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Il riscatto di Pierre Gasly
07 set 2020
07 set 2020
A Monza hanno vinto il talento e la storia del pilota francese.
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Quando si dice che la realtà supera l’immaginazione ci si riferisce al fatto che, a volte, certi intrecci ripetuti nella vita reale risulterebbero poco credibili e troppo pilotati nella trama di un romanzo o nella sceneggiatura di un film. Come il fatto che i destini di Pierre Gasly e Carlos Sainz sono tornati a scontrarsi oggi, dopo che nel 2014 Sainz soffiò a Gasly l’ultimo posto in Formula 1 della famiglia Red Bull; e dopo che l’anno scorso un altro loro scontro, quello perso sempre dal francese per il Gran Premio di Ungheria, gli costò la retrocessione nella Toro Rosso (la seconda scuderia della Red Bull), con lo spettro della chiusura delle sue prospettive future in Formula 1. Così, il Gran Premio di Monza 2020 ha fatto esplodere quelle sensazioni covate interiormente, come in una pentola a pressione, da Pierre Gasly. Una miscela di rancore, sete di rivincita, ampliate dalla lunga attesa per una grande occasione, che a dire il vero il pilota di Rouen sta meritando da inizio 2020, ma anche da quell’incredibile suspense, l'incessante senso di soffocamento derivante da un inseguimento che solo la speciale conformazione del Tempio della Velocità è grado di generare.

Un misto di sentimenti che lo spettatore conosce e attraverso i quali si è perfettamente immedesimato per tutta la lunghissima fuga di Gasly verso la vittoria. Una lenta e progressiva crescita dell’ansia, vissuta di pari passo con il graduale e continuo avvicinamento di Sainz, e l’attesa per un possibile errore di uno dei due contendenti che è rimasta disillusa. Monza 2020 sembra essere stato scritto da Alfred Hitchcock, ma con un finale meno crudo del solito. La vittoria di Pierre Gasly è la conclusione fiabesca di un tema classico, quello della rivincita, declinato in moltissimi aspetti: la sua è una vendetta nei confronti di Carlos Sainz, ma anche di Alexander Albon, il pilota che gli ha tolto (forse indebitamente) il posto in Red Bull a metà 2019. Ma è anche la vendetta, più generica, verso l’universo Red Bull; la rivincita del motore Honda, che per la prima volta dal suo rientro in Formula 1 vince proprio nel circuito dove il motore conta più che in ogni altro; la rarissima, e per questo ancora più attesa, sorprendente e intensa, rivincita della classe media in una Formula 1 sempre più monopolizzata dall'aristocrazia.

«Non ho mai avuto un manager e ho dovuto combattere da solo contro tutti gli squali del paddock per trovare il mio posto», ha detto Gasly due anni fa. «Sono fiero di essere riuscito ad arrivare in Formula 1 senza pagare: mi vedo come un esempio per i giovani, è ancora possibile farcela senza diventare piloti paganti». La sua è anche una delle ultime storie a lieto fine di piloti che emergono dalla feroce selezione economica del motorsport, del talento che può ancora consentire di sviare dai costi sempre più faraonici delle categorie minori.

Forse l’ultima volta che questo senso di rivalsa si è manifestato con così tanto clamore è stato proprio per merito di un altro francese, l’ultimo prima di Gasly ad aver vinto un Gran Premio in Formula 1. Anche Olivier Panis a Montecarlo 1996, nell’altro circuito leggendario e dai tratti diametralmente opposti, aveva compiuto la sua opera perfetta attraverso una mescolanza di fattori che possiamo ritrovare nel successo di Gasly: la particolare velocità della vettura fin dalle prove libere del venerdì, la gestione di alcuni duelli nella fase iniziale e dell’ansia nell’inseguimento finale, oltre a un’inevitabile dose di fortuna. L’elemento che deve pragmaticamente ricordarci quanto queste imprese siano in realtà estemporanee e difficilmente ripetibili.

Dove Gasly ha fatto la differenza
Eppure, nonostante la combinazione tra la Safety Car, la pit lane chiusa, il pit stop irregolare di Hamilton e la pesante penalità a suo carico, Gasly ha ribaltato l'ordine naturale delle cose ritrovandosi finalmente tra le mani l’occasione di poter mostrare anche al grande pubblico le sue qualità, dopo una stagione di prestazioni scintillanti rimaste sommerse nella mediocrità della sua Alpha Tauri. E ci sono diversi dati e diversi elementi che testimoniano come, al di là del jackpot di una vita, Gasly abbia gestito la gara da campione vero e meritando pienamente la vittoria.

