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Dario Saltari

Tutti i bivi del Frosinone

Le volte in cui la squadra di Di Francesco ha mancato l'occasione per salvarsi.

La telecamera gli si avvicina come una pistola e allora Eusebio Di Francesco prova a nascondere lo sguardo. Si passa le mani tra i capelli. Poi le incrocia dietro la nuca, come fanno gli uomini fermati dalla polizia nei film americani. La vergogna che immaginiamo dipinta sul suo volto non è tanto perché il Frosinone è retrocesso, ma perché fino all’ultimo minuto dell’ultima giornata sembrava impossibile che potesse retrocedere. 

 

È diventato un umiliante marchio di fabbrica dell’allenatore abruzzese, quello di trasformare in fallimento anche ciò che in condizioni normali non avremmo mai considerato tale. Prima dell’inizio di questa stagione di Serie A nessuno avrebbe messo il Frosinone fuori dalle ultime tre posizioni della classifica che decretano la retrocessione in Serie B, eppure adesso ci sembra incredibile che sia retrocesso. Questo dovrebbe ricordarselo anche chi oggi sogghigna. So che può suonare paradossale e beffardo, ma se il Frosinone si è messo nelle condizioni addirittura di buttare via una salvezza – non di sfiorarla, o di raggiungerla per miracolo, ma di buttarla via quando nessuno ormai ci avrebbe scommesso più – il merito è soprattutto di Eusebio Di Francesco. Il livello di partenza della rosa – forse a ragione – era considerato troppo basso. Il mercato, che pure aveva portato una buona dose di talento, condotto troppo a ridosso all’inizio del campionato per poter essere assorbito con successo dalla squadra.

 

E invece la prima parte di stagione era stata esaltante. Il Frosinone giocava un calcio leggero e intenso, seguendo i principi che Di Francesco segue come un monaco tibetano sin da quando ha iniziato la sua carriera da allenatore. Un calcio che mandava in tilt squadre più attrezzate, squadre che oggi ci sembrano impareggiabili per intensità e raffinatezza tattica, come quell’Atalanta battuta in casa alla seconda giornata. Il Frosinone batterà anche il Sassuolo, il Verona, l’Empoli, il Genoa, fermerà sul pareggio il Torino, la Fiorentina, e anche quando perdeva dava l’impressione di potersela giocare, come si dice. E questo senza contare il grande cammino in Coppa Italia, dove eliminerà di nuovo il Torino ai tempi supplementari, e addirittura il Napoli, battuto per 0-4 al Maradona. Prima dell’1-2 subito dalla Juventus l’antivigilia di Natale, il Frosinone aveva sette punti di vantaggio sul terzultimo posto occupato dall’Empoli e appena quattro di distanza dal decimo occupato dal Torino. 

 

Com’è successo allora? Come ha fatto il Frosinone a fare due volte il giro dell’impossibile, prima raggiungendo una posizione impensabile a inizio campionato e poi gettando tutto all’aria in pochi mesi? È difficile rispondere persino oggi che è passata la nottata. Ieri l’ultima beffa della stagione del Frosinone è stata l’incredibile prestazione di Maduka Okoye. Il portiere nigeriano nato in Germania, che ieri ha impedito alla squadra di Di Francesco di trasformare i suoi 0.80 xG in un gol che avrebbe significato salvezza, il 23 dicembre di quel Frosinone-Juventus 1-2 non aveva ancora mai esordito in Serie A. Circa due anni prima Okoye era stato acquistato dal Watford, dove non ha mai giocato nemmeno una partita. Cresciuto al Bayer Leverkusen, e messosi in mostra allo Sparta Rotterdam, prima dell’estate del 2023 di Okoye praticamente non si hanno notizie che non siano legate al suo precoce percorso nella Nazionale nigeriana (e anche quelle non sono sempre memorabili: qui per esempio una news sull’edizione della BBC in pidgin sul suo successo tra il pubblico femminile in Nigeria). 

