Nell’estate del 2002 Gianluca Zambrotta è l’ala destra titolare della Juve da ormai tre anni. Ha appena vinto il suo primo scudetto e in Nazionale ha già partecipato a un Europeo, quello del 2000, macchiato da un’espulsione in semifinale contro l’Olanda che ha creato però i presupposti per una delle vittorie più sofferte e iconiche della storia del nostro calcio. Anche ai Mondiali in Corea del Sud e Giappone è titolare. Nel corso di un’altra indimenticabile sfida, in negativo questa volta - ovvero l’ottavo di finale contro la Corea del Sud - al minuto 72 si strappa l’adduttore della coscia sinistra e viene sostituito.
Non sarà un infortunio semplice. Zambrotta starà fermo per quasi 4 mesi e la Juve nel frattempo si tutela acquistando un altro esterno destro, Mauro German Camoranesi, in comproprietà dal Verona. Il nuovo arrivato dimostra subito una qualità nel portare la palla e accentrare il gioco che non è nelle corde di Zambrotta, un laterale molto più classico nell’interpretazione del ruolo. Per questa ragione, quando rientra nell’ottobre del 2002, Lippi ha delle difficoltà a reinserirlo nell’undici titolare: il 26 ottobre il numero 19 disputa la prima gara dal 1’ contro l’Udinese, poi la domenica successiva farà il quarto di sinistra in uno sperimentale 343 con Camoranesi sull’altra fascia. Nel turno infrasettimanale a Piacenza torna sulla destra nel 442, prima di finire in panchina per due domeniche. Contro il Bologna rientra dall’inizio, a Roma invece Lippi gli preferisce l’italo-argentino. Zambrotta entrerà al 67’ con la Juve sotto 1-2 non al posto di Camoranesi, ma di Ferrara: Thuram passa centrale e l’ex ala del Bari si posiziona terzino destro. Attorno all’80’ però si sposta a sinistra, probabilmente perché Birindelli su quel lato sta soffrendo l’esuberanza di Cafu.
In una decina di minuti Zambrotta si accende con due azioni praticamente identiche, che cambiano quella partita e forse la sua carriera: in entrambe le circostanze Del Piero riceve ai 70 metri all’altezza della linea laterale e premia la sovrapposizione interna di Zambrotta che, partendo più indietro del solito, pare viaggiare in modalità 16X quando riceve palla sulla corsa. La prima volta viene chiuso da Samuel, la seconda si infila tra Zebina e Lima come un treno merci, va sul fondo e la scarica per Nedved, che segna il 2-2 con un sinistro che sorprende Antonioli sul primo palo.
Qualche minuto prima si era reso protagonista pure di un recupero provvidenziale su Batistuta.
Quella facilità nel penetrare le linee avversarie palla al piede potrebbe aver illuminato Lippi sulle possibilità da parte di Zambrotta di dare ampiezza alla fase offensiva anche partendo una linea più indietro. Tanto che il tecnico toscano, complice la squalifica di Birindelli, lo conferma terzino – stavolta a destra - pure nella trasferta successiva di Brescia, che i bianconeri perderanno 0-2. Sembra un esperimento già archiviato: contro Lazio e Perugia Zambrotta torna titolare, ma come esterno alto a destra al posto di Camoranesi, che però in Umbria entra e realizza il gol vittoria.
Lippi forse si rende conto di non poter più rinunciare a uno dei due e dalla prima uscita del 2003, un rotondo 5-0 casalingo alla Reggina, li schiera contemporaneamente: Camoranesi ovviamente quarto di centrocampo a destra, Zambrotta quarto di difesa a sinistra. Nonostante lo si possa considerare un ambidestro a tutti gli effetti, l’ex Bari è un giocatore di piede destro che fino a quel momento aveva giocato prevalentemente a destra. Lippi lo sposta comunque sulla sinistra perché a destra è coperto da Thuram, mentre sull’altro lato avrebbe bisogno di un elemento in grado di attaccare lo spazio liberato da Nedved, che in possesso finisce sistematicamente in zona centrale.
