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Nuove riflessioni di un osservatore la domenica pomeriggio
08 nov 2024
Alessandro Gazzi su attesa e immaginazione.
(articolo)
17 min
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Domenica 20 ottobre, cielo nuvoloso, 19°C.

1.

I ragazzi di Vegliato, allenatore del Torino Under 16, sono impegnati a Reggio Emilia e oggi non saranno di scena tra le mura amiche del CIT. Facile immaginare questa trasferta: campo pesante, magliette bagnate e sudore che gronda a goccioloni. I volti dei ragazzi sporchi di fango, i pantaloncini sgommati da terra incollosa, ciuffi d’erba sparsi sul completo fradicio. Mentre nelle ossute tribune di ferro e vuoto i genitori assistono sotto ombrelli dalle stecche tentennanti dalle quali cadono chicchi d’acqua intermittenti. Gioia e festeggiamenti alla fine del match. Esultanti bagordi in uno degli spogliatoi dove, tra le mura scrostate e qualche infiltrazione, si saltella scomposti tra una borsa e l’altra. L’aria è viziata da umori epidermici che spadroneggiano liberi mentre i vapori delle docce inumidiscono ancora di più ossigeno stanco ma ancora adrenalinico. È calcio dal sapore che senti in gola, in qualche plesso nervoso che riconosce, inconfondibile, il sapore del gioco.

È bello immaginare, anche se la realtà potrebbe smentire categoricamente un sogno ad occhi aperti: basta un sole spaccapietre, un caldo anomalo dopo giorni tuonanti e un campo sintetico che per i nostalgici stupra qualsiasi sogno di battaglia. Le possibilità, dopotutto, sono sempre infinite. A Torino città non sta piovendo ma il cielo minaccia sempre pioggia, pioggia che inizia a dare alla noia. Ogni tanto passa un bus o un’auto. Dalla finestra della mia camera il grattacielo non si vede. È nascosto dietro alberi che qua e là abbozzano macchioline giallognole quasi impercettibili mentre a terra, sull’asfalto grigio, le foglie certificano un autunno dal futuro impressionista. Ed io, che posso tenermi aggiornato su Reggiana - Torino U16 solo su TuttoCampo, siedo alla mia postazione temporanea di studio e lavoro. Ascolto il suono delle campane che introduce Amen 29:15.

Quelle campane che prima sfumano in un trip spaziale e abrasivo dalle traiettorie quasi circolari per poi riemergere dallo stesso universo sonoro. Quelle campane che identificano nella scena musicale degli anni ‘90, il tempio pagano che i Bardo Pond hanno costruito e dentro il quale si viene risucchiati. Lì, caro ascoltatore, ti attende un viaggio psicolisergico, psicocosmico, piscoquellochevuoi che le chitarre dei fratelli Gibbons - chitarre che esplorano un’altra dimensione- disegnano nella loro ripetitiva, prolungata, rallentata virtuosità. Le traiettorie “ellittiche”, l’alternanza di saturo e quasi vuoto. Saturo. E quasi vuoto. Ma non vuoto. Minuti carichi di feedback, tensione e meraviglia che sembrano fuoriuscire da qualche brodo primordiale. Stellare. In un moto diluito nel tempo, fatto di silenzi apparenti e di assoli rappresi - un moto che va assimilato nella sua epica, monolitica interezza. Questi a grandi linee sono i Bardo Pond da Philadelphia.

Sofascore invece mi informa dei parziali di tutte le partite dei campionati italiani. Atalanta in vantaggio sul Venezia, 1 a 1 tra Juve Stabia e Cremonese, 3 a 0 del Trapani sul Cerignola. 1 a 0 del Trento sulla Pro Vercelli. Ma non solo. Oltre ai risultati della prima frazione di gioco la piattaforma mi consente di analizzare anche una sconfinata quanto approfondita melassa di numeri organizzati che non hanno nulla da invidiare ai vari Opta, Hudl, Wyscout o Catapult.

Statistiche. Decine, centinaia. E, se ti addentri ancor di più: migliaia. Per ogni singolo evento della partita e calciatore. Quote, tiri e falli. Attack momentum, espulsioni, ammonizioni, calci d’angolo. Tiri in porta, possesso palla, formazioni, classifiche, età medie, precisi rating individuali sviluppati da chissà quali algoritmi, minuti giocati, una gelida realtà strutturata da moduli, parate, posizioni medie, passaggi e grandi occasioni, orgia di numeri e diagrammi a torta, amplessi di istogrammi verticali e orizzontali. Quanto piacere ricaviamo da questi numeri? Che cos’è la partita vista con gli occhi di un analista? Quale realtà mi può proporre? Quale godimento traggo, se non in quello di una continua ricerca, irrefrenabile, del numero magico? Quale realtà vede, un analista? Mi chiedo se ci sia una differenza con quella definibile, ad occhi chiusi, ascoltando il pubblico nei novanta minuti trascorsi in uno stadio di Serie A. O della voce dei Repice, degli Scaramuzzino e degli inviati di oggi di Tutto il calcio minuto per minuto.

