All’84esimo l’Inter prova a vincere una partita inaspettatamente difficile. La squadra di Inzaghi ha buttato via un doppio vantaggio ed è stata definitivamente recuperata dal Bologna con il bel gol di Zirkzee all’inizio del secondo tempo. In questi minuti finali, però, non c’è nessun assedio: l’Inter fa fatica ad avanzare sul campo e non riesce a penetrare nella trequarti avversaria. Di fronte, il Bologna avanza con le linee strette sul campo come una falange di opliti, anche senza palla, il segno del coraggio che l’allenatore è riuscito a infonderle ma anche del fatto che forse sente l’importanza simbolica che avrebbe vincere questa partita. Insomma, un punto contro l’Inter fuori casa al Bologna non andrebbe poi così male ma Thiago Motta che vince a San Siro avrebbe un suo significato.
Bastoni prova a gestire l’ennesimo pallone poco dopo la linea del centrocampo ma il tempo per pensare non è molto, di fronte gli si è già parato Lewis Ferguson. Il Bologna sta schermando tutte le linee di passaggio e marca alle spalle gli unici uomini che potrebbero ricevere sui piedi. Bastoni deve inventarsi qualcosa. Con l’interno del sinistro alza una traiettoria che passa a pochi centimetri dalla fronte di El Azouzi e che teoricamente sarebbe diretta, pulita, al centro della trequarti, dove il miglior attaccante del campionato si sta preparando a fare quello che sa fare meglio. Lautaro Martinez è venuto incontro, ha spostato il bacino all’indietro e allargato le gambe per coprire all’arrivo del pallone, ma non si è accorto che il suo marcatore ha anticipato la sua mossa. Riccardo Calafiori è partito esattamente nel momento in cui Bastoni ha colpito il pallone già sapendo che Lautaro gli si sarebbe piantato davanti. Per questa ragione ha preso la strada più lunga e difficile, ma che promette la ricompensa più grande: aggirare il suo avversario sulla destra per mettere un piede tra il pallone e il suo destinatario, chissà magari riuscire persino a riciclare il possesso. Non è facile: bisogna sbucare furtivamente al momento giusto e coordinarsi in un attimo su un pallone che non è stato pensato per te. Soprattutto: se si arriva anche solo con un briciolo di ritardo l’avversario può andare dritto in porta.
Calafiori sembrava partito bene ma forse per un attimo si è compiaciuto della sua stessa intuizione e ha allargato un po’ troppo la traiettoria di corsa. Per rimediare ha dovuto tagliare improvvisamente di fronte a Lautaro e intervenire sul pallone con una specie di calcio da karatè, se i calci da karatè fossero come quelli dei cartoni animati. Il difensore romano prende il pallone con la suola e con un po’ di fortuna arriva potente verso El Azouzi che a fatica riesce effettivamente a ripulirlo verso Saelemaekers. Nel frattempo Calafiori è tornato diligentemente in posizione rimettendosi i capelli lunghi dietro l’orecchio, quei piccoli gesti con cui i difensori vogliono sottolineare il proprio dominio su un avversario, provando ad entrargli nel subconscio.
Non è stato immediato associare Calafiori a questo controllo dello spazio, a questa aggressività degli anticipi, anche a questi suoi capelli lunghi e bagnati tenuti su dalla fascetta, che in Italia istintivamente ci fanno pensare a un difensore rude come Moris Carrozzieri. Sono i capelli dell’uomo che bada al sodo, del sopravvissuto, la cui stessa lunghezza sta lì a ricordarci che è passato del tempo, che non siamo di fronte a un bambino. I capelli del principe vichingo di The Northman, che torna al suo villaggio per vendicarsi, indurito dalla vita dopo essere stato costretto a fuggire da bambino per il tradimento fratricida che ha ucciso suo padre. C’è anche una sottile analogia con Sergio Ramos, un altro terzino sbadato diventato quasi dal nulla un grande difensore semplicemente spostandosi al centro della difesa (lì però i capelli hanno fatto il percorso contrario: accorciandosi mano a mano che Ramos diventava un centrale di livello). Comunque, dopo la vittoria casalinga contro la Lazio, che ha consacrato definitivamente il Bologna come la squadra rivelazione di questo campionato e che ha spinto Romagnoli a fargli i complimenti, Beukema ha scritto su Instagram che gli ricordava Alessandro Nesta e Calafiori, cercando di scherzarci su, ha detto: «Forse sarà per i capelli».