Per Zambrotta si tratta di un cambio di ruolo, non il primo nella sua carriera, di certo il più radicale. Per lui non vale la citazione di Balto “sa soltanto quello che non è”, perché aveva già dimostrato di essere un esterno duttile, capace di coprire tutta la fascia. Quando viene spostato più indietro, però, sembra essere entrato in una casa familiare, facendo il passaggio definitivo da buon giocatore a grande giocatore.
Un po’ ala, un po’ mezzala, un po’ quinto
«A Como in C facevo l’esterno d’attacco, a Bari in Serie A delle volte ho giocato pure da seconda punta» dice Zambrotta, che arriva in Serie A a 20 anni direttamente dalla C1. Al Bari tra il 1997 e il 1999 mette assieme 8 reti tra campionato e Coppa Italia, segnalandosi come una delle ali italiane più promettenti, fino a esordire con la maglia della Nazionale il 10 febbraio 1999. A luglio arriva pure il trasferimento alla Juve per 27 miliardi di lire, dove sostituisce Angelo “soldatino” Di Livio, passato nella stessa estate alla Fiorentina.
Con Ancelotti gioca come quinto di centrocampo (al suo esordio con la Reggina a sinistra, poi soprattutto a destra) nel 3412 il primo anno, poi come mezzala (quasi sempre a destra, a volte a sinistra) nel 4312 la seconda stagione, ma sempre interpretando il ruolo secondo il suo stile, ossia da esterno alto che tende a scivolare in fascia e prendere il fondo.
In questo Juve-Inter del 2001 si nota l’asimmetria delle mezzali: Davids rimane vicino a Tacchinardi, il vertice basso del centrocampo (anche perché Zidane si era già aperto dalla sua parte), Zambrotta invece si alza sulla destra.
Anche l’anno successivo con Lippi la Juve adotterà una struttura posizionale molto simile. In un calcio ancora poco codificato, dove lo sviluppo dell’azione e di una dimensione più collettiva del gioco vengono delegate al regista, Zambrotta è figlio del suo tempo, un numero 7 da giocate estemporanee. Nella Juventus sono soprattutto Zidane e poi Nedved a costituire il fulcro della fase offensiva. Zambrotta, in questo contesto, rappresenta una variazione sul tema. L'esterno di Como non è un accentratore di gioco ma quando prende palla va immediatamente in verticale risalendo il campo da solo con le sue galoppate palla al piede.
Il suo è un gioco fatto di intuizioni e strappi: sa trasformare un’azione difensiva intercettando un pallone e avviando la transizione offensiva con una conduzione dalla velocità spesso insostenibile per gli avversari. Nonostante una falcata abbastanza ampia, non ha una progressione macchinosa. Al contrario riesce a essere esplosivo già sui primi passi, tanto da raggiungere subito la velocità massima, che mantiene pure sui 40-50 metri grazie a un’ottima resistenza. Quando è lanciato gli è sufficiente buttarsi il pallone avanti: in allungo sembra quasi più rapido di chi lo insegue senza palla. L’ala della Juve dispone di una buona forza non solo nei quadricipiti, ma anche nella parte superiore del corpo, che gli permette di resistere ai contrasti o spostare fisicamente gli avversari.
Zambrotta sembra fatto di gomma: in questa partita agli europei del 2000 contro la Turchia viene tirato giù con una scivolata, eppure trova la forza di rialzarsi quasi rimbalzando sul terreno, resistere a una spinta e scappare via con la palla. Un’agilità quasi felina.
Sono rare le pause o le fasi conservative nel suo gioco: la sua tensione verticale lo spinge a forzare spesso l’uno contro uno e a perdere diversi palloni, solo quando si rende conto di non poter saltare l’uomo preferisce girarsi e scaricarla. Ma del resto il suo pezzo forte è il dribbling mentre dà le spalle all’uomo e non c’è da stupirsi se provi in maniera sistematica a superare il diretto avversario. Zambrotta riesce ad imporsi nel duello individuale grazie all’uso del corpo e al repertorio di trick che gli consentono di girarsi con una certa disinvoltura. Considerarlo un interprete dei dribbling difensivi, ossia quelle situazioni – solitamente su palla chiusa o in spazi stretti - in cui si elude l’intervento del marcatore allo scopo di conservare il possesso, è quasi limitativo per un giocatore che vincendo il duello individuale si inventa letteralmente gli spazi e apre il campo alla sua corsa.
