Dopo il giorno di riposo di ieri, l’ultimo prima del finale, oggi riparte il Giro d’Italia. Mancano poco più di 900 chilometri all’arrivo divisi in cinque tappe, senza contare gli ultimi 17 chilometri a cronometro per arrivare nell’Arena di Verona. Sembra poco visto da fuori, ma c’è ancora il tempo per ribaltare la classifica o, al contrario, crollare improvvisamente.
Nel frattempo c’è chi ha già abbandonato la corsa, come Tom Dumoulin, caduto a pochi chilometri dal traguardo di Frascati e costretto ad abbandonare sulla via di Monte Porzio Catone il giorno successivo, in mezzo al diluvio. C’è chi ha quasi raggiunto il suo personale obiettivo, come Giulio Ciccone, saldamente in testa alla classifica della Maglia Azzurra che premia il miglior scalatore del Giro. Ma il traguardo più ambito, la vittoria finale, sembra lontano ancora per tutti, e non è chiaro chi potrebbe spuntarla.
Se c’è una cosa che ci ha detto questo Giro d’Italia, infatti, è che tutti i grandi nomi della classifica generale sono quasi sullo stesso livello: Carapaz, Nibali, Roglic e Landa si sono scornati in salita finora senza mostrare grandi differenze sostanziali. Simon Yates sembrava morto al termine della cronometro di San Marino (dove ha rimediato un distacco da Roglic di 3’11”) e sulle rampe del Lago Serrù aveva mostrato dei brutti segnali di cedimento, ma nelle ultime due tappe è rimasto aggrappato alle ruote dei migliori provando anche più volte l’azione da lontano nel corso della 15ª tappa. Alla fine ha conquistato un secondo e un terzo posto nelle ultime due frazioni recuperando secondi preziosi in classifica e ora è ottavo a 5’24” con ancora quattro tappe di montagna da sfruttare per cercare il colpo grosso.
Foto di Luk Benies / Getty Images
Anche Miguel Angel Lopez ha perso tantissimo nella cronometro di San Marino e finora ha mostrato solo a sprazzi il suo talento in salita. Nella tappa del Lago Serrù ha perso l’attimo buono per seguire Landa e poi un guasto meccanico l’ha fermato nel momento decisivo. A Courmayeur non è sembrato proprio brillantissimo e anche i suoi attacchi finora sono stati abbastanza velleitari. E ora si trova a dover recuperare parecchi minuti prima dell’ultima cronometro se vuole sperare di vincere il Giro d’Italia.
Al quarto posto c’è Rafal Majka che, a differenza di Yates e Lopez, sta andando ben al di sopra rispetto alle aspettative della vigilia. Eppure, ancora a differenza di Yates, sembra leggermente in calo. Niente di preoccupante, ovviamente, e dovrebbe riuscire a difendere il suo piazzamento in top-5 fino a Verona (e sarebbe il miglior risultato in una grande corsa a tappe per lui dal 5° posto al Giro 2016).
Le attenzioni di tutti in queste prime tappe di montagna erano però rivolte al duello fra lo sloveno Primoz Roglic e Vincenzo Nibali. Dopo il ritiro di Tom Dumoulin e il crollo di Yates nella cronometro, sono loro due i principali favoriti per la vittoria ed è ovvio che sia così: per Nibali parla la sua carriera, il suo palmares straordinario che già oggi lo fa stare gomito a gomito con Felice Gimondi nell’inutile classifica dei più grandi italiani di sempre dietro agli inarrivabili Fausto Coppi e Gino Bartali.
Per Roglic invece parlano i suoi risultati in queste ultime due stagioni: ha vinto due volte il Romandia, una Tirreno-Adriatico e un Giro dei Paesi Baschi. L’anno scorso è arrivato quarto al Tour de France vincendo in solitaria il tappone pirenaico con il Col d’Aspin, il Tourmalet e l’Aubisque. A cronometro è stato argento mondiale nel 2017 e quest’anno ha già vinto entrambe le cronometro di questo Giro d’Italia (oltre a quella conclusiva del Romandia dove ha battuto il campione europeo Victor Campenaerts e il nostro Filippo Ganna). Insomma, stiamo parlando di un uomo che ciclisticamente parlando è ancora fresco nonostante sia già anagraficamente maturo (ha ventotto anni ma corre in una squadra World Tour solo dal 2016) e che già ha vinto tantissimo a livello di corse a tappe.