 

Okoye è diventato titolare all’inizio del 2024, togliendo il posto a Silvestri a sorpresa, e oggi sembra uno di quei personaggi apparsi nella vita di una persona solo per dargli un dispiacere. Ieri, mentre Di Francesco soffriva le pene dell’inferno, lui ha dichiarato con candore fantozziano che «era importante fare un bel regalo di compleanno al patron Gianpaolo Pozzo». Di Okoye è infatti l’incredibile doppia parata intorno al 18′, prima su un bel tiro da fuori di Zortea e poi, sul calcio d’angolo seguente, sul colpo di testa quasi a botta sicura di Okoli, che ha reso inesorabile la discesa agli inferi del Frosinone. Senza il suo intervento, la grande punizione di Soulé alla fine del primo tempo sarebbe comunque finita sulla traversa? Il tiro di Bresciani due minuti dopo l’inizio del secondo tempo avrebbe comunque accarezzato il palo prima di uscire?

Sono domande che non valgono niente, me ne rendo conto. Ma oggi inevitabilmente, se si è del Frosinone ma anche semplicemente se il calcio è il vostro impero romano, è il giorno in cui si ripensa a tutto. Ai gol sbagliati, ai pali, a quella rimessa dal fondo battuta nel modo sbagliato e che secondo voi ha mandato la stagione a rotoli. Di momenti che decidono una partita ce ne sono molti, potenzialmente tutti. Di momenti che decidono una stagione solo alcuni ne ricordano un paio, o poco più. Il Frosinone, invece, di momenti così ne ha avuti molti di più, la maggior parte difficili da spiegare. Ho provato a raccoglierli tutti. 

 

Cagliari-Frosinone 4-3

È impossibile non partire con una partita che oggi ci sembra una profezia dell’oracolo di Delfi. Una partita che il Frosinone vinceva 0-3 fino al 72′, e che ha finito per perdere con due gol segnati tra il 94′ e il 96′ da un giocatore che pensavamo non avesse più nulla da dire in Serie A da almeno due anni. Cagliari-Frosinone ci ha ricordato che il più grande insegnamento della storia è che nessuno si aspetta ciò che succederà, che le disgrazie arrivano sempre nei momenti più insignificanti, quando meno te l’aspetti. “Mangiavamo qualche salatino, un pezzo di pane furtivo, un’oliva, e nel frattempo Soulé spiegava il calcio alla Unipol Arena”, scriveva Emanuele Atturo all’indomani di quella assurda rimonta. “Di fronte una squadra che pareva allo sbaraglio, rassegnata alla retrocessione ancor prima del giorno dei morti. Com’era triste la stagione dei rossoblù: una sequenza di risultati sbiaditi, e la sensazione che non basta un tecnico magico per vivere una stagione magica. Come era stato particolarmente bello vedere Ranieri conquistare la salvezza lo scorso anno, in uno dei club a cui è più legato, è stato particolarmente triste vedere un inizio di stagione così sgonfio”.

 

In quell’articolo si ricordano tutti i dettagli che forse hanno piegato la realtà, portando il Frosinone alla retrocessione di ieri. Il rigore sbagliato da Mancosu nel primo tempo, con il risultato sullo 0-1, il successivo tap-in messo fuori dallo specchio da Jankto. Il salvataggio sulla linea di Monterisi sul colpo di testa di Zappa che sembrava aver seppellito definitivamente le speranze del Cagliari, il rigore revocato alla squadra di Ranieri per un intervento goffo di Turati su Pavoletti. Infine, ovviamente, l’assurda doppietta dell’attaccante del Cagliari, che ha regalato questo primo, ultimo incubo a Eusebio Di Francesco. “Non si era mai vista una squadra di Ranieri senza grande carattere, e non ci sarà nemmeno quest’anno”, ha scritto Emanuele Atturo alla fine di quel pezzo. Oggi conosciamo tutte le implicazioni di questa verità. 

 

 

Juventus Frosinone 3-2

E dire che la stagione del Frosinone sembrava talmente solida da poter superare anche una sconfitta come questa. Dopo il 4-3 subito dal Cagliari, la squadra di Di Francesco vincerà contro Empoli e Genoa in campionato, contro il Torino (addirittura ai supplementari) e il Napoli in Coppa Italia. L’allenatore abruzzese sembrava ormai aver attraversato troppe sventure, troppi dolori, per non aver raggiunto l’esperienza utile a guidare una squadra tra gli alti e i bassi di una stagione qualunque.