Zambrotta sembra sempre guidato da un’urgenza quasi compulsiva di accelerare i ritmi – anche perché è ben consapevole che diventa un valore aggiunto quando può portare il confronto sul piano atletico - eppure in quelle circostanze in cui viene attaccato trasmette un senso di pazienza e lucidità insospettabili: gli piace sfidare la pressione, far uscire l’uomo e capire da quale parte voltarsi.
Mette tra sé e l’avversario il corpo, che usa come uno scudo per nascondere la sfera, poi decide se farsi sfilare la palla tra le gambe oppure toccarla col tacco, spostandosela sull’altro piede. È difficile prevederne le mosse, anche perché non ha una direzione preferita: l’ex Bari continua a muovere la sfera da una parte all’altra con la frequenza di un pendolo senza paura di poterla perdere, in attesa che l’avversario si esponga o allenti la marcatura. Un aspetto del gioco in cui ricorda Maldini, senza però la razionalità e la calma del difensore del Milan. A volte decide di girarsi e dare le spalle all’uomo pure quando ingaggia uno scontro frontale, come fanno i playmaker nel basket. In questo modo invita l’avversario a esporsi, per poi girarsi su stesso e aprirsi un varco.
Zambrotta aveva un talento unico nel farsi largo in contesti apparentemente bloccati ed è il motivo per cui era così prezioso nella fase offensiva della Juve e della Nazionale. Un buonissimo dribblatore, che sfrutta tutta la superficie dei due piedi per superare l’avversario, anche se dai suoi dribbling trasudano sempre una fisicità e un’energia brutali, che finiscono per appiattire l’estetica del gesto. Anche perché il suo è uno stile quasi meccanico, come quei personaggi delle prime edizioni di Pes che, pur disponendo di un campionario di finte molto ampio, si muovono entro traiettorie prestabilite. Insomma era difficile innamorarsi di Zambrotta, che sembrava far scomparire gli avversari con la sua esplosività.
Soprattutto il primo Zambrotta è un giocatore elettrico, capace sì di break che aiutano la Juve a ribaltare il campo, ma che a volte si perde nel caos che lui stesso alimenta, sbagliando le scelte negli ultimi 30 metri (qui ad esempio rinuncia a un passaggio in orizzontale per Nedved optando per un cervellotico lancio su Del Piero che viene intercettato). L’istinto prevale sull’ordine e cerca il cross pure in circostanze poco redditizie, anche se questo tratto è comune a vari giocatori di quel periodo storico. Gli va riconosciuto comunque un ottimo calcio con entrambi i piedi: sia con il destro sia con il sinistro riesce a disegnare cross sempre precisi, né troppo tesi né troppo morbidi. Anche se si è imposto ai massimi livelli con il suo atletismo, ma non va sottovalutato nemmeno lo spessore tecnico.
In questo Roma-Juve del 2005 evita il tackle di Cufrè e dopo 30 metri di corsa mette il pallone sulla testa di Trezeguet, esattamente tra i due centrali della Roma malgrado l’angolo di cross sporcato dall’arrivo di Taddei. Una traiettoria per certi versi strana, visto che la sfera assume subito una parabola arcuata ma mantiene comunque una buona potenza.
Proprio alla luce di queste qualità l’impressione è che il suo apporto negli ultimi 30 metri sia stato inferiore alle sue possibilità: d’accordo, ancora negli anni 2000 alle ali veniva richiesto di occupare rigidamente la fascia senza avventurarsi in zone interne del campo, eppure sembra paradossale che un esterno così acuto nel leggere il gioco avversario, che non di rado abbandonava la posizione per recuperare il pallone, si muovesse così poco senza palla. Quando la squadra si distende, Zambrotta si apre sulla fascia, ma ad esempio non attacca con continuità lo spazio dietro al terzino avversario. I suoi movimenti sembravano soprattutto “reattivi” - movimenti, cioè, che andavano a compensare quello di un compagno che si allargava o si abbassava, senza smarcarsi direttamente per dettare la linea di passaggio al giocatore in possesso. Si accentrava palla al piede, quando era lui stesso a portarla, oppure sullo sviluppo vorticoso dell’azione, quando si apriva un varco nelle zone interne.