I due si sono studiati, hanno passato tutta la salita del Lago Serrù a punzecchiarsi. Si sono scontrati a parole prima e dopo le gare (e soprattutto Nibali ha sfruttato il suo potere mediatico in Italia per cercare di innervosire l’avversario, invitandolo a casa sua a vedere la sua collezione di trofei). E in tutto questo, gli altri ne hanno approfittato. O almeno chi aveva le gambe per farlo. Al punto che oggi la maglia rosa è saldamente sulle spalle di un ragazzo che viene dall’Ecuador di cui invece non si parlava quasi per niente alla vigilia di questa edizione del Giro d’Italia.
E quindi, chi è Carapaz?
Richard Antonio Carapaz Montenegro è nato il 29 maggio 1993. Già solo da questo possiamo sapere che è ancora piuttosto giovane visto che compirà 26 anni proprio durante questo Giro d’Italia e più precisamente il giorno della Cormezzadura - Anterselva, la 18ª tappa.
Una tappa che, per la verità, poteva essere più entusiasmante.
26 anni significa anche però non così giovane. Anzi, potremmo dire che Carapaz è all’alba del suo prime. È sbarcato fra i professionisti in Europa solo nel 2017 correndo tante brevi corse a tappe: nel 2017 ha partecipato fra le altre anche al Giro di Romandia e al Delfinato oltre che alla Vuelta a España, riuscendo sempre a portare a termine la corsa dimostrando quindi una buona capacità di recupero e delle ottime doti di fondo. In questi ultimi due anni e mezzo ha già raggiunto una buona maturità psicofisica e sulla sua tenuta atletica nelle tre settimane ci sono davvero pochissimi dubbi: l’anno scorso, per dire, da quasi perfetto sconosciuto ha conquistato il quarto posto al Giro d’Italia.
Un piazzamento che già diceva molto sul suo talento non solo perché era stato ottenuto ottenuto alle spalle di due mostri sacri delle corse a tappe come Chris Froome e Tom Dumoulin, ma anche perché in tutte le tre settimane di corsa non ha mai mostrato grandi segnali di cedimento. Anzi: nell’ormai famosa tappa di Bardonecchia (quella dell’impresa di Froome sul Colle delle Finestre, per intenderci), è arrivato al traguardo con il primo gruppetto di inseguitori insieme a Dumoulin, Pinot e Miguel Angel Lopez (con cui fino all’ultimo si è giocato la Maglia Bianca di miglior giovane) staccandoli tutti nell’ultima salita e chiudendo quella tappa al secondo posto.
Certo, va testato il suo rendimento a cronometro, che sembra il suo tallone d’Achille come per quasi tutti gli scalatori sudamericani che si rispettino. C’è da dire, però, che quest’anno nella crono di San Marino ha perso solo 1’55” da Primoz Roglic, che significa un distacco di poco superiore ai 3” al chilometro. Non tanti, anche perché la salita di San Marino gli ha consentito di limitare i danni. Anche nella crono di Verona ci sarà una salita, più breve e a metà percorso, ma anche il chilometraggio complessivo sarà di molto inferiore alla crono di San Marino. Carapaz, insomma, se dovesse tenere questo rendimento potrebbe perdere circa fra i 45 e i 55 secondi da Roglic in quei 17 chilometri finali. Molto però dipenderà dalle energie rimaste nelle rispettive gambe.
Il rapporto tra Carapaz e la montagna
C’è una motivazione piuttosto semplice alla base delle caratteristiche tecniche di Carapaz. E cioè che è nato e cresciuto a El Carmelo, un piccolissimo paesino sperduto in mezzo alle montagne dell’Ecuador, proprio al confine con la Colombia nella provincia di Carchi, a circa 250 chilometri da Quito e a 500 da Cali. Ciò che ci interessa di El Carmelo ai fini del nostro discorso è che si trova a oltre 3000 metri sul livello del mare: più precisamente a 3068 metri.
Per darvi una piccola idea di cosa significa quel numero: il Gavia, la Cima Coppi di questo Giro d’Italia (purtroppo annullato per neve), arriva a 2610 metri. Il passo dello Stelvio, invece, con i suoi 2757 metri è il più alto d’Italia. Il passo più alto d’Europa è invece in Francia ed è il Col de l’Iseran che tocca quota 2764 metri sul livello del mare. Per Richard Carapaz, insomma, salire in cima allo Stelvio è quasi come per noi comuni mortali andare al mare da Roma. Un’iperbole per dire che tutti i problemi di rarefazione dell’aria, dell’ossigeno che manca e che fa girare la testa, per Richard Carapaz semplicemente non esistono.