Solo qualche anno fa Calafiori non era così, in tutti i sensi. Portava i capelli corti, al massimo qualche ciuffo sulla fronte, il fisico di chi non sembra davvero un calciatore professionista. Era cresciuto nella Petriana, vicino al Vaticano, in una zona di Roma che difficilmente associamo a quelle zone popolari o periferiche che hanno fatto la fortuna del settore giovanile giallorosso. «Fin da piccolo si vedeva che aveva una fame superiore agli altri ragazzi, abbinata ad un talento fuori dal comune», ha dichiarato qualche anno fa la direttrice di quella scuola calcio. Poi il passaggio alla Roma a soli 9 anni, epilogo fortunato di quel romanzo di formazione che permea i ricordi di infanzia e adolescenza della gioventù romana. I tornei giovanili, chilometri in macchina per arrivare a Trigoria, lo sguardo attento di Bruno Conti sui campi assolati. Calafiori sembra avere effettivamente un talento fuori dalla norma. La Roma gli offre un contratto da professionista poco dopo aver compiuto sedici anni e poco prima che vinca lo scudetto con la squadra Under 17. “Se mantiene quello che promette arriva dritto in Serie A”, scrive il Romanista dopo quel successo, Fanpage che è “uno dei migliori terzini italiani della sua età in circolazione”. Calafiori è sotto contratto con Mino Raiola e la Roma sembra essere appena riuscita a salire il gradino che la divide dell’élite del calcio europeo. Ha raggiunto la semifinale di Champions League battendo il Barcellona e da poco è riuscita a mettere nel suo organigramma un dirigente di fama internazionale come Monchi. Esiste un futuro più roseo di così?
Calafiori sembra a un passo dall’esordio in prima squadra e intanto continua a crescere in Primavera. A ottobre del 2018 gioca in Youth League, la versione giovanile della Champions, quella che è di fatto la sua prima partita stagionale (prima aveva giocato appena quattro minuti in una partita contro il Milan Primavera). È una sfida più combattuta di quanto forse si sarebbe immaginato, la Roma si fa rimontare un parziale di 3-1 e negli ultimi minuti la concitazione per il gol che decide la partita è molta. All’82esimo, su una palla leggermente troppo corta, Calafiori si allunga con il sinistro per anticipare l’avversario, ma quello (il terzino Vaclav Svoboda, oggi al Domazlice, in Serie C ceca) va dritto con i tacchetti sul ginocchio teso. Si capisce subito che l’infortunio è gravissimo, il medico della Roma Primavera è costretto a rimettergli dentro il ginocchio alla bell’e meglio già in campo. «Se avessi aspettato di arrivare in ospedale, chissà come sarebbe finita, magari oggi farei fatica persino a camminare», ha detto Calafiori anni dopo. Arrivato in ospedale, però, si capisce che la situazione è persino più grave di quello che si pensava. Il ginocchio è praticamente esploso in tutte le sue parti, compresi i legamenti, i menischi e la capsula articolare. I medici che lo visitano sono sconcertati. «Una cosa così accade di solito nel motocross, non nel calcio. È un incidente che può succedere una volta ogni dieci anni».
Inizia la trafila del dolore che devono sbrigare tutti i calciatori alle prese con infortuni gravi, con lo spettro molto concreto che la carriera finisca ancora prima di cominciare. La maglia mostrata al pubblico da Dzeko all’Olimpico, le operazioni, i post su Instagram che cercano di abbattere la solitudine. Durante la riabilitazione gli fa visita Daniele De Rossi, che prende l’abitudine di riportarlo a casa o a Trigoria dall’ospedale con la sua Lamborghini personalizzata. In macchina, nel tragitto, mette Sempre e per sempre di De Gregori a tutto volume. «Uno più trasparente di lui non l’ho conosciuto», dirà Calafiori, che anni dopo lo chiamerà anche per avere un consiglio di fronte all’offerta del Basilea.
Ci metterà quasi due anni per ottenere quell’esordio che Svoboda gli aveva tolto. Indossa la maglia della prima squadra il primo agosto del 2020 contro la Juventus in uno Stadium vuoto per via della pandemia, con il calcio preoccupato per la sua stessa esistenza e la Roma in mezzo a un passaggio di mani societario che sembra essersi impantanato. È l’ultima giornata del campionato interrotto e ripreso a marce forzate in estate, Calafiori si guadagna un rigore in una partita che di fatto non conta niente. Sembra passata un'epoca.
Inizia la stagione 2020/21 e non si capisce esattamente se la Roma possa davvero fare affidamento su di lui. Calafiori è ancora considerato uno dei talenti più luminosi in circolazione, come conferma il suo inserimento nella lista dei migliori 60 calciatori nati dopo il 2002 del Guardian, ma nel frattempo ha avuto un infortunio terribile prima che qualcuno potesse vederlo effettivamente all’opera. Quando gioca i suoi primi, timidi, scampoli di partita non si capisce se quella è davvero la sua dimensione o se è ancora una versione ridotta di un talento che non abbiamo mai visto. Sia con Fonseca che con Mourinho il suo ruolo si riduce a quello della comparsa destinata ad alcuni, sporadici, momenti di gioia, che sembrano tutti finali della sua storia di redenzione. Il gran gol in Europa League contro lo Young Boys, la progressione nel ritorno dei quarti di finali contro l’Ajax che propizia il gol decisivo di Dzeko.