"...tra i fischi del pubblico di casa per una ammonizione al tecnico granata Viali che si era lamentato per un fallo laterale non dato ai suoi che comunque sono in vantaggio appunto 1-0 sul Frosinone che poco fa appunto ha provato il primo tiro in porta con Canotto, tra l'altro l'unico neo entrato, subentrato però già nel primo tempo a Partipilo, infortunato sì, al ventunesimo minuto e per adesso non ci sono state altre sostituzioni né da parte di Viali né da parte di Vivarini, tecnico del Frosinone, che è sotto 1-0 a Reggio Emilia al decimo minuto della ripresa. Linea a…"

Al quattordicesimo piano del grattacielo che sfioro ogni volta che vado a vedere il Toro Under 16, seduto davanti a un drink, le ginocchia suonano stridule. Cartilagini consumate invitano l’alcool a una sorta di lubrificazione articolare ben diversa da quella che in passato trasformava l’acido ialuronico in elisir di lunga vita calcistica. Blatero. Sono i neuroni specchio… quando non sai cosa dire, quando vuoi metterla sul piano scientifico, piano che non ti compete ma che utilizzi come salvagente culturale per spiegare le tue scelte metodologiche d’allenamento, parla dei neuroni specchio, dell’imitazione, del come si apprende guardando fare le cose agli altri… Rizzolati, Gallese, Università di Parma, fidati, ne uscirai sempre vivo… Sempre. Vivo.

Reggiana (4-4-2): Davoli; Magnanini, Tema, Menegazzo, Genova; Di Lieto, Rinaldi, Puccio, Kapllani; Lombardi, Dotti.

All: Bertoni.

Torino (3-4-2-1): Chinellato; Traversi, Savant Ros, Pierro; Cai, Mukerjee, Scibilia, Antonelli; Moraglio, Colantoni, Marangon.

Allenatore: Vegliato.

2.

Ciao Ale, è andata male, abbiamo perso 3-2. Una partita rocambolesca, abbiamo preso il gol dopo due minuti. Però al quinto avevamo già pareggiato 1-1, allora, preso gol, ci siamo persi un inserimento e il pareggio - cross, il difensore ha ciccato il rinvio, autogol, il portiere aveva parato ma era già entrato. E poi la partita ce l'avevamo abbastanza in controllo finché al 36esimo è successo un patatrac con il nostro portiere nel senso che c'è stato un retropassaggio da centrocampo.

La dimensione onirica, in questi intermezzi descrittivi, corre parallela a questo periodo di disoccupazione professionale, periodo temporaneo che non sai quanto possa durare. Uno, tre, cinque mesi, chissà. Cosa fa un allenatore/viceallenatore professionista del settore in tempi di magra? Come impiega il tempo libero, se ne ha? Come vive l’attesa? Di certo c’è che il tempo non viene più scandito da quel progressivo incedere adrenalinico che si schianta sulla panchina la domenica pomeriggio lasciando poi spazio a pensieri buoni e meno buoni sulla partita che la squadra ha giocato. Il tempo non viene più surclassato dalle otto-nove-dieci ore filate di lavoro tra campo ed ufficio. Tra parole da distribuire ai ragazzi mentre un fisioterapista applica la fasciatura alla caviglia sinistra di Gaetano e un altro impegnato dispensare massaggi al gastrocnemio di Davide. Tra video delle correzioni tecniche e una chewing-gum lapidata e pronta per essere cestinata. Tra sguardi vivi e spenti e problemi puntuali da risolvere.

Di certo c’è che il tempo assume un profilo dalla continuità meno spigolosa e più lineare, più familiare e diluita in mesi dalla inusuale serenità. Qualche passeggiata nel centro di Torino, sovrappensiero. Corse in auto per accompagnare le figlie agli allenamenti di tennis, di ginnastica ritmica, fungendo da autista e perdendosi tra i semafori i ragionamenti e i monopattini nelle strade cittadine. Guardo partite dalla mia postazione lavorativa che ho montato in camera da letto e composta principalmente da due schermi (tre se considero anche il televisore alla mia destra) sui quali osservo, annoto e scrivo.

