Poche persone possono vantarsi di aver condiviso anni di lavoro e di vita con Diego Armando Maradona. Una di queste è Fernando Signorini, preparatore atletico con una lunghissima esperienza alle spalle tra Argentina, Spagna e Italia. Per anni Signorini si è occupato dello stato di forma dell’ex numero 10 di Napoli e Argentina, oltre ad aver allenato Lionel Messi nel Mondiale 2010.
Ho conosciuto Signorini in un bar del quartiere Belgrano di Buenos Aires nel maggio del 2014, recentemente ha acconsentito a una chiacchierata via Skype su Maradona, Messi e il calcio argentino. Una chiacchierata entusiasta anche se amara, senza peli sulla lingua, magari non pienamente condivisibile, ma comunque, spero, interessante.
Come lo ricordi il Maradona calciatore tu che lo hai visto con i tuoi occhi?
Diego era un "animale" del calcio, era nato per giocarci. I suoi movimenti erano felini, sfidavano le leggi della fisica. Il secondo gol contro il Belgio, in semifinale del Mondiale 1986 ne è la dimostrazione: dopo aver seminato gli avversari e aver battuto il portiere tutti avrebbero immaginato che sarebbe caduto, e invece no. La natura gli ha dato un dono speciale che lui ha sfruttato come nessun altro ha mai fatto.
In quello stesso Mondiale, contro l'Inghilterra, aveva realizzato un altro gol ancora più straordinario, una sorta di tango tra frenate e ripartenze...
Quel gol fu la sublimazione della sua estrema capacità di risolvere problemi nel momento stesso in cui gli si paravano davanti. Nel calcio il tempismo è necessario per fare i movimenti giusti. Ma, in generale, la vita di Diego ha fatto sì che da quando era bambino si allenasse per quel gol: quando voleva arraffare un’arancia dal treno merci che passava per la stazione di Villa Fiorito calcolava perfettamente il tempo per saltare e prenderla al volo, e nel gol all'Inghilterra è successo qualcosa di simile...
C'è stato un momento in cui ti sei reso conto che il Mondiale del 1986 sarebbe passato alla storia soprattutto come il Mondiale di Maradona?
Prima di tutto, gli dissi che la miglior maniera di essere altruista con i suoi compagni era di essere egoista. Per me un grammo di cervello pesa più di 76 chili di muscoli, e quando lui si convinse di ciò fu l’inizio della sua cavalcata trionfale. Ma il momento in cui mi resi conto che avremmo vinto quel Mondiale fu durante la preparazione in Messico, cinque giorni prima dell’inizio del torneo.
Andai nella sua stanza, dove c’era anche Pasculli, e feci l’occhiolino a quest’ultimo, facendogli capire che avrei iniziato a recitare. Dissi quindi che Platini e Zico avevano dichiarato di anteporre la gloria della propria Nazionale a quella personale, dimostrando di essere così dei tipi con poco carattere e Diego mi assalì quasi. «Credi che sia così facile?», disse. E io continuai: «Sono tre mesi che diciamo che sarà il tuo Mondiale, sei in formissima e non vuoi convincerti che puoi farcela? Se stanno così le cose a che è servita la preparazione che abbiamo svolto in questo periodo?». Qualche giorno dopo i titoli dei principali giornali riportavano: «Maradona apre il fuoco. Sarò io la stella del Mondiale». Fu in quel momento che mi dissi che era fatta.
Si può dire che la principale differenza tra Maradona e Messi sta proprio nella grande convinzione nei propri mezzi e nel carattere forte del primo?
Sì. Sono entrambi dei calciatori straordinari, ma Diego aveva un carisma inarrivabile e trascinava la squadra in tutto e per tutto. Bisogna dire però che con l’Argentina gli eventi gli sono stati più favorevoli, perché il suo rendimento nella finale nel 1986 con la Germania fu inferiore e quello di Messi nella finale di Rio. Ma in quell’occasione l’unica sua giocata positiva mandò in gol Burruchaga per il 3 a 2 finale...
Pensi che il trattamento ricevuto dopo la carriera da calciatore sia stato ingiusto?
Assolutamente sì. È stato messo alla gogna dal consumismo sfrenato dei mass media, che dimenticano le sue origini. Diego non ha studiato ad Harvard, Diego è figlio di una villa miseria come Fiorito. Quelli che corrompono il mondo e provocano guerre hanno studiato ad Harvard. Una volta arrivato in cima Diego ha voluto sfogarsi contro i poteri dispotici del mondo, prendendosi una rivincita sociale. Ovviamente tutto ciò ha avuto delle conseguenze, anche la gente che prima lo sosteneva lo ha tradito, lasciandolo solo. Sono tutti dei gran hijos de puta che stanno sperando che muoia. I mass media argentini, che sono gli stessi che criticano ingiustamente Messi, non sono onesti, non hanno rispetto. Cosa succederebbe se Messi decidesse di non giocare più con l’Albiceleste per le troppe critiche della stampa?
Vedresti bene Diego come presidente della FIFA?
No. Perché Diego, nonostante abbia giocato stupendamente a calcio, non è preparato per governare un organo del genere. È come se si chiedesse a un eccezionale musicista di essere direttore d’orchestra: probabilmente il risultato sarebbe scadente. Diego potrebbe avere un incarico onorario, andando in giro per il mondo, trasmettendo un messaggio. Sarebbe il giusto premio per una persona che ha rappresentato la felicità degli spettatori che lo hanno visto giocare.
Allora potrebbe sposarsi bene con un Platini al comando?
Non credo, ma almeno Platini è stato un calciatore. E tra i calciatori è anche vero che alcuni adesso non servono a nulla, eppure io preferisco sempre un calciatore a qualche funzionario.
