“Eccomi, sono l’esorcista”
Nella sua carriera sportiva Vincenzo Montella non ha mai nascosto il desiderio di crescere, anche a costo di prendersi grandi rischi e responsabilità . A soli 22 anni, per giocarsi le sue possibilità in Serie A, ha deciso di passare dal Genoa ai rivali della Sampdoria, convincendo i nuovi tifosi con una doppietta nel derby di Coppa Italia. È andata bene, così come la scelta di restare a Roma nonostante la concorrenza di attaccanti come Batistuta. Un rischio simile lo ha corso a fine carriera, quando ha rinunciato al suo ultimo anno di contratto da calciatore per allenare nelle giovanili dei giallorossi e decidere poi, solo diciotto mesi dopo, di accettare il difficile incarico di traghettatore della Roma post-Ranieri.
Montella è sempre riuscito a lasciare un’impronta definita sulle sue squadre, e in poco tempo. Persino alla sua gara d’esordio su una panchina dei professionisti, con la Roma, era già visibile la sua mano: squadra corta, due play in campo (a De Rossi ha aggiunto Pizarro, che non giocava da novembre) e marcata impronta offensiva. I risultati non hanno stentato ad arrivare: in campionato ha conquistato 24 punti sui 36 disponibili (7 vittorie, 3 pareggi e 2 sconfitte, entrambe nei minuti di recupero), anche se - a conti fatti -non sono bastati per la zona Champions, né per la riconferma. A fine stagione la dirigenza americana ha scelto Luis Enrique, mentre “l’aeroplanino” ha virato in direzione Catania.
Da Roma a Catania
Nei tre anni precedenti al suo arrivo gli etnei avevano lanciato tre allenatori emergenti - Zenga, Mihajlovic e Simeone - raggiungendo risultati sempre migliori (43 punti nel 2009, 45 nel 2010 e 46 nel 2011). Montella si trova quindi in possesso di un meccanismo già funzionante, ma non rinuncia comunque a imporre la sua proposta di gioco.
Dal mercato arrivano Legrottaglie e Almiron, Barrientos torna dal prestito, Bergessio e Lodi vengono riscattati. Saranno tutti protagonisti nel 4-3-3 di Montella, che costruirà il suo sistema su Lodi a centrocampo, e due giocatori rapidi e tecnici come Gomez e Barrientos sulle fasce. Come intermedi giocano Izco e Almiron, dinamici e pronti ad inserirsi, mentre davanti Bergessio viene preferito ad attaccanti come Maxi Lopez e Suazo perché maggiormente associativo.
«Mi piace che la mia squadra abbia l’idea di giocare a prescindere dall’avversario», dice Montella del suo Catania. Gli etnei finiscono quinti in classifica per azioni nella trequarti avversaria (28%, dietro Juve, Milan, Roma e Inter) e aumentano decisamente sia il numero di tiri (da 13.7 a 14.5 a partita) che il numero di dribbling tentati (da 6 a 8.5) rispetto alla stagione precedente. Il tutto attraverso un controllo del possesso che di solito viene associato alle grandi squadre (il Catania, infatti, guadagnerà ben cinque posizioni nella classifica dei passaggi giocati).
La fase offensiva passa quindi per due momenti: prima il consolidamento del possesso fino alla trequarti avversaria (con il coinvolgimento anche di tutta la difesa), poi la verticalizzazione per arrivare in porta, attuata o attraverso il cambio di gioco sul lato debole per una delle due ali (che in questo modo potevano puntare il terzino avversario in uno contro uno) o attraverso il filtrante per Bergessio, che funge anche da supporto per dare tempi di avanzamento ai compagni. Ma il Catania sa anche rendersi pericoloso con gli inserimenti da dietro, o delle mezzali o dei terzini (come Marchese, che sfruttando lo spazio liberato dai tagli di Gomez riesce ad avanzare come un’ala aggiunta).
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Inter-Catania 2-2. Bergessio viene incontro e appoggia per Barrientos, che parte in contropiede; sulla trequarti – oltre a Gomez – arrivano Almiron e Marchese, costringendo l’Inter a concedere l’uno contro uno all’esterno.
Dei meccanismi offensivi di Montella beneficiano in primo luogo i giocatori della trequarti offensiva. Barrientos e Gomez sono più liberi di prendersi responsabilità rispetto all’anno precedente (il primo passa da 1,9 a 5 dribbling a partita, il secondo da 3.4 a 5.3) e la scelta viene premiata: in due segnano 8 gol e 10 assist, guadagnando 8 dei 9 rigori concessi alla squadra. Anche le grandi annate realizzative di Lodi (10 reti, 7 su rigore) e Almiron nascono da lì, così come l’exploit realizzativo di Marchese (che dopo due gol in 156 partite ne segna tre in un anno).