La prima immagine risale a Juve-Reggina del 1999, l’esordio di Zambrotta con la maglia bianconera. In quest’azione Zidane si defila e il laterale, schierato in quella partita a sinistra, si accentra per prendere il posto del francese. Nella seconda invece, Italia-Turchia di Euro 2000, Zambrotta entra dentro al campo e si prepara a calciare, sfruttando lo spazio che gli ha creato Conte.
Zambrotta voleva la palla soprattutto addosso ed era restio ad attaccare l’area, anche quando si trovava sul lato debole. Si potrebbe pensare che a possesso consolidato Ancelotti e Lippi chiedessero di attaccare la porta solo alle due punte e il trequartista, e che pure in quelle fasi Zambrotta venisse usato principalmente in funzione delle transizioni difensive. Però ha segnato poco anche nei primi anni di carriera in cui ha giocato in posizione più avanzata: a Como 9 gol in 57 presenze, a Bari 8 in 66 gare. Aggiungendo i primi 3 anni a Torino da ala si arriva a 25 reti in 244 presenze, praticamente una ogni 10 partite. Nella Serie A 2001/02, l’ultima da centrocampista puro, mette a referto un gol, 3 assist, 15 tiri e 8 passaggi chiave: numeri modesti, che non rendono giustizia a un tiratore potenzialmente insidioso anche dalla lunga distanza, capace di calciare sfruttando tutta la violenza del suo collo piede. In un Juve-Lazio del 2002, ad esempio, spacca l’incrocio calciando praticamente da fermo, ma scorrendo i suoi gol si possono trovare anche soluzioni balistiche più complesse, tra cui azioni personali, sassate dalla distanza, gesti acrobatici e un paio di tocchi di fino col Barcellona.
Anche per questo l’arrivo di Camoranesi, che con la sua creatività e la sua attitudine a entrare dentro al campo ha aggiunto una dimensione nuova alla fase offensiva bianconera, ha convinto definitivamente Lippi nell’inverno del 2002 a spostare Zambrotta in difesa. «Lippi mi chiese se volevo giocare da terzino», ricorda «Io allora avevo 25 anni, ero giovane e avrei giocato dappertutto».
La nuova vita da terzino
Il numero 19 prende confidenza con il nuovo ruolo in tempi piuttosto rapidi. In quel 2002/03 verrà alzato ancora a centrocampo, ma più per coprire la flessione di Camoranesi nella parte finale di quella stagione (Zambrotta giocherà la doppia semifinale con il Real Madrid di Champions League da esterno destro, mentre nella finale contro il Milan sostituirà Nedved a sinistra) che non per demeriti difensivi. È sorprendente in particolare che un giocatore che fino a quel momento aveva contribuito alla fase di non possesso grazie soprattutto a delle azioni individuali spesso istintive, abbia rivisto profondamente il suo modo di stare in campo fino a imparare a lavorare con la linea difensiva e difendere di reparto. Non è scontato farlo a 25 anni senza esperienza pregressa da difensore. Zambrotta dimostra di avere degli eccellenti tempi di gioco anche da terzino sinistro, comprendendo quando rimanere in posizione, quando staccarsi dalla marcatura per coprire un compagno o ancora quando abbandonare il suo uomo per uscire su un altro ritenuto più pericoloso. È questa forse l’evoluzione più sorprendente del suo gioco.
3 esempi di scalate eseguite con un tempismo perfetto.