Poi fogli. Schemi. Riassunti tattici. Abbacinante, L’ala destra di Cartarescu. Penne colorate e mouse. Mappe mentali. C’è una confusione, sul mio tavolo, che ha un suo ordine sconosciuto ai più. Il piano di lavoro che ho “istituito” comprende la visione di partite che vanno dalla Champions League alla Serie A, dalla Serie B e Serie C al campionato Primavera. Oltre a ciò la lettura di libri e la scrittura. Visualizzazioni. Almeno tre allenamenti a settimana tra corsa ed esercizi di forza funzionale condita con sovraccarichi minimi. La costruzione di un piano metodologico da applicare alle diverse sfacettature della mia vita familiare e professionale. L’ascolto di musica. Di nuovo: lettura. La visione di The Turin horse (2011) dell’ungherese Bela Tarr, un film dall’insistente monotonia, dai dialoghi rari, girato in un bianco e nero dal cupo pessimismo esistenziale. I tempi sono dilatati allo sfinimento, i piani sequenza in bianco e nero sono - passatemi il termine - potenti. Disarmanti. Con Deborah che a fine film, durante i titoli di coda, mi dice: te sei imparato pure er Bulgaro.

La progressione adrenalinica di cui parlavo ai più, nota anche come settimana tipo, viene sostituita da brevissimi quanto eccitanti momenti quotidiani come quelli appena descritti o da preoccupazioni fortunatamente momentanee. E poi, di tanto in tanto, c’è un evento che frantuma per qualche ora la regolare quotidianità. Mi è capitato di andare alla presentazione del libro Fra gli Ultras di James Montague. Un tipo inglese alto, robusto e intraprendente al quale, appena ci siamo incontrati, ho chiesto se mi faceva vedere il disegno che si era fatto tatuare al quartier generale degli ex Irriducibili della Lazio. Quattro sono i dadi visibili sotto il suo braccio. 1-3-1-2. Parlandogli con un inglese pessimo, gli ho raccontato di quella volta, nel 2002, che vidi i tifosi laziali inferociti irrompere al centro sportivo di Formello, scontenti dei pessimi risultati della squadra allenata da Alberto Zaccheroni. Correvano tutti verso il campo d’allenamento, sembravano furie libere di sfogare il loro malcontento. E per poco non riuscirono a raggiungere i calciatori tornati anticipatamente negli spogliatoi. Qualcosa andò in fumo, un telone se non ricordo male, ci fu qualche danno e un confronto pacificatore mise tutto apposto.

Nella piccola libreria dove erano presenti una ventina di persone, James ha raccontato la genesi del suo libro, le esperienze che ha avuto “infiltrandosi” nei gruppi Ultras presenti non solo in Europa ma anche in Sudamerica e in Africa. Dalla Banda del Parque alla Torcida, dalla Fossa dei Leoni al Gate 4 di Salonicco. Perfino in Indonesia, dove le bande vivono il tifo estremo con una ferocia tale da uccidere con frequenza maggiore rispetto ad altri contesti. Lì, stando alle sue parole, si è cagato veramente sotto. Nell’unico momento in cui sono stato chiamato in causa durante l’incontro, ho descritto brevemente come ho mantenuto il rapporto calciatore-ultras a temperature polari facendomi quasi sempre i cazzi miei. In linea di principio, passando anche per ingenuo agli occhi di compagni liberi di gestire a loro modo queste situazioni – e che è capitato si facessero trascinare in Curva senza porre nessun particolare freno a quella confidenza relazionale apparentemente vantaggiosa.

Ho sempre considerato lo stadio l’unico luogo dove poter vivere in maniera il più trasparente possibile questa relazione. Io nel campo a giocare e loro sugli spalti a tifare. È in quello scambio comunicativo, loro con i loro cori, le coreografie e quant’altro e il calciatore con le sue gesta la possibilità più genuina di relazione. Fine. Ma nel mentre del mio breve intermezzo non ho riferito ahimè, dei siparietti triti e ritriti negli incontri squadra-ultras dove il tirare fuori i coglioni, il noi ci svegliamo alle 4 del mattino e il in questa squadra non ci sono teste di cazzo sono le uniche armi linguistiche obbligate a definire i limiti di un rapporto fragile e quantomeno complicato da gestire nei momenti in cui le cose non vanno.

Sì, ti dicevo che il retropassaggio era un po'… nel senso che il centrocampista nostro ha palla a centrocampo quasi senza pressione, non era neanche pressato, e fa questo retropassaggio di 50 metri al portiere di collo pieno, rasoterra ma di collo pieno, il nostro portiere fa per controllarla di interno e gli passa sotto la suola e finisce…

3.