Ovviamente lo stile di gioco di Montella comporta anche delle criticità. In fase di non possesso, ad esempio, la squadra imposta un pressing poco organizzato: la linea difensiva attua poco il fuorigioco (solo 2.1 a partita, la media più bassa in serie A) e quando il recupero palla immediato fallisce è costretta a inseguire. Subisce anche molti gol nel finale, con il Catania che è sembrato sempre più stanco e sempre più in difficoltà nel gestire le transizioni difensive.
Ma Montella riesce comunque a salvare la squadra, migliorando tra l’altro il record di punti dell’anno precedente (48). Dopo un solo anno, però, rescinde il suo contratto col Catania e accetta l’offerta della Fiorentina.
Direzione Firenze
La “Viola” arriva da una stagione travagliata, conclusa con tre esoneri (Mihajlovic, Rossi e Guerini) e il 13esimo posto in classifica. Dopo sette anni di gestione Corvino la direzione tecnica viene affidata a Pradè e Macía, che scelgono “l’aeroplanino” come primo tassello per la Fiorentina che verrà. Anche in sede di mercato la squadra viene rivoluzionata: rispetto all’annata precedente restano solo Pasqual, Jovetic, Ljajic, Neto e Cassani, al fronte di partenze importanti come quelle di Montolivo, Nastasic, Behrami, Vargas e Gamberini.
Montella plasma il suo centrocampo su un terzetto pieno di qualità (Pizarro, Aquilani/Mati Fernandez, Borja Valero), affiancandolo con due esterni (Pasqual e Cuadrado) tecnici e in costante proiezione offensiva. La mediana copre una difesa a tre estremamente tecnica (Tomovic/Roncaglia, Gonzalo Rodriguez, Savic), che facilita e non poco la fase di uscita del pallone. In attacco l’allenatore campano sembra preferire una coppia eterogenea, con un centravanti forte fisicamente (Toni, Gomez, Matri) e uno più associativo (Jovetic, Rossi, Ilicic), capace di dialogare coi compagni svariando su tutto il fronte offensivo.
La squadra cerca con insistenza due aspetti: la superiorità numerica intorno al pallone e l’occupazione in ampiezza del campo. Il movimento continuo dei tre di centrocampo (col coinvolgimento delle punte) permette ai viola di trovare sempre la triangolazione per l’uomo libero, mentre i due giocatori larghi (le ali nel 4-3-3, gli esterni nel 3-5-2) garantiscono sempre un’opzione laterale per lo scarico e il cambio di gioco.
Le difese avversarie sono messe di fronte a una scelta: mantenere la compattezza centrale significa permettere l’uno contro uno sull’esterno, coprire il campo in ampiezza permette a Borja e compagni di creare combinazioni nello stretto, arrivando al tiro con una grande varietà di soluzioni.
Fiorentina-Juve, 8^ giornata del campionato 2013-14. Con Pasqual arretrato è Cuadrado (punta) ad allargarsi, con Joaquin dall’altra parte. Gli juventini assorbono il movimento di Rossi e sono costretti a lasciare libero l’esterno spagnolo, che segna.
Pescara-Fiorentina, 38^ giornata del campionato 2012-13. I viola sono schierati col 4-3-3, ma i principi restano gli stessi: Cuadrado e Ljajic sono molto larghi, così come Tomovic e Pasqual (alle loro spalle). I terzini e gli esterni dei pescaresi (schierati col 4-4-2) restano in marcatura, e Mati ha la possibilità di scambiare con Borja in situazione di 2 contro 2. Gol.
Nei tre anni di Fiorentina, Montella mostra uno degli impianti tattici più eleganti della Serie A, ma è vero anche che non riesce a correggere i difetti più evidenti.
Come scriveva Fabio Barcellona nel 2014: «Il lavoro di Montella è pregevole, ma non del tutto compiuto. È un allenatore più di principi che di schemi, ‘italiano’ quanto basta per disseminare in ogni singola partita piccoli o grandi adattamenti alle caratteristiche dell’avversario. Ma sono troppe le imprecisioni nelle fasi di transizione difensiva e di non possesso palla quando i viola non riescono a gestire qualitativamente il loro possesso palla».
Il gioco della “Viola” si basa sul concetto di dominio: controllo del ritmo, occupazione spaziale del campo e utilizzo del possesso anche in chiave difensiva. Quella di Montella è una squadra che vuole decidere le regole del gioco perché non sa giocare diversamente.
La Fiorentina raggiunge ottimi risultati (tre quarti posti in tre anni, una finale di Coppa Italia, la semifinale di Europa League col Siviglia), ma nell’ambiente sembra prevalere il senso di incompiutezza, di occasione persa. Nell’estate del 2015 Montella, dopo essersi lamentato in più occasioni del mercato invernale, parla della Fiorentina come di una squadra alla fine di un ciclo tecnico, senza margini di crescita. La rottura con la società è insanabile e Montella viene esonerato.