 

Il 29 novembre Di Francesco decide addirittura di aprirsi sulle pagine di Cronache di Spogliatoio. In quel intervista ricorda tutti i suoi terribili cinque anni prima di Frosinone, cinque anni “schifosi” in cui “avrò allenato sì e no per 30 partite”. Di Francesco ricorda Roma-Barcellona “la notte più bella, ma l’inizio della mia discesa”, poi la terribile esperienza alla Samp, in cui “mi sentivo prigioniero come uomo”, infine quelle nere come la pece a Cagliari e Verona. “A Cagliari avevo iniziato bene, era arrivato anche il rinnovo, ma poi qualcosa si è rotto. Abbiamo deciso di rescindere. A Verona è stata l’esperienza peggiore, finita dopo 3 giornate”. A Frosinone, Di Francesco si era messo alle spalle l’assurda striscia di 19 partite consecutive senza vittoria in Serie A, su tre panchine diverse. “In questo momento, ho una serenità addosso devastante. Il mio Frosinone sta andando bene, ma non sto facendo niente di diverso da quando il Sassuolo volava o la Sampdoria andava a picco. Certamente, ho imparato”.

 

Che Di Francesco avesse imparato sembrava chiaro ancora alla fine di gennaio, non troppo tempo fa. Dopo una terrificante striscia di sette partite senza vittoria, di cui sei sconfitte, il Frosinone infatti ritrova i tre punti proprio contro il Cagliari – quel Cagliari con cui sta combattendo per la permanenza in Serie A e che per Di Francesco ha un’importanza speciale, ben prima di quel paradossale 4-3. A Cagliari l’allenatore abruzzese aveva raccolto un’altra esperienza deludente; sempre Cagliari, ancora prima, era stato trasformato in meme, dopo un’altra rimonta subita, questa volta da allenatore della Roma, con gli avversari addirittura in nove uomini e con un gol preso all’ultimo secondo su un rinvio del portiere frenato dal vento. Cagliari significa anche Claudio Ranieri, l’allenatore che l’ha sostituito per ben due volte dopo un esonero (a Roma e alla Sampdoria). 

 

Il Frosinone vince contro il Cagliari per 3-1 una partita che stava perdendo o-1 e con l’ultimo gol segnato al 95′ da Kaio Jorge. Una vittoria che mette cinque punti tra il Frosinone e la zona retrocessione, e solo tre dall’undicesimo posto occupato dal Genoa. Cosa c’è di meglio per mettersi alle spalle definitivamente tutti i fantasmi? Niente se tra questi fantasmi non ci fosse anche Massimiliano Allegri.

 

Quando il Frosinone va allo Juventus Stadium, il 25 febbraio, c’è aria che possa succedere qualche sorpresa. La squadra di Allegri ha già mollato la presa nella lotta scudetto con l’Inter, viene da una sola vittoria nelle ultime cinque partite (contro il Lecce), il Frosinone come detto sembra in ripresa. La partita rispecchia questi due momenti di forma opposti. Vlahovic segna subito ma la squadra di Di Francesco sembra tornata quella dei tempi migliori. Segna il pareggio con Cheddira dopo pochi minuti, un colpo di testa anni ’90 innescato da una palla visionaria di Soulé, poi al 27′ passa addirittura in vantaggio, con un grande inserimento in area di Brescianini che è calcio di Di Francesco in purezza. La Juventus ci mette poco a riprendere il pareggio, ancora con Vlahovic, ma l’allenatore abruzzese sembra davvero aver imparato, se quelli della Serie A sono davvero insegnamenti. Al 73′, ben dentro quel secondo tempo che si rivelerà la Medusa del Frosinone, Di Francesco toglie un trequartista (Harroui) per un centrocampista più difensivo come Berrenechea. Un quarto d’ora dopo, con il risultato che resiste ancora sul 2-2, toglie anche Soulé e passa alla difesa a tre, la coperta di Linus degli allenatori italiani. 

Il Frosinone trema ma non arriva mai veramente vicino a subire il gol della sconfitta fino a 15 secondi dalla fine, e anche solo questo dettaglio potrebbe far deragliare la più solida delle psiche. A quaranta secondi dalla fine Iling-Junior prova un lancio in profondità per Vlahovic, che scappa alle spalle di Romagnoli. Il numero 6 del Frosinone recupera la disattenzione iniziale, chiude sull’attaccante serbo e chiede timidamente fallo mentre l’arbitro indica la bandierina del calcio d’angolo. Di Francesco capisce che è il momento di spezzare il ritmo avversario, ma non che cambiare le marcature sull’ultimo calcio d’angolo contro un demone oscuro come Massimiliano Allegri potrebbe non essere una buona idea.