Carapaz, insomma, è uno scalatore puro, di quelli che sanno entusiasmare il pubblico con scatti secchi e decisi in salita. C’è chi dice che sembra Claudio El Diablo Chiappucci e in effetti la somiglianza, a livello fisico, è notevole. E anche il suo modo di correre ricorda quello del grande rivale di Gianni Bugno nei primi anni Novanta.
Carapaz è piccolo, con un colorito olivastro tipico degli scalatori andini, così magrolino che sembra fragile e suggerisce una mancanza di forze che nella realtà è del tutto smentita. Il suo soprannome, La Locomotora del Carchi, richiama infatti a un potere soprannaturale.
Solitamente i soprannomi dei ciclisti si rifanno invece ad animali (come lo "Squalo dello Stretto" o ancora "il Grande Airone", Fausto Coppi) e sono un must-have per qualsiasi campione in grado di appassionare le folle. Rappresentano non solo una spiegazione più o meno naturalistica ad una determinata caratteristica tecnica o fisica, ma anche un modo per farci sentire un po’ più vicini a dei campioni così apparentemente distanti da noi. Richard Carapaz ha detto che lui un soprannome non ce l’ha, nonostante alcuni lo chiamino appunto "La Locomotora del Carchi", ma forse nei prossimi giorni dovremo cominciare a pensarci davvero. In questo potrebbe aiutare sapere che la sua famiglia vive in campagna e invece di un cane da guardia ha un tacchino che attacca qualsiasi estraneo tenti di entrare in casa:"el Pavo Guardián", lo chiamano.
Il rapporto tra Carapaz e l’Ecuador
Richard Carapaz, dicevamo, non è stato portato in alto solo dal talento, ma anche da una particolare sequenza di coincidenze più o meno fortunate. Il ciclista della Movistar ha iniziato a correre ovviamente in Ecuador, e questo soprattutto perché è nato e cresciuto nel cantón di Tulcán, la capitale della provincia di Carchi e solitamente considerata la capitale del ciclismo ecuadoregno.
Tanto per fare un esempio: Pedro Rodriguez, "El Águila de Tulcán", è nato qui ed è il plurivittorioso della Vuelta al Ecuador con i suoi 5 trionfi a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. Ma anche allargando lo sguardo l’indicazione è chiara: la provincia di Carchi è anche in testa nella particolare classifica delle province con più vittorie nella Vuelta al Ecuador con 29 trionfi, ben più delle sole tre vittorie che può vantare la seconda in classifica, la provincia di Pichincha dove si trova la capitale dell’Ecuador, Quito.
Carapaz ha iniziato a correre proprio con una squadra di Tulcán, la Coraje Carchense (che all’epoca si chiamava ancora Panavial-Coraje Carchense) che è la squadra ciclistica del Governo provinciale di Carchi. In quel momento la squadra era allenata da una grande stella del ciclismo carchense: Juan Carlos Rosero, detto "El Cóndor", tre volte vincitore della Vuelta al Ecuador e grande rivale di Pedro Rodriguez tra gli anni ‘80 e ‘90, ma soprattutto famoso in patria per aver partecipato alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992 chiusi al 43° posto.
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C’è da dire che, al contrario della Colombia, l’Ecuador non ha una grande tradizione in Europa, e un ciclista può diventare un idolo anche solo per aver partecipato a un’edizione dei Giochi Olimpici. Questo si può dire quindi anche di Juan Carlos Rosero, che nel corso della sua carriera provò anche a fare qualche corsa in Europa senza troppo successo, in Argentina, e soprattutto in Colombia dove vinse anche una tappa alla Vuelta a Colombia nel 1993. Juan Carlos Rosero è morto improvvisamente, a soli cinquant’anni, quando Carapaz non aveva nemmeno 20 anni.
Rosero era nato a Tumbaco, nella provincia di Pichincha, ma era diventato carchense d’adozione tanto che Jaime Pozo Gonzalez, un altro grande ciclista ecuadoregno attivo negli anni ‘60, spenderà delle belle parole per ricordare quelle “pagine di gloria scritte da Rosero in favore dello sport, non solo carchense ma anche nazionale”. La mattina di quel 24 gennaio 2013 Rosero aveva accompagnato la figlia Sofía a scuola prima di andare al consueto allenamento con la squadra. Con loro c’era anche Richard Carapaz che il giorno dopo dirà che quello sembrava un allenamento normale ma a un certo punto si è accorto che Rosero non era tranquillo: «Ci ha detto che aveva dolore al petto e che gli dava fastidio anche il braccio e lo stomaco». Rosero morirà d’infarto poche ore dopo all’ospedale di Tulcán.