Intermezzo doriano
A novembre l’allenatore firma con la Sampdoria. La squadra ereditata da Zenga ha un’architettura tecnica molto diversa rispetto alla Fiorentina ma Montella non rinuncia ad applicare le proprie idee ancora una volta. Dopo due sconfitte nelle prime due, l’allenatore prova la difesa a 3 nella gara contro il Sassuolo: dentro Lazaros e fuori Ivan, con Regini avanzato sulla sinistra e Cassani centrale di destra. Ma la squadra sembra non essere adatta: i blucerchiati sbagliano molto e subiscono 3 gol in 38 minuti, mostrando grandi limiti in entrambe le fasi.
Contro la Lazio, quindi, Montella decide di fermare l’emorragia di risultati impostando una squadra più coperta: nelle gare successive i “blucerchiati” si presentano con un 4-1-4-1 più speculativo, con Cassano unica punta e due esterni di gamba come Lazaros e Carbonero. La squadra pareggia all’Olimpico con la Lazio e vince lo scontro diretto col Palermo, ma poi perde con Genoa, Juventus e Carpi.
Contro il Napoli si iniziano a vedere frammenti della squadra che verrà: in fase di possesso i due esterni difensivi si aprono moltissimo e la squadra prova a gestire il possesso nonostante la pressione dei partenopei. Soriano e compagni, però, non hanno ancora gli automatismi giusti.
Zukanovic appoggia per Barreto, ma Moisander – invece di allargarsi – resta nel cono d’ombra di Insigne. Barreto ha un attimo di incertezza e viene indotto all’errore dalla pressione di Hamsik: Samp in svantaggio.
Nel mercato di gennaio la società perde pezzi importanti (Eder e Zukanovic, che era molto importante per la Sampdoria in impostazione bassa), ma acquista alcuni giocatori utili per il cambio di modulo. In difesa è Ranocchia a sostituire il centrale bosniaco, mentre a centrocampo vengono ingaggiati Sala e Dodò, capaci di giocare sull’esterno basso sia con la difesa a 3 che con quella a 4. Per il reparto offensivo Montella convince la dirigenza a dare una chance ad Alvarez. La partenza di Eder, invece, viene compensata almeno numericamente dall’acquisto di Quagliarella.
Nella gara col Torino l’allenatore blucerchiato torna alla difesa a 3, con due mediani davanti alla difesa, Sala e Dodò esterni e due trequartisti dietro a Quagliarella. Questa impostazione, salvo alcuni piccoli aggiustamenti tattici di partita in partita, resterà la stessa per tutto il resto della stagione.
Nel corso delle settimane Montella riesce a instillare alcuni dei suoi principi tattici e la squadra inizia a racimolare punti salvezza. Il 3-4-2-1 sampdoriano è una versione embrionale della costruzione di gioco già usata a Firenze, quando una delle due mezzali si abbassava al fianco del regista per dare un’opzione di passaggio, e l’altra si alzava in linea con la seconda punta.
Lo svolgimento è semplificato ma efficace: i blucerchiati migliorano il possesso palla e riescono a mantenere ampiezza, attirando avversari su una fascia per creare situazioni di uno contro uno sulla fascia opposta o la superiorità numerica al centro.
Palermo-Sampdoria, 36^ giornata. La fase offensiva dei blucerchiati.
Se la palla arriva sulla fascia, i tre giocatori offensivi entrano in area, dove taglia anche l’esterno sul lato opposto. Se gli avversari perdono compattezza al centro i sampdoriani tentano l’imbucata centrale, affidandosi alla qualità di Quagliarella e Cassano negli spazi stretti.
Situazione 1: Verona-Sampdoria, 28^ giornata. Quagliarella porta fuori posizione Moras e Ionita, permettendo a Cassano di servire Soriano; il centrocampista approfitta dell’indecisione di Gilberto per andare a tu per tu col portiere.
Situazione 2: Sampdoria-Frosinone, 27^ giornata. Cassani viene liberato dagli scambi e ha spazio per il cross. Correa e Quagliarella si buttano in area, Dodô taglia verso il centro: da questa azione arriva il gol del 2-0.
L’annata coi blucerchiati si chiude con 6 vittorie, 6 pareggi e 14 sconfitte. Non uno score indimenticabile, ma la squadra riesce comunque a salvarsi concludendo la stagione al 15esimo posto.