In campo, però, non sembra davvero pronto. È inconsistente difensivamente, con il pallone sembra che gli tremino le gambe. Davvero si è messo alle spalle l’infortunio? La stagione successiva, con Mourinho in panchina, gioca due partite da titolare di fila a fine settembre, nella seconda delle quali, contro l’Udinese in casa, serve un bell’assist per Abraham dopo aver strappato il pallone a Molina. L’allenatore portoghese però non sembra del tutto convinto: «Lui ha avuto tanti problemi gravi, non si deve spaventare, non deve chiedere il cambio alla prima sensazione negativa, deve essere più uomo». A fine ottobre la Roma va sopra il circolo polare artico per giocare la partita che cambierà la sua stagione. Perde 6-1 contro il Bodo/Glimt e Calafiori fa parte dei titolari che verrano epurati da Mourinho nelle ore successive, come nelle purghe staliniste. La partita è la conferma definitiva della sua inadeguatezza, pensiamo. Per tutta la partita viene massacrato sulla fascia destra da Ola Solbakken, in un mismatch tecnico e atletico che adesso ci sembra uno scherzo. Calafiori, uno dei migliori centrali della Serie A di questo inizio di stagione, Solbakken, nel frattempo diventato una riserva dell’Olympiakos: sono passati solo due anni da quel momento.
A gennaio viene inviato sull’isola dell’Asinara della Serie A, il Genoa che sta colando a picco verso la retrocessione, e finita la stagione deve solo scegliere che destinazione prendere dopo aver lasciato Trigoria. Si parla di qualche piccola squadra di Serie A ma alla fine opta per il Basilea, con una scelta controintuitiva ma che alla lunga si rivelerà lungimirante. Dopo la parabola di Gnonto, arrivato in Premier League e in Nazionale dopo essere passato per Zurigo, il campionato svizzero sembra essersi costruito una sorprendente, nuova credibilità, che porterà il Bologna a investire anche su Ndoye. «Mi sta aiutando molto quest’esperienza. Già il fatto di vivere da solo mi fa pensare soltanto al calcio. Mi sento molto maturato», dice già a fine aprile, dopo una stagione da titolare in cui inizia ad assaggiare il ruolo di centrale di difesa, anche se in una linea a tre. Il Basilea arriva fino alla semifinale di Conference League, con Calafiori che segna un gol decisivo contro lo Slovan Bratislava agli ottavi di ritorno, e in estate il suo ritorno in Italia già non sembra più una follia. Se ne parla addirittura per il Milan, come possibile riserva di Theo Hernandez.
La sua successiva affermazione da centrale al Bologna è uno di quei misteri che rendono il calcio una degna materia letteraria. Ripercorrendo la storia di Calafiori passo dopo passo è possibile trovare il momento, la ragione che ha trasformato un impaurito terzino con pochissima esperienza in un centrale che gioca con la sicurezza del difensore alla sua ennesima stagione tra i professionisti? «Lui prende decisioni nel campo, risolve problemi nella gara, trascina gli altri a provare a fare le cose giuste. Oggi è un giocatore importante nel campo e nel gruppo. Nell’ultima partita ha preso una botta, io ero preoccupato ma lui non voleva uscire», ha detto Thiago Motta con una dichiarazione che sembra lontana non due anni ma due vite da quella con cui Mourinho si lamentava delle sue continue richieste per essere sostituito.
È difficile darsi una spiegazione. Raccontiamo le storie per cercare di addentrarci in questo tipo di misteri, anzi di più: per scioglierli, ma sembra sempre mancarci qualcosa. Allora forse, più che il percorso, bisogna guardare più attentamente il campo. Per esempio la capacità del Bologna (misteriosa anche questa) nello sviluppare ottimi centrali, al netto degli allenatori. Prima Tomiyasu e Theate, adesso Beukema e per l’appunto Calafiori. Poi ovviamente c’è l’influenza di Thiago Motta, un allenatore che sta portando su un’altra dimensione molti dei suoi giocatori. Quelli che già partivano da un’ottima base di talento, come Zirkzee, Posch e Ferguson, ma anche quelli il cui reale valore non era ancora chiarissimo, come Orsolini. Con Calafiori però siamo su un altro livello. Un terzino che sembrava piuttosto debole proprio negli uno contro uno difensivi può diventare così in fretta un centrale autoritario, per di più in una difesa a quattro che difende a zona?