 

L’allenatore abruzzese toglie dal campo Lirola e mette Monterisi. Pochi secondi dopo Iling-Junior mette la palla tesa sul primo palo, Vlahovic la spizza sul secondo, dove Rugani ha trovato un movimento senza palla profetico che gli ha permesso di tirare in equilibrio precario esattamente tra le gambe di Cerofolini. A rivederlo si fa difficoltà a capire quante fossero le possibilità che questo gol potesse arrivare proprio in questo modo, a partire dal fatto che a perdersi Rugani è proprio il povero Monterisi. Rugani – un altro giocatore che davamo ormai per disperso, e che nel 2024 aveva giocato solo altre tre partite, di cui solo due da titolare – segna come se nella vita avesse sempre fatto l’attaccante, ed è un gol che ha significato solo per il Frosinone.

 

La squadra di Di Francesco subisce la seconda rimonta da un parziale di 2-1 nell’arco di poche settimane, dopo il 2-3 già inflitto dal Milan al Benito Stirpe tre giornate prima. Per tornare a veder vincere la Juventus in campionato invece bisognerà aspettare il 7 aprile. 

 

Frosinone Lecce 1-1 

Una settimana dopo il Frosinone ha già la possibilità di rifarsi. In casa ospita un Lecce che è in caduta libera, e che solo otto giorni dopo esonererà D’Aversa per una capocciata a Henry dopo una sconfitta contro il Verona. Non è un caso di suicidio come le altre due, in cui il Frosinone ha perso il punto con cui oggi sarebbe ancora in Serie A rispettivamente al 96′ e al 95′, ma forse una dimostrazione ancora più evidente di come in alcuni casi non ci sia davvero niente da fare. 

 

Il Frosinone fa la solita partita che poche altre squadre potrebbero non vincere. Segna il gol dell’1-0 nel momento migliore possibile, cioè poco prima che l’arbitro fischi la fine del primo tempo, raccoglie diverse buone occasioni. A fine gara gli xG prodotti saranno 1.33. Dopo dieci minuti dall’inizio del secondo tempo, però, la difesa di Di Francesco va in tilt. Zortea torna indietro al portiere con un passaggio troppo corto, Cerofolini invece di temporeggiare sull’arrivo di Krstovic decide di entrare in scivolata in stile o palla o gamba. Il portiere del Frosinone, inevitabilmente, prende la gamba.

 

Dal dischetto va Rafia. Il centrocampista giallorosso si ferma all’ultimo passo per vedere dove si butterà il portiere, poi decide l’angolo. Cerofolini però lo azzecca e respinge. I giocatori del Frosinone impazziscono, Cheddira abbraccia il suo portiere come se fosse appena sopravvissuto a un campo di concentramento. Dopo qualche secondo però l’arbitro ferma tutto: bisogna ripetere il rigore perché alcuni giocatori del Frosinone sono entrati in area di rigore prima che Rafia calciasse. Il Lecce si prende l’azzardo di cambiare tiratore, sul dischetto questa volta va Krstovic. L’attaccante montenegrino cambia tutto: rincorsa senza pause, angolo destro invece che sinistro, palla rasoterra. È la scelta giusta? Cerofolini intuisce di nuovo. Il pallone passa nonostante il tuffo del portiere, rimbalza sul palo per rientrare in campo ma, proprio nel momento in cui si sta compiendo il miracolo, incontra la schiena del portiere del Frosinone e rientra in rete.

 

Il calcio per Di Francesco sembra avere una strana natura infida, vendicativa. Di tutte le partite del Frosinone, le uniche in cui l’allenatore abruzzese aveva deciso per scelta tecnica di mettere Cerofolini e non Turati in porta sono solo due: Juventus-Frosinone 3-2 e questa. Difficile sapere perché ha preso questa scelta, se hanno contato i numeri piuttosto negativi di Turati in questa stagione (il peggiore tra i titolari della Serie A per differenza tra post-shot xG e gol effettivamente subiti), se avesse deciso di perseguire con la sua scelta nel caso in cui queste due partite fossero andate differentemente. La storia, com’è noto, non si fa con i se e con i ma, e nel calcio i se e i ma sono quasi letteralmente i tre legni che incorniciano la porta. 