Dopo la morte di Rosero, Carapaz ha lasciato la sua squadra per andare a correre con gli Under 23 alla RPM Team Ecuador e in quello stesso anno ha vinto il Campionato Panamericano su strada nella sua categoria. Carapaz ha vinto quei Campionati staccando i due favoriti colombiani, Isaac Bolívar e Félix Barón, di circa due minuti al termine di una gara di 145 chilometri. Fu notato quindi da una squadra colombiana, la Strongman-Campagnolo, che lo mise sotto contratto per il 2015, facendolo iniziare a correre in Colombia. E Carapaz ha iniziato a vincere fin da subito anche lì.
Proprio quell’anno Carapaz è diventato il primo straniero nella storia (ed è tuttora l’unico) a vincere la Vuelta de la Juventud de Colombia subentrando nell’albo d’oro a Miguel Angel Lopez. «È la vittoria più importante della mia carriera, perché ho vinto in una terra di campioni come la Colombia», ha dichiarato il giovane Carapaz subito dopo la vittoria.
A quel punto la sua carriera è ormai lanciata: deve ancora compiere 22 anni e il suo nome circola sui taccuini di tutti i talent scout del continente sudamericano che, ovviamente, hanno per la Vuelta de la Juventud un’attenzione molto particolare. È da lì che sono usciti tanti degli escarabajos che negli anni hanno ottenuto i risultati migliori in Europa: Mauricio Ardila, Ivan Parra, Mauricio Soler, Sergio Henao, Carlos Betancur ("El Bananito"). E infatti anche Richard Carapaz viene notato e ingaggiato dalla Movistar in un team satellite di sviluppo dei giovani. In quel team giovanile ci resta ben poco perché già nell’agosto 2016 viene preso come stagista nel vero Movistar Team, prima di firmare il contratto da professionista per la stagione 2017.
Da lì la sua storia è abbastanza nota: nel 2017 corre la sua prima grande corsa a tappe, la Vuelta a España, chiudendo al 35° posto nella classifica generale con un distacco di un’ora quarantacinque minuti e cinquantanove secondi dal vincitore Chris Froome.
Carapaz però è ancora molto acerbo, il salto dal mondo Under 23 sudamericano all’universo dei professionisti europei è traumatico. Quello è il suo primo grande giro ed è già tanto averlo portato a termine. Soprattutto è un risultato che ci dice molto di che tipo di ciclista sia: è uno che non molla e che riesce a reggere sulle tre settimane di gara.
Carapaz può vincere il Giro d’Italia?
L’anno dopo la Movistar lo porta al Giro d’Italia, ufficialmente in appoggio a Carlos Betancur (quel "Bananito" vincitore della Vuelta de la Juventud nel 2009) e infatti nella prima cronometro di Gerusalemme Ovest Carapaz accusa un ritardo da Tom Dumoulin di 1’01” in soli 9,7 chilometri (in pratica: 6,29 secondi al chilometro, un’enormità anche per un escarabajo).
Piano piano, però. Betancur mostra le solite lacune che ne stanno caratterizzando la carriera fin qui e Carapaz prende sempre più spazio. Al via dell’ottava tappa, da Praia a Mare a Montevergine di Mercogliano, Carapaz è in testa alla classifica della Maglia Bianca di miglior giovane davanti a quel Miguel Angel "Superman" Lopez, anche lui vincitore della Vuelta de la Juventud.
A circa 1500 metri dal traguardo, sotto una pioggia battente, Richard Carapaz parte secco dal gruppo, salta con facilità Koen Bouwman e vince in solitaria la sua prima tappa in un grande giro, la prima vittoria di un ciclista dell’Ecuador al Giro d’Italia, la prima in assoluto in una delle tre grandi corse a tappe per il suo Paese.
Anche qui c’è tanto del corridore che è Carapaz: quello scatto secco e devastante è lo stesso con cui ha schiantato Caleb Ewan e Diego Ulissi sul traguardo di Frascati quest’anno, ed è lo stesso con cui è riuscito ad andar via con facilità ai suoi avversari sul Colle San Carlo prima di involarsi in solitaria verso Courmayeur.
È il suo marchio di fabbrica. Ma non è solo quello, perché dopo lo scatto ha la capacità di mantenere un’andatura elevata incrementando il suo vantaggio. È quello che è successo nella salitella per Courmayeur dove ha saputo sfruttare lo stallo fra i suoi inseguitori per far lievitare il suo vantaggio fino a sfiorare i due minuti. Non è una cosa banale, questa di saper mantenere l’andatura dopo uno scatto: è uno dei difetti che in tanti imputavano ad Alberto Contador, per citare uno che di salite se ne intendeva parecchio. E non è banale soprattutto per uno scalatore puro come lui che invece dovrebbe soffrire sul passo contro gente come Nibali o lo stesso Roglic o, per andare un po’ più indietro nel tempo, Ivan Basso (uno dei migliori passisti-scalatori di questi ultimi anni). Gente in grado di staccarti semplicemente andando via in progressione, senza strappi, e poi di mantenere quell’andatura forte e regolare per tutta la salita.