Gasly arrivò in Formula 1 nel 2017, dopo aver vinto l’anno prima il titolo in GP2 (l’attuale Formula 2) ma senza aver convinto a pieno sulle sue eventuali qualità da predestinato. Vinse dopo due stagioni e mezza nella categoria, con la vettura migliore, quella del team Prema, ma lo fece lottando fino all’ultima gara con Antonio Giovinazzi che nella GP2 era esordiente. In più, Gasly vinse nell’ultimo appuntamento in GP2 di Abu Dhabi, dopo aver avuto l’occasione di fare un lungo test sulla stessa pista, pochi giorni prima, con una Red Bull di Formula 1. Fin dalle sue prime stagioni in Toro Rosso, nonostante degli acuti eccezionali soprattutto sul bagnato, Gasly mostrò pregi e difetti abbastanza evidenti nella sua guida. Un pilota che frena e accelera molto forte, meno efficace nelle lunghe curve in percorrenza a inizio carriera, da sempre esaltato in piste molto veloci con grandi frenate come quella del Bahrain e, appunto, Monza.


La grafica che confronta lo stile di guida di Gasly e Albon alla Parabolica in FP2. Fedele alle sue caratteristiche, Gasly frena più tardi e più forte (luce rossa che inizia dopo ed è più breve) e apre prima il gas, risultando complessivamente 1 decimo più veloce.



Gasly a Monza non ha solo battuto nuovamente il compagno Daniil Kvyat in qualifica (ora conduce 7-1 nel confronto stagionale) ma nel lunghissimo finale ha mostrato una concentrazione e una maturità da pilota di primo livello: una capacità di gestione, soprattutto delle gomme, che gli era mancata in GP2, dove da sempre si era mostrato un fuoriclasse del giro secco ma non altrettanto sul passo gara. Alcuni dati numerici testimoniano l’enorme qualità del finale di gara di Gasly, soprattutto nel confronto con il suo principale inseguitore, Carlos Sainz sulla McLaren: se nelle FP2 il raffronto sui loro passi gara con la gomma soft era sostanzialmente pari (1:25.547 il tempo medio di Gasly, 1:25.469 quello di Sainz), in gara lo spagnolo ha guadagnato esattamente 3.457 secondi dal giro 34 (il primo in seconda posizione all’inseguimento di Gasly) al giro 52, il penultimo, quindi 0.192 secondi al giro recuperati in media per 18 passaggi.

Va sottolineato, però, il fatto che Sainz ha fin da subito avuto il privilegio di mettersi nella scia di Gasly, tra i 3 e i 4 secondi di distanza, un traino che in qualifica (dalle simulazioni) permette di guadagnare più di 2 decimi al giro. Per questo motivo Sainz era costantemente più veloce di Gasly nel primo e terzo settore, quelli più veloci, ma il francese riusciva a recuperare nel settore centrale più misto. Gasly, quindi, è riuscito non solo a contenere efficacemente la sua perdita media sul giro, ma le sue prestazioni nel secondo settore sono state frutto di una guida magistrale: incredibilmente ha fatto registrare il suo record personale nel secondo settore al giro 49, il quintultimo (28.164), dimostrando una gestione degli pneumatici da fuoriclasse, nonostante un inevitabile accenno di blistering da surriscaldamento negli ultimissimi chilometri sulla posteriore destra.


Il segno di consumo (indicato dalla freccia) sulla parte interna della posteriore destra di Gasly al penultimo giro.



Nel settore centrale serve molto la gomma in trazione dalla Roggia, e in appoggio e in uscita dalle due Lesmo: Gasly è riuscito a essere più efficace di Sainz non solo in virtù di un minimo disturbo aerodinamico offertogli, ma anche per una migliore capacità di guida soprattutto in uscita di curva. Gasly guadagnava infatti qualche decimo su Sainz anche quando la distanza tra i due era tale che lo spagnolo non risentisse ancora di una leggera turbolenza aerodinamica. E Gasly riusciva a farlo nonostante la sua Alpha Tauri fosse più scarica a livello aerodinamico rispetto alla McLaren di Sainz, quindi teoricamente meno efficiente in curva: basti vedere le velocità di punta in qualifica: 343,7 km/h la media tra le due Alpha Tauri, 338,5 quella delle McLaren.

In particolare, Gasly faceva la differenza in uscita dalla Variante della Roggia: nonostante quest’anno sia stato ristretto enormemente il tratto di erba sintetica fuori dal cordolo in uscita, Gasly riusciva ogni giro a dare tanta trazione sfiorando i sassi, ma senza mai uscire di pista e perdere tempo.