Come tattica individuale invece paga il fatto di non avere avuto questa formazione da difensore puro: non perde il gusto per l’anticipo, ma in quelle occasioni cui viene puntato frontalmente può andare in difficoltà. Zambrotta aveva un approccio piuttosto conservativo alla fase di difesa, preferiva accorciare gradualmente sull'uomo, mantenendo lo sguardo fisso sulla palla senza farsi incantare dalle finte di corpo, ma senza ingaggiare mai lo scontro frontale. Il passaggio da centrocampista a terzino lo aveva reso in questo senso un giocatore più riflessivo e consapevole dei suoi limiti, nonostante atletica potesse dominare praticamente chiunque. Eppure non era raro che dovesse ricorrere alla sua velocità per recuperare l’uomo, o ancora nascondere con una scivolata un errore di posizionamento. Ma si trattava comunque di casi eccezionali. Da terzino si era specializzato nelle chiusure laterali in tackle, specialmente per intervenire su un giocatore in corsa; mentre quando l’avversario provava a superarlo nello stretto e magari nei primi passi si prendeva un vantaggio minimo, cercava di far leva sulla sua forza fisica. Alla fine Zambrotta ha un baricentro basso, ma è pur sempre alto un metro e 81.
Uno dei suoi interventi più iconici risale a un Milan-Juve 0-1 del 2005, quando compie di fatto una parata senza mani per contrastare il tentativo da parte di Inzaghi di ribattere in rete il tiro respinto da Buffon. Più dell’intuizione di andare a coprire la porta o lo scatto con cui recupera l’attaccante, fa impressione l’energia con cui sposta Inzaghi senza commettere fallo. Dopo la conclusione di piatto, il numero 9 del Milan si porta avanti il pallone in maniera rocambolesca mentre evita il portiere con un salto che non può che rallentarne la corsa.
Subito dopo il rimpallo la punta rossonera deve allargarsi per andare a colpire il pallone che si sta allontanando dallo specchio, ma è comunque più vicino alla palla del terzino. Inzaghi vuole tenere a distanza Zambrotta aprendo il braccio sinistro, ma lo juventino recupera la posizione di svantaggio grazie alla forza nella parte superiore del corpo che gli permette di arrivare davanti alla porta prima dell’avversario,. Poi completa l’intervento andando in scivolata con la gamba destra avanti (con la sinistra invece che si insacca nella rete). Un gesto dall’elasticità clamorosa da parte del terzino bianconero: sembra quasi che alzi un muro di gomma, tanto che il milanista rimbalza letteralmente sul corpo dell’avversario. Zambrotta non solo salva un gol fatto, ma facendo carambolare la palla addosso a Inzaghi guadagnerà pure la rimessa dal fondo.
Difensore ambidestro
Dall’inverno del 2003 Zambrotta gioca per più di due anni e mezzo a sinistra. Aveva già una buona confidenza con il mancino, ma dovendo giocare da quella parte inevitabilmente era stato chiamato a utilizzare maggiormente il piede debole per non rallentare la manovra rientrando sul destro e per sfruttare tutto il campo in larghezza. Diventa subito un ottimo lanciatore con il sinistro, anche se per gli stop e la conduzione continuerà a preferire l’esterno destro. «In poco tempo calciava e crossava quasi meglio di sinistro che di destro» ha detto Lippi. Difficile dargli torto: Zambrotta aveva imparato ad usare il mancino anche quando aveva la possibilità di portarsela sul piede forte. Quando era lanciato non interrompe la corsa e crossava col sinistro - solo in quelle situazioni statiche di uno contro uno sulla trequarti poteva decidere di rientrare sul destro.
Dalla naturalezza con cui confeziona questo assist per Del Piero non si direbbe neanche che ha calciato col piede debole.
Pur avendo arretrato la propria posizione, non era diminuita la sua influenza sulla fase offensiva della Juve. In una squadra con Capello sempre più speculativa, che si appoggia sulle individualità e sulla loro prestanza fisica senza ricercare una vera e propria coralità nelle combinazioni, Zambrotta rimaneva una delle leve principali per risalire il campo, assieme alle giocate di Camoranesi e Nedved negli spazi interni. Quando i difensori non andavano direttamente su Ibrahimovic, la palla usciva dal suo lato e Zambrotta era chiamato a trovare delle soluzioni per far progredire il gioco. Se però veniva innescato in corsa e aveva spazio per avanzare non si faceva pregare: con più campo da attaccare diventava ancora più devastante in velocità, come i giocatori buggati dei videogiochi.