Ecco, Richard Carapaz sembra avere l’esplosività dello scalatore puro nello scatto secco ma anche una buona dose di abilità sul passo, che è da sempre un requisito fondamentale per essere davvero competitivi nel mondo delle grandi corse a tappe. E soprattutto, come abbiamo già visto, ha buone doti di recupero nel corso delle tre settimane, è molto regolare nelle sue prestazioni e raramente ha dei passaggi a vuoto quando prepara bene una corsa.
E quindi, alla luce di un talento che sembra essere tutt’altro che scontato, è lecito chiedersi: Carapaz lo può vincere questo Giro? C’è da dire innanzitutto che Carapaz non è in maglia rosa solamente perché Nibali e Roglic si sono fatti la guerra. Nella tappa di Como, che ricalcava in parte il finale del Giro di Lombardia, è stato molto bravo a gestire la situazione una volta che Héctor Carretero aveva terminato il suo lavoro sul Civiglio mettendosi in testa a tenere un’andatura decente per evitare una situazione di stallo che avrebbe potuto metterlo tatticamente in difficoltà. Poi ovviamente è stato perfetto nel seguire Nibali e dargli il cambio al momento giusto, nel non prendere troppi rischi in discesa e rientrare in pianura sul fuoriclasse siciliano insieme a Yates e Carthy.
Al minuto 4.22 lo scatto di Nibali è secco. L’unico a tenerlo è Carapaz, in maglia rosa, che pochi istanti prima si era sfilato dalla testa del gruppo per mettersi a ruota del siciliano.
E questo ci dice un’altra cosa su Carapaz, ovvero che è un ciclista intelligente e tatticamente sveglio. Lo dobbiamo ancora vedere alla prova del nove, sulle grandi montagne con la maglia rosa sulle spalle, quando tutti si renderanno conto che lasciargli tutto questo spazio non è una mossa così intelligente.
Per ora è stato bravo a capitalizzare al meglio tutte le occasioni che gli sono capitate fra le mani anche grazie all’ottimo lavoro della sua squadra, la Movistar, che sembra essere la più attrezzata in gruppo per controllare la corsa. Oltre a Pedrero e Carretero, che sono due bei gregari, Carapaz ha a disposizione Andrey Amador che è un ottimo ciclista, quarto al Giro d’Italia 2015, e soprattutto Mikel Landa, forse il migliore in salita in questo Giro d’Italia ma che è scivolato indietro nelle gerarchie della Movistar dopo la cronometro di San Marino.
Ovviamente c’è un problema più grande dei suoi potenziali limiti, e si tratta dei suoi avversari che sono talentuosi e agguerriti. Innanzitutto Vincenzo Nibali. Lo “Squalo dello Stretto” non ha nessuna intenzione di lasciarsi sfuggire quella che probabilmente è la sua ultima occasione per conquistare il suo terzo Giro d'Italia e farà di tutto per vincere. È un ciclista molto esperto e sa come gestire la pressione, sa come muoversi nei momenti che contano davvero e ha già mostrato nel corso della sua carriera di saper anche ribaltare la classifica in situazioni ai limiti dell'impossibile. Nibali quindi ci proverà in ogni modo e per tenergli testa servirà la prestazione della vita.
Ma ovviamente anche Primoz Roglic, che vede la prima occasione concreta di vincere un grande giro e presumibilmente venderà cara la pelle fino all’ultimo metro.
Insomma, Richard Carapaz è un ciclista solido e con un’ottima squadra (la migliore del Giro finora). La sua storia non lascia pensare che possa avere dei bruschi crolli nei prossimi giorni, in salita per ora è andato anche meglio dei suoi avversari e a cronometro potrebbe riuscire a limitare i danni. Per pensare di poter arrivare in maglia rosa al traguardo, però, deve arrivare al via della cronometro di Verona con almeno 50 secondi di vantaggio su Roglic e 20 secondi su Nibali.
Solo in questo modo Carapaz potrebbe legittimare il soprannome di “Locomotora”, che a quel punto ci sembrerà finalmente un soprannome più adeguato di quanto il suo fisico non dica.