 

Al 63′ Gelli, con un tiro al volo di destro che sarebbe rimasto nella storia del Frosinone, prende la parte inferiore della traversa, a pochi centimetri dal palo alla sinistra di Falcone. Le uniche squadre di Serie A ad aver preso più legni del Frosinone (18) in questa stagione sono la Fiorentina (21) e l’Inter (19), che però hanno tirato molto di più dei ciociari. Se si mettono in rapporto i legni con i tiri effettuati, il risultato è devastante: l’Inter ha preso un palo ogni 30 tiri; la Fiorentina, come il Frosinone (decimale più, decimale meno), uno ogni 24.

 

Sassuolo-Frosinone 1-0

Il 9 marzo, a Reggio Emilia, si incontrano due squadre che vanno dritte incontro alla disperazione. Il Sassuolo ha cambiato allenatore da meno di una settimana e non vince una partita addirittura dal 6 gennaio (in mezzo sette sconfitte e un pareggio); il Frosinone fa risalire i suoi ultimi tre punti invece al 21 gennaio, a quella vittoria contro il Cagliari che sembrava un segno del destino, o che forse era semplicemente il segno di un destino avverso. 

 

La squadra di Di Francesco sembra già entrata in quelle sabbie mobili in cui le squadre si avvicinano alla retrocessione cercando con disperazione di sfuggirne. Il Sassuolo ha invece l’incoscienza di chi pensa di non avere più nulla da perdere. La squadra di Ballardini crea di più, merita il vantaggio segnato nel secondo tempo da Thorsvedt, si vede anche giustamente annullare un rigore che era stato assegnato con troppa leggerezza dall’arbitro La Penna. Ma il calcio, come Di Francesco sa bene, raramente premia chi se lo merita. E allora all’89′ ecco un altro rigore generoso, per una spinta veniale di Ferrari a Marvin Cuni, a una squadra che vede finalmente un dono cadere dal cielo. 

 

Per Di Francesco, però, il sistema karmico è efficiente in maniera spietata, e ad ogni ricompensa deve corrispondere immediatamente una punizione. Marvin Cuni era infatti entrato appena cinque minuti prima al posto di Mathias Soulé, il primo rigorista designato del Frosinone che aveva segnato quattro degli otto rigori realizzati fino a quel momento dalla squadra ciociara. Mentre i giocatori vanno a ringraziare Cuni, il pallone viene raccolto da Berrenechea, che però non è nemmeno nelle gerarchie dei rigoristi della squadra. Si sviluppa una piccola discussione, nemmeno troppo accesa, alla fine il centrocampista argentino lascia l’incombenza a Kaio Jorge. L’attaccante brasiliano aveva sbagliato solo un altro rigore in tutta la sua carriera, il 20 ottobre del 2021, in Serie C, contro l’Albinoleffe, quando indossava la maglia della Juventus Under 23. Il Frosinone aveva segnato tutti i rigori avuti a disposizione in quella stagione, prima di quello. Perché proprio quello?

 


Dopo la partita, infuriato, Di Francesco proverà a darsi una spiegazione razionale, dichiarando che «non bisogna mai creare discussioni prima di un rigore: chi voleva andarlo a battere ha fatto un grandissimo errore». Difficile dire però se sia stato davvero quello a far sbagliare Kaio Jorge, o se l’attaccante brasiliano sia semplicemente troppo giovane per sopportare già una pressione così grande. I rigori si segnano e si sbagliano, e il caso sembra metterli dove fa più male, mentre i nostri occhi gli danno un significato. In questo caso Eusebio Di Francesco – un decennio fa il tecnico italiano più promettente in circolazione – che perde sul campo della squadra che lo aveva lanciato un’altra occasione per prendersi quel punto senza cui oggi la sua carriera sembra non avere più un domani.

 

La verità più banale però è sempre quella: finché si è vivi c’è sempre un domani. Era vero il 29 novembre, quando scriveva: “I miei errori li ho pagati tutti. Più di così, credo non fosse possibile [corsivo suo, ndr]”. Ma è vero anche oggi che la soglia del dolore è stata superata di nuovo.

 

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Dario Saltari è uno degli scrittori che curano L'Ultimo Uomo e Fenomeno. Sulla carta, ha scritto di sport per Einaudi e Baldini+Castoldi.