Ricominciare a Milano
Ma l’esperienza a Genova è in realtà solo l’ennesima tappa, forse la più dimenticabile, del cammino di Montella. Qualche settimana fa ha firmato per il Milan, che a dire il vero lo aveva già cercato in passato. I “rossoneri” sono al loro sesto allenatore in quattro anni e Montella ha innanzitutto l’ingrato compito mentale di dover riportare un po’ di tranquillità in una squadra sprofondata in una crisi tecnica che pare insanabile. La situazione è così estrema che Montella può concedersi la leggerezza dell’ironia, presentandosi come l’esorcista e giocando sulle dichiarazioni del suo predecessore.
Lo scarso patrimonio tecnico a disposizione si scontra con un ambiente esigente e una società ambiziosa, cosa che lo porrà sin da subito al centro del campo magnetico di tensioni. A Milano Montella sarà costretto a partire da una squadra che - al momento - ha pochissimo del patrimonio tecnico richiesto per il suo gioco.
Nonostante le carenze di organico, nell’amichevole col Bordeaux si sono già intravisti alcuni elementi del gioco di Montella. «I moduli non sono così fondamentali, contano i principi», ha detto il tecnico: il primo Milan stagionale si è rifatto a quelli, impegnandosi sia nella gestione del possesso che nel controllo spaziale del campo.
Schierata col 4-3-3, la squadra ha mostrato un’interpretazione molto dinamica del modulo, cambiando assetto durante le varie fasi dell’azione. In fase di costruzione la squadra ha cercato di mantenere sempre tre giocatori sulla linea difensiva (in modo da avere superiorità numerica nel possesso) e due giocatori larghi sulle fasce, per non perdere ampiezza. La soluzione preferita era l’arretramento di Bertolacci (non il più adatto: serve un regista) tra i due centrali, con l’innesco della salida lavolpiana; se non riusciva ad arretrare in tempo, allora era uno dei due terzini a stringersi, con l’esterno della stessa fascia che arretrava per garantire lo scarico laterale. In questo modo, in fase di costruzione la squadra ruotava tra 3-4-2-1 e 3-5-2, moduli ben conosciuti dall’allenatore.
Bertolacci arretra, i due terzini si alzano sulla linea dei centrocampisti. 3-4-2-1.
In fase offensiva la squadra ha cercato di mantenere ampiezza, con l’utilizzo di entrambi i terzini o le mezzali. I due esterni (Suso e Menez), entrambi sul piede invertito, hanno giocato molto vicino a Niang, aumentando le linee di passaggio per Poli e Bonaventura.
Abate e Antonelli sono sulla linea degli attaccanti, e permettono alle due ali di tagliare dentro il campo.
Suso e Antonelli restano molto larghi, creando una situazione di quattro contro quattro al limite dell’area. Sul lancio di Menez (liberato dal movimento ad allargarsi del compagno) arriva la sponda di Niang per Bonaventura, che sfiora il gol .
In fase di non possesso i milanisti si sono sistemati con un 4-4-1-1 abbastanza compatto, con una delle due mezzali che dava man forte a Niang nel pressing sui difensori girondini. Un atteggiamento che ha dato i suoi frutti, generando il primo gol di Suso e dando il via all’azione del secondo.
A livello tattico i rossoneri sono sembrati già reattivi, nonostante le molte ruggini nel possesso e (soprattutto) lo smarcamento senza palla. Quando i girondini hanno alzato la pressione i rossoneri hanno rischiato molto, ma non hanno rinunciato a giocare: buon segno.
Per crescere la squadra avrà bisogno di un intervento rilevante in sede di mercato. A livello di organico (come ribadito dallo stesso allenatore) serviranno diversi rinforzi, a partire dal pacchetto arretrato; i rossoneri hanno assoluto bisogno di un centrale difensivo tecnico e dinamico, in grado di far partire la manovra e capace di giocare con una linea difensiva alta.
L’utilizzo di Bertolacci da play ha di nuovo evidenziato il bisogno di un vero regista a centrocampo, capace di gestire il possesso e dettare i tempi della manovra. Sugli intermedi (al netto dell’utilizzo di Bonaventura) servirà almeno un’altra mezzala di qualità. Nel reparto offensivo molto dipenderà dal futuro di Bacca, comunque poco adatto al gioco di Montella; l’allenatore rossonero sembra puntare sull’esplosione di Niang, ma, in caso di partenza del colombiano, è lecito aspettarsi l’acquisto di una punta molto affidabile e maggiormente associativa.
I risultati dei prossimi mesi saranno decisivi, tanto per la squadra quanto per il suo allenatore: il Milan deve dimostrare di poter tornare rapidamente competitivo, Montella deve mostrarsi capace di competere per vincere. La differenza tra un allenatore emergente e uno affermato passa per il superamento di questo passaggio, che potrebbe dimostrare la definitiva maturazione nel calcio che conta.