Il terzino non si associava con Nedved - che entrando dentro al campo già ad inizio azione non gli portava via l’esterno alto - ma con Del Piero, con cui formerà un’asse collaudato che gli consentirà di prendere il fondo con regolarità: il numero 10 per uscire dalle zone più congestionate riceveva palla sulla sinistra impegnando il terzino di parte e in questo modo chiamava la sovrapposizione di Zambrotta, che a quel punto sfruttava la superiorità dal suo lato per attaccare lo spazio libero.
In questo Juve-Real Madrid 2-0 del 2005 Del Piero attira sia il terzino, Raul Bravo, che l’ala, Beckham, mentre Zambrotta gli offre una traccia interna.
Apice ed epilogo
Nel 2005/06, l’ultima stagione a Torino, arrivano Chiellini e Balzaretti, i quali troveranno sempre più spazio come terzini sinistri. Complice gli infortuni di Zebina e l’accentramento di Thuram, Zambrotta rimane sempre in difesa, ma torna sulla destra, la stessa fascia su cui vincerà i Mondiali del 2006. Salta la gara inaugurale col Ghana a causa di una distrazione al retto femorale, ma dalla seconda sfida del girone con gli Stati Uniti è in campo. Prima a sinistra, poi con l’inserimento di Grosso al posto di Zaccardo in pianta stabile passa a destra. Nei quarti contro l’Ucraina sfoggia la prestazione che probabilmente più è rimasta nell’immaginario collettivo. In quel 3-0 entra in 3 azioni decisive: il gol dell’1-0, il secondo e ultimo con la maglia della Nazionale, l’assist del 3-0 per Toni e nel mezzo un altro salvataggio sulla linea sul tiro a botta sicura di Kalinichenko.
Al 6’ il difensore triangola con Totti, che gli restituisce la palla con un colpo di tacco che gli apre un corridoio centrale. A quel punto il numero 19 prosegue la corsa nello spazio e dai 25 metri scocca un sinistro rasoterra non troppo angolato, ma abbastanza potente da piegare le mani di Shovkovskiy. Una rete che racchiude idealmente tutto il percorso fatto con Lippi, che sublima l’ambidestria e conferma la pericolosità offensiva anche giocando una linea più indietro.
Nella ripresa l’Ucraina carica alla ricerca del pareggio, Buffon deve salvare il risultato due volte e dove non arriva lui ci pensa il terzino destro, che lo sostituisce alzando una barriera sulla linea di porta. Ancora una volta lo juventino trasmette un senso di plasticità quasi alieno: non solo non ha paura di farsi colpire dalla – a differenza di Pirlo che dà le spalle a Kalinichenko - anzi abbassa le gambe mantenendo il busto in posizione eretta per ampliare il più possibile l'ostacolo e respingere con il ginocchio sinistro.
Il bello è che Zambrotta dopo la pallonata si sbilancia all’indietro sui talloni, ma non cade. Appoggia la mano sinistra sul terreno e si rialza subito. È umano come noi?
Scampato il pericolo, l’Italia raddoppia con Toni. Al che Lippi decide di coprirsi, inserendo Barone per Pirlo e Oddo per Camoranesi, con conseguente spostamento di Zambrotta a sinistra. Il commissario tecnico si fida così tanto di lui che preferisce alzare Grosso a centrocampo e tenere lo juventino come terzino. A meno di un minuto dalla sostituzione l’Italia chiude la partita: su un fallo laterale la palla arriva a Grosso, che premia proprio la sovrapposizione di Zambrotta. La palla gli rimbalza davanti a pochi metri dal fondo e potrebbe anche alzare un campanile per Toni, invece con il sinistro rientra verso il centro con un’accelerazione che travolge Vashchuk, il quale si era girato proprio per contrastare un possibile cross. Poi con una puntata in spaccata anticipa il rientro di Gusev e manda il pallone sui piedi di Toni, che a porta vuota firma il definitivo 3-0.
Se si escludono queste giocate così dominanti, Zambrotta in quel Mondiale è stato poco coinvolto in fase offensiva. Perché nel 442 fluido di Lippi, i due esterni alti, Camoranesi a destra e Perrotta a sinistra, vengono dentro al campo per giocare palla e combinare con Totti, che spesso si abbassa mentre Pirlo si defila sul centro destra per staccarsi dal suo marcatore. In un sistema così liquido i terzini rimangono ancorati alle posizioni e salgono solo quando giocano la palla lungolinea per l’esterno, dettandogli poi il passaggio di ritorno.