…rotola in porta, 2-1, secondo tempo, rimessa laterale nostra, non la battiamo bene, nel senso che chi la batte la dà al compagno alta addosso, quindi palla non bellissima da controllare, perdiamo palla, 3-1, e poi... Lo... Loro hanno continuato a perdere tempo, si buttavano a terra, nascondevano i palloni, palla più vicina a 80 metri, sai già come va a finire, abbiamo fatto il 3-2 ma mancava poco e non abbiamo avuto più tempo di raddrizzarla.

È questo l’esempio di un evento che rompe quella quotidianità fatta di attese ed energia sedata. Quotidianità che apparentemente può sembrare piatta ma che in realtà offre sfumature sempre nuove e stimolanti. Come l’agganciare qualsiasi argomento delle divagazioni interiori e fraseggiare con lui per secondi, cambiare preda e ricollegarsi di nuovo a quell’argomento, questa volta per minuti, mentre passeggio, come ad attendere e provocare qualche pressione avversaria che inneschi un automatismo collaudato e micidiale di passaggi fluidi, determinanti e verticali. Che arrivino al cuore delle cose. Il gioco corto, in questi casi è necessario.

Fraseggiare, su uno, due, tre argomenti, come lo smarcamento preventivo di Aktürkoğlu nel primo gol del Benfica contro l’Atletico Madrid in Champions League qualche settimana fa, oppure i primi ventisette minuti di una puntata di Viva El Futbol che ho visto sul canale YouTube con un "Fantantonio" sugli scudi. Studio essenziale, lavagna magnetica, Adani, Ventola, Cassano e dei libri, posti sul tavolino, che non sono riuscito a riconoscere. Ho mandato un messaggio via social a Lele per chiedergli i titoli dei libri non essendo un cultore di quella trasmissione ma di qualche libro sì. Ma da Daniele non ho ricevuto risposta. Disquisire di tattica, a volte, lo trovo limitato. Svuotare i movimenti collettivi ed individuali della soggettività percepita da ogni singolo attore della partita, parlare di moduli in maniera il più oggettiva possibile sradicando dalle pedine della dama calcistica la componente culturale-emozionale-sociale-situazionale in cui ogni pedina, in quel dato momento si trova, a volte, lo trovo come un esercizio dalle possibilità limitate.

D’altronde la dama è meno complessa degli scacchi. Dieci alla centoventitre sono le possibilità di gioco per regina e soci. Ma il calcio, Dio mio, è un gioco circolarmente infinito. Come la vita, dopotutto. Poi, ci sono i punti di vista. E questo, in questo preciso momento, davanti al PC, con Wagner in sottofondo, è il mio. Una visuale, uno spunto, in mezzo a tanti spunti, ancora a fraseggiare, a mantenere un possesso superficiale e poco ficcante ma necessario per avere il dominio sull’unica porzione di campo disponibile. Poi può capitare che nel mezzo di una soleggiata mattinata, per un motivo o per l’altro ti chiama il Mister, lui ti dice che qualcosa potrebbe sbloccarsi a breve, forse, a determinate condizioni e tu senti un vigoroso allineamento molecolare che proietta la tua mente in un tunnel nel quale sei già stato catapultato una, dieci, venti volte e anche di più, sai che potrebbe trattarsi di un respiro profondo e dunque, in caso di immersione, di rimanere in apnea per settimane se non mesi, concentri le energie sparse tra centinaia di capitoli che hai aperto e ti addentri nelle pieghe della potenziale possibilità. Che ancora non è possibilità concreta ma solo potenziale.

Ti informi, riassesti il tuo modus operandi su un unico asse e aspetti. Ti senti più concentrato, più pronto, più attivo a qualsiasi scossone tellurico. Entri in profondità con un passaggio in verticale, la potenziale possibilità, che ha squartato la seconda linea di difesa dopo aver collaudato quel meccanismo necessario a far passare il tempo che era diventato il fraseggio. Lì, in quei giorni dove un’indicazione a breve termine ti regala degli obiettivi chiari e specifici, senti di nuovo scorrere nelle vie nervose “quella roba” - come la chiama il mister - che hai percepito da calciatore. Da collaboratore tecnico. Da vice allenatore. E che tieni sedata dentro di te. Non è ancora ora però, c’è ancora bisogno di possesso, tanto possesso.

3-2 su un corner, sviluppi di un corner, palla che viene ribattuta corta e calciamo da dentro l'area, 3-2 però poi mancavano tipo due minuti.

4.

Sintetico. Pioviggine.

