con Fàbregas, altro agitatore della trequarti, in un undici complessivamente equilibrato. E solo di passaggio si può ricordare che tecnicamente Arda non dovrebbe incontrare nessuno dei problemi a palleggiare nello stretto evidenziati da Alexis.
C’è da notare che Arda non è solo capace di adattarsi a una posizione defilata come Henry a suo tempo, ma di divertircisi pure. Il turco adora tenere palla lungo la linea laterale, e nell’Atlético restando largo a ricevere palla si è sbizzarrito ad agire da “semaforo”, dettando i tempi della sovrapposizione al terzino. Insomma, tecnicamente e tatticamente Arda sembra possedere tutte le carte per inserirsi nel sistema del Barça in maniera proficua, magari come un’altra fonte di gioco, un fulcro della manovra complementare e non rivale rispetto a Messi. Per verificare la credibilità dell’ipotesi “Arda regista laterale” bisognerà però vedere quale sarà la frequenza e lo spessore della sua partecipazione al gioco in un sistema completamente diverso da quello dell’Atlético, ricordando che anche un giocatore come Iniesta, per posizione simile a lui, non ha mai potuto convertirsi in un vero leader della manovra proprio per le sue fasi di assenza dal gioco.
Un altro punto in più a favore di Arda è comunque in generale la natura non rigida del sistema di gioco di Luis Enrique, in cui il gioco di posizione con i suoi movimenti standardizzati tende a rilassarsi se non scomparire del tutto in certi momenti. In questo disegno variabile non va dimenticata l’ipotesi di Arda “falsa ala” a sinistra, come alternativa per gare di maggior controllo rispetto a Neymar, in un ruolo simile a quello ricoperto storicamente da Iniesta nella Nazionale spagnola o in una parentesi con Tito Vilanova.
Nel complesso, l’acquisto di Arda Turan non sembra rappresentare l’aggiunta di una figurina, ma un innesto coerente e capace di ampliare le alternative a disposizione del Barça tri-campione.