
Fernando Alonso apre il microfono e da sotto al casco lancia accuse: «È un motore da GP2! GP2!». La Honda, che fornisce il propulsore alla sua McLaren, è entrata in ritardo nella partita dell’era ibrida della Formula 1 e ne sta pagando lo scotto. È il venticinquesimo giro del Gran Premio del Giappone e Alonso ha appena subito un sorpasso facile, alla fine del rettilineo del traguardo, dalla Toro Rosso-Renault di un certo Max Verstappen, anni 18, dicono che come pilota si farà.
Alonso non è nuovo a un certo tipo di uscite alla radio, l’ultima è del weekend precedente: dai box gli hanno chiesto suggerimenti per migliorare la monoposto e lui ha risposto augurando a tutti buona fortuna. Al di là dell’idea di mondo che Alonso ha – le persone si dividono in due categorie: chi è con lui e chi è contro di lui, con la seconda molto più affollata della prima – si può affermare che quel Gran Premio del Giappone nel 2015 è stato il punto più basso della crisi tecnica della McLaren, la scuderia che può definirsi a buon titolo la Ferrari d’Inghilterra.
Bruce McLaren fondò la squadra nel 1963 e da subito le sue auto iniziarono a battagliare sui circuiti del Mondiale di Formula 1 e alla 500 Miglia di Indianapolis. Questa doppia anima, europea e americana, della McLaren resiste ancora oggi. Una doppia anima che, in un’epoca precedente al sostegno economico fornito da FIAT, stava per mettere in pericolo la sussistenza stessa della Ferrari, che faceva fatica a fornire mezzi e supporto sia in F1 che nella 24 Ore di Le Mans, oltre che a un certo numero di eventi minori.
La recente decadenza della McLaren ha le sue radici, inevitabilmente, nelle difficoltà economiche, che si sono aggravate dal 2007, quando scoppiò l’ormai famosa spy-story. L’allora capo meccanico della Ferrari, Nigel Stepney, in cerca di vendette per un mancato avanzamento di carriera, passò documenti riservati delle allora dominanti monoposto rosse all’ingegnere della McLaren, Mike Coughlan. Tutti in McLaren erano a conoscenza del passaggio di mano dei documenti e del loro contenuto, dai piloti al management. La sentenza, per alcuni, fu persino mite: squalifica dal campionato costruttori e una multa mostruosa da 100 milioni di dollari. Per di più Mercedes, che alla McLaren forniva motori e sostegno economico, proprio a causa della spy-story decise che era arrivato il momento di mettersi in proprio. Dei dodici titoli piloti e degli otto costruttori conquistati nella storia della McLaren, l’ultimo in ordine di tempo risale al 2008, vinto da Lewis Hamilton e contestatissimo anche quello, con Felipe Massa deciso ad avere giustizia a sedici anni di distanza.
In anni più recenti, c’è stato più un momento in cui la McLaren ha temuto di andare gambe all’aria. O quantomeno, nella testa del management c’era chiara l’idea che l’impegno contemporaneo nella Formula 1 e nelle IndyCar Series non potesse più essere sostenibile. D’altra parte, la vendita delle supercar stradali non avveniva in volumi sufficienti per sostenere i costi dell’attività sportiva. Nel 2021, la McLaren ha venduto all’incirca 2100 vetture. Per fare un paragone, nello stesso anno Ferrari ne ha consegnate ai suoi clienti più di undicimila. Nonostante il CEO, Zak Brown, e il team principal, Andreas Seidl, gettassero acqua sul fuoco, la preoccupazione per la salute della scuderia era reale. Figurarsi quando si è diffusa la notizia, poi smentita, che la McLaren avrebbe cercato di recuperare fondi dalla vendita dei gioielli di famiglia, ovvero le monoposto storiche di Ayrton Senna e Alain Prost, vincitrici di titoli a ripetizione tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Si stava per scavallare il più classico dei punti di non ritorno.
Il duo Brown-Seidl ha imposto alla McLaren una pesante ristrutturazione. Bisognava trovare nuovi investitori, sottoporre l’azienda a una cura dimagrante, creare una nuova cultura del lavoro. Brown ha aperto alla cessione di una quota di minoranza del pacchetto azionario. Nel 2020 il fondo d’investimento americano MSP Sports Capital ha investito 185 milioni di sterline per entrare nella proprietà della scuderia con una quota iniziale del 15%. L’anno dopo McLaren ha ceduto la propria sede, il McLaren Technology Center, all’immobiliare Global Net Lease per altri 170 milioni, attivando contestualmente un leasing per poter continuare a usufruire delle strutture operative e logistiche. Anche l’ingresso di nuovi sponsor dal mercato americano ha dato liquidità disponibile immediatamente, da spendere per migliorare le infrastrutture e ottenere risultati sul medio-lungo termine. C’è stata poi la parte più dolorosa, ovvero la riduzione del personale per contenere i costi operativi, che ha portato 1200 persone fuori dall’azienda, un quarto della forza lavoro a disposizione.
Al contrario di Brown, a suo agio con la parte finanziaria, Seidl si è impegnato di più sul versante tecnico e sportivo. Una delle svolte è stata la decisione di montare sulle proprie auto le power unit di Mercedes; nonostante l’accordo sui propulsori, e al contrario di team come la Williams e l’Aston Martin, la McLaren ha deciso di mantenere in casa la progettazione del cambio e del differenziale, elementi che Mercedes offre ai propri clienti. Seidl ha anche rimpolpato il settore dei tecnici, con un focus maggiore su aerodinamica e simulazione. È degli stessi anni l’ingresso in azienda del direttore tecnico James Key e del direttore di produzione Piers Thynne, due figure di spicco e con esperienza. Più di ogni altra cosa, però, Seidl ha portato in McLaren un modo diverso di fare motorsport, enfatizzando l’importanza della collaborazione e la comunicazione aperta tra i vari dipartimenti.