E poi, c’ è il Corso UEFA Pro da frequentare, a Coverciano. Due giorni al mese fino a giugno con possibili visite programmate in qualche club di A e la stesura di una tesi per chiudere il formale ciclo di studi calcistico-accademico. Al Centro tecnico federale Mister Ulivieri impartisce lezioni di tecnica e tattica analitica condite da qualche aneddoto di un calcio prestigioso che non c’è più. E sbucano quindi i Kennet Andersson e i Roby Baggio, i Cannavaro e, ora che ha smesso, i Buffon. Sono otto ore tirate per due giorni, non di solo calcio ovviamente. Incontro vecchi compagni di squadra, Rossettini, avversari leali, Rigoni e Moro, tutta gente che ha toccato la Serie A della medio bassa classifica, qualche disoccupato e qualcun altro fresco di esonero.

Nomi altisonanti come Hamšik, Kolarov e Fàbregas. Renato Baldi, collaboratore tecnico di Spalletti, parla di una ritrovata leggerezza tra gli Azzurri probabilmente non distante da quella che Calvino reclamava nelle sue Lezioni Americane. Ce n’era bisogno, dopo un macigno europeo che aveva disossato aspettative divenute scheletriche nella partita contro la Francia in Nations League. Di tattica si disquisisce. A tal proposito mi è capitato di visionare l’organizzazione sofisticata in fase di possesso della Juve Stabia di Guido Pagliuca, altro compagno di corso. Interessante e divertente. Cerebrale. Spalletti all’inaugurazione ci augura il meglio. Sarri, ospite d’onore al terzo incontro, ci descrive l’evoluzione che ha avuto il suo gioco dalle prime complicate stagioni nelle serie minori fino alle esperienze di Napoli, Chelsea, Juventus e Lazio. Mettendo a fuoco anche l’importanza della casualità veicolata a nostro vantaggio, Taleb docet. Se non fosse stato per essa e per l’intuizione balenata in testa al coach e al suo staff tecnico, probabilmente il Mertens centravanti che ha fatto meraviglie a Napoli non lo avremmo mai ammirato. Comunicazione, preparazione atletica, psicologia, il direttore sportivo dell’Inter Piero Ausilio in conferenza. E poi c’è il buon Gigi Giorgi che frequenta il Corso UEFA A, sfegatato di musica, con il quale a pranzo si parla di podcast rivoluzionari e dell’Avversario di Carrère.

Dopo l’intervento di Filippo Lorenzon, responsabile dei match analyst dell’Inter, mi domando dove risieda l’oggettività dei dati, se sono il risultato di algoritmi programmati secondo criteri soggettivi. E da lì, di nuovo. Quanto oggettiva può risultare la realtà degli istogrammi? Quanto veicolano la realtà i dati? Quanto la scelta dei dati che voglio analizzare mi indirizzano verso un determinata visione delle cose?

5.

Scrollare pensieri. Uno dietro l’altro, una caleidoscopica sequenza di lampi, un dribbling di Nuno Tavares e un’intervista di Sabatini, lo Zaffa che mi chiama, Totti che vuole rientrare nel giro del calcio giocato ad alto livello e le sentenze, ancora loro, di Cassano. Ibra che vuole darsi alla boxe, Hugh Grant che esulta al gol di Nico Paz. Lettere, parole e frasi che compaiono sul monitor del mio personal Var. Sarebbe interessante capire se è aumentato il numero delle espulsioni ad esempio, perché gli aggiornamenti di Sofascore danno cartellini rossi diffusi nelle varie gare.

Certe partite sembrano scrollare un gol dietro l’altro, come se ci fosse un meccanismo subconscio che allinea le fasi di gioco alle dinamiche dei social. È il Tik-gol-football ragazzi! Ma bastano quattro secondi e dico quattro, per rimanere inchiodati su Liverpool-Chelsea, al 56esimo minuto di gioco. E inebetirsi di fronte allo spettacolo agonistico scevro da eccessivo tatticismo che offrono Van Dijk e Momo Salah, Palmer ed Enzo Fernandez. Vedere tackle e contrasti duri senza che nessuno batta ciglio, Wow!, errori gratuiti ad alta intensità del calcio m… No. Non lo dico. E un'emotività altalenante, una girandola psicologica dall’equilibrio incerto e dalla spettacolarità che fa venir, quasi voglia di g… no, quella no. Ormai ho dato.

Perché non sei andato in città?

Il vento l’ha spazzata via.

Come è successo?

È andata in rovina.

Come sarebbe in “rovina”

Perché tutto è in rovina. Tutto è stato impoverito. Ma potrei dire che tutto è distruzione e rovina perché qui non si tratta di un qualche cataclisma generato da un’azione innocente degli uomini. Al contrario. Qui si tratta del giudizio umano…

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