Non è impossibile trovare delle ragioni tattiche. Con una linea spesso alta, con i centrali che sono chiamati a spezzare la linea per uscire aggressivi sul marcatore tra le linee, gli uno contro uno frontali sono effettivamente ridotti al minimo, cosa che di certo non si può dire per un terzino, che finisce spesso in isolamento con l’ala avversaria. Quando il Bologna è alto, quindi, Calafiori può “limitarsi” (si fa per dire, vista la complessità del compito) a mantenere la linea del Bologna alta e compatta, oltre a uscire alle spalle di un uomo tra le linee. Quando è basso, invece, può mettere in luce un ottimo tempismo sulle palle alte e una buona fisicità nei duelli aerei, questo sì un talento che abbiamo scoperto nelle ultime settimane. C’è da dire, poi, che il Bologna cerca di difendersi più con il pallone che senza, e in una squadra che cura molto il possesso palla e le uscite dal basso il sinistro di Calafiori può esaltarsi. C’è una statistica, chiamata xGBuildup, che attribuisce un valore in xG a tutti i giocatori che contribuiscono a un’azione che porta a un tiro, e Calafiori, tra i centrali della Serie A che giocano in una difesa a quattro, è dietro solo a N’Dicka, Rrahmani e Ostigard. Se non amate i numeri, potete bagnarvi gli occhi con uno dei molti passaggi taglia-linee con cui Calafiori innesca le rotazioni con cui il Bologna risale il campo.
Insomma, è la solita storia della tattica che aiuta a mascherare i difetti e a esaltare i pregi. C’è da dire, poi, che ovviamente Calafiori non è diventato da un giorno all’altro un difensore senza difetti. Il paradosso, però, è che i suoi limiti più evidenti sembrano nascere da un eccesso di sicurezza. A volte Calafiori cerca l’anticipo anche quando è già in ritardo, svelando la sua mossa all’avversario, che può così sfilarlo facilmente rompendo il fragile equilibrio su cui si regge la solidità difensiva del Bologna. Lo abbiamo visto anche nell’ultima sconfitta contro la Fiorentina, con il risultato già sul 2-1. Il Bologna stava cercando di scalare aggressivamente in avanti per recuperare il pallone ma Calafiori si è fidato troppo delle sue capacità atletiche e si è fiondato in avanti su un pallone orizzontale passato da Kouamé a Bonaventura su cui non aveva speranze. Il trequartista di Italiano ha così avuto il tempo per coprire il pallone con il corpo, fintare di andare a destra e girarsi a sinistra, lasciando Calafiori sul posto e aprendosi la possibilità di attaccare il Bologna in campo aperto in due contro uno. A quel punto Kristiansen è stato bravo, da solo, a schermare il passaggio verso Ikoné, che si stava avvicinando solitariamente all’area di Skorupski, ma la sbavatura di Calafiori poteva chiudere definitivamente la partita per il Bologna già al 58esimo.
Del rendimento di Calafiori al Bologna ne abbiamo parlato anche nella nuova puntata di Lobanovski.
Abbiamo detto di come il gioco del Bologna aiuti Calafiori a mascherare i suoi limiti, ma va detto anche che con una linea così alta e un’aggressività così spiccata e radicale per i centrali è facile aprire una grossa crepa da un errore relativamente piccolo. Da questo punto di vista la sicurezza con cui gioca Calafiori, che a volte sfocia nella sua ostentazione, è ancora più sconcertante. Si parla spesso dell’importanza degli allenatori nella crescita dei giocatori, eppure anche a questa motivazione sembra manchi qualcosa. Basta la scelta delle parole, lo sguardo giusto, per spingere un calciatore a fare una salto come questo? È possibile anche che sia stato il semplice gesto di metterlo titolare al centro della difesa, con tutto il peso delle responsabilità che ne deriva, ad aver fatto crescere improvvisamente Calafiori. Ad aver dato un senso all’anno di crescita in Svizzera, dove aveva iniziato a giocare da centrale, al terribile infortunio che gli ha probabilmente tolto la spinta per fare il laterale basso. «Paradossalmente [l’infortunio, ndr] è stato lo step che mi ha fatto capire che potevo diventare calciatore a livelli alti», ha detto ancora prima di approdare al Bologna, con una dichiarazione difficile da spiegare.
Adesso per Calafiori si apre un periodo di opportunità che qualche mese fa non saremmo nemmeno riusciti a immaginare. Centrare con il Bologna una qualificazione europea che rimarrebbe nella storia, venire convocato in una Nazionale che forse per la prima volta ha una penuria disperata di centrali di difesa su cui puntare. Il Bologna che chiude la stagione settimo in classifica? Calafiori centrale dell’Italia agli Europei tedeschi dell’anno prossimo? Nel calcio non si sa mai. Ce lo diciamo solo come una consolatoria pacca sulla spalla, dimenticandoci che in fondo è vero.