Nella semifinale con la Germania, Zambrotta si appoggia a Camoranesi e prosegue la sua corsa, mentre l’ex Verona si accentra.
Nell’estate del 2006 in piena Calciopoli il laterale si trasferisce con Thuram al Barcellona. «Mi sono sentito tradito e deluso dalla nuova società – ha spiegato pochi mesi fa - nessuno venne a chiedermi di rinnovare il contratto, ritenevano che non servissi per ritornare in A (la Juve era stata appena retrocessa in Serie B, ndr). Io avrei preso in considerazione una permanenza, poi ho fatto le mie scelte e la cosa migliore era andare all’estero».
In Catalogna continua a giocare come terzino destro nel 433 di Rijkaard ma rimane più bloccato, dovendo coprire Messi e mezzali come Deco, Xavi e Iniesta più abituati a occupare il centro del campo che l’ampiezza. In Spagna gioca 85 partite, poi nel 2008 torna in Italia per vestire la maglia del Milan. Nel giro di due anni perde il posto da titolare anche a causa di un’operazione al menisco tra il 2010 e il 2011. Nelle ultime 2 annate al Milan gioca 34 partite da titolare, nell’ultima stagione poi gli vengono preferiti Abate, Antonini e Mesbah. Zambrotta nel frattempo ha 35 anni e dopo un anno di inattività, firma nel 2013 un contratto da giocatore-vice allenatore con il Chiasso, in Serie B svizzera: gioca 5 partite, prima di diventare allenatore a tutti gli effetti e di fatto abbandonare il calcio giocato. Nel 2013/14 salva la sua squadra alla penultima giornata, ma nell’aprile del 2015 verrà esonerato. In seguito ha ricoperto vari incarichi istituzionali, tra cui vice presidente del settore tecnico della FIGC e ambasciatore di Euro 2020.
Il cambio di ruolo ha svoltato la carriera di Gianluca Zambrotta, che da terzino si è reso protagonista di una crescita esponenziale. Da difensore ha scoperto una disciplina e una razionalità sorprendenti se ripensiamo all’ala disordinata che imperversava per il campo come una gazzella, migliorando nella gestione palla come in fase difensiva. Le sue caratteristiche sono state convogliate in un ruolo che ne ha limato gli eccessi, coperto i difetti negli ultimi 30 metri ed esaltato tecnica e velocità: si potrebbe dire che è stato “normalizzato”, ma indubbiamente il suo rendimento è diventato più costante e il suo gioco più efficace. «Ringrazio Lippi che nel 2002 mi ha spostato in difesa», ha ammesso Zambrotta, che nel 2003 è stato inserito tra i 50 candidati al Pallone d’oro «La mia carriera da quel momento è decollata».
Oltretutto il suo abbassamento in difesa ha anticipato il trend degli anni successivi, caratterizzato dalla progressiva estinzione degli esterni che andavano sul fondo per crossare, in favore di esterni a piede invertito che convergono verso il centro per rifinire l’azione e prendersi direttamente il tiro, oltre che per aprire il campo alle discese dei terzini, sempre più esterni aggiunti in fase di possesso, proprio come accaduto con Zambrotta.
Il suo rendimento ad alti livelli, però, è stato talmente costante da finire per essere poco celebrato, forse sottovalutato. D'altra parte, nella Juve come nella Nazionale del 2006 i leader tecnici ed emotivi erano altri (da Pirlo a Totti, da Del Piero a Buffon, passando per Cannavaro e Thuram). Evidentemente il suo stile sempre più solido e meno appariscente l’ha reso un giocatore meno evocativo, che ha lasciato una traccia meno profonda di altri difensori che si sono distinti per l’eleganza o la spettacolarità dei lori gesti: compiendo una ricerca su YouTube, i video tributo a lui dedicati si contano sulle dita di una mano (tra cui però questa biografia su un canale indonesiano). Ma al di là della nostra percezione, Gianluca Zambrotta va ricordato come un terzino moderno e completo. Sicuramente uno dei migliori della sua generazione, forse anche della storia della Juventus.