Come occupi il tempo lontano dal campo?
Ultimamente sto dando molte conferenze in tutta l’Argentina, non solo per promuovere il mio libro (Fútbol, llamado a la rebelión, ndr), ma anche perché non voglio più calcare un campo da calcio, ancor meno un campo da calcio argentino.
L'agguato dei tifosi del Boca Juniors ai giocatori del River Plate nel Superclásico giocato a maggio.
Come mai?
L’ambiente del calcio argentino è una porcheria e, lungi da me sembrare un vanitoso, ma non credo che mi meriti. È un circolo composto da tipi deplorevoli e corrotti che hanno reso il calcio una porcheria dominata da barras bravas (ultras) e uno spettacolo nel quale la tifoseria ospite non può andare in trasferta. È uno spettacolo di terrore assoluto.
È cambiato qualcosa con la morte di Julio Grondona (ex presidente dell’AFA ed ex vicepresidente della FIFA, ndr)?
No, perché quelli che sono adesso al potere sono disorientati e non sanno cosa fare. Una volta che è morto il padrone, i servi non sanno più cosa fare.
L’ultimo desiderio di Grondona era l’attuale lega formata da trenta squadre...
Si tratta della peggiore idea degli ultimi 150 anni del calcio argentino. Invece di puntare a una gerarchizzazione concreta del campionato, hanno inserito altre dodici squadre abbassando quindi il livello medio. Ma quello che conta è la quantità di partite da trasmettere in tv. Ma chi resta davanti alla tv per guardare un Temperley – Crucero del Norte? Il calcio così perde valore e ormai ciò che importa è solo il business derivante da ogni partita e dalla pubblicità. Puntano a una passione senza riflessione, visto che ormai nessuno va più allo stadio. Bisognerebbe fare un mese di dieta affinché tutto esploda.
Il discorso vale anche per la Nazionale?
Ovviamente. Io volevo che perdesse per goleada durante la Copa América, affinché la gente potesse rendersi conto di quanto è marcio il nostro sistema.
Il calcio argentino è così ridotto male?
È solamente business. Non importa neanche la vita di chi lo pratica, come accaduto poco fa a Emanuel Ortega, morto dopo lo scontro con un palo posizionato appena fuori dalle linee di campo. E da quel giorno non è cambiato niente. Giocatori e allenatori dovrebbero avere più voce in capitolo, ma soprattutto i giocatori vengono emarginati, in quanto quasi obbligati a rispettare il loro cliché di persone stupide. Per questo dico che ci sono vittorie che sono peggio di alcune sconfitte. Ed è ciò che è accaduto con la nostra Nazionale dopo le vittorie ai Mondiali.
Due Mondiali deleteri, dunque.
Esatto. Servirono a fare felice la gente per due o tre giorni, a far bere più alcol e mangiare più asado, se non addirittura a far vendere qualche bandiera in più per innalzare uno stupido nazionalismo. E noi non siamo neanche così argentini in fondo, in realtà siamo figli delle navi, i veri argentini sono tutti emarginati alla frontiera senza acqua e senza servizi. Ma per l’establishment ciò che conta è vincere, non giocare bene. E ciò che importa è avere il cuore vuoto e la tasca piena, purtroppo...
Samuel, Zanetti, Verón, Ortega, Batistuta e Crespo, ma l'avventura dell'Argentina nel Mondiale del 2002 finì dopo questo pareggio con la Svezia.
Nel 2002 la migliore Argentina con al timone Marcelo Bielsa, per molti il miglior tecnico, non arrivò neanche agli ottavi dei Mondiali. Può essere stato un castigo divino?
In parte. In realtà per chi punta al risultato è stato più importante il secondo posto dell’anno scorso in Brasile con una squadra piena di ottimi giocatori, ma che ha espresso un calcio pessimo. Menotti diceva: «Il successo non si questiona». L’Argentina nel Mondiale del ’90 doveva perdere 6 a 1 contro il Brasile, invece finì per vincere 1 a 0. Questi trionfi hanno confuso il calcio argentino, facendo pensare a tutti che il nostro calcio fosse tra i migliori e offuscando la grande tradizione nazionale con un gioco insipido e volto esclusivamente alla vittoria senza estetica.
In questo contesto, cosa ha significato il ritorno di Tévez al Boca?
È stato come una boccata di aria fresca. È importante che, nonostante avesse molti anni ancora ad alto livello per giocare in Europa, abbia accettato di tornare rinunciando anche a dei soldi. È come un diamante nel fango, ma credo che il fango finirà col fagocitarlo.
Cosa impedisce all'Argentina di eccellere?
Dispone di fior di giocatori. Ma la maniera di affrontare le finali contro Germania e Cile, con tanta paura in corpo, aspettando il rivale, simboleggia questa realtà amara. Io credo che il calcio argentino meriti più coraggio e un altro approccio al gioco. Le grandi squadre sono quelle che vanno sempre convinte verso il proprio obiettivo, non nascondendosi.
Quest’estate il Real Madrid ha fatto 50mila km in aereo per eventi e non per allenarsi. Qual è la tua opinione al riguardo?
Si tratta di un prodotto fatto di carne e ossa creato per essere venduto in tutto il mondo. Ciò che importa è unicamente il marchio Real Madrid: a Florentino Pérez non interessa vincere per l’emozione, quanto per espandere ancora di più il suo impero economico. Io mi chiedo quale sia il vero messaggio, il compromesso sociale del calcio moderno. Il calcio è stato creato dalla classe popolare e adesso lo hanno rubato alla gente. La reale sensazione di essere felici giocando a calcio e la possibilità di educare attraverso lo sport in generale si sono affievolite.