Le informazioni e le idee devono essere condivise, ognuno deve sentirsi libero di dire la propria, al di là della mansione e del livello gerarchico che occupa. Le riunioni in cui si condividono informazioni cruciali riguardanti lo sviluppo delle monoposto dovevano essere quanto più possibile allargate e partecipate, tutti dovevano essere a conoscenza di cosa si stava facendo ai piani alti. La Formula 1 è un’attività logorante, con turni di lavoro esasperanti in alcune fasi della stagione, ed è importante avere un ambiente di lavoro positivo e confortevole: è stato cambiato il layout degli uffici per migliorare il benessere dei dipendenti; è stata introdotta una maggiore flessibilità oraria e promosso lo smart working. Piccole cose che fanno una grande differenza.
Nel biennio 2020/21 sono arrivati i piazzamenti a punti e primi podi, e una vittoria per mano di Daniel Ricciardo al Gran Premio d’Italia del 2021, dopo un’astinenza durata nove anni. Successivamente, complice il cambio di regolamento varato nel 2022, la McLaren si è ritrovata in una terra di mezzo dalla quale era difficile uscire, la vittoria di Monza sembrava frutto di una casualità, più che parte di un piano ben congeniato. A fine 2022, Seidl è uscito dalla McLaren per trovare una scrivania presso il neonato progetto Audi F1. A quel punto Brown ha fatto una mossa azzardata, affidare la scuderia a un tecnico di lungo corso, ma privo di esperienza di management.
Andrea Stella, ex della Ferrari, passato dall’essere il capo delle operazioni in pista al ruolo di team principal, si è ritrovato subito di fronte a una sfida difficilissima. Si è capito presto che la monoposto preparata per il Mondiale 2023 aveva mancato tutti gli obiettivi di sviluppo che i tecnici avevano fissato un anno prima. Un inverno infruttuoso che avrebbe portato a un campionato di sofferenze. Piuttosto che cercare di tappare le falle di un progetto tecnico nato male, Stella ha deciso di raddrizzare la barca con una mossa decisa: l’aerodinamica dell’auto sarebbe stata rifatta da zero, senza aspettare il nuovo anno; e a James Key, il responsabile del progetto fallimentare, è stata mostrata l’uscita. Stella ha assunto su di sé le deleghe del direttore tecnico uscente, avrebbe tenuto a rapporto personalmente i diversi gruppi di lavoro. In questo modo ha fatto sua la lezione di Seidl, accorciando ancora di più la catena di comando, e spingendo le persone del team a esporsi in prima persona.
A causa dei difetti di progettazione – su tutti un’efficienza aerodinamica ridotta che rendeva lentissima l’auto sui rettilinei – la prima metà del 2023 della McLaren è stata disastrosa. Il punto più basso è stato raggiunto al Gran Premio di Miami, con un diciassettesimo e un diciannovesimo posto. Poi le cose sono cambiate, a metà stagione è stata presentata la nuova aerodinamica. Lando Norris è iniziato ad arrivare a podio consistentemente, Oscar Piastri a mostrare il suo talento. Stella parla poco ai microfoni, ma è sempre estremamente concreto. Dice che in McLaren hanno compreso come funzionano queste benedette auto a effetto suolo, in voga dal 2022, basta tenere d’occhio alcuni indicatori chiave, tra galleria del vento e simulatore, per avere certezza che i guadagni che si intravedono in fabbrica si ritroveranno poi in pista.
Oggi la crescita di McLaren è evidente a tutti. Norris e Piastri hanno vinto una gara a testa, e il primo si sente a buon diritto in corsa per il titolo Mondiale. Per la scuderia inglese arriva la parte più difficile, che non è vincere, quanto continuare a farlo. Creare una mentalità vincente, mantenere il sangue freddo nei momenti cruciali della gara. È un ulteriore salto di qualità che è richiesto ora alla McLaren, e probabilmente è il gradino più ampio tra quelli affrontati finora.
Le difficoltà in tal senso si sono già viste: a Norris mancano almeno un paio di vittorie, per decisioni strategiche sbagliate del team o per errori del pilota. Lo stesso Stella ha spiegato che in Formula 1 non si può resistere restando in balia delle emozioni, il ciclo di esaltazione e scoramento che si sussegue una domenica dopo l’altra è un’altalena tale da portarti in fretta a schiantarti. Le decisioni devono essere razionali, prese con numeri alla mano, valutate con un’ottica di lungo periodo; se sono stati fatti degli errori, devono essere recuperati implementando le procedure corrette presto, ma non bisogna essere precipitosi.
La McLaren è la miglior macchina in pista adesso e ha quasi l’obbligo di capitalizzare il vantaggio tecnico che possiede. Con un’incognita forte all’orizzonte: la pausa estiva di tre settimane potrebbe cambiare tutto di nuovo. Anche se ufficialmente i lavori negli uffici tecnici saranno sospesi, quelli in fabbrica proseguiranno, con gli aggiornamenti già previsti nella pipeline di sviluppo in attesa di essere ingegnerizzati. Quindi al Gran Premio d’Olanda di fine agosto potremmo ritrovarci con un’altra Formula 1, rispetto a quella che lasceremo a Spa-Francorchamps domenica prossima, in un campionato che non smette di riservare sorprese.
Per Andrea Stella, per Lando Norris e per tutti gli altri alla McLaren è arrivato il momento di chiedersi: chi vogliamo essere da grandi?