In quasi tutti i giri Gasly usciva così dalla Variante della Roggia.



Sainz, invece, non riusciva a essere altrettanto efficace in quel particolare punto della pista. Quella della (relativa) poca aggressività in uscita di curva è una delle caratteristiche dello spagnolo, che in questo Gran Premio gli è forse costata la vittoria. Uscendo con più precisione e con qualche rischio in più dalla Roggia, Sainz avrebbe forse potuto guadagnare un decimo al giro in quel tratto e sarebbe potuto arrivare a tiro di DRS con qualche tornata d’anticipo, vincendo la gara.


Molto raramente Sainz, in quel punto di pista, sfruttava tutto l’ultimo lembo verde in uscita di curva.



Una vittoria per la nuova Formula 1
La bellezza di questi Gran Premi è di riuscire finalmente a rendere protagonisti nuovi piloti, mettendo maggiormente a nudo le loro qualità, astraendole dal centro gruppo, accrescendo la risonanza dei loro duelli e calandoli in una nuova dimensione. Seppur frutto di dinamiche a tratti surreali, la gara di Monza 2020 è riuscita a dare la giusta credibilità ai suoi inattesi vincitori, a offrire una meritata occasione a chi, come Gasly e Sainz, appunto, si sta esprimendo notevolmente, ma con mezzi senza dubbio lontani dalle inarrivabili punte della Mercedes.

Proprio nel momento in cui è stata messa più a rischio la biodiversità nel mondo della Formula 1, tra il monopolio dei tre top team degli ultimi anni e la pandemia che ha minacciato la sopravvivenza di almeno quattro squadre, Gasly ha messo a segno una vittoria desiderata dai vertici della Formula 1: tra budget cap, standardizzazione delle componenti e la rivoluzione attesa per il 2022, l’obiettivo di appiattire le differenze tecniche delle vetture per esaltare la gestione dei piloti è il nuovo credo fondante degli organizzatori di Liberty Media.

In realtà, già quest’anno si sta involontariamente sperimentando questo tipo di Formula 1, anche in virtù del tracollo Ferrari: la questione della Racing Point, vettura sostanzialmente identica alla Mercedes 2019, ha messo sul banco il tema delle scuderie “clienti”, una prassi comune in MotoGP da molti anni, ma ancora osteggiata dalla Formula 1, che resta ancorata al vecchio imperativo di far costruire la propria vettura a ogni team. Con il budget cap, che riduce enormemente le spese (e lo fa anche per i team meno ricchi) sarà forse più facile per le piccole squadre progettare una vettura competitiva, ma la sensazione, vista anche la leggerezza della punizione alla Racing Point e l’accordo tacito di non procedere con ulteriori ricorsi, è che ci possa essere un’apertura ai cosiddetti “clienti”.

La filosofia della ricerca più spinta all’eccellenza tecnologica va spesso contro lo spettacolo per il grande pubblico, che senza dubbio apprezza maggiormente le storie degli uomini dietro al volante, i loro riscatti e il loro talento di guida, come nel caso di Gasly. Liberty Media vuole andare in una direzione più a misura d’uomo, aumentando l’incertezza e il margine di espressione, nel bene e nel male, dei piloti e della loro adattabilità. Per questo, dopo un meraviglioso e noioso dominio Mercedes, le circostanze che hanno permesso a Gasly e Sainz di lottare per la vittoria a Monza sono state una boccata d’ossigeno per gli organizzatori. Più che una canonica gara di Formula 1, il Gran Premio d’Italia 2020 ha ricordato le dinamiche delle categorie minori monomarca, un modello a cui Liberty Media senza dubbio aspira ad avvicinarsi il più possibile. Forse, però, con le vetture più standardizzate, questo tipo di imprese non riuscirebbero ad assumere gli stessi contorni leggendari.

Quando Olivier Panis vinse a Montecarlo 1996, percorse il giro d’onore tenendo in mano una vistosa bandiera francese. L’iconografia di quel gesto, nel mondo della Formula 1, fu la più vicina alla presa della Bastiglia, alla ribellione delle gerarchie sociali che già negli anni Novanta si stavano delineando con chiarezza. Panis, forse per colpa dell’incidente in Canada nel 1997, non riuscì ad avere la sua occasione per imporsi nell’aristocrazia della Formula 1. Pierre Gasly avrà probabilmente qualche opportunità in più.

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